Sentenza 39145/2021
Espropriazione per pubblica utilità – Cumulo delle domande di risarcimento del danno da occupazione appropriativa e dell’opposizione alla stima dell’indennità spettante per il periodo di occupazione legittima
In tema di espropriazione per pubblica utilità, è ammissibile il cumulo di domande aventi per oggetto, da una parte, l’impugnazione innanzi alla Corte di appello della pronuncia di primo grado riguardante il risarcimento del danno da occupazione appropriativa e, dall’altra, l’opposizione, in unico grado, alla stima dell’indennità spettante per il periodo di occupazione legittima, non verificandosi, con riferimento a quest’ultima domanda, alcuna lesione del diritto al doppio grado di giurisdizione.
Cassazione Civile, Sezione 1, Sentenza 9-12-2021, n. 39145 (CED Cassazione 2021)
Art. 2043 cc (Risarcimento per fatto illecito) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
1. (OMISSIS) convenne in giudizio (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) s.p.a. dinanzi al Tribunale di Milano, chiedendo la condanna in solido delle due parti convenute al risarcimento del danno conseguente all’irreversibile trasformazione di un terreno di sua proprietà sito nel Comune di (OMISSIS), di superficie pari a circa 1.100 mq., illegittimamente occupato al fine di realizzarvi il Centro Compartimentale (OMISSIS); l’attrice dedusse che l’occupazione urgente ed indifferibile del predetto terreno, disposta con decreto del Prefetto della Provincia di Sondrio del 31.12.1990, si era protratta ben oltre il periodo indicato di 1500 giorni, comportando, per effetto dell’accessione invertita, l’acquisizione del fondo della ricorrente a favore dell’Amministrazione, con la contestuale estinzione del suo diritto di proprietà.
Il Tribunale di Milano, con sentenza del 30.1.2003, rigettò la domanda proposta nei confronti della (OMISSIS) e dichiarò responsabile in via esclusiva l'(OMISSIS) e di conseguenza la condannò al pagamento in favore dell’attrice della somma di Euro 56.562,36, oltre alle spese processuali.
2. Con sentenza del 14.2.2007 la Corte di appello di Milano rigettò l’appello principale proposto da (OMISSIS) e l’appello incidentale dell'(OMISSIS) e osservò che anche se alla (OMISSIS) era stato delegato il compito di compiere gli atti afferenti al procedimento espropriativo non erano emersi “esatti e precisi profili volti ad accertare la configurabilità dell’illecito aquiliano a carico del delegato”.
Secondo la Corte di appello, inoltre, le contrapposte censure mosse dalle parti in merito alla quantificazione del danno non erano fondate alla stregua delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, ritenute corrette e aderenti ai principi della materia.
3. Per la cassazione di tale decisione (OMISSIS) propose ricorso, affidato a tre motivi, a cui l'(OMISSIS) e la (OMISSIS) resistettero con controricorso.
3.1. Con il primo motivo la ricorrente dedusse violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio e sostenne l’erroneità dell’esclusione della responsabilità solidale di (OMISSIS), la quale, in quanto a ciò delegata, era obbligata a promuovere correttamente e tempestivamente il compimento dell’attività amministrativa e aveva tenuto, quindi, una colpevole condotta omissiva.
3.2. Con il secondo mezzo la ricorrente denunciò omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nonchè violazione e falsa applicazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis e dell’art. 2043 c.c., dolendosi che la Corte territoriale avesse aderito alla stima effettuata dal consulente tecnico d’ufficio, ritenuta inadeguata per difetto, e avesse applicato i criteri riduttivi di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, dichiarato illegittimo con sentenza della Corte Costituzionale n. 349 del 2007.
3.3. Con la terza censura, relativa all’indennità di occupazione, la ricorrente lamentò la violazione dell’art. 112 c.p.c. e l’omissione di pronuncia sul punto, aggiungendo che l’indennità avrebbe dovuto essere calcolata sulla base di quella, virtuale, di espropriazione, determinata alla stregua del valore di mercato dell’area.
3.4. Con la sentenza n. 18554 del 21.9.2015 la Corte di cassazione dichiarò inammissibili il primo ed il terzo motivo ed accolse il secondo con riferimento al suo secondo profilo, incentrato sull’inapplicabilità dei criteri riduttivi ormai abrogati, ritenuto fondato alla luce dalla sentenza della Corte costituzionale n. 349 del 2007, nel frattempo intervenuta.
