Ordinanza 3839/2021
Risoluzione del contratto per inadempimento – Opere pubbliche – Contratto di appalto
In tema di lavori pubblici, la l. n. 109 del 1994 e il d.P.R. n. 554 del 1999, applicabili “ratione temporis”, prevedono l’obbligatoria acquisizione da parte della stazione appaltante della relazione geologica tra gli atti progettuali della gara; in assenza di essa, tuttavia, ove venga ugualmente stipulato il contratto di appalto, l’impresa appaltatrice non può agire per la risoluzione ex art. 1453 c.c. facendo valere l’inadempimento della committenza nella precedente fase di gara, poiché rientra tra i suoi obblighi di diligenza controllare la validità tecnica del progetto e, nella fase successiva, la stessa impresa è tenuta a segnalare le omissioni progettuali, ai fini dell’adozione di varianti in corso d’opera, in adempimento del dovere di collaborazione che presiede allo svolgimento del rapporto.
Cassazione Civile, Sezione 1, Ordinanza 15-02-2021, n. 3839 (CED Cassazione 2021)
Art. 1453 cc (Risolubilità del contratto per inadempimento)
FATTI DI CAUSA
- G.C. società a r.l., in proprio e quale mandataria dell’Associazione temporanea di imprese, o A.t.i., aggiudicataria delle opere di adeguamento alle normative di sicurezza del Presidio Ospedaliero di Omegna — comprendenti la costruzione di un corpo scala esterno in c.a. in sostituzione di quella interna e la realizzazione del raddoppio della scala di sicurezza antincendio, per l’importo complessivo di euro 1.886.214,59 — conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Verbania la committente Asl 14 VCO di Omegna perché, previa declaratoria di illegittimità della risoluzione del contratto, dalla convenuta dichiarata, venisse invece dichiarata la risoluzione del contratto di appalto tra le parti stipulato il 20 novembre 2006 per colpa dell’Amministrazione, ai sensi dell’art. 1454 cod. civ., o, in subordine, dell’art. 1453 cod. civ. e, in via ulteriormente gradata, perché fosse accertato il diritto dell’impresa alla risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 25, comma 4, legge n. 109 del 1994, con condanna della committente ai risarcimento del danno pari ad euro 225.533,50 per il mancato guadagno dovuto alla mancata realizzazione dei lavori, il rimborso delle spese sostenute ed i maggiori oneri.
Veniva evocata in giudizio anche la Società M.D.A. perché venisse accertata l’inesistenza dell’obbligo di pagare alcunché all’Asl 14 per la polizza fideiussoria n. 36488 del 1 agosto 2006, costituita ai sensi dell’art. 30, comma 2, legge n. 109 cit. e dell’art. 21 del contratto d’appalto, con inibizione alla compagnia convenuta del pagamento dell’importo garantito.
L’Asl 14 si costituiva chiedendo il rigetto delle domande attrici e, n via riconvenzionale, l’accertamento della legittimità della risoluzione di diritto del contratto di appalto per grave inadempimento dell’impresa, il risarcimento dei danni sopportati, da quantificarsi in misura non inferiore ad euro 1.596.998,19, ed il riconoscimento del diritto ad incamerare la cauzione per euro 120.032,00.
Si costituiva la società di assicurazioni che faceva proprie le difese dell’attrice e in subordine chiedeva di essere tenuta indenne dalla propria Compagnia Assicuratrice, i L.L. che, chiamati in giudizio, si costituivano, aderivano alle difese della Asl e chiedevano di contenere l’importo nei limiti di polizza.
Il Tribunale di Verbania con sentenza n. 526 del 2011 respingeva le domande delle parti ritenendo che l’appalto si fosse risolto per mutuo consenso.
- Avverso l’indicata sentenza ha proposto appello G.C. società a r.l., si è costituita l’Asi VCO che ha dedotto i’infondatezza dell’appello principale e proposto appello incidentale; si sono costituite le società di assicurazioni.
La Corte di appello di Torino con la sentenza in epigrafe indicata, in parziale accoglimento dell’impugnazione proposta ed in riforma della decisione di primo grado, ha accertato la legittimità della risoluzione intimata dalla Asl del contratto di appalto del 20 novembre 2006 per inadempimento dell’appaltatrice G.C. a r.l., con diritto della prima di escutere la garanzia fideiussoria rilasciata per l’importo di euro 120.032,00 dalla Società M.D.A. che è stata condannata alla sua corresponsione, ritenendo, per quanto rileva in giudizio:
- a) la previsione di consegne parziali dei lavori sin dalla fase di gara e quindi l’inesistenza dei danni dedotti dall’appaltatrice per i maggiori oneri relativi all’organizzazione dei lavori che alla stessa sarebbero venuti dalla necessità di procedere a lavorazioni parziali rappresentata dalla committenza solo successivamente all’aggiudicazione dell’appalto, nella impossibilità del presidio ospedaliero di Omegna di sospendere il proprio funzionamento;
- b) la completezza dei progetti allegati al bando di gara con riferimento alla relazione geologica ed a quella geotecnica — giusta delibera della Giunta Regione Piemonte n. 61-11017 del 17 novembre 2003 che, inserendo l’area in cui doveva realizzarsi il corpo di fabbrica in c.a. in zona 4, a bassa sismicità, la esentava dagli indicati adempimenti, con rilevata sufficienza dell’utilizzo da parte della stazione appaltante di una relazione geologica, acquisita successivamente, riguardante un immobile posto in prossimità dell’area su cui doveva essere edificata la scala esterna, che consentiva una valutazione adeguata del sito anche in ragione del carattere accessorio, in relazione agli edifici preesistenti di rilevante impegno strutturale, del nuovo corpo di fabbrica e, ancora, quanto alla relazione geotecnica formata ai sensi del d.m. 11 marzo 1988 perché riferita ad una relazione geologica relativa ad immobile posto in prossimità dell’area di scavo per la scala — e quindi la redazione da parte della committenza della progettazione esecutiva in maniera completa e corredata dalla documentazione prescritta dalla legge e dal regolamento di attuazione di cui al d.P.R. n. 554 del 1999;
- c) la non obbligatorietà del deposito dei calcoli delle strutture in c.a. da parte della committenza in sede di progettazione esecutiva.
