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Cassazione Civile 38033/2021 – Distanze nelle costruzioni – Costruzioni in aderenza – Costruzione da parte del proprietario di uno di essi di un muro al confine al di sopra del fabbricato 

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Ordinanza 38033/2021

Distanze nelle costruzioni – Costruzioni in aderenza – Costruzione da parte del proprietario di uno di essi di un muro al confine al di sopra del fabbricato 

Il principio secondo cui, in tema di distanze nelle costruzioni, il proprietario di una di esse non può dolersi della realizzazione da parte del proprietario dell’altro di un muro sul confine, al di sopra del fabbricato, trova applicazione solo quando i due fabbricati sono in aderenza, laddove, al contrario, con riguardo a costruzioni su fondi finitimi non aderenti, trova applicazione l’art. 873 c.c.

Cassazione Civile, Sezione 2, Ordinanza 2-12-2021, n. 38033   (CED Cassazione 2021)

Art. 873 cc (Distanze nelle costruzioni) – Giurisprudenza

Art. 877 cc (Costruzioni in aderenza) – Giurisprudenza

 

 

FATTI DI CAUSA

1.1. (OMISSIS), con atto notificato il 16/9/2008, ha citato in giudizio, innanzi al tribunale di Latina, (OMISSIS) e (OMISSIS) deducendo che i convenuti, proprietari di un immobile adiacente a quello di sua proprietà, siti nel Comune di (OMISSIS), avevano realizzato la sopraelevazione del loro immobile in violazione delle norme sulle distanze legali ed in modo tale da impedire alla stessa l’eventuale sopraelevazione del proprio immobile, e chiedendo, quindi, la condanna dei convenuti alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi.

1.2. (OMISSIS) e (OMISSIS) si sono costituiti in giudizio deducendo, tra l’altro, che la sopraelevazione era stata realizzata in aderenza a quella dell’attrice analogamente alla parte sottostante ed in conformità ai vigenti strumenti urbanistici e chiedendo il rigetto della domanda ed, in via riconvenzionale, la condanna dell’attore all’arretramento della falda del suo tetto aggettante sul loro immobile, che impediva il completamento della loro sopraelevazione, oltre al risarcimento dei danni per il ritardo causato nell’esecuzione dei lavori.

1.3. Il tribunale, con sentenza del 4/3/2013, ha rigettato la domanda dell’attrice ed ha, invece, accolto la domanda riconvenzionale proposta dai convenuti, condannando la (OMISSIS) all’arretramento della falda del tetto del suo immobile per eliminare la sporgenza sull’immobile dei convenuti ed al risarcimento dei danni.

2.1. (OMISSIS) ha proposto appello avverso la sentenza del tribunale, chiedendone la riforma.

2.2. (OMISSIS) e (OMISSIS) si sono costituiti in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello.

3.1. La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha, in parte, accolto l’appello ed, in riforma della pronuncia impugnata, ha condannato gli appellati all’arretramento del loro fabbricato in sopraelevazione fino a m. 3,00 dal confine.

3.2. La corte, in particolare, dopo aver premesso che, alla luce degli accertamenti peritali svolti nel corso del giudizio – “che meritano di essere condivisi in quanto frutto di rilevamenti scrupolosi sui luoghi le cui risultanze sono frutto di corretta applicazione dei criteri tecnici e sono immuni da vizi logici e/o valutativi” – nonchè delle foto e delle planimetrie allegate alla relazione, “i fabbricati delle parti sono in aderenza solo al plano terra” e che “la sopraelevazione realizzata dagli… appellanti non in linea con la parete sottostante ha dato vita ad una intercapedine larga circa un metro”, ha ritenuto che, in mancanza di una espressa previsione nei vigenti strumenti urbanistici del Comune di Cori in tema di distanza tra costruzioni, doveva, di conseguenza, trovare applicazione la norma prevista dall’art. 873 c.c., che fissa la distanza di tre metri, e che la costruzione degli appellati, “non realizzata in aderenza a quella dell’appellante”, doveva essere, pertanto, arretrata fino al rispetto della suddetta distanza.

3.3. La corte, invece, ha ritenuto che l’appello non fosse fondato lì dove l’appellante aveva lamentato l’accoglimento della domanda riconvenzionale dei convenuti, volta all’eliminazione della falda del tetto del fabbricato della (OMISSIS) sporgente in appiombo sul fabbricato degli appellati, pretendendo “in questa sede” di aver usucapito la relativa servitù. La corte, sul punto, ha ritenuto, innanzitutto, che l’appellante, a fronte della domanda riconvenzionale, non aveva proposto un’eccezione di usucapione, nè tale eccezione poteva essere tardivamente proposta in sede d’appello, ed, in secondo luogo, che non era emerso dagli atti del giudizio alcun elemento probatorio a sostegno di tale eccezione, non potendo le lacune sul punto essere sopperite con inammissibili attività istruttorie, come la consulenza tecnica d’ufficio o il suo rinnovo.