Venne pertanto precisato che l’ammontare della somma dovuta a titolo di risarcimento per la irreversibile trasformazione del bene doveva essere calcolata con riferimento al valore pieno del terreno irreversibilmente trasformato, secondo la previsione della L. n. 2359 del 1865, ai sensi del richiamato art. 39.
La sentenza impugnata è stata pertanto cassata in relazione al motivo accolto, con il conseguente rinvio, anche per la regolazione delle spese, alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione.
4. Avverso la predetta sentenza con atto notificato il 19.12.2015 (OMISSIS) ha proposto ricorso per revocazione ex art. 391 bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, svolgendo un motivo di revocazione.
4.1. La ricorrente osserva che la Corte aveva dichiarato inammissibile il suo terzo motivo di ricorso – ut supra volto a denunciare omissione di pronuncia – per due distinte ragioni, ossia perchè:
(a) era stato ritenuto incompleto il relativo quesito di diritto;
(b) non era stato indicato l’atto del giudizio di merito con cui era stata proposta la domanda di riconoscimento dell’indennità di occupazione.
Secondo la ricorrente entrambe tali affermazioni sono frutto di un errore nell’esame del ricorso introduttivo.
4.2. In particolare, la ricorrente osserva che il terzo motivo di ricorso si componeva di due censure, la prima relativa all’omessa pronuncia, la seconda relativa al criterio di determinazione dell’indennità pretermessa (interessi legali sull’indennità di esproprio).
La Corte aveva esaminato solo il primo quesito, ritenendolo incompleto, perchè “formulato in termini di mero interpello” e non il secondo, contenuto alla pagina 30 del ricorso, incorrendo così in errore di fatto che l’ha indotta a ritenere incompleto il quesito.
4.3. Aggiunge la ricorrente che la Corte era incorsa anche in un secondo errore, non avendo individuato l’atto da cui risultava la proposizione da parte sua della domanda di riconoscimento dell’indennità di occupazione legittima, che invece ella aveva puntualmente indicato sia a pagina 8 della parte narrativa in sede di esposizione del giudizio di secondo grado, sia alle pagine 11-12 della parte narrativa in sede di esposizione delle conclusioni definitive del giudizio di secondo grado, sia, ancora, a pagina 12 del ricorso, sia, infine, a pagina 27 in sede di trattazione del terzo motivo di ricorso.
La domanda in questione (indennità per occupazione legittima) era stata proposta con l’atto di impugnazione della sentenza di primo grado in tema di risarcimento del danno da occupazione invertita alla Corte di appello, giudice funzionalmente competente in unico grado.
4.4. Le parti intimate non si sono costituite in giudizio.
La ricorrente ha depositato memoria.
Con ordinanza interlocutoria n. 18016 del 23.6.2021 l’esame del ricorso è stato sottoposto alla pubblica udienza della 1 sezione civile.
Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso per revocazione ex art. 391 bis c.p.c., è consentito solo se la sentenza o l’ordinanza pronunciata dalla Corte di Cassazione è affetta da errore materiale ovvero da errore di fatto ai sensi dell’art. 395, n. 4), ossia se la decisione è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa.
Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare. In tal caso la parte interessata può chiederne la correzione o la revocazione con ricorso ai sensi degli articoli 365 e segg., entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla notificazione ovvero di sei mesi dalla pubblicazione del provvedimento.
1.2. L’errore di fatto revocatorio, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 4, consiste in una falsa percezione della realtà, in una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, che abbia condotto ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo, incontestabilmente escluso dagli atti e dai documenti di causa, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che, dagli stessi atti e documenti, risulti positivamente accertato, sicchè i vizi relativi all’interpretazione della domanda giudiziale non rientrano nella nozione di errore di fatto denunciabile mediante impugnazione per revocazione (Sez. 3, 6.12.2018, n. 31563).
Il predetto errore di fatto revocatorio presuppone il contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti processuali; non è invece previsto come causa di revocazione della sentenza di cassazione l’errore di diritto, sostanziale o processuale, al pari dell’errore di giudizio o di valutazione (Sez. U., n. 9882 del 20.7.2001, Rv. 548338 – 01; Sez. U., n. 15227 del 30.6.2009, Rv. 608893 – 01).