- Ricorre per la cassazione dell’indicata sentenza G.C. a r.l. con quattro motivi cui resiste con controricorso l’ASL VCO di Omegna.
Le compagnie di assicurazioni si sono costituite con controricorso, svolgendo altresì la Società Reale M.D.A. ricorso incidentale affidato ad un solo motivo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
- Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 130 d.P.R. n. 554 del 1999, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.
La Corte di appello di Torino aveva erroneamente accertato la sussistenza della previsione di consegne parziali dei lavori sin dalla fase di gara pur non avendo la committente mai disposto che la consegna delle opere dovesse avvenire all’esito della consegna delle aree che, di volta in volta, sarebbero state interessate alle lavorazioni.
Il cronoprogramma redatto dalla Asl e compreso nella documentazione di gara prevedeva che i lavori, divisi in quattro fasi, avrebbero comunque interessato per tutta la durata dell’appalto l’intera area, ferma la possibilità di adottare sospensioni programmate e variabili, ed il capitolato speciale non stabiliva che la committente avrebbe proceduto a consegne parziali né lo prevedeva il progetto esecutivo. Solo nella relazione del d.l. al Rup in data 8 settembre 2006 vi era stata, in ragione di una nuova pianificazione dei lavori per loro riduzione dovuta all’intervento di un terzo soggetto, il Centro Ortopedico di Quadrante, la necessità di procedere ai lavori secondo consegne parziali delle aree interessate, con conseguente comunicazione ex art 12 d.m. 145 del 2000 e dell’art. 35, comma 5, del Capitolato Speciale di Appalto.
L’impresa comunque aveva avuto conoscenza della necessità di provvedere ai lavori all’esito di consegne parziali delle aree per la prima volta il 20 novembre 2006, in sede di sottoscrizione del verbale di cantierabilità, della consegna lavori n. 1 e del contratto.
L’interpretazione degli atti di gara e della progettazione esecutiva data dalla Corte territoriale doveva ritenersi in violazione dell’art. 130, comma 6, d.P.R. n. 554 del 1999 là dove la norma dispone che debba essere il capitolato speciale a prevedere la consegna parziale dei lavori e tanto in ragione della loro natura ed importanza o, comunque, nell’ipotesi in cui si preveda l’indisponibilità delle aree o immobili, valendo, altrimenti, la contraria regola che le operazioni di consegna debbano effettuarsi in modo continuativo.
Il frazionamento dei lavori pone infatti a carico dell’appaltatore maggiori oneri e deve intendersi quale ragione di imputabilità dell’inadempimento contrattuale alla committenza. Il motivo presenta profili che sono di inammissibilità e di infondatezza.
1.1. Il motivo manca di autosufficienza nella parte in cui richiama genericamente i contenuti della documentazione di gara che vuole erroneamente intesa dalla Corte torinese senza farsi carico di indicare in modo puntuale ex art. 366, primo comma, n. 6 cod. proc. civ. e quindi senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, (Cass. SU 27/12/2019 n. 34469; Cass. 20/11/2017 n. 27475; Cass. SU n. 7161 del 25/03/2010).
1.2. A sostegno della conclusione di inammissibilità del mezzo proposto, vale ancora il rilievo di questa Corte che il tema del frazionamento dei lavori e della conseguente parziale consegna delle aree su cui i primi avrebbero dovuto trovare esecuzione è stato risolto con l’impugnata motivazione per un raccordo tra esiti istruttori e fattispecie in concreto scrutinata.
Nella indicata premessa deve farsi applicazione del principio, di portata classificatoria, pacifico nelle affermazioni della giurisprudenza di legittimità, per il quale il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa là dove l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. 05/02/2019 n. 3340; Cass.13/10/2017 n. 24155; Cass. 11/01/2016 n. 195; Cass. 30/12/2015 n. 26110; Cass. 04/04/2013 n. 8315).
