Ordinanza 37800/2022
Contratti bancari – Rapporto di conto corrente – Azione di ripetizione di interessi corrisposti e non dovuti – Onere probatorio a carico del correntista – Mancanza di alcuni estratti conto – Conseguenze
Nei rapporti di conto corrente bancario, ove il correntista, agendo in giudizio per la ripetizione di quanto indebitamente trattenuto dalla banca, ometta di depositare tutti gli estratti conto periodici e non sia possibile accertare l’andamento del conto mediante altri strumenti rappresentativi delle movimentazioni (come le contabili bancarie riferite alle singole operazioni o le risultanze delle scritture contabili), va assunto, come dato di partenza per il ricalcolo, il saldo iniziale a debito, risultante dal primo estratto conto disponibile o da quelli intermedi dopo intervalli non coperti, che, nel quadro delle risultanze, è il dato più sfavorevole al cliente, sul quale si ripercuote tale incompletezza, in quanto gravato dall’onere della prova degli indebiti pagamenti. (Nella specie la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva rigettato integralmente la domanda del correntista, poiché non aveva prodotto la sequenza completa degli estratti conto, risultando mancanti alcuni intervalli temporali).
Cassazione Civile, Sezione 1, Ordinanza 27-12-2022, n. 37800 (CED Cassazione 2022)
Art. 2033 cc (Indebito oggettivo) – Giurisprudenza
Art. 2697 cc (Onere della prova) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Roma con sentenza del 17 maggio 2012 accolse la domanda proposta dalla (OMISSIS) s.p.a. contro il (OMISSIS) s.p.a., volta alla restituzione dell’indebito, ai sensi dell’art. 2033, di somme non dovute a titolo di interessi capitalizzati su tre diversi conti correnti, condannando la banca al pagamento della somma di Euro 208.264,35, oltre interessi legali dalla domanda.
Con sentenza del 22 giugno 2018, la Corte d’appello di Roma, su impugnazione della banca, ha riformato la sentenza impugnata e condannato la società alla restituzione di quanto corrisposto dalla banca in esecuzione della prima sentenza.
Ha ritenuto la corte territoriale, per quanto ancora rileva, che la c.t.u., redatta in primo grado, fosse inattendibile e carente, in quanto aveva arbitrariamente ricostruito l’andamento del rapporto pure per i periodi in cui l’attrice non aveva prodotto gli estratti-conto, fondandosi per quindici periodi (tutti di un mese ed uno solo concernente un anno intero) su fittizie movimentazioni secondo il “valore di conguaglio” e la “media del periodo”, con inaccettabili criteri presuntivi ed approssimativi.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società, sulla base di tre motivi, depositando anche la memoria.
Si difende la banca con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – I motivi del ricorso possono essere come di seguito riassunti:
1) violazione dell’art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c., oltre ad omesso esame di fatto decisivo, per avere la corte territoriale offerto una motivazione inesistente, apparente o contraddittoria, in quanto, nonostante la premessa di aver condiviso l’accertamento sugli arbitrari addebiti operati dalla banca dal 1986 al 2000, ha poi respinto integralmente la domanda per mera inattendibilità della c.t.u. senza, semmai provvedere al suo rinnovo;
2) violazione degli artt. 112 e 329 c.p.c. per ultrapetizione, in quanto la banca aveva chiesto solo la riduzione e non l’eliminazione della condanna (nell’atto di appello aveva invero chiesto alla corte di decidere “rideterminando l’esatto importo eventualmente dovuto dalla banca”) e per non avere la corte territoriale rilevato il passaggio in giudicato sull’accertamento di interessi anatocistici illecitamente addebitati sui conti correnti;
3) violazione e falsa applicazione dell’art. 1421 c.p.c., per non avere la corte territoriale rilevato d’ufficio la nullità degli interessi anatocistici.
2. – Il primo motivo è fondato, con assorbimenti degli altri motivi.
La sentenza impugnata ha – dapprima – condiviso la valutazione di illegittimo addebito degli interessi anatocistici, dalla data dell’apertura alla data della chiusura del rapporto, ma poi ha ritenuto, avendo aderito al rilievo della banca appellante circa la mancata produzione integrale degli estratti conto, che la c.t.u. redatta in primo grado fosse carente, non avendo il consulente utilizzato corretti metodi di calcolo; quindi, è giunta alla riforma integrale della sentenza, con (implicito) rigetto della domanda originariamente proposta.
