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Cassazione Civile 37722/2021 – Trascrizione relativa a beni immobili – Applicazione a domande di nullità o annullamento di negozi inefficaci – Buona fede – Principio generale

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Ordinanza 37722/2021

 

Trascrizione relativa a beni immobili – Applicazione a domande di nullità o annullamento di negozi inefficaci – Esclusione – Conseguenze nel negozio concluso dal rappresentante senza potere

La trascrizione prevista dall’art. 2652, n. 6 c.c. riguarda le domande di nullità o di annullamento dei negozi giuridici e non è, quindi, applicabile ai negozi inefficaci, con la conseguenza che, in un negozio compiuto dal rappresentante senza potere, la sentenza con cui viene dichiarata l’inefficacia della vendita compiuta dal ‘falsus procurator’ è opponibile all’avente causa in buona fede da quest’ultimo, anche se la domanda è stata trascritta dopo cinque anni dalla trascrizione della vendita.

Buona fede – Principio generale – Estensione agli effetti dell’art. 2652, n. 6, cc

Il principio espresso dall’art. 1147 c.c., secondo cui la buona fede consiste nell’ignoranza di ledere l’altrui diritto ed è presunta, opera, in quanto generale, quando le norme facciano riferimento alla buona fede senza nulla dire in ordine a ciò che vale ad integrarla o ad escluderla, ovvero al soggetto tenuto a provarne l’esistenza o ad altri profili di rilevanza della stessa, sicché trova applicazione anche alla fattispecie di cui all’art. 2652, n. 6, c.c., a norma del quale, se la domanda di nullità è trascritta dopo cinque anni dalla trascrizione dell’atto impugnato, la sentenza che l’accoglie non pregiudica i diritti acquistati dai terzi in buona fede in base ad atto iscritto o trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda.

Cassazione Civile, Sezione 2, Ordinanza 1-12-2021, n. 37722   (CED Cassazione 2021)

Art. 1147 cc (Possesso di buona fede) – Giurisprudenza

 

 

FATTI DI CAUSA

La vertenza riguarda l’esecuzione di un contratto di appalto per la realizzazione di uno stabilimento industriale, intercorso tra (OMISSIS) e l’ (OMISSIS) S.r.l. da una parte e (OMISSIS) dall’altra, che prevedeva il trasferimento al (OMISSIS) della metà di un terreno di proprietà dei committenti sul quale avrebbe dovuto essere edificato il manufatto.

Con sentenza in data 21.10/9.11.1998, la Corte di appello di Roma, in sede di rinvio a seguito di decisione di questa Corte n. 3301 del 1998, ha riformato la sentenza del Tribunale di Roma in data 20.4.1981, rigettando la domanda di risoluzione del contratto di appalto tra le parti avanzata dal (OMISSIS) e dall’ (OMISSIS); ha quindi disposto il trasferimento in favore di (OMISSIS) del terreno e di quanto ivi sopra costruito.

La Suprema Corte cassava la sentenza d’appello.

Nel giudizio di rinvio la Corte d’appello di Roma confermava, con sentenza passata in giudicato, la decisione di primo grado (il tribunale aveva dichiarato la risoluzione del contratto di appalto per inadempimento del (OMISSIS) e l’aveva condannato alla riconsegna dell’immobile edificato).

Nel frattempo, sulla base della sentenza della Corte d’appello del 1998, cassata in sede di legittimità, il (OMISSIS), con distinti atti di compravendita, aveva trasferito alla (OMISSIS) S.r.l. (atto del 4 luglio 2001) e alla (OMISSIS) s.r.l. (atto del 31 luglio 2002) la proprietà delle porzioni edificate sul terreno; a sua volta, la (OMISSIS). aveva venduto a (OMISSIS) s.r.l. (atto del 31 luglio 2002) una delle porzioni oggetto dell’acquisto dal (OMISSIS).

(OMISSIS) e (OMISSIS) hanno chiamato in giudizio il (OMISSIS), la (OMISSIS) S.r.l. e (OMISSIS) S.r.l. al fine di fare dichiarare la nullità degli atti sopra indicati.

Gli attori hanno ottenuto ragione in primo e in secondo grado.

In particolare, la Corte d’appello di Roma, adita dalla (OMISSIS) S.r.l., ha superato le eccezioni dell’appellante riguardanti la identità della società che aveva agito in giudizio e poi resistito in appello; nel merito ha ritenuto che gli acquirenti non potessero invocare la previsione di cui all’art. 2652 c.c., n. 6, non essendo in buona fede. Secondo la corte di merito, posto che negli atti di compravendita il titolo di provenienza era identificato in una sentenza, gli acquirenti avrebbero dovuto accorgersi, con l’ordinaria diligenza, che la pronuncia non era passata in giudicato.

Per la cassazione della sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso, affidato a due motivi.

(OMISSIS) e (OMISSIS) S.r.l. hanno resistito con separati controricorso.

Ha resistito con controricorso anche la (OMISSIS) S.r.l.