Quanto viene in contestazione per il dedotto motivo è, per vero, più propriamente, il fatto ricostruito nell’impugnata sentenza e quivi inteso come acquisita conoscenza da parte dell’appaltatrice — nella natura delle lavorazioni da eseguirsi in rapporto alla preservata funzionalità del presidio ospedaliero all’interno del quale le lavorazioni stesse dovevano trovare esecuzione — della necessità di operare nell’area di cantiere secondo “consegne frazionate” e non in “‘modo contestuale”, nella dedotta necessità di consentire all’impresa una gestione del cantiere e degli interventi previsti secondo criteri di organizzazione aziendale ed utilità economica. Il tutto nella natura derogatoria, ai sensi dell’art. 130, comma 6, d.P.R. n. 554 dei 1999, contenente il “Regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici 11 febbraio 1994 1 n. 109, e successive modificazioni”, rispetto a quella continuativa della consegna parziale dei lavori che, come tale, deve essere affidata ad una specifica disposizione inserita nel Capitolato Speciale d’appalto.
La Corte di appello di Torino, per una disamina che sfugge al dedotto vizio di violazione di legge, fornisce una lettura dei documenti di gara, quali il capitolato speciale d’appalto (art. 13 che detta disposizioni anche per l’ipotesi di consegne frazionate), il piano di sicurezza e di coordinamento, questi ultimi quali parti integranti del contratto (art. 7 capitolato speciale), il cronoprogramma mensile delle lavorazioni riconnpreso negli elaborati tecnici esaminati dall’impresa per la valutazione dei lavori, che valorizza dei lavori che avrebbero dovuto effettuarsi (nuovo corpo di fabbrica destinato ad ospitare la scala esterna in c.a. di accesso ai piani, in vece di quella interna e l’opera di sostituzione di una scala in ferro antincendio), l’evidenza che essi avrebbero riguardato un presidio ospedaliero funzionante che, come tale, doveva essere garantito a tutela dell’interesse pubblico. In siffatta prospettiva resta scrutinata in sentenza anche la previsione di quattro fasi di lavorazione, divise da possibili periodi di sospensione, che contenuta nel cronoprogramma viene intesa dalla Corte di merito — con ragionamento che non si espone a censura in sede di legittimità e che peraltro neppure resta attinto da critica per tali contenuti — come coerente con le “consegne ripartite” dei lavori preferibile alla diversa ipotesi di una “consegna complessiva” e tanto nelle valorizzate peculiarità dell’area di svolgimento delle lavorazioni di messa a norma di una struttura ospedaliera funzionante.
Anche la vicenda della relazione del d.l. al Rup in data 8 settembre 2006 — in cui, si deduce in ricorso, sarebbero state per la prima volta esplicitate modalità di realizzazione dei lavori a “consegne parziali” in ragione di nuova pianificazione delle opere, qui contratte nella loro consistenza, con conseguente previsione di espressa informazione dell’impresa secondo oneri di legge — riceve scrutinio in sentenza accomunata da un giudizio di coerenza con quanto previsto nella documentazione dell’appalto, in quanto intesa come confermativa, per settori di particolare sensibilità per l’attività sanitaria, di una determinata modalità operativa nel resto rappresentata nei documenti di gara e nella fase preliminare ?go._ stipula del contratto (p. 33).
1.3. Alla lettura sollecitata in ricorso non sono poi estranee ulteriori ragioni di inammissibilità del motivo dettate, ex art. 366, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., dalla reiterazione dinanzi a questa Corte di cassazione di censure già proposte e vagliate dai giudici di appello e ciò senza che le prime si facciano carico delle ragioni offerte dal giudice di merito con il consequenziale effetto di realizzare una mera contrapposizione della valutazione del ricorrente al giudizio espresso dalla sentenza impugnata (Cass. 24/09/2018 n. 22478; Cass. 31/08/2015 n. 17330).
1.4. Il motivo è comunque infondato.
L’art. 130, comma 6, d.P.R. n. 554 del 1999 stabilisce che “Il capitolato speciale dispone che la consegna de/lavori possa farsi in più volte con successivi verbali di consegna parziale quando la natura o l’importanza dei lavori o dell’opera lo richieda, ovvero si preveda una temporanea indisponibilità delle aree o degli immobili.
In caso di urgenza, l’appaltatore comincia i lavori per le sole parti già consegnate. La data di consegna a tutti gli effetti di legge è quella dell’ultimo verbale di consegna parziale”.
Il ricorrente, che valorizza dell’indicata norma la natura di eccezione alla regola generaie secondo la quale, in materia di consegna dei lavori le relative operazioni devono essere effettuate in modo continuativo anche nel caso in cui, per estensione delle aree e importanza dei mezzi d’opera da impiegarsi, si debba procedere in più luoghi e tempi ai relativi accertamenti, deduce infondatamente l’erroneità dell’interpretazione datane dai giudici di appello.
Nell’impugnata sentenza si dà conto del Capitolato Speciale d’Appalto che prevede consegne frazionate (pp. 24, 30) per un processo interpretativo che raccorda e valorizza quei contenuti attraverso lo scrutinio della documentazione di gara e del contratto di appalto.
La violazione dell’art. 130, comma 6, d.P.R. cit., è entrata a far parte del tema di decisione in appello perché, si legge nell’impugnata sentenza, ciascuna delle parti, committente ed appaltatrice, rivendicava la risoluzione del contratto di appalto ed il risarcimento dei danni contestando l’avverso inadempimento ex art. 1453 cod. civ.
