Roma, Via Valadier 44 (00193)
o6.6878241
avv.fabiocirulli@libero.it

Cassazione Civile 37138/2022 – Recupero di spese di giustizia penali – Opposizione all’esecuzione ex art. 615 cpc

Richiedi un preventivo

Ordinanza 37138/2022

 

Recupero di spese di giustizia penali – Opposizione all’esecuzione ex art. 615 cpc

In tema di recupero di spese di giustizia penali, nel caso in cui il debitore, proponendo opposizione avverso la cartella di pagamento notificata, contesti i presupposti legali della decisione del giudice penale relativa alle spese processuali al cui rimborso sia stato condannato, il giudice civile adìto ex art. 615 c.p.c. non deve dichiarare la propria incompetenza in favore del giudice dell’esecuzione penale, ma deve semplicemente respingere l’opposizione rilevandone l’inammissibilità, potendo egli conoscere solo dei motivi riguardanti la quantificazione delle spese processuali operata dagli organi amministrativi competenti successivamente alla formazione del titolo esecutivo giudiziale, costituito dalla pronuncia di condanna emessa dal giudice penale. (Nella specie, la S.C. ha respinto i ricorsi dell’agente della riscossione e del Ministero della Giustizia proposti contro una sentenza di appello che aveva correttamente ritenuto che spettasse al giudice civile conoscere, in sede di opposizione all’esecuzione, delle contestazioni relative alla mera quantificazione delle spese processuali poste a carico di un soggetto sulla base di un provvedimento penale di condanna).

Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 19-12-2022, n. 37138   (CED Cassazione 2022)

Art. 615 cpc (Opposizione all’esecuzione) – Giurisprudenza

 

 

FATTI DI CAUSA

Il competente agente della riscossione ( (OMISSIS) S.p.A., nelle cui funzioni è poi subentrata l’Agenzia delle Entrate – Riscossione) ha notificato a (OMISSIS) una cartella di pagamento dell’importo di Euro 164.972,17 per crediti iscritti a ruolo dal Ministero della Giustizia a titolo di spese di giustizia penali.

Il (OMISSIS) ha proposto opposizione all’esecuzione ed agli atti esecutivi, ai sensi degli artt. 615 e 617 c.p.c., evocando in giudizio, oltre all’agente della riscossione, lo stesso Ministero della Giustizia, nonchè (OMISSIS) S.p.A..

L’opposizione è stata rigettata dal Tribunale di Milano.

La Corte di Appello di Milano, dichiarato inammissibile l’appello in relazione ai motivi di opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell’art. 617 c.p.c., in parziale riforma della decisione di primo grado, ha accolto l’opposizione all’esecuzione proposta ai sensi dell’art. 615 c.p.c., dichiarando la nullità della cartella opposta. Ricorre (OMISSIS) S.p.A., sulla base di due motivi.

Il Ministero della Giustizia ha notificato un atto denominato “controricorso con ricorso incidentale” e contenente un ricorso incidentale (sostanzialmente adesivo al principale) sulla base di due motivi.

Resiste sia al ricorso principale che all’incidentale il (OMISSIS), con due distinti controricorsi.

Non ha svolto attività difensiva nella presente sede l’Agenzia delle Entrate – Riscossione.

è stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c..

Sono state depositate memorie ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., sia dalla ricorrente principale (OMISSIS) S.p.A. che dal controricorrente (OMISSIS).

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale si denunzia “Nullità del procedimento di secondo grado e della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 615- 617 c.p.c. e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, artt. 227-bis e ss. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per aver il giudice di appello ritenuto, a conferma della sentenza di primo grado, competente il giudice della esecuzione civile in luogo del giudice della esecuzione penale – errata interpretazione della giurisprudenza sul punto Cass. Sez. Un. 491/2011”.

Con il primo motivo del ricorso incidentale si denunzia “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 2: incompetenza funzionale del Giudice civile nei confronti del Giudice penale in relazione alle censure mosse dal sig. (OMISSIS) ex art. 535 c.p.p.”.

Il primo motivo del ricorso principale e il primo motivo del ricorso incidentale esprimono censure sostanzialmente analoghe, sono connessi e possono quindi essere esaminati congiuntamente.

Essi sono infondati.