D’altro canto, con riguardo al sistema delle impugnazioni, la Costituzione non impone al legislatore ordinario altri vincoli oltre a quelli, previsti dall’art. 111 Cost., della possibilità di ricorso in cassazione per violazione di legge di tutte le sentenze ed i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali, sicchè non appare irrazionale la scelta del legislatore di riconoscere ai motivi di revocazione una propria specifica funzione, escludendo gli errori giuridici e quelli di giudizio o valutazione, proponibili solo contro le decisioni di merito nei limiti dell’appello e del ricorso per cassazione, considerato anche che, quanto all’effettività della tutela giurisdizionale, la giurisprudenza Europea e quella costituzionale riconoscono la necessità che le decisioni, una volta divenute definitive, non possano essere messe in discussione, onde assicurare la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, nonchè l’ordinata amministrazione della giustizia (Sez. U., n. 8984 del 11.4.2018, Rv. 648127 – 02).
1.3. L’errore di fatto idoneo a costituire il vizio revocatorio:
1) deve consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente e immediatamente rilevabile e tale da aver indotto il giudice a supporre la esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile;
2) deve essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa;
3) non deve cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata;
4) deve presentare i caratteri della evidenza e della obiettività, sì da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche;
5) non deve consistere in un vizio di assunzione del fatto nè in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo;
6) deve riguardare gli atti interni, cioè quelli che la Corte esamina direttamente, con propria autonoma indagine di fatto, nell’ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili d’ufficio, e avere quindi carattere autonomo, nel senso di incidere direttamente ed esclusivamente sulla sentenza della S.C., perchè, se invece l’errore è stato causa determinante della decisione di merito, in relazione ad atti o documenti che ai fini della stessa sono stati o avrebbero dovuto essere esaminati, il vizio che inficia la sentenza dà adito agli specifici mezzi di impugnazione esperibili contro le sentenze di merito (Sez. 1, n. 8295 del 20.4.2005, Rv. 581562 – 01; Sez. 1, n. 4295 del 1.3.2005, Rv. 583237 – 01; Sez. U, n. 26022 del 30.10.2008, Rv. 605295 – 01); in particolare, costituiscono atti interni quelli conseguenti alla proposizione del ricorso (ad esempio, il deposito ex art. 369 c.p.c., comma 1, ed il controricorso con eventuale ricorso incidentale), tutti gli atti che vanno depositati insieme al ricorso ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, nonchè il fascicolo d’ufficio, ma esclusivamente nei casi in cui la Corte debba esaminarli direttamente con propria autonoma indagine di fatto, senza cioè la mediazione della sentenza impugnata, in quanto siano stati dedotti errores in procedendo, ovvero perchè siano emerse questioni processuali rilevabili d’ufficio (Sez. 1, n. 24856 del 22.11.2006, Rv. 593234 – 01).
Occorre quindi la deduzione di un errore meramente percettivo, risultante in modo incontrovertibile dagli atti e tale da aver indotto il giudice a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (o escluso) nella realtà del processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale, e non anche nella pretesa errata valutazione di fatti esattamente rappresentati (Sez. U., n. 26022 del 30.10.2008, Rv. 605295 – 01).
è stata anche chiarita l’importanza in tema di revocazione della distinzione tra giudizio di fatto (tutto ciò che attiene all’accertamento della verità di “fatti bruti”, fatti, dunque, accaduti nel mondo fenomenico, ai quali si addice per l’appunto il predicato di “vero” o “falso”), e giudizio di diritto (tutto quanto attiene all’applicazione di norme e, così, all’individuazione della norma applicabile al caso concreto, alla sua interpretazione, alla sussunzione dei fatti, come ricostruiti, entro la fattispecie astratta, all’individuazione delle conseguenze da quella norma previste); l’errore revocatorio ricorre in presenza di una falsa percezione della realtà: di un errore, cioè, obbiettivamente ed immediatamente percepibile, che attiene all’accertamento o alla ricostruzione della verità di specifici dati empirici, idonei a dar conto di un accadimento esterno al processo, al quale la parte interessata intende ricollegare effetti giuridici a sè favorevoli, all’esito della sua sussunzione entro una fattispecie generale ed astratta determinata (Sez. 1, n. 9361 del 16.4.2018; Sez. 1, n. 8760 del 10.4.2018; Sez. 1, 15186 del 20.6.2017; Sez. 6-3, n. 8472 del 29.4.2016; Sez. 6-3, n. 17402 del 30.7.2014).