(OMISSIS), cui il ricorso è stato notificato a mezzo del servizio postale, con restituzione del plico al mittente per compiuta giacenza, è rimasto intimato.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 75, 83, 81, 100 e 112 c.p.c. e artt. 1703 c.c. e ss. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; omessa pronuncia e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La ricorrente propone una duplice censura: a) il giudizio di primo grado fu introdotto dall’ (OMISSIS) s.r.1., identificata con il codice fiscale n. (OMISSIS); tale codice fiscale non identificava (OMISSIS) s.r.l., ma (OMISSIS) S.r.l., cancellata dal Registro delle Imprese nel (OMISSIS); b) in appello non si costituì (OMISSIS) S.r.l., ma la (OMISSIS) s.r.1., identificata con un codice fiscale diverso (c.f. (OMISSIS)).

Ciò posto si sostiene che il soggetto, costituito in appello è diverso dalla società che propose l’azione in primo grado. Da tale diversità deriva anche il difetto di procura, perchè, nel costituirsi in giudizio, (OMISSIS) S.r.l. ha richiamato la procura rilasciata, dal diverso, soggetto, a margine dell’atto di citazione.

Il motivo è infondato. L’errore nella indicazione del codice fiscale, avvenuta nella citazione iniziale, non aveva minimamente compromesso la possibilità di esatta identificazione della parte che ha agito nel giudizio, come reso evidente dal fatto che la questione fu sollevata da (OMISSIS) solo con l’atto di appello. Quanto al fatto che la società costituita in appello sarebbe diversa da quella costituita in primo grado, si osserva che la supposta diversità è ricavata dalla diversa denominazione e dal diverso codice fiscale. Ora, tale divergenza, ricondotta con il controricorso a un errore materiale, non ha determinato alcuna effettiva incertezza circa l’identificazione della parte, se è vero che neanche l’appellante mette in dubbio l’identità fra la società destinataria della notificazione del gravame e la società che si è poi costituita dinanzi alla Corte d’appello (Cass. n. 24441/2015).

Consegue da quanto sopra che sia la diversa indicazione del codice fiscale in primo grado, sia la diversa denominazione della società sono da considerare errori materiali, privi di incidenza sulla validità dell’atto (Cass. n. 9986/2016).

2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1147 c.c., art. 2652 c.c., n. 2, art. 2697 c.c. e art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La domanda introduttiva del presente giudizio, volta a fare dichiarare la nullità dei due atti di compravendita, intercorsi, rispettivamente fra il (OMISSIS) e la (OMISSIS). S.r.l. e fra il medesimo (OMISSIS) la (OMISSIS) S.r.l., nonchè la nullità dell’atto fra (OMISSIS) S.r.l. e (OMISSIS) (avente ad oggetto una delle porzioni immobiliari acquistate da (OMISSIS) S.r.l. dal (OMISSIS)), è stata trascritta oltre cinque anni prima della trascrizione dei suddetti atti di disposizione, conseguendone, perciò, la salvezza degli acquisti operati dai terzi, ai sensi della norma di cui all’art. 2662 c.p.c., n. 6.

La Corte d’appello ha negato che la ricorrente potesse giovarsi della previsione, in quanto non in buona fede. Secondo la ricorrente la decisione si espone a una duplice critica: a) per non avere considerato che la buona fede si presume; b) per avere valorizzato, quale circostanze contraria alla sussistenza della buona fede, la dichiarazione di provenienza del bene da sentenza costitutiva, senza considerare che gli acquirenti non avevano elementi per sospettare che la stessa sentenza non era divenuta definitiva.

Il motivo è infondato. Quando le norme facciano riferimento alla buona fede senza nulla dire in ordine a ciò che vale ad integrarla o ad escluderla, ovvero a soggetto tenuto a provarne l’esistenza o ad altri profili di rilevanza della stessa, si deve, in linea di principio, fare riferimento all’art. 1147 c.c., che tali aspetti disciplina in relazione al possesso di buona fede (Cass. n. 3102/2002; n. 1301/1973).

è stato perciò riconosciuto che il principio espresso dall’art. 1147 c.c., secondo cui la buona fede consiste nell’ignoranza di ledere l’altrui diritto ed è presunta, ha carattere generale e si applica anche agli effetti dell’art. 2652 c.c., n. 6 a norma del quale se la domanda di nullità è trascritta dopo cinque anni dalla data di trascrizione dell’atto impugnato, la sentenza che l’accoglie non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base ad atto iscritto o trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda (Cass. n. 1301/1973).

Si sa che in materia di possesso, la buona fede costituisce oggetto di presunzione iunif tantum, che può essere superata anche attraverso presunzioni contrarie e semplici indizi (Cass. n. 21387/2013).

Il giudizio sulla esistenza o meno della buona fede, risolvendosi in un mero apprezzamento di fatto, si sottrae al sindacato del supremo collegio, ove sia sorretto da motivazione esauriente ed improntata a corretti principi giuridici (Cass. n. 17914/2003).