1.1 Questa Corte intende conformarsi ai principi di diritto espressi da Cass., Sezioni Unite Penali, Sentenza n. 491 del 29/09/2011 Cc. (dep. 12/01/2012), Rv. 251265 – 01, secondo cui “la domanda del condannato che, senza contestazione della condanna al pagamento delle spese del procedimento penale, deduca (sia quanto al calcolo del concreto ammontare delle voci di spesa, sia quanto alla loro pertinenza ai reati cui si riferisce la condanna) l’errata quantificazione, va proposta al giudice civile nelle forme dell’opposizione ex art. 615 c.p.c.”.

I suddetti principi risultano, del resto, successivamente confermati, sia in sede penale (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 11604 del 15/12/2015 Cc., dep. 18/03/2016, Rv. 266610 – 01: “in tema di recupero delle spese processuali, le questioni attinenti all’esistenza del titolo esecutivo sono di competenza del giudice penale, mentre rientrano nella competenza del giudice civile le questioni, che, senza coinvolgere la statuizione di condanna e la sua portata, si riferiscono al “quantum” da esigere nei confronti del condannato, ponendo in discussione aspetti contabili o la pertinenza di determinati importi alla condanna inflitta”; conf., in precedenza: Sez. 1, Sentenza, n. 30589 del 7/4/2011 c.c., dep. 2/8/2011, Rv. 250273; Sez. 1, Sentenza n. 2955 del 27/11/2013 Cc., dep. 22/01/2014, Rv. 258270 – 01; più di recente, Cass. pen., Sez. 1, Sentenza n. 50974 del 29/10/2019 Cc., dep. 17/12/2019, Rv. 277866 – 01), sia in sede civile (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 14598 del 09/07/2020, Rv. 658321 – 01: “in tema di opposizione a cartelle di pagamento per spese di giustizia, cui siano sottesi provvedimenti adottati dal giudice penale, sono riservate alla cognizione del giudice civile le contestazioni riguardanti o aspetti squisitamente contabili o la ri-conducibilità di talune voci al perimetro di applicabilità della condanna, sempre che non vi siano dubbi sulla definizione del detto perimetro e si vetta, quindi, solo sul concreto rispetto di esso in sede di quantificazione; qualora, viceversa, si discuta della reale definizione del perimetro e, pertanto, della portata della stessa statuizione penale, la questione appartiene alla cognizione del giudice dell’esecuzione penale”; non possono ritenersi espressione effettiva di un diverso e contrastante orientamento eventuali precedenti che, al di là delle espressioni utilizzate in motivazione, non hanno in realtà affrontato direttamente la questione qui in discussione ai fini della decisione, come ad es. Cass. 15088/2021, espressamente richiamata dalla parte ricorrente).

La sentenza impugnata risulta conforme ai suddetti principi di diritto, cui intende darsi continuità, avendo la corte di appello ritenuto correttamente proposta al giudice civile, mediante opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., la questione relativa alla pertinenza delle spese processuali, di cui è stato intimato il pagamento al (OMISSIS), ai reati per i quali lo stesso è stato condannato in sede penale.

1.2 è opportuno chiarire, in proposito, che, come anche di recente ribadito dalle Sezioni Unite civili di questa Corte (Cass., Sez. U, Sentenza n. 38596 del 06/12/2021, Rv. 663248 – 01, diffusamente in motivazione), tra il giudice penale ed il giudice civile (sia del medesimo che di diversi uffici giudiziari) non si pongono, in nessun caso, questioni di competenza in senso tecnico.

In caso di cartella di pagamento notificata per il recupero di spese di giustizia penali, laddove il debitore metta in discussione la portata della stessa decisione del giudice penale relativa alle spese processuali al cui pagamento sia stato condannato e non la sola quantificazione di dette spese operata successivamente dagli organi competenti (anche in relazione alla riferibilità o meno di detta quantificazione ai reati per i quali vi sia stata condanna dell’imputato in sede penale), il giudice civile adito in sede di opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., quindi, non deve dichiarare la propria incompetenza in favore del giudice dell’esecuzione penale, ma semplicemente respingere l’opposizione, rilevando l’inammissibilità delle contestazioni poste a fondamento della stessa, come del resto avviene in tutti i casi di opposizione all’esecuzione minacciata o iniziata in base a titolo di formazione giudiziale, con cui siano proposte questioni attinenti alla correttezza, nonchè alla validità ed all’efficacia della decisione giudiziale costituente titolo esecutivo, le quali possono e devono essere in realtà avanzate esclusivamente nell’ambito del relativo processo di cognizione. Occorre, dunque, distinguere tra:

a) le contestazioni attinenti al “perimetro” della condanna al pagamento delle spese del processo penale oggetto della condanna pronunziata dallo stesso giudice penale – ovvero quelle attinenti alla sussistenza, all’estensione e ai caratteri di detta condanna, che mettono quindi in discussione la sua effettiva portata – le quali vanno fatte esclusivamente valere in sede penale (e, quindi, eventualmente, davanti al giudice della relativa esecuzione, laddove ne sussistano i presupposti), avendo ad oggetto direttamente il contenuto del “titolo giudiziale”;

b) le contestazioni relative alla concreta determinazione dell’importo dovuto sulla base della decisione del giudice penale, come liquidato dagli organi competenti (ivi incluse quelle relative alla riferibilità o meno di detta quantificazione ai reati per i quali sia stata effettivamente pronunciata la condanna dell’imputato in sede penale), le quali possono essere oggetto di opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., non trovando direttamente fonte in quel titolo, ma trattandosi di una attività di auto-liquidazione del proprio credito, operata dallo stesso creditore in via stragiudiziale (in questo caso in via amministrativa), che può quindi essere contestata dal debitore anche in sede di opposizione esecutiva.

Laddove contestazioni della tipologia indicata per prima (sub a) siano poste a fondamento di una opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., si verifica una situazione analoga a quella in cui l’opponente contesti il contenuto di una decisione giudiziale avente efficacia di titolo esecutivo con l’opposizione all’esecuzione di cui all’art. 615 c.p.c., in luogo che censurarla con i relativi mezzi di impugnazione ordinaria: in tal caso l’opposizione sarà respinta, in quanto fondata su questioni la cui deduzione non è ammissibile in sede oppositiva, senza che si ponga affatto una questione di “competenza” tra il giudice dell’opposizione all’esecuzione e quello dell’impugnazione del provvedimento costituente titolo esecutivo.

2. Con il secondo motivo del ricorso principale si denunzia “Violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, artt. 227-bis e ss. nonchè del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, artt. 4-5 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver il giudice d’appello dichiarato la illegittimità della cartella di pagamento della iscrizione a ruolo delle somme a titolo di spese di giustizia così come quantificate nei cd. fogli-notizie”.

Con il secondo motivo del ricorso incidentale si denunzia “art. 360, comma 1, n. 3: violazione dell’art. 2697 c.c. in combinato disposto con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, art. 180”.

Il secondo motivo del ricorso principale ed il secondo motivo del ricorso incidentale, anch’essi connessi e quindi esaminabili congiuntamente, sono in parte infondati e in parte inammissibili.

2.1 Le censure formulate con tali motivi risultano, in primo luogo, infondate nella parte in cui gli enti ricorrenti sostengono che il (OMISSIS) sarebbe tenuto a pagare integralmente le spese del procedimento penale nell’ambito del quale egli è stato condannato solo per alcuni dei reati contestati ai numerosi imputati, in mancanza di una diversa espressa specificazione da parte del giudice penale.

Esse sono, altresì, infondate in relazione alla dedotta violazione dell’art. 2697 c.c., sotto il profilo della pretesa inversione dell’onere della prova, essendo certamente onere dell’ente creditore, in caso di contestazioni, fornire la prova che le somme richieste a titolo di spese di giustizia sono effettivamente dovute dall’intimato, in quanto relative ai reati per i quali lo stesso ha subito condanna (e/o, se del caso, a reati che presentino una connessione qualificata con gli stessi), e tale onere va adempiuto mediante la produzione della relativa, intelligibile documentazione.

Dette censure sono invece inammissibili, trattandosi di una richiesta di nuova e diversa valutazione delle prove non consentita in sede di legittimità, nella parte in cui gli enti ricorrenti contestano l’affermazione della corte di appello secondo la quale la documentazione da essi prodotta, con riguardo ai crediti posti a base della cartella di pagamento opposta, non consentiva di verificare che le somme richieste all’intimato riguardassero spese di giustizia effettivamente pertinenti ai soli reati per il quale egli aveva subito la condanna penale.