4.1. (OMISSIS) e (OMISSIS), con ricorso notificato il 9.18/1/2017, hanno chiesto, per tre motivi, la cassazione della sentenza della corte d’appello, dichiaratamente non notificata.

4.2. (OMISSIS) ha resistito con controricorso notificato il 22/2/2017 nel quale ha proposto, per due motivi, ricorso incidentale.

4.3. Le parti hanno depositato brevi memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

5.1. Con il primo motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 873 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che la costruzione degli appellati non è stata realizzata in aderenza a quella dell’appellante ed ha, pertanto, ritenuto che la stessa, in applicazione dell’art. 873 c.c., dovesse essere arretrata fino al rispetto della distanza tra costruzioni, ossia tre metri dal confine, senza, tuttavia, considerare, da un lato, che i fabbricati delle parti, al piano terra, sono in aderenza e che gli appellanti avevano chiesto ed ottenuto l’autorizzazione per sopraelevare la costruzione in aderenza con quello dell’appellata e, dall’altro lato, che, quando due fabbricati sono in aderenza, il proprietario di uno di essi non può dolersi della costruzione da parte del proprietario dell’altro di un muro sul confine, al di sopra del fabbricato, tenuto conto che l’art. 873 c.c., trova applicazione solo con riguardo a costruzioni su fondi finitimi non aderenti, essendo, pertanto, in tali casi, legittima la sopraelevazione effettuata in aderenza sopra la verticale della costruzione preesistente.

5.2. Il motivo è infondato. I ricorrenti, in effetti, non si confrontano realmente con la sentenza che hanno impugnato: la quale, invero, ben lungi dall’ordinare l’arretramento della costruzione realizzata in sopraelevazione dagli appellati sebbene aderente a quella della vicina, ha, in realtà, ritenuto, per un verso, che “i fabbricati delle parti sono in aderenza solo al piano terra” e che “la sopraelevazione realizzata dagli… appellanti non (è) in linea con la parete sottostante”, e, per altro verso, proprio in forza di tale apprezzamento in fatto, rimasto incensurato per l’omesso esame di fatti decisivi, che, in mancanza di una espressa previsione nei vigenti strumenti urbanistici del Comune di Cori in tema di distanza tra costruzioni, doveva, di conseguenza, trovare applicazione la norma prevista dall’art. 873 c.c., che fissa la distanza di tre metri, disponendo, quindi, la costruzione degli appellati, proprio perchè “non realizzata in aderenza a quella dell’appellante”, doveva essere arretrata fino al rispetto della suddetta distanza.

5.3. Non può, dunque, trovare applicazione il principio, costantemente affermato da questa Corte, per cui, in tema di distanze nelle costruzioni, (solo) quando due fabbricati sono in aderenza, il proprietario di uno di essi non può dolersi della costruzione da parte del proprietario dell’altro di un muro sul confine, al di sopra del fabbricato, laddove, al contrario, con riguardo a costruzioni su fondi finitimi non aderenti, trova applicazione l’art. 873 c.c. (cfr. Cass. n. 7183 del 2012; Cass. n. 1673 del 1995).

6.1. Con il secondo motivo, i ricorrenti, lamentando il vizio di motivazione della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 e art. 132 c.p.c., n. 4, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, con generica motivazione per relationem e senza esplicitare l’iter logico giuridico sul quale ha fondato il proprio convincimento, ha ritenuto che gli strumenti urbanistici del Comune di Cori non contenessero la previsione di distanze legali tra le costruzioni e che, di conseguenza, dovesse trovare applicazione l’art. 873 c.c., senza, tuttavia, considerare che, a differenza di quanto erroneamente sostenuto dal consulente tecnico d’ufficio, di cui si è limitata a condividere le conclusioni, le norme tecnico-urbanistiche del Comune espressamente prevedono, come illustrato nella relazione tecnica di parte, la possibilità, anzi la necessità, trattandosi di zona sismica, per i fabbricati del centro storico di costruire in aderenza.

6.2. Con il terzo motivo, i ricorrenti, lamentando l’omesso esame di un fatto storico decisivo per il giudizio, la cui esistenza risulta dal testo della sentenza di primo grado e dagli atti processuali, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè il vizio di motivazione per la mancata valutazione delle prove proposte dalle parti e dei fatti non specificamente contestati, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 e art. 123 c.p.c., n. 4, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha fondato la decisione sugli accertamenti peritali svolti dal consulente tecnico d’ufficio senza, tuttavia, valutare nè confutare tanto le prove documentali offerte dagli appellati, a partire dalla relazione del tecnico di parte, che l’appellante non ha contestato, quanto le censure, precise e circostanziate, che i convenuti sin dal giudizio di primo grado avevano sollevato nei confronti dell’operato del consulente tecnico d’ufficio.

