Ordinanza 3797/2019
Risarcimento del danno – Concorso del fatto colposo del danneggiato ex art. 1227, comma 2, c.c. – Tardiva proposizione della domanda risarcitoria – Rilevanza
In tema di determinazione del danno risarcibile, non assurge a fatto colposo del creditore, idoneo a ridurre o a escludere il risarcimento del danno, la circostanza che il danneggiato abbia agito tardivamente nei confronti dell’autore della violazione, quand’anche un’ipotetica tempestiva azione fosse astrattamente suscettibile di circoscrivere l’entità del pregiudizio. Invero, l’art.1227, comma 2, c.c., che costituisce un’applicazione dell’art. 1175 c.c., pur imponendo al creditore di tenere una condotta attiva, diretta a limitare le conseguenze dannose dell’altrui comportamento, non arriva a pretendere il compimento di attività gravose o implicanti rischi, tra le quali ben può ricomprendersi l’avvio di un’azione giudiziale. (In applicazione del predetto principio, la S.C. ha cassato la decisione di merito che aveva escluso il risarcimento dei danni per la perdita della possibilità di sfruttamento commerciale di alcuni modelli ornamentali, conseguente alla registrazione e alla successiva caduta in pubblico dominio di questi ultimi, in ragione del fatto che la relativa domanda era stata proposta dopo più di cinque anni dalla registrazione in parola).
Corte di Cassazione, Sezione 1 civile, Ordinanza 8 febbraio 2019, n. 3797 (CED Cassazione 2019)
Articolo 1227 c.c. annotato con la giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Torino con sentenza del 3 dicembre 2014 ha respinto le impugnazioni, principale ed incidentale, proposte avverso la decisione del Tribunale della stessa città del 26 gennaio 2013, con la quale la (OMISSIS) s.p.a. è stata condannata: 1) al pagamento della somma di Euro 5.939,55, a titolo di ulteriori royalties per lo sfruttamento commerciale della maniglia denominata Minerva, avente volumi di vendita superiori a quelli dichiarati nei rendiconti inviati; 2) al pagamento della somma di Euro 46.007,41 a titolo di royalties per lo sfruttamento della maniglia Bios, ritenuta essere un derivato del primo disegno e rientrante nell’accordo commerciale; 3) accertata la paternità anche dei disegni relativi alle maniglie Sigma, Alfa e Delta, al pagamento della somma di Euro 10.000,00, per esse e per le precedenti, in relazione alla violazione del diritto morale d’autore.
Il tribunale aveva respinto, invece, la domanda di adempimento o di risarcimento del danno, proposta con riguardo alla registrazione operata dalla (OMISSIS) s.p.a. ed alla successiva caduta in pubblico dominio, non essendo provato un danno al riguardo.
Il Tribunale, infine, aveva ritenuto non provata la paternità dei modelli Beta, Gamma ed Epsilon.
Ha ritenuto la corte territoriale, per quanto ancora rileva, con riguardo all’appello proposto dalla società, che: a) è provata la violazione del diritto morale di autore dell’arch. (OMISSIS) con riguardo al modello Minerva, avendo la (OMISSIS) s.p.a. registrato un modello attribuibile al medesimo; b) il modello Bios deriva dal precedente, come risulta dall’esame visivo dei modelli e delle maniglie, restando irrilevanti elementi complementari e non decisivi, ivi compreso per il c.d. maniglione; c) il modello Sigma è stato pure inventato dal (OMISSIS) e registrato dalla (OMISSIS) s.p.a.; d) i modelli Alfa e Delta derivano da disegni del medesimo architetto e la registrazione da parte della società ne viola parimenti il diritto morale d’autore.
Quanto all’appello incidentale proposto dall’arch. (OMISSIS) e dalla (OMISSIS) s.r.l., ha rilevato che: a1) la doglianza di mancata liquidazione di un corrispettivo negoziale o di un danno risarcibile per la perdita della possibilità di sfruttamento commerciale dei modelli Alfa, Delta e Sigma è infondata, dato che nessun accordo al riguardo è stato dimostrato, mentre il ritardo di oltre cinque anni all’esercizio dell’azione integra la fattispecie dell’articolo 1227 c.c., comma 2, avendo il creditore il dovere di non aggravare il danno con la propria inerzia, laddove il ritardo ha inciso, quanto al nesso causale, sulla insorgenza del danno per la caduta in pubblico dominio dei modelli stessi; e ciò pur senza voler considerare che non è stato dimostrato il futuro successo dello sfruttamento economico dei modelli in questione e l’originalità dei disegni, elementi che quindi non è necessario accertare; b1) la domanda di risarcimento dei danni maturati nel corso del giudizio d’appello non è nuova, essendo ricompresa nell’ampia azione risarcitoria proposta.