In tal modo, tuttavia, la sentenza ha esposto una motivazione contraddittoria e monca, mancando di trarre le conseguenze dalle premesse, anche in ordine alla rinnovazione della c.t.u.
Al riguardo, giova ricordare i principi di diritto in materia di prova del pagamento indebito su conto corrente, enunciati da questa Corte.
A sostegno della domanda di ripetizione dell’indebito, il cliente è onerato della produzione degli estratti conto, secondo il principio sancito dall’art. 2697 c.c. Ma è ammesso il calcolo della somma, da depurare dalle poste indebite, a partire dal primo estratto prodotto, e così via per i periodi successivi: saldo iniziale e saldi intermedi che, ove sfavorevoli al cliente, in quanto risulti un debito a suo carico, sono presi a base di partenza della situazione tra le parti.
Infatti, laddove il correntista agisca giudizialmente in ripetizione di indebito, con la domanda di accertamento giudiziale del saldo e di ripetizione delle somme indebitamente riscosse dall’istituto di credito, è tale soggetto, attore in giudizio, a doversi far carico della produzione degli estratti conto, perchè, con tale produzione, il correntista assolve all’onere di provare sia gli avvenuti pagamenti, sia la mancanza, rispetto ad essi, di una valida causa debendi.
Ma l’estratto conto, come è stato altresì precisato, non costituisce l’unico mezzo di prova attraverso cui ricostruire le movimentazioni del rapporto.
Esso consente di avere un appropriato riscontro dell’identità e della consistenza delle singole operazioni poste in atto e, tuttavia, in assenza di un indice normativo che autorizzi una diversa conclusione, non può escludersi che l’andamento del conto possa accertarsi avvalendosi di altri strumenti rappresentativi delle intercorse movimentazioni. In tal senso, a fronte della mancata acquisizione di una parte dei citati estratti, il giudice del merito potrebbe valorizzare, esemplificativamente, le contabili bancarie riferite alle singole operazioni o, a norma degli artt. 2709 e 2710 c.c., le risultanze delle scritture contabili (ma non l’estratto notarile delle stesse, da cui risulti il mero saldo del conto: Cass. 10 maggio 2007, n. 10692 e Cass. 25 novembre 2010, n. 23974): e, per far fronte alla necessità di elaborazione di tali dati, quello stesso giudice può avvalersi di un consulente d’ufficio, essendo sicuramente consentito svolgere un accertamento tecnico contabile al fine di rideterminare il saldo del conto in base a quanto comunque emergente dai documenti prodotti in giudizio (Cass. 1 giugno 2018, n. 14074, ove il richiamo a Cass. 15 marzo 2016, n. 5091; nel medesimo senso, Cass. 3 dicembre 2018, n. 31187; v. altresì Cass. 2 maggio 2019, n. 11543). Rilevano, altresì, la condotta processuale della controparte ed ogni altro elemento idoneo a costituire argomento di prova, ai sensi dell’art. 116 c.p.c..
Ne deriva che l’incompletezza della serie degli estratti conto si ripercuote comunque sul cliente, gravato dall’onere della prova degli indebiti pagamenti: in quanto, a quel punto, si comincia volta a volta dal “saldo a debito”, risultante dal primo estratto conto disponibile o da quelli intermedi dopo intervalli non coperti; oppure, ove lo deduca la stessa banca, si potrà partire dal c.d. “saldo zero”.
In mancanza di elementi nei due sensi indicati, dovrà assumersi, come dato di partenza per la rielaborazione delle successive operazioni documentate, il predetto saldo iniziale degli estratti conto acquisiti al giudizio, che, nel quadro delle risultanze di causa, è il dato più sfavorevole allo stesso attore.
3. – La sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio innanzi alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, perchè provveda a riconsiderare le risultanze istruttorie, alla luce dei principi sopra ricordati. Ad essa di demanda pure la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, innanzi alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20 dicembre 2022.