L’inadempimento sarebbe consistito, secondo deduzione dell’appaltatrice-appellante, nella sofferta imposizione in contratto da parte della committenza pubblica di consegne ripartite delle lavorazioni e tanto nonostante la loro mancata espressa previsione nel Capitolato Speciale dei Lavori, con conseguente illecito stravolgimento dell’organizzazione dei lavori e maggiori oneri per l’impresa che confidava invece in un’ordinaria e quindi continua consegna delle opere. La questione è impropriamente dedotta là dove si consideri che quanto viene ad essere contestato in ricorso è in realtà una lesione alla libertà contrattuale alterata nei suoi contenuti per intervenuta accettazione da parte dell’impresa di condizioni contrattuali peggiorative rispetto a quelle prospettate nella fase preliminare di gara per una responsabilità precontrattuale.
Non di responsabilità e di inadempimento contrattuale quindi deve trattarsi, ma di una preliminare lesione della libertà negoziale fonte di danno atteso che il soggetto ha contratto a condizioni peggiorative perché determinatovi da violenza, errore o dolo dell’altro contraente (art. 1427 cod. civ.) o ancora, a contratto valido, in caso di lesione della buona fede contrattuale (vd. per l’esistenza, a contratto validamente concluso, di ragioni di danno da lesione della libertà negoziale: Cass. 17/09/2013 n. 21255, anche sub specie dell’omessa informativa: Cass. 23/03/2016 n. 5762).
Le categorie destinate a rilevare sono quindi quelle della invalidità del contratto concluso e del vizio del consenso o ancora della lesione della buona fede formatasi nello svolgimento delle attività che hanno preceduto la stipula del contratto, categorie che in alcun modo sono individuate in ricorso e tanto pure a fronte di un argomentare deciso, e non contrapposto sul punto, della Corte di appello che chiaramente evidenzia nello svolgimento degli eventi — in cui l’impresa assume contezza dell’assunto peggioramento delle condizioni contrattuali ben prima della stipula dell’appalto che sottoscrive con riserva di far valere le diverse deteriori condizioni — la frattura integrata dalla intervenuta stipula del contratto di appalto nell’equazione: contratto concluso equivale ad accettazione delle convenute condizioni nella incontestabilità delle precedenti, in quanto migliori.
Nella improprietà della censura, che in alcun modo richiama le indicate categorie ed il riportato costrutto, restano comunque ferme le valutazioni condotte dalla Corte di appello di Torino di corretto governo delle prove documentali e della regola di cui all’art. 130 d.P.R. n. 554 del 1999. 2. Con il secondo motivo la ricorrente censura per violazione di legge (degli artt. 16 e 18 legge n. 109 del 1994, degli artt. 25, 27, 35 e 37 d.PiR. n. 554 del 1999, dell’art. B2 d.m.11 marzo 1988, dell’art. B5 d.m. il marzo 1988 per errata interpretazione del punto 2) della Delibera della Giunta Regionale Regione Piemonte n. 61- 11017 del 17 novembre 2003), in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la sentenza impugnata per il capo in cui ha statuito sulla completezza della documentazione progettuale allegata al bando di gara, segnatamente con riferimento alla relazione geologica ed a quella geotecnica.
L’appaltatrice aveva denunciato, a fronte della disciplina generale che impone in materia di appalti pubblici la redazione completa ed esaustiva della progettazione esecutiva, carenze progettuali dovute alla mancanza delle relazioni geologica e geotecnica. La Corte di merito aveva ritenuto la non necessità delle relazioni tecniche quanto alla scala di c.a. di nuova realizzazione ed a quella in ferro antincendio, le uniche opere richiedenti una fondazione, e tanto perché: l’una insisteva sullo stesso sito su cui si trovava l’immobile principale rispetto al quale era in un rapporto di servizio e l’altra duplicava analogo e preesistente manufatto.
I giudici di appello avevano ritenuto che la scala esterna in c.a. di nuova realizzazione pur insistendo su “zona sismica 4” rientrasse, in quanto a corredo di un presidio ospedaliero di non “alta importanza”, perché privo di reparti DEA (Dipartimento d’emergenza e accettazione) e DEU (Dipartimento Emergenza Urgenza), sostitutivi del vecchio “Pronto soccorso”, nell’esenzione dall’osservanza della normativa antisismica prevista dalla delibera regionale del 17 novembre 2003.
A tanto conseguiva la possibilità di utilizzo di una relazione geologica relativa ad un immobile prossimo all’area su cui doveva realizzarsi il nuovo manufatto e di una relazione geotecnica che, inviata solo in data 27 novembre 2006 e non riportata negli elaborati tecnico-amministrativi, andava riferita ad un edificio prossimo allo scavo.
Le motivazioni indicate erano violative degli artt. 16 e 18 della legge n. 109 del 1994 e degli artt. 25, 27, 35 e 37 del d.P.R. n. 554 del 1999 e del principio per il quale in materia di appalto pubblico le iisposizioni sull’attività di progettazione, che deve essere completa ed esaustiva e quindi comprensiva delle indicate relazioni, integrano norme imperative inderogabili ai sensi dell’art. 1418, primo comma, cod. civ. e, ove violate, sono ragione di responsabilità della comnnittenza quanto alla risoluzione contrattuale. La relazione geologica non può essere sostituita da una qualsiasi altra valutazione di idoneità da parte di un progettista, diverso dal geologo, anche se riferita ad un precedente elaborato o a criteri i adiacenza territoriale.