1.4. L’impugnazione per revocazione è ammissibile in caso di omesso esame di un motivo di ricorso in presenza di un errore che presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa (Sez. 1, n. 26301 del 18.10.2018 Rv. 651304-01); deve tuttavia escludersi il vizio revocatorio tutte le volte che la pronunzia sul motivo sia effettivamente intervenuta, anche se con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte come motivi di censura del punto, perchè in tal caso è dedotto non già un errore di fatto (quale svista percettiva immediatamente percepibile), bensì un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso e, quindi, un errore di giudizio (Sez. U., n. 31032 del 27.11.2019, Rv. 656234 – 01; Sez. 6 – 3, n. 3760 del 15.2.2018, Rv. 647695-01; Sez. U., n. 30994 del 27.12.2017, Rv. 646963 – 01).
1.5. Deve invece essere recisamente esclusa l’impugnazione per revocazione per errore di giudizio e interpretazione degli atti processuali formatisi sulla base di una valutazione (Sez. 6 – L, n. 10184 del 27.4.2018, Rv. 648204 – 01; Sez. 6 – 5, n. 20635 del 31.8.2017, Rv. 645048 – 01); i vizi relativi all’interpretazione della domanda giudiziale non rientrano nella nozione di “errore di fatto” denunciabile mediante impugnazione per revocazione (Sez. 6-L, n. 6405 del 15.3.2018, Rv. 647570 – 01).
1.6. Infine, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il ricorso per revocazione delle pronunce di cassazione con rinvio deve ritenersi inammissibile soltanto se l’errore revocatorio enunciato abbia portato all’omesso esame di eccezioni, questioni o tesi difensive che possano costituire oggetto di una nuova, libera ed autonoma valutazione da parte del giudice del rinvio ma non anche se la pronuncia di accoglimento sia fondata su di un vizio processuale dovuto ad un errore di fatto o se il fatto di cui si denuncia l’errore percettivo sia assunto come decisivo nell’enunciazione del principio di diritto, o, nell’economia della sentenza, sia stato determinante per condurre all’annullamento per vizio di motivazione (Sez. 6, n. 12046 del 17.5.2018, Rv. 648547 01; Sez. 2, 20.10.2003, n. 15660; Sez. lav., 7.11.2001, n. 13790; nonchè, in motivazione, Sez. 6-5, 20.6.2019, n. 16522).
2. La sentenza n. 18554 del 2015, in sede di esame (pag. 10, § 8) del terzo motivo di ricorso della Dott.ssa (OMISSIS) ha formulato la seguente premessa “In disparte la formulazione del quesito di diritto, formulato in termini di mero interpello (“Dica la C.S. se, in relazione al periodo di occupazione legittima accertato dalla Corte di appello di Milano, la ricorrente ha diritto ad ottenere il riconoscimento della relativa indennità”)”.
2.1. Siffatta premessa non va esente da una dose di ambiguità alimentata dall’iniziale locuzione “In disparte”, astrattamente riferibile sia a un argomento pretermesso, sia a un argomento concorrente, effettivamente addotto, anche se non evidenziato in principalità.
Prudentemente la ricorrente ha colto in tale premessa una vera e propria concorrente ratio decidendi, autonomamente suscettibile di sorreggere il decisum, e, come tale, necessario bersaglio dello sfogo impugnatorio perchè, altrimenti, l’impugnata sentenza si sarebbe sorretta sulla motivazione non puntualmente aggredita con il motivo di ricorso.
2.2. Effettivamente la Corte non ha colto che nell’ambito del terzo motivo la ricorrente aveva associato a un primo quesito, proposto a pagina 10 del ricorso 25.10.2008 (“Dica la C.S. se, in relazione al periodo di occupazione legittima accertato dalla Corte di appello di Milano, la ricorrente ha diritto ad ottenere il riconoscimento della relativa indennità”), citato ed esaminato, un secondo quesito attinente specificamente ai criteri di commisurazione dell’indennità, esposto a pagina 30 dello stesso atto, del seguente tenore: “Dica la Corte Suprema se l’indennità dovuta alla ricorrente in relazione legittima accertato dalla Corte di Appello di Milano deve essere calcolata, a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale del Decreto Legge n. 333 del 1992, art. 5 bis, comma 1 e ss.mm.ii., avvenuta con sentenza della Corte Costituzionale n. 348/2007, sulla base di una indennità di esproprio consistente nel valore di mercato del bene ablato della L. n. 2359 del 1865, ex art. 39, al periodo di occupazione”.