Contro questa sentenza ricorre per cassazione l’arch. (OMISSIS) e la (OMISSIS) s.p.a., affidato a cinque motivi.
Resiste con controricorso la (OMISSIS) s.p.a., proponendo altresì ricorso incidentale per un motivo.
Entrambe le parti hanno depositato le memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
- – Con il primo motivo, i ricorrenti deducono la nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione dell’articolo1227 c.c., comma 2, che non arriva al punto di imporre l’introduzione di un’azione giudiziaria.
Con il secondo motivo, essi deducono la nullità della sentenza, per violazione o falsa applicazione dell’articolo 50, comma 1, Regolamento CE n. 6 del 2002, oltre all’omesso esame di fatto decisivo, per avere la sentenza impugnata affermato che il ritardo nell’esercizio dell’azione giudiziaria sarebbe durato cinque anni, senza considerare che la registrazione dei modelli di maniglia da parte della (OMISSIS) s.p.a., avvenuta nel luglio 2005, non era pubblica: i ricorrenti nel costituirsi in appello avevano segnalato, in comparsa di risposta e nella conclusionale, che controparte aveva chiesto, ai sensi dell’articolo 50 cit., di mantenere segrete le registrazioni, differendone la pubblicazione per trenta mesi, circostanza pacifica in causa. Nè il ricorrente avrebbe dovuto venire a conoscenza di esse al decorso del termine detto, non essendo la pubblicazione rivolta al designer, che non può ritenersi onerato del controllo quotidiano del registro. In ogni caso, l’articolo 1227 c.c., comma 2, richiede che assuma rilievo non la conoscibilità, ma l’effettiva conoscenza delle registrazioni, nel caso di specie avvenuta solo a marzo 2009, come dedotto nella memoria di replica in appello.
Con il terzo motivo, deducono la nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione degli articoli 121 e 125 c.p.i., articoli 1223 e 1226 c.c., oltre ad omesso esame di fatto decisivo, perchè nell’ipotesi in cui la corte territoriale abbia esposto una plurima motivazione – il grado di successo dei modelli sul mercato non attiene all’an, ma al quantum risarcitorio, onde ben avrebbe potuto il giudice ricorrere alla valutazione equitativa. Dal suo canto, la valutazione di difetto di novità – ove essa sia effettivamente presente nella impugnata decisione – è illegittima, attesa la presunzione di validità dei titoli di proprietà industriale.
Con il quarto motivo, lamentano la nullità della sentenza per omessa pronuncia e per motivazione inesistente, ai sensi dell’articolo 112 c.p.c. e articolo 132 c.p.c., n. 4, con riguardo alla domanda di risarcimento dei danni prodottisi nel corso del giudizio d’appello, posto che la corte del merito, dopo averla ritenuta ammissibile, ha però in dispositivo semplicemente respinto anche l’appello incidentale.
Con il quinto motivo, si censura la nullità della sentenza per omesso esame di fatto decisivo, consistente – nell’ipotesi in cui debba ritenersi respinta detta domanda – nel mancato esame della circostanza della prosecuzione dell’illecito dopo la pronuncia del tribunale.
Con l’unico motivo di ricorso incidentale, la (OMISSIS) s.p.a. deduce la violazione o falsa applicazione dell’articolo 345 c.p.c., per avere la corte territoriale escluso la novità della domanda di controparte, volta alla condanna al risarcimento del danno maturato nel corso del giudizio di appello.
- – Il primo motivo è fondato.
Costituisce principio consolidato di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, quello che non può essere qualificato fatto colposo del creditore, idoneo a ridurre o eliminare il diritto al risarcimento del danno, ai sensi dell’articolo 1227 c.c., comma 2, la circostanza che egli non abbia agito giudizialmente nei confronti dello stesso autore della violazione, pur qualora tale azione avrebbe permesso di circoscriverne gli effetti dannosi (si vedano Cass. 5 ottobre 2018, n. 24522; Cass. 9 settembre 2017, n. 22820; Cass. 25 settembre 2009, n. 20684; Cass. 21 agosto 2004, n. 16530; Cass. 9 febbraio 2004, n. 2422; Cass. 14 agosto 1997, n. 7618; Cass. 21 aprile 1993, n. 4672; Cass. 7 maggio 1991, n. 5035;, con riguardo all’articolo 1227 c.c., comma 1, Cass. 13 gennaio 2014, n. 470, sul ricorso all’autorità giudiziaria per la determinazione del prezzo ai sensi dell’articolo 1474 c.c.).