Le norme tecniche dettate dal d.m. 11 marzo 1988 sull’indagine dei terreni finalizzate aile attività di progettazione, esecuzione e collaudo, all’art. B2, stabiliscono per la progettazione esecutiva !ndagini geotecniche del sottosuolo per individuare la scelta progettuale e di eseguire i calcoli di verifica non obliterabili e la pronuncia adottata dalla Corte di merito violava tali previsioni.
La sentenza impugnata aveva erroneamente interpretato la delibera regionale del 17 novembre 2003 che anche se consentiva alle stazioni appaltanti, per le “zone sismiche 4”, di predisporre la progettazione non seguendo parametri e tecniche di costruzione altrimenti prescritte per le zone sismiche, non incideva sulla “normativa antisismica” e per essa sulla documentazione che deve essere allegata alla progettazione, tra la quale rientra la relazione geologica che è obbligatoria ex art. B5 d.m. 11 marzo 1988 per tutte !e zone sismiche, senza distinzione del grado di sismicità.
Alla disamina del motivo, variamente articolato nei suoi contenuti, si accompagna l’individuazione di due profili di inammissibilità.
2.1. Al primo si correla i! principio per il quale la mancata deduzione del vizio di nullità dinanzi al giudice del merito, e comunque la mancata allegazione di una sua tempestiva deduzione in detta fase nel giudizio di legittimità, rende il profilo del motivo inammissibile per sua novità (Cass. 13/12/2019 n. 32804).
L’indicata regola trova poi sua specificazione nell’ulteriore secondo la quale la nullità del contratto posto a fondamento dell’azione di adempimento, ma tanto è a dirsi anche rispetto a quella di risoluzione, è rilevabile d’ufficio, ma non può essere accertata sulla base di una “nuda” eccezione o deduzione, sollevata per la prima volta con il ricorso per cassazione, basata su contestazioni in fatto in precedenza mai effettuate, a fronte della quale l’intimato sarebbe pregiudicato perché costretto a subire il “vulnus” delle maturate preclusioni processuali (Cass. 09/08/2019 n. 21243; Cass. 19/02/2020 n. 4175).
La nullità dell’attività di progettazione in quanto non completa perché non comprensiva delle relazioni geologica e geotecnica viene dedotta nel giudizio di cassazione quale grave inadempimento della committenza pubblica che di quell’attività si è avvalsa in vista della stipula del contratto di appalto; si tratta di questione nuova alla cui deduzione si accompagnano accertamenti di fatto non conducibili in sede di legittimità.
2.2. Un ulteriore profilo di inammissibilità ha diretta derivazione dal principio evocato in ricorso (pp. 27 e 28) e per il quale, in materia di appalto di opere pubbliche, le disposizioni disciplinanti l’attività di progettazione nell’ambito del contratto, in quanto rispondenti a finalità pubblicistiche, sono, in linea di principio, norme imperative, ai sensi dell’art. 1418, primo comma, cod. civ., e non possono essere derogate dai contraenti se non nei casi e nei modi previsti dalle norme medesime; in particolare, è norma imperativa quella che attribuisce all’amministrazione e all’ente aggiudicatore dell’appalto la predisposizione del progetto esecutivo dell’opera sulla cui base soitanto si può procedere all’affidamento dei lavori, con conseguente sostituzione automatica, ai sensi dell’art. 1339 cod. civ., della norma di legge inderogabile alla contraria regola pattizia dichiarata nulla (Cass. 12/08/2010 n. 18644).
L’evocato meccanismo postula perché possa aversene l’esame nel giudizio di legittimità la soddisfazione ad opera della parte deducente di un articolate allegazioni che devono farsi carico dell’indicazione della previsione di contratto e di quella di legge perché poi in via consequenziale la parte possa ar valere la caducazione della prima e la sua automatica sostituzione secondo legge.
Niente di ciò è consegnato ai contenuti del proposto ricorso in cui il deducente fa valere a sostegno del dedotto inadempimento della committenza pubblica la nullità contrattuale per violazione della normativa in materia di progettazione nell’appalto delle opere pubbliche ed invoca l’inadempimento senza neppure agganciarlo a previsione contrattuale.
Piuttosto, il diverso richiamo contenuto in ricorso all’attività di documentazione di gara non completa e posta alla base della individuazione, nelle forme pubbliche, dell’appaltatore, obbligo il cui adempimento è prodromico alla valida conclusione del contratto di appalto, là dove poi il contratto di appalto sia stato comunque concluso alle invalide condizioni porrebbe finanche la questione della sopravvivenza della nullità quale causa di inadempimento della parte CO mmittente. Verrebbe allora in considerazione la diversa ipotesi della lesione della libertà negoziale nel presupposto sofferto pregiudizio dell’appaltatore per inosservanza dalla parte pubblica degli obblighi di informazione, evidenza del tutto estranea alla costruzione tentata in ricorso.
2.3. Un ulteriore profilo di inammissibilità tocca la questione della motivazione impugnata e l’individuazione e critica di tutte le rationes decidendi cui perviene la Corte di merito nel comporre gli esiti istruttori, le conclusioni della c.t.u. espletata in primo grado, con le 15 f disposizioni normative disciplinanti la materia della edificazione in zona sismica, di cui pure apprezza contenuto e portata.