2.2 Per meglio chiarire il fondamento delle conclusioni appena esposte va, in primo luogo, ribadito che, come correttamente affermato dalla corte di appello, in base ai generali principi di diritto consolidati nella giurisprudenza penale di questa Corte, non contraddetti dalla decisione del giudice penale posta a base della cartella opposta, all’imputato devono, di regola, ritenersi addebitabili esclusivamente le spese relative ai reati per i quali egli ha subito la condanna penale (ed eventualmente quelle relative a reati che con i primi presentano una connessione qualificata, in base alla formulazione ormai abrogata dell’art. 535 c.p.p. ma tuttora valida per le sentenze anteriori alla riforma), dal momento che l’obbligo di pagamento delle spese processuali penali (solidale in base al testo abrogato dell’art. 535 c.p.p. e attualmente, invece, di carattere parziario) deriva solo dalla condanna per concorso nel medesimo reato o – nel regime antecedente alle modifiche dell’art. 535 c.p.p. intervenute nel 2009 – per reati tra i quali ricorre una connessione qualificata, mai invece da una unicità di processo per mera connessione soggettiva o probatoria o altra opportunità processuale, onde siffatto obbligo va comunque rapportato alle sole spese affrontate per il reato od i reati per cui è stata inflitta la pena (cfr. Cass. pen., Sez. 1, Sentenza n. 32979 del 03/06/2010 Cc., dep. 08/09/2010, Rv. 248007 – 01; Sez. 1, n. 43696 del 21/10/2010, Almadori; Sez. 1, sentenza n. 2955 del 2014, udienza: 27/11/2013, depositata: 22/01/2014, nella cui motivazione è espressamente affermato che “in entrambe le discipline, sia quella vigente, sia quella abrogata, non è mai stato stabilito che il condannato dovesse subire il peso del pagamento di spese inerenti a reati ai quali era estraneo”; in precedenza, nel medesimo senso: Cass. pen., Sentenza n. 12151/2006; Sentenza n. 4129/2006; conf., di recente: Cass., pen., Sez. 1, Sentenza n. 17410 del 28/03/2019 Cc., dep. 23/04/2019, Rv. 276399 – 02).

è inoltre opportuno precisare, in proposito, che il punto controverso nel presente giudizio di legittimità ha ad oggetto esclusivamente la questione della pertinenza ai reati per i quali il (OMISSIS) ha subito la condanna penale delle spese di giustizia di cui gli è stato intimato il pagamento.

Non è (più) in discussione il carattere solidale dell’obbligo di pagamento delle suddette spese da parte di tutti gli imputati condannati in concorso con il (OMISSIS), obbligo solidale del resto espressamente previsto nella sentenza del giudice penale alla base dell’iscrizione a ruolo (che risulta emessa anteriormente alla modifica della formulazione dell’art. 535 c.p.p., avvenuta nel 2009), in quanto, con riguardo a tale questione, l’opposizione all’esecuzione è stata ritenuta inammissibile dalla corte di appello e tale ultima statuizione non è oggetto di censura da parte del controricorrente, oltre a risultare del tutto conforme ai principi di diritto esposti in precedenza in relazione all’atteggiarsi dei rapporti tra le attribuzioni del giudice civile e di quello penale.

Neanche può ritenersi, in concreto, specificamente controversa nel presente giudizio l’eventuale sussistenza di una connessione qualificata (ovvero, al contrario, di una connessione solo soggettiva o probatoria o derivante da mera opportunità processuale) tra i reati per cui è stato condannato il (OMISSIS) e uno o più degli altri reati oggetto del procedimento penale nell’ambito del quale egli ha subito la condanna, essendo stata accolta l’opposizione sulla base di un argomento logicamente pregiudiziale rispetto a tale indagine (peraltro anch’essa rientrante tra le attribuzioni del giudice dell’esecuzione penale): la corte di appello ha, infatti, escluso in radice che fosse possibile stabilire con certezza, sulla base della documentazione prodotta dagli enti creditori, a quali reati fossero riferibili le spese di fatto addebitate all’opponente ed ha, anzi, ritenuto che esse fossero, almeno in parte, certamente riferibili a reati rispetto ai quali il (OMISSIS) era rimasto del tutto estraneo.