Ciò in quanto l’articolo 1227 c.c., comma 2, è applicazione dei principi generali di correttezza e buona fede, di cui all’articolo 1175 c.c., onde impone sì al creditore, una condotta attiva, diretta a limitare le conseguenze dannose dell’altrui comportamento pregiudizievole, ma non fino al punto da pretendere attività che gravose o implicanti rischi, tra le quali ben può ricomprendersi l’intrapresa di un’azione giudiziale (fermo restando che l’accertamento della condotta tenuta dal creditore e l’accertamento della gravosità per il medesimo di quella omessa è compito riservato al giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità).
In sostanza, la legge vuole “solo evitare, con tale disposizione, che il debitore medesimo sia costretto a pagare dei danni evitabili dal creditore”, in collegamento sistematico con l’articolo 1223 c.c. (Cass. 25 settembre 2009, n. 20684).
A parte altri precedenti di legittimità, in cui l’azione giudiziale era rivolta verso terzi (ad es., Cass. 5 ottobre 2018, n. 24522, relativa alla conciliazione accettata nel corso del processo tributario, che non interrompe il nesso esistente tra errore del professionista e danno lamentato dal cliente; Cass. 21 agosto 2004, n. 16530, con riguardo ad accertamento tributario; Cass. 7 maggio 1991, n. 5035, sulla pretesa azione nei confronti della P.A.), pertanto, enunciare l’opposto principio proprio quando l’azione giudiziale non sia stata intrapresa nei confronti del danneggiante significherebbe, invero, nella sostanza introdurre surrettiziamente una causa di prescrizione giudiziale del diritto al risarcimento del danno, agganciata al decorso del tempo ed all’inerzia dell’avente diritto, sovrapposta all’istituto legale della prescrizione, di cui al titolo 5, capo 1, sezione 1, del codice civile, agli articoli 2934 c.c. e segg., con inammissibile atto di creazione giudiziale.
Nella specie, la corte d’appello ha ritenuto infondata la domanda risarcitoria con riguardo alla perdita della possibilità di sfruttamento commerciale dei modelli Alfa, Delta e Sigma, perchè la presente azione è stata proposta oltre cinque anni alla registrazione dei modelli; essa ha menzionato la norma dell’articolo 1227 c.c., comma 2 (nel contempo, peraltro, riferendosi alla incidenza di tale condotta sul nesso causale per la caduta in pubblico dominio dei modelli stessi).
In tal modo, la sentenza impugnata ha preteso di imputare alla parte danneggiata il mancato esercizio dell’azione verso il danneggiante per la violazione del diritto d’autore, incorrendo nell’errore predetto.
- – Il secondo ed il terzo motivo sono assorbiti.
- – Il quarto motivo è fondato, mentre infondato è il motivo del ricorso incidentale, la cui trattazione può essere congiunta, vertendo sullo stesso capo della decisione impugnata.
La corte territoriale ha bensì, dapprima, escluso la novità della domanda di risarcimento dei danni, maturati nel corso del giudizio d’appello, proposta dagli odierni ricorrenti, ma ha poi interamente omesso di provvedere al riguardo, limitandosi ad un’apodittica conclusione di “rigetto di entrambi gli appelli”, poi ripetuta nel dispositivo.
Ricorre, dunque, il caso di omissione totale della motivazione, idonea a condurre alla nullità della decisione.
Nè tale domanda era nuova ed inammissibile, ai sensi dell’articolo 345 c.p.c., in quanto ricompresa nell’ampia azione risarcitoria proposta.
Va infatti richiamata la lettera dell’articolo 345 c.p.c., secondo cui nel giudizio d’appello non possono proporsi domande nuove, ma può tuttavia essere chiesto il risarcimento dei danni subiti dopo la sentenza stessa: onde, in un giudizio di risarcimento del danno, è consentito all’attore chiedere per la prima volta in appello, e sino alla precisazione delle conclusioni, possono essere chiesti i danni riconducibili alla causa già dedotta in primo grado ed ulteriori, se provocati dal medesimo illecito, ove manifestatisi solo in corso di causa (cfr. Cass. 18 aprile 2013, n. 9453; Cass. 15 marzo 2006, n. 5678; Cass. 10 novembre 2003, n. 16819; e v. Cass. 18 marzo 2008, n. 7256, che ne ammette la richiesta anche nel giudizio di rinvio, per i danni sofferti dopo la sentenza impugnata).
Anzi, ciò corrisponde ad un elementare principio di economia processuale, essendo la ratio della norma quella di evitare il frazionamento dei giudizi.
- – Il quinto motivo è assorbito.
- – La sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio innanzi alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, perchè provveda alla decisione delle ulteriori domande risarcitorie, di cui ai motivi accolti.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo ed il quarto motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri e respinto il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di legittimità, innanzi alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18 dicembre 2018.