è così evidente la sussistenza di un errore di fatto nella percezione degli atti interni, con riferimento al secondo (ignorato) quesito che completava il primo ed escludeva che si fosse di fronte ad un mero interpello.
3. La Corte ha quindi addotto la seconda e principale ragione di inammissibilità del terzo mezzo di ricorso, osservando quanto segue: “deve richiamarsi il principio costantemente affermato da questa Corte, secondo cui, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass., 18 ottobre 2013, n. 23675).
A fronte del consolidato principio che afferma l’autonomia della domanda inerente all’indennità di occupazione (Cass., 16 settembre 2011, n. 18964; Cass., 29 aprile 2010, n. 10292), che di certo non può considerarsi compresa nella domanda di risarcimento del danno avanzata nel primo grado del giudizio (Cass., 27 settembre 2006, n. 21018), il ricorso non specifica in alcun modo in quali termini e in quale sede detta richiesta sarebbe stata avanzata”.
3.1. La Corte quindi ha ritenuto inammissibile il motivo perchè la ricorrente non aveva indicato quando e come avesse proposto nel giudizio la domanda volta a vedersi riconoscere l’indennità di occupazione legittima, non ricompresa nella generica domanda risarcitoria avanzata in primo grado.
3.2. La Corte non si è però resa conto che la ricorrente aveva chiarito con il ricorso, a piu’ riprese e soprattutto nella parte narrativa, che la domanda in questione era stata proposta alla Corte di appello di Milano, competente funzionalmente in unico grado, con l’atto di citazione in appello con il quale la Dott.ssa (OMISSIS) aveva impugnato anche la decisione di primo grado sulla domanda di risarcimento del danno conseguente all’irreversibile trasformazione del suo fondo.
Diversamente da quanto annotato dal Procuratore generale nelle conclusioni del 28.10.2021, tali chiarimenti sono contenuti nel ricorso per cassazione soprattutto alla pagina 8 della esposizione narrativa, con riferimento al tenore dell’atto introduttivo del giudizio di secondo grado, alle pagine 11-12 della esposizione narrativa con riferimento alle conclusioni rassegnate in secondo grado, ed ancora alla pagina 12 della esposizione narrativa con riferimento all’omissione di pronuncia, ed infine alla pagina 27 in sede di trattazione del terzo motivo di ricorso.
In altri termini, la ricorrente aveva spiegato di aver inserito nell’atto di appello, volto a impugnare la statuizione di primo grado, anche una ulteriore domanda, in regime di cumulo oggettivo ex art. 104 c.p.c., per la quale il giudice adito era competente funzionalmente in unico grado.
Questi indispensabili chiarimenti, decisivamente contenuti nella narrativa del ricorso, sono sfuggiti alla Corte che è quindi incorsa in errore nel ritenere che la Dott.ssa (OMISSIS) non avesse indicato quando e come avesse introdotto la domanda su cui la Corte milanese aveva omesso di pronunciare in violazione dell’art. 112 c.p.c..
3.3. Nè potrebbe dubitarsi dell’ammissibilità dell’introduzione di siffatta domanda, soggetta alla competenza funzionale in unico grado della Corte di appello, in via di cumulo con l’ordinaria impugnazione della sentenza di primo grado resa dal Tribunale.
è pur vero che questa Corte ha affermato che la speciale competenza in unico grado della Corte di appello, prevista della L. 22 ottobre 1971, n. 865, articoli 19 e 20, è limitata esclusivamente alle domande di opposizione alla stima della indennità di espropriazione e della indennità di occupazione legittima, e non può estendersi ad altre domande, che pur vi possono essere connesse, le quali vanno devolute secondo gli ordinari criteri di competenza; a tale speciale competenza rimangono pertanto estranee la domanda di risarcimento nei danni per il periodo di occupazione illegittima o altre domande risarcitorie proposte dal titolare del fondo espropriato, per le quali non è prevista alcuna deroga alla competenza ordinaria, senza che sia possibile il cumulo soggettivo, nello stesso procedimento innanzi alla Corte di appello, di queste ultime domande con quelle di opposizione alla stima, poichè ciò si risolverebbe in una eliminazione del doppio grado di giurisdizione con l’estensione di una competenza eccezionale, quale è quella della Corte di appello al di fuori dell’ambito tassativamente previsto (Sez. 1, 30.11.1988, n. 6492, Sez. 1, 11.2.1987, n. 1480).