La Corte d’appello ha riconosciuto, testualmente, che” nel caso in esame difetta proprio la prova, anche presuntiva, da parte dell’appellante circa la presenza della buona fede di cui all’art. 1147 c.c., mentre vi sono inequivoche circostanze negli atti di causa circa l’assenza della propria buona fede nel comportamento della parte appellante, la quale non poteva, secondo l’agire proprio della diligenza del buon padre di famiglia, avere ignorato che il venditore, in quanto vittorioso nel giudizio di secondo grado in virtù di una sentenza non passata in giudicato (…), non era divenuto proprietario del bene”.

Ora, si capisce che la Corte d’appello non ha, in contrasto con la previsione dell’art. 1147 c.c., preteso la prova della buona fede, ma, seppure con espressioni non sempre tecnicamente precise, ha riconosciuto che l’acquirente non poteva ignorare il difetto di titolarità in capo all’alienante.

La valutazione della Corte d’appello, perciò, non incorre in alcun errore nell’applicazione delle norme di cui è denunciata la violazione (la buona fede non giova se l’ignoranza dipende da colpa grave: art. 1147 c.c., comma 2).

3. Ma a prescindere da queste considerazioni deve rilevarsi, nell’esercizio del potere integrativo e correttivo della motivazione attribuito alla Suprema corte dall’art. 384 c.p.c., comma 2 (Cass. n. 2351/1983 n. 1760/1986), che l’ipotesi verificatasi che “l’art. 2652 c.c., n. 6, nel disciplinare (tra l’altro) gli effetti della trascrizione della domanda di accertamento della nullità degli atti soggetti a trascrizione, fa salvi i diritti che i terzi hanno acquistato dal titolare apparente con atto trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda suddetta, purchè questa non sia stata trascritta nel quinquennio successivo alla data di trascrizione dell’atto impugnato. La dichiarazione della nullità del primo atto di trasferimento in quanto opponibile ai terzi rende il sub acquirente (avente causa nel secondo atto di trasferimento) acquirente a non domino privo della tutela prevista dall’art. 2652 c.c., n. 6 ma non incide sulle situazioni giuridiche che trovano tutela indipendentemente dall’efficacia del titolo dichiarato nullo” (Cass. n. 1292/1974).

Si capisce che i soggetti qualificati terzi nell’art. 2652 c.c., n. 6 sono i soggetti estranei all’atto invalido, che siano aventi causa dell’acquirente, non quelli che non siano parti del giudizio che si apre con la domanda da trascrivere (Cass. n. 1095/1967).

Insomma, in base allo schema della norma, la dichiarazione di nullità attiene al primo atto di trasferimento, mentre l’avente causa, rispetto al quale si pone la questione di opponibilità di quella stessa dichiarazione, è l’avente causa nel secondo atto di trasferimento.

Ora, (OMISSIS) non ha la qualità di terzo sub acquirente di un dante causa (nella specie il (OMISSIS)) il cui titolo di acquisto sia stato dichiarato nullo a seguito di una domanda trascritta dopo cinque anni dalla trascrizione dell’atto impugnato; essa è avente causa immediata del (OMISSIS), il quale ha disposto del diritto senza esserne titolare. In altre parole, è immediatamente l’acquisto di (OMISSIS) l’atto impugnato con la domanda trascritta, mentre manca una trascrizioni di una domanda giudiziale rivolta contro il (OMISSIS) relativamente al suo acquisto (trascrizione, del resto, neanche configurabile, avendo il (OMISSIS) disposto non in forza di un titolo negoziale, ma di sentenza d’appello, annullata in cassazione).

La qualità di sub acquirente potrebbe essere riconosciuta a (OMISSIS) solo in relazione al contratto del 31 luglio 2002, con il quale (OMISSIS) ha venduto a (OMISSIS) s.r.l. una delle porzioni oggetto dell’acquisto dal (OMISSIS).

Occorre tuttavia considerare che il n. 6 dell’art. 2652 c.c. tutela i diritti dei terzi nei casi in cui venga dichiarata la nullità o pronunciato l’annullamento dell’atto soggetto a trascrizione, ma non anche nel caso in cui si accerti l’inefficacia di un atto di trasferimento nei confronti del titolare del diritto di proprietà (Cass. n. 847/1968).

Questa Corte ha chiarito in passato che la trascrizione disposta dall’art. 2652 c.c., n. 6, riguarda le domande di nullità o di annullamento dei negozi giuridici e non è quindi applicabile ai negozi inefficaci, come è quello compiuto dal rappresentante senza potere, con la conseguenza che la sentenza con la quale viene dichiarata l’inefficacia, nei confronti del dominus, della vendita compiuta dal falsus procurator è opponibile all’avente causa in buona fede da quest’ultimo, anche se la domanda è stata trascritta dopo cinque anni dalla trascrizione della vendita consentita dal falsus procurator (Cass. n. 3333/1955).

4. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato con addebito di spese in favore dei controricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS) S.r.l. Spese compensate fra ricorrente e (OMISSIS).

Nulla sulle spese fra ricorrente e (OMISSIS).

Ci sono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto”.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS) S.r.l., delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; dichiara interamente compensate le spese fra la ricorrente e (OMISSIS) S.r.l.; ai sensi dell’art. 13 comma 1- quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 7 ottobre 2021.