2.3 Vanno, altresì, richiamati i consolidati principi di diritto espressi nella giurisprudenza civile di questa stessa Corte, secondo cui:

“l’intimazione di adempiere l’obbligo risultante dal titolo esecutivo – contenuto nel precetto a norma dell’art. 480 c.p.c., comma 1, – non richiede, quale requisito formale a pena di nullità, oltre alla indicazione della somma domandata in base al titolo esecutivo, anche quella del procedimento logico-giuridico e del calcolo matematico seguiti per determinarla” (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 4008 del 19/02/2013, Rv. 625297 – 01; conf.: Sez. 3, Sentenza n. 11281 del 16/11/1993, Rv. 484341 – 01);

“in tema di procedimento di riscossione coattiva per il recupero delle spese di giustizia e delle somme dovute alla Cassa delle ammende, di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, art. 227 ter la formazione del ruolo e la notificazione della cartella di pagamento non devono essere precedute dalla notifica dei provvedimenti giurisdizionali da cui sorge il credito, posto che la notificazione della detta cartella, nella quale siano riportati gli elementi minimi per consentire all’obbligato di individuare la pretesa impositiva e di difendersi nel merito, costituisce notificazione di un omologo del precetto riferito ad un titolo esecutivo rappresentato, a sua volta, dal sotteso ruolo” (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 2553 del 30/01/2019, Rv. 652486 01).

Coordinando i principi di diritto sin qui richiamati con quelli generali in tema di esecuzione forzata fondata su titoli giudiziali e/o stragiudiziali, ed applicandoli alla fattispecie in esame, deve, in definitiva, affermarsi quanto segue:

a) la cartella di pagamento per il recupero di spese di giustizia derivanti da una condanna emessa in sede penale, pur non presupponendo la notificazione del titolo esecutivo, deve necessariamente contenere l’indicazione (comprensibile) della sentenza penale che ha condannato il debitore al pagamento di quelle spese e l’importo preteso a tale titolo; essa non deve invece necessariamente indicare le specifiche modalità con cui è avvenuta l’attività di “auto-liquidazione” di dette spese, in via amministrativa, da parte dell’ente creditore, attraverso l’attività dei funzionari e degli organi competenti, ai sensi degli artt. 211 e/o 227 bis e ter del T.U.S.G., nella formulazione temporalmente vigente (cfr., in proposito: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 2553 del 30/01/2019, Rv. 652486 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 2797 del 31/01/2019);

b) correlativamente, peraltro, il debitore potrà, in sede di opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., contestare la suddetta “auto-liquidazione” delle spese in via amministrativa e potrà farlo anche limitandosi ad affermare (purchè lo faccia senza mettere direttamente in discussione il contenuto e la portata della decisione di condanna pronunciata dal giudice penale) che l’importo preteso sulla base della stessa condanna penale è stato liquidato in misura eccessiva, senza a sua volta dover necessariamente specificare in dettaglio le ragioni di tale eccessività (non essendo possibile, ovviamente, per elementari ragioni logiche, pretendere in sede di opposizione ad una cartella di pagamento che indichi il solo importo richiesto per spese di giustizia e non le modalità della relativa liquidazione, una precisa e dettagliata specificazione delle contestazioni relative proprio alle – non indicate – modalità della suddetta liquidazione);

c) nel giudizio di opposizione, sarà onere dell’ente creditore (ovvero dell’agente della riscossione, laddove l’ente creditore non sia parte del giudizio stesso e non sia da quest’ultimo chiamato a parteciparvi), in quanto titolare della pretesa sostanziale, non discutibile nell’an, ma pienamente contestabile nel quantum, essendo oggetto di auto-liquidazione da parte dell’ente creditore stesso, non solo specificare in modo adeguato e comprensibile i presupposti e le modalità della autoliquidazione effettuata in via amministrativa, ma anche documentare l’attività svolta a tal fine dai funzionari competenti, in modo da mettere in condizione il giudice di verificare in concreto se detta auto-liquidazione sia stata effettuata correttamente, anche con riguardo alla pertinenza delle spese addebitate all’intimato ai reati per i quali egli ha subito condanna; il debitore opponente potrà ovviamente, a questo punto, in relazione alle allegazioni ed alla documentazione prodotta dall’ente creditore, specificare ulteriormente in dettaglio le proprie contestazioni, senza che in tal modo si possa ritenere ampliato l’oggetto della domanda iniziale;

