Ordinanza 39441/2021
Responsabilità extracontrattuale del creditore – Iscrizione di ipoteca giudiziale su beni di valore eccedente l’importo del credito vantato – Responsabilità processuale ex art.96 c.p.c.
In caso di iscrizione di ipoteca giudiziale su beni il cui valore sia eccedente rispetto all’importo del credito vantato, il creditore può essere chiamato a rispondere ai sensi dell’art. 2043 c.c. per il danno subìto dal debitore consistente nella difficoltà o impossibilità della negoziazione dei beni medesimi ovvero nella difficoltà di accesso al credito; invero, la previsione della speciale responsabilità processuale ex art.96 c.p.c. – quale responsabilità del soccombete che abbia abusato del diritto di agire o resistere in giudizio – non esclude l’applicabilità della disciplina generale dell’illecito civile, atteso che il creditore è tenuto ad una condotta prudente e diligente, nonché informata al rispetto dei principi di buona fede e correttezza, non solo in caso di ricorso a rimedi processuali, bensì, ancor prima, nell’attuazione dei propri diritti contrattuali o negoziali, e dunque anche del diritto di garanzia, il quale deve essere esercitato in termini consentanei con la sua funzione di mezzo volto a creare una situazione di preferenza rispetto agli altri creditori, e non per determinare situazioni di discredito sociale e professionale e, conseguentemente, di blocco del patrimonio e dell’attività del debitore.
Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 13-12-2021, n. 39441 (CED Cassazione 2021)
Art. 2043 cc (Risarcimento per fatto illecito) – Giurisprudenza
Art. 96 cpc (Responsabilità aggravata) – Giurisprudenza
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza dell’11/7/2018 la Corte d’Appello di Firenze ha respinto i gravami interposti dalla società (OMISSIS) s.p.a. -in via principale- e dal sig. Gi. Nu. -in via incidentale- in relazione alla pronunzia Trib. Arezzo n. 237/2013, di rigetto della domanda dalla prima in origine monitoriamente azionata di pagamento di somma a titolo di scoperto di conto corrente bancario nei confronti della società (OMISSIS) s.r.l. e del predetto Nu. quale garante della medesima per prestata fideiussione, nonché di rigetto della domanda da quest’ultimo in via riconvenzionale spiegata di «riduzione dell’ipoteca ex artt.2872 e ss. c.c.» e di «risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti … a seguito dell’illegittimo comportamento posto in essere dalla (OMISSIS) … per avere … effettuato … illegittime iscrizioni ipotecarie sull’intero compendio immobiliare del medesimo».
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il Nu. propone ora ricorso per cassazione, affidati ad unico motivo.
Resiste con controricorso la società (OMISSIS) s.p.a.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con unico motivo il ricorrente denunzia «violazione o falsa applicazione» degli artt. 1225, 1227, 2043, 2056, 2697 c.c., 96 c.p.c., in riferimento all’art. 360, 1° co. n. 3, c.p.c.
Si duole avere la corte di merito abbia confuso «l’appello incidentale condizionato all’ipotesi dell’emersione di un credito da parte di (OMISSIS), e vertente sulla maliziosa sovrabbondanza della iscrizione ipotecaria … con l’appello incidentale autonomo».
Lamenta non essersi dalla corte di merito considerato che «come emerge dalla lettura del motivo di gravame la difesa del signor Nu. ha evidenziato come la mera iscrizione di ipoteca in assenza dei presupposti integrasse un’ipotesi di danno» che si pone «logicamente a monte delle specifiche conseguenze richiamate in relazione al mancato finanziamento (OMISSIS)>>, e che nella specie «in concreto impingeva nella descrizione dei danni generalmente subiti in forza della illegittima iscrizione ipotecaria e logicamente autonomi, quale genus rispetto al danno species afferente il mancato finanziamento da parte della (OMISSIS)>>, con indicazione delle «conseguenze proprie dell’abusiva iscrizione, quali la paralisi delle attività imprenditoriali ascrivibili al Nu. in uno con la perdita di immagine ( il pesante discredito ) verso tutto il settore bancario».
Si duole che «la decisione» sia «basata su un palese travisamento delle risultanze, atteso che né nell’atto di appello, né negli scritti conclusivi, è possibile individuare un elemento testuale da dove dedurre l’allegata mancanza di interesse alla decisione sul punto».
Quanto alla «mancata prova di esistenza del danno» lamenta che invero «le conseguenze negative venivano allegate chiaramente sin dall’incipit del giudizio, e puntualmente richiamate e descritte in sede di appello incidentale, sia in punto di perdita di stima da parte del sistema creditizio, sia in punto di “effetto valanga” rappresentato dalle iscrizioni ipotecarie eseguite dagli altri istituti di credito una volta che, ingiustamente o imprudentemente, (OMISSIS) aveva iscritto ipoteca in assenza dei presupposti».
Il motivo è p.q.r. fondato e va accolto nei termini e limiti di seguito indicati.
Superando il risalente orientamento in base al quale il creditore che abbia iscritto ipoteca su beni eccedenti l’importo del credito vantato non può mai essere chiamato a rispondere nei confronti del debitore per danni da illecito aquiliano ex art. 2043 c.c., essendo possibile configurare a carico del creditore procedente solamente la responsabilità processuale ex art. 96, 1° co., c.p.c. qualora quest’ultimo -convenuto per la riduzione dell’ipoteca- resista in giudizio con mala fede o colpa grave ( v. Cass., 23/8/2011, n. 17523; Cass., 23/6/2011, n. 6597; Cass., 2/11/2010, n. 22267; Cass., 30/7/2010, n. 17902; Cass., 3/3/2010, n. 5069; Cass., 24/7/2007, n. 16308; Cass., 23/3/2004, n. 5734; Cass., 4/4/2001, n. 4968; Cass., 29/9/1999, n. 10771; Cass., 9/11/1994, n. 9307; Cass., 12/10/1987, n. 7258; Cass., 3/2/1967, n. 311 ), questa Corte è recentemente pervenuta a diversamente affermare che il creditore il quale, senza adoperare la normale diligenza, iscriva ipoteca su beni per un valore sproporzionato rispetto al credito garantito secondo i parametri previsti dagli artt. 2875 e 2876 c.c. incorre, qualora sia accertata l’inesistenza del diritto per cui è stata iscritta l’ipoteca giudiziale medesima, nella responsabilità prevista dall’art. 96, 2° co., c.p.c., configurandosi un abuso della garanzia patrimoniale in danno del debitore ( v. Cass., 5/4/2016, n. 6533 ).
Gli argomenti posti a fondamento della negazione dell’ammissibilità dell’azione di risarcimento danni ex art. 2043 c.c. per eccesso di iscrizione ipotecaria, elaborati già nella vigenza della precedente codificazione, si sostanziano: a) nel silenzio della legge in tema di riduzione delle ipoteche circa la responsabilità per atto illecito di colui che iscriva ipoteca giudiziale in maniera esuberante; b) nel diritto riconosciuto al creditore di estendere l’ipoteca anche al di là del fine della garanzia, come si evince da una serie di disposizioni ( artt. 2740, 2828, 2877 del vigente codice del 1942, e già dagli artt. 1948, 1986, 2028 del previgente codice del 1865 ); c) nell’obbligo del debitore di adempiere con tutti i suoi beni presenti e futuri; d) nell’ampia facoltà conferita al creditore di cautelarsi mediante l’ipoteca giudiziale su qualunque dei beni immobili appartenenti al debitore; e) nell’onere delle spese della riduzione poste sempre a carico del debitore in caso di eccedenza del valore dei beni rispetto alla cautela da somministrare ( v. già Cass., 3/11/1961, n. 2548, che fa espressamente richiamo a Cass., 24/7/1926, n. 2632 ).
A tali argomenti si è opposto che l’eccezione alla responsabilità per atto illecito deve inequivocabilmente risultare dal sistema della legge laddove nessuna delle richiamate disposizioni depone invero in tal senso: non la norma di cui all’art. 2740 c.c., concernente la garanzia generica costituita da tutti i beni del debitore e non quella specifica della garanzia ipotecaria; non la disposizione dell’art. 2828 c.c., che si limita a riconoscere la facoltà di iscrivere l’ipoteca giudiziale su qualunque bene del debitore senza nulla stabilire circa l’ambito dell’iscrizione; non le norme concernenti la riduzione delle ipoteche, tra cui è ricompresa quella dell’art. 2877 c.c., poiché esse si limitano unicamente a regolare la procedura di riduzione ( cfr. quanto indicato già da Cass., 3/11/1961, n. 2548 ).
Si è al riguardo sostenuto non potersi ammettere una responsabilità per danni in favore del debitore, essendo la stessa legge a stabilire espressamente che persino le spese della procedura di riduzione devono essere sostenute dal debitore e restare a suo carico, sicché deve evincersene che in caso di iscrizione di ipoteca su una quantità di beni eccedenti la cautela da somministrarsi il legislatore ha inteso attribuire al debitore esclusivamente il diritto di ottenere a sue spese la riduzione dell’iscrizione ad una parte soltanto dei beni ( v. Cass., 24/2/1999, n. 10771 ).
Si è ulteriormente posto in rilievo che (come pure in dottrina sottolineato) l’art. 2828 c.c. si limita invero a riconoscere la facoltà per il creditore di iscrivere ipoteca su qualunque immobile -presente e sopravvenuto- del debitore, e quindi di scegliere su quanti e quali immobili iscrivere ipoteca, senza tuttavia alcunché indicare in ordine all’ambito dell’iscrizione ( v. Cass., 5/4/2016, n. 6533 ).
A tale stregua, dalla natura accessoria e strumentale rispetto a crediti determinati della garanzia reale discende che l’attribuzione al creditore della libertà di scelta tra quali immobili iscrivere ipoteca non possa invero prescindere dalla necessaria correlazione tra credito, importo iscritto e valore dei beni, dovendo conseguentemente procedersi all’iscrizione di ipoteca sui beni immobili del debitore in ragione del rapporto del valore degli stessi con la cautela riconosciuta ( cfr. Cass., 5/4/2016, n. 6533 ).
L’esigenza di correlazione tra valore degli immobili ( seppur liberamente scelti ) su cui iscrivere la garanzia e valore dei medesimi risulta invero confermato, e non già smentito, dalla stessa disciplina dettata in tema di riduzione delle ipoteche ( artt. 2872 ss. c.c. ).
Le ipoteche giudiziali debbono infatti ex artt. 2874 e 2875 c.c. ridursi a) qualora i beni compresi nell’iscrizione abbiano un valore superiore ad un terzo dei crediti iscritti, accresciuto dagli accessori ovvero b) se la somma determinata dal creditore nell’iscrizione ecceda di un quinto quella che l’autorità giudiziaria dichiara dovuta ( v. Cass., 5/4/2016, n. 6533 ).
Orbene, atteso che la responsabilità generale ex art. 2043 c.c. è stata in realtà ritenuta applicabile ( proprio argomentando dall’art. 2877, 1° co., c.c. ) in ipotesi di iscrizione di ipoteca giudiziale per somma esorbitante da parte del creditore a seguito di sentenza a prestazione ancora illiquida ( cfr. Cass., 3/11/1961, n. 2548; Cass., 20/5/1969, n. 1766; Cass., 24/2/1999, n. 10771 ), l’esigenza di raccordarne l’applicabilità con la speciale responsabilità processuale ex art. 96 c.p.c. emerge invero in termini generali, ivi ricompresa pertanto l’ipotesi della iscrizione su una massa di beni maggiore del necessario, quand’anche non esorbitante.
L’art. 96 c.p.c. disciplina la responsabilità processuale, quale ipotesi di responsabilità extracontrattuale per atti e comportamenti processuali, che ha natura speciale rispetto alla generale responsabilità extracontrattuale ex art.2043 c.c.
Trattasi di responsabilità in capo al soccombente da illecito processuale, per aver abusato del diritto di agire o resistere in giudizio [ la cui regolamentazione ha visto recentemente l’introduzione da parte del legislatore di una norma generale per lite temeraria ( 3° comma dell’art. 96 c.p.c., come novellato dall’art. 45, comma 12, L. n. 69 del 2009 ) fondata sull’abuso del processo: v. Cass., 5/4/2016, n. 6533 ], in cui incorre colui che senza la normale prudenza chieda l’esecuzione di un provvedimento cautelare o abbia trascritto una domanda giudiziale o iscritto ipoteca giudiziale o agito in via esecutiva per la tutela o realizzazione di un diritto di cui sia accertata l’inesistenza ( art. 96, 2° co., c.p.c. ), ovvero chi, pur in ipotesi di esistenza del diritto, abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave nel giudizio di riduzione proposto dal debitore ( art. 96, 1° co., c.p.c. ) (v. Cass., 29/4/2015, n. 8711; Cass., 28/5/2010, n. 17902; Cass., 3/9/2007, n. 18533; Cass., 24/7/2007, n. 16308; Cass., 7%5/2007, n. 10299; Cass., 22/2/2006, n. 3952; Cass., 23/5/2003, n. 8171; Cass., 4/4/2001, n. 4968; Cass., 14/9/1999, n. 9803; Cass., 29/9/1999, n. 10771; Cass., 21/2/1985, n. 1545; Cass., 3/2/1967, n. 311; Cass., 7/3/1967, n. 529; Cass., 3/11/21961, n. 2548 ).
Siffatta speciale responsabilità processuale è volta a tutelare l’interesse del soggetto a non subire turbative processuali infondate, in considerazione della gravità delle possibili conseguenze ( anche ) in termini di disponibilità dei beni e di discredito sociale e commerciale ( v. Cass., 4/4/2001, n. 4947 ).
A tale stregua, il soggetto è tenuto ad utilizzare gli strumenti processuali mantenendo un comportamento improntato alla normale diligenza e comunque in base a buona fede o correttezza, perché gli stessi non si tramutino in uno strumento di danno.
Non sono pertanto consentiti atti a tutela di un diritto sostanziale inesistente ( art. 96, 2° co., c.p.c. ) né, trattandosi di diritto esistente, il mantenimento di un comportamento non improntato alla prudenza e alla diligenza dovute in relazione al caso concreto ( art. 96, 1° co., c.p.c. ), nonché contrario a buona fede o correttezza ( art. 1175 c.c. ).
Non può infatti affermarsi che al di fuori dell’ipotesi del credito inesistente il creditore non risponda in ipotesi di ipoteca iscritta su una quantità di beni di valore esorbitante il credito.
Diversamente da quanto pure da questa Corte in passato sostenuto ( in tal senso v. Cass., 23/8/2011, n. 17523; Cass., 3/3/2010, n. 5069; Cass., 26/11/2008, n. 28226; Cass., 17/10/2003, n. 15551 ), deve negarsi che la previsione della speciale responsabilità processuale ex art. 96 c.p.c. escluda la possibilità di un concorso -in quanto compatibile- con la disciplina generale dell’illecito civile ex art. 2043 c.c. ( cfr., con riferimento alla trascrizione illegittima, Cass., Sez. Un., 23/3/2011, n. 6597 ).
La condotta prudente e diligente nonché informata al rispetto del principio di buona fede o correttezza va dal creditore mantenuta non solo in caso di ricorso a rimedi processuali [dovendo astenersi dal proporre in particolare istanze (es., di fallimento) o richieste di provvedimenti cautelari o dal proporre domande infondate], bensì, ancor prima e a prescindere, nell’esercizio dei propri diritti contrattuali o negoziali e in termini generali nell’ambito dei comuni rapporti della vita di relazione ( cfr. Cass., 2/4/2021, n. 9200; Cass., 30/6/2014, n. 14765; Cass., 15/2/2007, n. 3462; Cass., Sez. Un., 15/11/2007, n. 23726 ), essendo il titolare di diritti, poteri e facoltà tenuto ad esercitarli senza abusarne ( cfr. Cass., 15/10/2012, n. 17642; Cass., 4/5/2009, n. 10182; Cass., 5/3/2009, n. 5348 ).
Senz’altro non condivisibile è allora l’orientamento in base al quale non è ipotizzabile alcuna responsabilità a carico del creditore il quale esercita una sua facoltà ( in tal senso v. invero Cass., 4/4/2001, n. 4968 ), giacché la previsione di un potere o di una facoltà non preclude ma anzi presuppone che il titolare li eserciti con diligenza, prudenza e buona fede o correttezza, evitando di abusarne.
Con particolare riferimento al diritto di garanzia, il titolare deve goderne in termini consentanei con la relativa funzione di mezzo volto a creare una situazione di preferenza rispetto agli altri creditori, e non anche a determinare situazioni di discredito sociale e professionale e, conseguentemente, di blocco del patrimonio e dell’attività del debitore.
Il principio di universalità della responsabilità patrimoniale (art. 2740 c.c.) va infatti riguardato alla stregua dei principi di proporzionalità ed adeguatezza in relazione all’interesse specifico di garanzia che gli stessi sono nel caso concreto funzionalmente volti a realizzare.
Il patrimonio deve garantire il soddisfacimento -anche coattivo- dei debiti del relativo titolare, nei limiti peraltro del valore dell’interesse creditorio.
La previsione del diritto ( potestativo ) del debitore di fare ricorso -in presenza dei presupposti di legge ( artt. 2874, 2875 c.c. )- allo specifico rimedio della riduzione dell’ipoteca certamente non vale a deporre, oltre che per la liceità di un uso abusivo del processo ( art. 96 c.p.c. ) in violazione dell’interesse sostanziale che fonda la potestas agendi ( cfr., con riferimento alla violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede e dei principi di lealtà processuale e del giusto processo, si utilizzano strumenti processuali per perseguire finalità eccedenti o deviate rispetto a quelle per le quali l’ordinamento li ha predisposti, (Cass., 31/3/2021, n. 8982; Cass., Sez. Un., 15/5/2015, n. 9935; Cass., 9/6/2014, n. 12914; Cass., Sez. Un., 15/11/2007, n. 23726; Cass., 22/12/2011, n. 28286 ), a legittimare una condotta imprudente o negligente o contraria a buona fede o correttezza o abusiva del creditore, già anteriormente al processo, sul piano dei sostanziali rapporti della vita comune di relazione, non potendo pertanto escludersi la possibilità per il debitore di fare ricorso al rimedio di carattere generale ex art. 2043 c.c. ( cfr. Cass., 4/4/2001, n. 4968 ).
In caso di eccedenza da lui abusivamente determinata dei beni ipotecati in riferimento al valore del credito tutelato, al di là della riduzione dell’ipoteca al ricorrere dei relativi presupposti di legge, il debitore è allora tenuto a far luogo alla riduzione volontaria della medesima già in base a prudenza, diligenza e correttezza.
Né in contrario vale fare richiamo all’art. 2877 c.c.
Atteso che tale norma esclude che siano poste sempre a carico del debitore le spese della riduzione dell’ipoteca allorquando abbia luogo per eccesso nella determinazione del credito fatta dal creditore ( art. 2877, 1° co., c.c. ), la circostanza che il creditore sia libero di individuare i beni sui quali iscrive ipoteca e il principio in base al quale il singolo bene non può essere ipotecato solo per una parte non esclude che, allorquando assoggetti più beni alla garanzia ipotecaria per un valore notevolmente superiore al credito garantito (o ecceda nella determinazione del credito), il creditore sia tenuto al pagamento anche delle spese tecniche, quelle di giudizio essendo comunque a carico del soccombente, salva la possibilità di relativa compensazione tra le parti (art. 2877, 2° co., c.c.).
Nel regolare le spese della riduzione dell’ipoteca l’art. 2877 c.c. distingue infatti tra spese necessarie per eseguire la formalità ipotecaria ( 1° comma ) e spese del giudizio che il debitore debba promuovere per ottenere che, in mancanza del consenso del creditore, la riduzione sia ordinata con sentenza ( 20 comma ): le prime sono a carico del (debitore) richiedente, a meno che la riduzione abbia luogo per eccesso ( non nella valutazione dei beni ma ) nella determinazione del credito; le seconde, salva la loro compensazione secondo le circostanze, sono in linea di principio a carico del soccombente e così del creditore che, dovendo consentire alla riduzione quando ne ricorrono gli estremi, non adempia spontaneamente a tale obbligo ( v. Cass., 5/4/1990, n. 2866 ).
Deve dunque affermarsi che, al di là della previsione del rimedio speciale della riduzione delle ipoteche, in applicazione dei principi generali il creditore il quale iscriva ipoteca giudiziale su beni il cui valore sia eccedente ( a fortiori se sproporzionato ) rispetto all’importo del credito vantato, può essere chiamato, ferma restando la eventuale responsabilità processuale ex art. 96 c.p.c., a rispondere ex art. 2043 c.c. del danno subito dal debitore consistente nella difficoltà o impossibilità della negoziazione del bene medesimo ovvero nella difficoltà di accesso al credito ( con riferimento al rapporto tra responsabilità ex art. 96 c.p.c. ed ex art. 2043 c.c. in ipotesi di trascrizione illegittima, e agli effetti pregiudizievoli dell’interpretazione privilegiante l’assorbente carattere di specialità dell’art. 96 c.p.c., v. Cass., 23/3/2011, n. 6597 ), non potendo dirsi al creditore attribuito il potere di iscrivere ipoteca sui beni del debitore senza alcun limite di continenza o proporzionalità della cautela. Uno specifico indice contrario può invero ravvisarsi già nei limiti previsti all’art. 2875 c.c.
Trovano d’altro canto applicazione i rimedi generali previsti dall’ordinamento in caso di condotta non improntata a diligenza, prudenza, correttezza e buona fede avuto riguardo alla funzione propria che l’istituto di garanzia è volta ad assolvere nello specifico caso concreto.
Orbene, i suindicati principi sono stati dalla corte di merito invero disattesi nell’impugnata sentenza.
E’ rimasto nel giudizio di merito -per quanto ancora d’interesse- accertato che l’odierno ricorrente ha prestato fideiussione a garanzia del conto corrente bancario intrattenuto dalla società (OMISSIS) S.r.l. con la banca (OMISSIS) s.p.a., e che a fronte della domanda da quest’ultima in conseguenza dello «scoperto del c/c ordinario … intrattenuto [ dalla detta società ] presso la Filiale di Arezzo dell’Istituto» proposta anche nei confronti dell’odierno ricorrente – nella sua qualità di fideiussore-, è stata rigettata la domanda dal medesimo nei confronti della Banca in via riconvenzionale spiegata di «riduzione di ipoteca ex artt. 2872 ss. c.c. … e di risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dal medesimo a seguito dell’illegittimo comportamento posto in essere dalla (OMISSIS) … per avere l’Istituto di credito effettuato … illegittime iscrizioni ipotecarie sull’intero compendio immobiliare di proprietà del medesimo, stimato in circa euro 30.000.000,00, a fronte di un asserito credito, tra l’altro totalmente contestato, di circa appena euro 110.000,00 e per avere causato a seguito delle dette illegittime iscrizioni ipotecarie la perdita della possibilità per il Nu. di vedersi riconoscere un prestito di circa euro 5.000.000,00 che la Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza era in procinto di erogare».
Orbene, i suindicati principi sono rimasti in particolare disattesi là dove la corte di merito si è limitata ad avallare il rigetto della domanda da parte del giudice di prime cure argomentando dal mero rilievo che l’«abnorme attività di iscrizione ipotecaria, che avrebbe interessato un patrimonio di molto superiore all’ammontare del credito, ha la sua precisa tutela in azioni concesse dal codice di rito mirate, per l’appunto, a costringere il creditore a meglio circoscrivere la richiesta di garanzia, facultando il giudice dell’esecuzione alla riduzione dell’ipoteca».
Nella parte in cui, in termini ( come nell’articolazione del complesso motivo dall’odierno ricorrente pure sostanzialmente dedotto ) del tutto apodittici ed intrinsecamente illogici deponenti per una motivazione sul punto non raggiungente il necessario minimo costituzionale e appalesantesi invero quale meramente apparente e pertanto inesistente ( v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e conformemente da ultimo Cass., 18/4/2019, n. 10813 e Cass., 30/5/2019, n. 14754 ), ha al riguardo aggiunto che la detta domanda di riduzione dell’ipoteca «appare altresì rinunciata nel contesto dell’appello incidentale condizionato>, sicché «la parte è priva di interesse alla sua decisione».
Ancora, là dove ha rigettato la domanda de qua nel ravvisato «difetto … di espliciti elementi probatori che diano certezza di quel danno-conseguenza che lo stesso appellato invoca», del pari ritenendo relativamente all’«ulteriore richiesta risarcitoria espressa in termini di “perdita di chance”», in ragione della mancata censura espressa di «quella parte della sentenza nella quale il giudice ha motivato la reiezione della domanda sulla base della assenza di “certezza sul fatto che il prestito fosse già stato deliberato o che l’operazione fu interrotta a causa delle ipoteche iscritte sui beni del Nu.”, essendo invece del tutto ipotizzabile che le difficoltà all’accesso del credito fossero causate dalla oggettiva esposizione debitoria che, in quell’istante, prima ancora dei diversi accertamenti peritali eseguiti nel giudizio di opposizione, caratterizzava la posizione della parte istante».
A tale stregua, oltre che formulate affermazioni del tutto apodittiche e prive di intrinseca logicità integrante motivazione meramente apparente e pertanto inesistente anche in parte qua, risultano dalla corte di merito altresì disattesi sia il principio in base al quale il danno è risarcibile in quanto causalmente derivante dall’evento dannoso alla stregua del criterio non già della certezza bensì del “più probabile che non” ( v. Cass., 20/11/2018, n. 29829 ) sia il principio secondo cui la valutazione del danno da perdita di chance è necessariamente equitativa ( v. Cass., 9/3/2018, n. 5641 ), non potendo al riguardo nemmeno sottacersi che come questa Corte ha già avuto modo di porre in rilievo la determinazione dell’ammontare del danno secondo il criterio equitativo, ove ne sussistano i presupposti, è rimessa d’ufficio, anche senza domanda di parte, al prudente apprezzamento del giudice di merito, pure in grado di appello ( v. Cass., 5/2/2021, n. 2831 ).
Alla fondatezza nei suindicati termini del ricorso consegue la cassazione in relazione dell’impugnata sentenza, con rinvio alla Corte d’Appello di Firenze, che in diversa composizione procederà a nuovo esame, facendo dei suindicati disattesi principi applicazione.
Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie p.q.r. il ricorso. Cassa in relazione l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Firenze, in diversa composizione.
Roma, 16/7/2021