La Corte di appello infatti da una parte ritiene che debba trovare applicazione l’art. 4 della Delibera regionale del 17 novembre 2003, nella parte in cui sottrae all’osservanza della normativa antisismica le costruzioni non rientranti tra quelle di “interesse strategico”, qualificando poi in siffatti termini l’ospedale di Omegna che ospita un presidio di “Primo Soccorso” e manca invece di reparti di alta specializzazione, quali il DEA (Dipartimento di Emergenza Urgenza e Accettazione), il DEU (Dipartimento di Emergenza-Urgenza) e di una Centrale operativa del “118”.
La Corte torinese conclude quindi nel senso della esistenza di un regime di deroga, ai fini della progettazione, nella non necessità per ia committenza dell’allegazione al progetto esecutivo della relazione geologica nella sufficienza invece dell’inoltro all’impresa, a pochi giorni dalla intervenuta conclusione del contratto di appalto e prima dell’inizio dei lavori, di una relazione geologica per contenuti ritenuti “adeguati” in ragione di una serie di evidenze in fatto volte a valorizzare la congruità degli esiti tecnici comunque raggiunti rispetto al sito in cui sarebbero state realizzate le nuove opere (corpo scala esterno in c.a. e raddoppio della scala in ferro già esistente).
Ad una valutazione di “necessità” operata dalla norma e non destinata a venire in considerazione in sede di legittimità per le considerazioni sopra esposte su contenuti della nullità e loro rilievo ufficioso, si sostituisce, secondo la motivazione impugnata, per un giudizio che transita attraverso la valutazione del carattere “non strategico” dell’opera, una valutazione di “adeguatezza”, categoria di squisito merito che non risulta censurabile davanti a questa Corte di cassazione. Quanto sinora esposto vale per ritenere, in via conclusiva, che nella ritenuta novità ed inammissibilità della censura contenuta nel motivo sulla violazione della normativa disciplinante la progettazione esecutiva in area sismica, quanto residua della critica condotta in ricorso in punto di inosservanza di norme imperative soggiace al rilievo che si tratta di allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che esterna all’esatta interpretazione della norma e tipica della valutazione del giudice di merito, è sottratta al sindacato di legittimità (ex multis: Cass. 05/02/2019 n. 3340).
2.4. Ciò che è destinato a venire in rilievo nell’impugnata sentenza è piuttosto la motivazione censurabile in cassazione per l’estremo del “fatto decisivo” ex art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. e delle correlate rationes decidendi che vengono denunciate come non individuabili e quindi per contenuti che sono rimasti estranei alla portata critica.
Tanto vale per il sottolineato, in sentenza: a) carattere “accessorio” del corpo di fabbrica ospitante la scala esterna; da valere b) rispetto agli edifici “di consistente impegno strutturale già esistenti sul terreno, senza alcun tipo di problema di carattere statico per essi, e della significativa urbanizzazione dell’area nel suo complesso”, c) nella riferibilità della relazione geologica ad un immobile “prossimo all’area su cui la scala avrebbe dovuto essere edificata” (p. 41 sentenza della Corte di appello).
Del pari, quanto alla relazione geotecnica, la motivazione sviluppa sulle seguenti rationes che sono obliterate nella pure condotta critica: a) la relazione è formata nell’osservanza delle previsioni tecniche di cui al d.m. 18 marzo 1988; b) è a firma del progettista, ingegnere “che se ne assunto, sottoscrivendola nella sua veste professionale, la responsabilità affermandone l’adeguatezza per il sito oggetto dell’intervento”; c) è “relativa ad un immobile sito a 40 metri dallo scavo per la scala”; d) è utilizzabile “per la limitatezza dell’intervento edile, per il previsto monitoraggio diretto a scavo avvenuto e per la prossimità del sito preso a riferimento sotto il profilo geologico, tale da rendere poco verosimile una modifica sostanziale delle caratteristiche del terreno” (p. 42 sentenza).
2.5. Il motivo si presta altresì ad una valutazione di infondatezza per una pluralità di ragioni che, tutte, convergono nel dare contenuto all’atteggiarsi del rapporto tra le parti in materia di appalto dei lavori pubblici. In materia di appalto di opere pubbliche le mancanze della progettazione esecutiva — uno dei livelli, insieme a quella preliminare e definitiva, alla cui completezza ed efficienza si accompagna lo svolgimento di correlate attività ed allegazioni documentali (artt. 16 e 18 legge n. 109 del 1994; artt. 25, 27, 35 e 37 d.P.R n. 554 del 1999) — riferibili alla stazione appaltante rientrano in un percorso che, guidato dall’osservanza dei canoni di diligenza e buona fede, definisce delle parti, stazione appaltante ed impresa appaltatrice, reciproci adempimenti al fine della realizzazione dell’opera pubblica.
L’impresa appaltatrice non può essere esonerata dall’osservanza degli oneri di caaborazione denunciando, nella presupposta staticità della dedotta violazione, l’inadempimento maturato nella precedente fase per non avere la committenza pubblica allegato, agli atti di gara, la documentazione tecnica di corredo al progetto esecutivo.
L’appaltatore è comunque chiamato, infatti, nella successiva fase di realizzazione dell’opera pubblica, a far fronte all’iniziale mancanza del bando di gara per una condotta contrattuale che, dinamica, resta sorretta ne suo svolgimento dall’osservanza delle regole di diligenza e buona fede.