d) laddove, per la totale carenza o la radicale insufficienza della documentazione fornita dall’ente creditore e/o dall’agente della riscossione in relazione all’attività amministrativa di liquidazione delle spese di giustizia, al giudice dell’opposizione sia impossibile effettuare la indicata verifica in ordine al corretto svolgimento di detta attività, anche con riguardo alla pertinenza delle spese oggetto di intimazione ai reati per cui l’intimato è stato condannato, non potrà che essere accolta l’opposizione (è opportuno ribadire ancora, in proposito, che l’agente della riscossione può sempre chiamare in giudizio l’ente creditore, ai sensi del Decreto Legislativo n. 112 del 1999, art. 39 laddove lo ritenga opportuno, ma, se non provvede a tanto, deve ritenersi onerato di acquisire presso lo stesso tutta la documentazione necessaria a sostenere in giudizio l’azione di riscossione e a contestare l’opposizione del debitore, anche quella eventualmente in possesso della amministrazione creditrice); al contrario, laddove la relativa documentazione sia prodotta, risulti adeguata e completa e il debitore opponente, ciò nonostante, non specifichi adeguatamente le proprie contestazioni in ordine alla correttezza della liquidazione o, comunque, non lo faccia in modo preciso e puntuale, oltre che fondato in diritto, l’opposizione non potrà essere accolta.

L’indicata ricostruzione sistematica non ha carattere eccezionale, ma corrisponde, con i necessari adattamenti, a quanto ordinariamente avviene in tutti i casi in cui in sede esecutiva sia azionato un titolo (giudiziale o stragiudiziale) che, benchè riguardi un credito liquido (secondo i parametri della nozione di liquidità che ne consentono la riconducibilità all’art. 474 c.p.c.), necessiti di una attività di ulteriore e specifica liquidazione in concreto, mediante i necessari calcoli e le necessarie operazioni matematiche ed anche, eventualmente, laddove ne sussistano i presupposti, mediante l’utilizzazione di riferimenti extratestuali richiamati nel titolo.

In tali casi, il creditore è certamente legittimato ad operare la auto-liquidazione del credito ai fini dell’intimazione del precetto, ma resta comunque suo onere, quale titolare della pretesa sostanziale, dimostrare la correttezza di detta auto-liquidazione, ove essa sia contestata, fornendo ove occorra la necessaria documentazione a sostegno.

Si pensi, per fare alcuni esempi concreti di frequente ricorrenza, all’ipotesi di esecuzione fondata su titoli stragiudiziali come il mutuo, che richiedono una attività di liquidazione degli accessori, oltre che del capitale residuo da restituire: il creditore può auto-liquidare gli accessori nel precetto, senza dover indicare analiticamente lo svolgimento dei relativi conteggi, ma sarà ovviamente suo onere produrre il contratto da cui si evincono i criteri di liquidazione di detti accessori, nonchè i documenti eventualmente dallo stesso contratto richiamati ai fini della determinazione di tali voci del credito intimato, in caso di contestazioni sulla quantificazione dell’importo dovuto, in sede di opposizione all’esecuzione.

Si pensi, altresì, all’ipotesi di titoli di formazione giudiziale come quelli relativi alle spese di mantenimento dovute nell’ambito dei rapporti familiari: sovente titoli di tal genere richiedono – con riguardo alle spese ordinarie ma non fisse e costanti o, addirittura, almeno secondo un certo orientamento, anche con riguardo alle spese straordinarie che si riconoscano comunque contemplate dal titolo esecutivo – la documentazione dei relativi oneri sostenuti dall’avente diritto; anche in tali ipotesi la auto-liquidazione è possibile nel precetto ma, in caso di contestazioni in sede di opposizione all’esecuzione, il creditore è certamente tenuto a documentare le spese di cui pretende il rimborso.

è opportuno precisare – per meglio inquadrare la situazione in esame – che la fattispecie del recupero delle spese di giustizia penali mediante ruolo presenta, in effetti, una sua innegabile peculiarità, in quanto si fonda su una condanna emessa in sede giudiziaria, che si presenta, in fase iniziale, evidentemente “generica” (la condanna del giudice penale al pagamento delle spese processuali, senza liquidazione delle stesse), pur costituendo titolo di formazione giudiziale, come tale non contestabile in sede di opposizione all’esecuzione; al tempo stesso, è previsto per legge che la concreta liquidazione del relativo credito avvenga non in via giudiziale ma in via amministrativa, ai fini dell’iscrizione a ruolo.