6.3. Il secondo ed il terzo motivo, da valutare congiuntamente, sono infondati. In tema di ricorso per cassazione, infatti, per infirmare la motivazione della sentenza che recepisca le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio, di cui il giudice dichiari di condividere il merito, il ricorrente ha l’onere, nella specie rimasto inadempiuto, di allegare di avere rivolto critiche alla consulenza stessa già dinanzi al giudice a quo, e di trascriverne, poi, almeno i punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolverebbe nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità (Cass. n. 11482 del 2016; Cass. n. 19427 del 2017). D’altra parte, in tema di impugnazioni civili, le conclusioni assunte dal consulente tecnico sono impugnabili con ricorso per cassazione solamente qualora le censure ad esse relative siano state tempestivamente prospettate avanti al giudice del merito, alla stregua di quanto si evinca dalla sentenza impugnata ovvero dell’atto del procedimento di merito – da specificamente indicarsi da parte del ricorrente – ove le stesse risultino essere state formulate, e vengano espressamente indicate nel motivo di ricorso, in modo che al giudice di legittimità risultino consentito il controllo ex actis della relativa veridicità nonchè la valutazione della decisività della questione (Cass. n. 12532 del 2011; Cass. n. 20636 del 2013, per la quale “le contestazioni difensive della consulenza tecnica d’ufficio…devono essere sollevate nella prima udienza successiva al deposito della relazione…”). Nel caso in esame, invece, i ricorrenti, da un lato, non hanno riprodotto, nel ricorso per cassazione, le censure che, nel giudizio di merito, hanno sostenuto di aver formulato alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio e, dall’altro lato, non hanno indicato specificamente in quale atto del procedimento di merito ciò sia (tempestivamente) avvenuto ed, in ogni caso, non hanno sufficientemente riprodotto, in ricorso, il testo della consulenza che hanno inteso censurare (cfr., sul punto, Cass. n. 12703 del 2015, in motiv.).

7.1. Con il primo motivo di ricorso incidentale, la controricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione dell’art. 1140 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello l’ha condannata ad eliminare la falda del tetto nella parte sporgente rispetto al proprio fabbricato senza, tuttavia, considerare che tale sporgenza è presente sin dalla data di costruzione del fabbricato, risalente ad almeno cinquanta anni prima, e che la stessa costituisce una servitù di sporto gravante sul fabbricato adiacente e maturata a seguito di usucapione ultraventennale, che la controparte aveva nei fatti riconosciuto.

7.2. Con il secondo motivo di ricorso incidentale, la controricorrente, lamentando l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello l’ha condannata ad eliminare la falda del tetto nella parte sporgente rispetto al proprio fabbricato senza, tuttavia, pronunciarsi sulla domanda di riconoscimento dell’usucapione relativa a tale sporgenza.

8.1. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati. La corte d’appello, infatti, ammesso che una domanda di accertamento dell’acquisto per usucapione della servitù invocata dalla controricorrente era stata effettivamente formulata, si è, implicitamente ma inequivocamente, pronunciata sulla stessa, lì dove ha ritenuto la fondatezza della domanda con la quale i convenuti avevano chiesto l’eliminazione della falda del tetto del fabbricato dell’attrice in quanto sporgente in appiombo sul fabbricato di loro proprietà, escludendo, al riguardo, l’acquisto per usucapione da parte dell’appellante della relativa servitù. La corte, in effetti, ha ritenuto, innanzitutto, che l’appellante, a fronte della domanda riconvenzionale, non aveva proposto un’eccezione di usucapione, nè tale eccezione poteva essere tardivamente proposta in sede d’appello, ed, in secondo luogo, che non era emerso dagli atti del giudizio alcun elemento probatorio a sostegno di tale eccezione, non potendo le lacune sul punto essere sopperite con inammissibili attività istruttorie, come la consulenza tecnica d’ufficio o il suo rinnovo.

8.2. Per il resto, la controricorrente, pur deducendo vizi di violazione di norme di legge sostanziale, ha finito, in sostanza, per lamentare l’erronea ricognizione dei fatti che, alla luce delle prove raccolte, hanno operato i giudici di merito, lì dove, in particolare, questi, ad onta delle relative emergenze, non hanno accertato la sussistenza dei presupposti per ritenere acquistato, in forza di usucapione, il diritto di mantenere la falda del tetto nella parte sporgente rispetto al proprio fabbricato, invocandone una illegittima rivalutazione in sede di legittimità. La valutazione degli elementi istruttori costituisce, infatti, un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.). Il compito di questa Corte non è, infatti, quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008).

9. Il ricorso principale dev’essere, quindi, rigettato, al pari del ricorso incidentale.

10. La reciproca soccombenza induce alla integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.

11. La Corte, infine, dà atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte tanto delle ricorrenti principali, quanto della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte così provvede: rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale; compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio; dà atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte tanto delle ricorrenti principali, quanto della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.