Ai sensi dell’art. 16 della legge cd. Merloni ter n. 109 del 1994 e del Regolamento sui LL.PP. di attuazione di cui al d.P.R. n. 554 del 1999 (artt. 25, 26, 27 e 37), è obbligatoria da parte della committenza pubblica l’acquisizione agli atti progettuali di gara della relazione geologica, specifica ed attuale, previo svolgimento sui luoghi in cui deve realizzarsi l’opera pubblica, delle relative indagini dirette ad orientare la scelta dell’ubicazione e del tracciato dell’opera e la previsione dei metodi di scavo, ai fini della progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva. Là dove la stazione appaltante manchi di allegare detta relazione e stipuli il contratto di appalto con l’impresa quest’ultima non potrà chiedere la risoluzione ex art. 1453 cod. civ. facendo valere l’inadempimento grave della committenza per la condotta tenuta nella precedente fase, quella di gara, perché rientra tra gli obblighi di diligenza dell’appaltatore esercitare il controllo della validità tecnica del progetto fornito dal committente, di cui costituisce parte integrante, ai sensi del d.m. 11 marzo 1988, la relazione.
In sede esecutiva l’appaltatore ha l’obbligo di segnalare al committente le inesattezze delle informazioni risultanti dalla relazione geologica, al fine di promuovere le modifiche progettuali necessarie per la buona riuscita dell’opera e le necessarie varianti in corso d’opera (sul principio: Cass. 18/02/2008 n. 3932; più recentemente: Cass. 26/02/2020 n. 5144).
A definizione della cornice degli obblighi che, reciproci, gravano sulle parti e guidano nella fase esecutiva l’appalto di un’opera pubblica si inseriscono, ancora, gli atti ricognitivi dell’appaltatore sullo stato dei luoghi e sulla fattibilità dell’opera. In tema di appalto pubblico, l’art. 71, comma 3, del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, che stabilisce che in nessun caso si procede alla stipulazione del contratto, se il responsabile del procedimento e l’impresa appaltatrice non abbiano concordemente dato atto, con verbale da entrambi sottoscritto, del permanere delle condizioni che consentono l’immediata esecuzione dei lavori, ha carattere imperativo e rappresenta il logico sviluppo del puntuale dovere cognitivo, quanto alla conoscenza delle condizioni locali e di tutte le circostanze che possono influire sulla formulazione dell’offerta e sull’esecuzione dell’opera, che il secondo comma della medesima disposizione pone a carico dell’appaltatore.
L’appaltatore, pertanto, qualora quel verbale abbia sottoscritto per poi stipulare il contratto di appalto, in tal modo registrando dello stato dei luoghi — nel tempo e senza soluzione di continuità, dalla fase di gara alla stipula del contratto — il carattere immutato, non può far valere quale causa di inadempimento la nullità del negozio; tanto non può aversi né per mancata corrispondenza dello stato dei luoghi a quelli verificati in sede di gara né, vieppiù, per un loro priginario difetto, per un contratto che proprio con quella manifestazione di volontà l’appaltatore ha contribuito a perfezionare e ad eseguire (vd. Cass. 18/05/2015 n. 10074; sulla regula iuris, affermata con riguardo allo stretto momento contrattuale e nella vigenza del d.P.R. n. 1062 del 1963: Cass. 18/02/2008 n. 3932).
Ancora, a definizione del corredo di obblighi gravanti in materia di appalto di opere pubbliche sulle parti, committente ed appaltatore, nella fase esecutiva si inserisce, sempre ispirato al canone della collaborazione secondo diligenza e buona fede, l’art. 25, comma 1, lett. d) della legge n. 109 del 1994 là dove stabilisce che le varianti in corso d’opera possono essere ammesse per il manifestarsi di errori o di omissioni del progetto esecutivo che pregiudicano, in tutto o in parte, la realizzazione dell’opera ovvero la sua utilizzazione. Le omissioni del progetto esecutivo pregiudizievoli, in tutto o in parte, la realizzazione o utilizzazione dell’opera pubblica ben possono consistere nella mancata allegazione, in sede di gara, della relazione geologica e la praticabilità di varianti in corso d’opera ex art. 25, comma 1, lett. d) legge n. 109 del 1994 vale ad affermare delle prime l’assorbimento, nel loro rilievo, in applicazione del dovere di collaborazione ispirato ai canoni di diligenza e buona fede che presiede allo svolgimento del rapporto contrattuale.
2.6. In corretta applicazione degli indicati principi, la Corte di appello di Torino ha dapprima sottolineato la condotta dell’appaltatrice nella fase precedente alla stipula del contratto, evidenziando la valutazione ivi svolta dalla parte di piena adeguatezza alla realizzazione delle opere degli elaborati progettuali di gara e quindi la sottoscrizione in sede di verbale di cantierabilità, nel riconosciuto permanere delle condizioni dei luoghi, e, ancora, gli omologhi contenuti del verbale di consegna parziale n. 1, successivo alla stipula (p. 37).
Quanto alla mancanza di collaborazione dell’appaltatrice nella fase esecutiva, la Corte di merito valorizza il rifiuto dalla prima frapposto alla realizzazione dello scavo di trincea, individuato quale mezzo tecnico che, deputato alle indagini sulle fondazioni nel loro rapporto, ai fini della staticità dei nuovi corpi di fabbrica, con il terreno di consistenza ben avrebbe potuto condurre alla variante in corso d’opera, strumento tipico di rimedio agli errori di progettazione (p. 43).