Vi è quindi una integrazione del titolo giudiziario (relativo al solo an debeatur) che avviene in via stragiudiziale (amministrativa), mediante la liquidazione in concreto (del quantum debeatur) delle spese oggetto della condanna giudiziale, il che comporta la possibilità per il debitore di formulare tutte le contestazioni, in sede di opposizione all’esecuzione, in relazione a tale operazione di liquidazione (con riguardo, cioè, al solo quantum debeatur, non con riguardo all’an debeatur): si tratta, in altri termini, di una esecuzione che si fonda su titolo che potrebbe in qualche modo definirsi solo “parzialmente giudiziale”.

2.4 La sentenza impugnata risulta conforme ai principi sin qui esposti.

L’opponente ha certamente contestato nel quantum la liquidazione delle spese recepita nella cartella di pagamento opposta, sostenendo, in primo luogo, l’impossibilità di verificare l’effettiva riconducibilità della somma di cui gli è stato intimato il pagamento ai reati oggetto della sua condanna in sede penale; ha altresì, più specificamente, dedotto che detta somma sarebbe stata riferibile anche a reati per i quali egli non era stato affatto condannato in sede penale e ai quali risultava del tutto estraneo: ha in tal modo messo in discussione la pertinenza degli importi richiesti alla condanna subita.

La corte di appello ha accertato che effettivamente, sulla base della documentazione prodotta dalle parti (la cui valutazione non è sindacabile nella presente sede), non era possibile verificare la correttezza della liquidazione contestata, in rapporto alla sentenza penale di condanna al pagamento delle spese processuali pronunciata nei confronti del (OMISSIS); in particolare, ha accertato che non era possibile escludere e, anzi, emergeva dalla suddetta documentazione, che tale liquidazione era riferibile, almeno in parte, anche a spese riguardanti reati diversi da quelli per i quali l’opponente aveva subito condanna ed ai quali egli era del tutto estraneo.

Ha, in altri termini, ritenuto fondate le contestazioni da questi svolte in relazione alla pertinenza degli importi richiesti alla condanna subita, sulla base della valutazione concreta della documentazione probatoria prodotta in giudizio, risultata quanto meno carente.

Ne ha correttamente fatto discendere l’accoglimento dell’opposizione.

Di conseguenza, come anticipato, mentre risultano infondate le censure di violazione delle norme che disciplinano la liquidazione delle spese di giustizia penale e quelle di violazione dell’art. 2697 c.c. in tema di onere della prova, devono ritenersi inammissibili le doglianze relative alla valutazione in concreto della documentazione probatoria acquisita agli atti del giudizio, trattandosi di attività riservata al giudice del merito.

2.5 è opportuno, infine, precisare, anche al fine di evitare equivoci, che l’annullamento della cartella di pagamento opposta nel presente giudizio, dovuta all’impossibilità di verificare la pertinenza del complessivo importo di cui è stato intimato il pagamento al reato (o ai reati) per cui il (OMISSIS) ha subito effettiva condanna in sede penale, implica esclusivamente l’inefficacia dell’iscrizione a ruolo oggetto di contestazione, fondata sui fogli notizie generici, nonchè della relativa intimazione (cioè della cartella opposta), ma non esclude, ovviamente, in astratto, laddove ciò risulti ancora possibile (e salve eventuali decadenze), la possibilità di una nuova e corretta iscrizione a ruolo, da parte dell’ente creditore, in relazione alle spese dovute esclusivamente per il solo reato (o i soli reati) oggetto della condanna subita dall’opponente stesso (e, sussistendone i presupposti, gli eventuali reati caratterizzati da connessione qualificata con gli stessi).

3. Sono rigettati sia il ricorso principale che quello incidentale. Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta sia il ricorso principale che il ricorso incidentale;

condanna gli enti ricorrenti (in via principale e in via incidentale) a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, liquidandole, a carico di ciascun ente ricorrente, in complessivi Euro 8.500,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonchè spese generali ed accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, per il versamento, da parte degli enti ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 15 novembre 2022.