Queste affermazioni si riferiscono peraltro all’ipotesi in cui il cumulo venga introdotto indebitamente dinanzi alla Corte di appello, senza la preventiva proposizione della domanda al giudice di primo grado per quelle domande per cui è previsto il doppio grado di giurisdizione di merito; in tale modo la Corte di appello viene investita di domande per cui è competente in unico grado e di altre per cui sarebbe competente quale giudice di appello, così eliminando indebitamente per queste ultime un grado di cognizione.
Tale principio non può valere nell’ipotesi inversa – qui realizzatasi – in cui la domanda in unico grado venga cumulata dinanzi alla Corte di appello con il giudizio di impugnazione della pronuncia resa in primo grado dal giudice a ciò competente, perchè evidentemente in tale ipotesi non è affatto compromesso alcun grado di cognizione sul merito.
Tant’è che questa Corte ha affermato (Sez. 1, n. 2533 del 9.2.2016, Rv. 638637 – 01) che qualora il Tribunale, in un giudizio di risarcimento del danno per occupazione appropriativa, abbia proceduto anche alla determinazione dell’indennità di occupazione temporanea legittima, pur non essendo competente in materia, la Corte di appello, dinanzi alla quale la sentenza sia stata impugnata anche per altre questioni, può, in quanto giudice funzionalmente competente a liquidarla in unico grado, della L. n. 865 del 1971, ex art. 20, confermare la stima dell’indennità effettuata dalla decisione di primo grado, a fronte di espressa richiesta dell’espropriato.
Infatti in sede di appello di sentenza del Tribunale che abbia liquidato il danno da occupazione appropriativa e insieme determinato l’indennità per il periodo di occupazione legittima, non può la Corte d’appello dichiarare la propria incompetenza a esaminare in grado di appello le questioni dedotte dalle parti in relazione all’indennità di occupazione, sul presupposto che quest’ultima rientra nella propria competenza solo quale giudice di unico grado adito con opposizione alla stima dell’indennità, ma in presenza, comunque, della domanda dell’interessato, che si proceda ex novo alla determinazione dell’indennitità, deve provvedere in tale qualità sulla richiesta (Sez. 1, n. 25013 del 24.11.2006, Rv. 593286 – 01; Sez. 1, n. 14687 del 25.6.2007, Rv. 597882 – 01; Sez. 1, n. 28456 del 22.12.2011, Rv. 621003 – 01; Sez. 1, n. 7154 del 10.5.2012, Rv. 622336 – 01).
è evidente che non può essere trattato in modo differente il caso in cui il Tribunale si sia pronunciato sulla domanda su cui era incompetente, riproposta dinanzi al giudice di appello sulla stessa competente in unico grado, dal caso, che qui ricorre, in cui la domanda sia stata proposta per la prima volta dinanzi al giudice competente in unico grado in cumulo rispetto ad un giudizio di appello per cui esso è competente in secondo grado.
4. Quanto al giudizio rescindente, la sentenza n. 18554 del 2015 deve pertanto essere revocata, limitatamente alla decisione sul terzo motivo di ricorso.
5. Quanto al giudizio rescissorio, il terzo motivo di ricorso deve essere accolto a causa della violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c., in ragione della omissione di pronuncia in cui la Corte milanese è incorsa, omettendo di esaminare e decidere sulla domanda volta al riconoscimento dell’indennità di occupazione legittima che le era stata proposta – quale giudice funzionalmente competente – con l’atto di citazione innanzi ad essa.
Di qui la nullità, parziale, della sentenza rilevante ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
Deve essere quindi accolto anche il terzo motivo di ricorso e non solo il secondo nei sensi di cui in motivazione – con la cassazione della sentenza della Corte di appello di Milano n. 435 del 14.2.2007 in relazione anche a tale motivo e il rinvio alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità e revocazione.
P.Q.M.
La Corte;
pronunciando in sede rescindente, accoglie la richiesta di revocazione e revoca la sentenza n. 18554 del 21.9.2015 di questa Corte di cassazione, limitatamente alla decisione sul terzo motivo di ricorso;
pronunciando in sede rescissoria, accoglie anche il terzo motivo di ricorso – e non solo il secondo nei sensi di cui in motivazione -, cassa la sentenza della Corte di appello di Milano n. 435 del 14.2.2007 in relazione anche a tale terzo motivo e rinvia alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità e di revocazione.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione civile il 30 novembre 2021