- Con il terzo motivo la ricorrente fa valere omessa motivazione ed omessa pronuncia con violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, n. 4 cod. proc. civ. e la violazione degli artt. 16 e 18 legge 109 del 1994 nonché degli artt. 25, 31, 35 lett. d) art. 39 d.P.R. n. 554 del 1999, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3 cod. proc. civ. e, ancora, dell’art. 65 e 93 del d.P.R. n. 380 del 2001, dell’art. 17 legge 64 del 1974; falsa applicazione per errata interpretazione della delibera regionale n. 61-11017 del 2003.
La committenza non aveva predisposto i calcoli esecutivi delle strutture in cemento armato evidenza che, contraria alle norme imperative in materia di progettazione (artt. 16 e 18 legge n. 109 del 1994 e disposizioni del relativo regolamento), aveva fatto sì che G.C. fosse nell’impossibilità di comunicare i relativi dati allo Sportello Unico dei Comune (obbligo sancito dagli art. 65 e 93 d.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. 17 della legge n. 64 del 1974) e quindi di avviare l’esecuzione dei lavori.
La Corte di appello non si era pronunciata sull’obbligo ex se della predisposizione dei calcoli delle strutture in c.a. Si tratta di motivo inammissibile per la novità delle evidenze in fatto che alla sua deduzione si accompagnano, come indicato sub motivo n. 2.1.
- Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione e Falsa applicazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., dell’art. 30 della legge n. 109 del 1994 e dell’art. 101 del d.P.R. n. 554 del 1999 in cui era incorsa la Corte di merito per avere riconosciuto il diritto alla stazione appaltante ad escutere la polizza conclusa con la Reale Mutua in difetto di prova del pregiudizio.
Il motivo è fondato.
Questa Corte di cassazione ha avuto occasione di rilevare che la cauzione in numerano o in titoli, dovuta dall’appaltatore a garanzia dell’adempimento delle obbligazioni contrattuali, giusta l’art. 54 del r.d. 23 maggio 1924, n. 827 (come riformato dall’articolo unico del d.P.R. 29 luglio 1948, n. 1309), e che può essere sostituita anche da una fideiussione bancaria o da una polizza assicurativa fideiussoria, non ha funzione satisfattoria, ma natura di garanzia reale generica, finalizzata ad assistere qualsiasi ragione di credito effettivamente esistente a favore della P.A. Ne consegue che, ove alla prestazione segua l’inadempimento dell’appaltatore, la P.A. può soddisfare il proprio credito incamerando l’importo ricevuto in numerano o procedendo alla vendita dei titoli o all’escussione della fideiussione, ma solo nei limiti del pregiudizio effettivamente subìto, del quale è tenuta a fornire la prova, essendole espressamente consentito di agire per il ristoro dei maggiori oneri eventualmente sopportati, ma non anche di trattenere importi eccedenti l’ammontare delle spese sostenute e dei danni riportati (Cass. 08/10/2014 n. 21205 che richiama Cass., 23/02/1979, n. 1212).
Resta fermo il rilievo della insufficienza dell’evidenza che, per effetto del ritardo nella realizzazione dell’opera o del comportamento negligente dell’appaltatore, l’Amministrazione abbia dovuto avvalersi della risoluzione del contratto rimedio a cui non consegue un danno risarcibile. Per la configurabilità di tale pregiudizio è invece necessaria l’allegazione e la prova dei maggiori oneri sopportati per la stipulazione di un nuovo contratto d’appalto e per l’esecuzione d’ufficio dei lavori, nonché dell’eventuale ulteriore danno derivante dall’impossibilità di disporre dell’opera entro il termine originariamente previsto per la sua ultimazione, la cui dimostrazione à a carico della committente (Cass. n. 21205 cit., in motivazione pp. 9 e 10 che richiama Cass. 04/11/2005 n. 21407).
Da siffatta regola, chiara è la necessità che la cauzione possa essere incamerata, nel riconoscimento del relativo diritto, in favore della stazione appaltante che, garantita, abbia comprovato il pregiudizio sofferto in esito all’inadempimento dell’appaltatore nei termini indicati.
Siffatto accertamento risulta omesso dalla Corte torinese che ha ritenuto il diritto ad incamerare la somma costituita a cauzione in difetto di motivazione alcuna in punto di danno subito, in tal modo mancando di fare piena e corretta applicazione dell’indicato principio.
Si tratta di evidenza vieppiù chiara ove si consideri che in modo inammissibile la controricorrente argomenta, per converso, sul proprio diritto ad incamerare la cauzione da un danno all’immagine che alla struttura ospedaliera sarebbe venuto dalle sorti incontrate dal contratto di appalto presso la popolazione locale.
Il motivo, pertanto, rigettata ogni altra censura, va accolto e con esso anche l’incidentale proposto dalla Reale Mutua Assicurazioni con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa alla Corte di appello di Torino, altra sezione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il primo, il secondo ed il terzo motivo del ricorso e accolto il quarto e quello in via incidentale proposto da Reale Mutua Assicurazioni, cassa nei sensi di cui in motivazione la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Torino, altra sezione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima