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Cassazione Civile 40110/2021 – Opposizione a decreto ingiuntivo – Fatti costitutivi del diritto azionato – Insussistenza al momento della domanda

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Ordinanza 40110/2021

 

Opposizione a decreto ingiuntivo – Fatti costitutivi del diritto azionato – Insussistenza al momento della domanda – Irrilevanza – Sussistenza all’atto della decisione

In tema di procedimento civile, l’opposizione di cui all’art. 645 c.p.c. non è un’impugnazione del decreto ingiuntivo, volta a farne valere vizi ovvero originarie ragioni di invalidità, ma dà luogo a un ordinario giudizio di cognizione di merito, finalizzato all’accertamento dell’esistenza del diritto di credito fatto valere dal creditore con il ricorso ex art. 633 e 638 c.p.c.; pertanto la sentenza che decide il giudizio deve accogliere la domanda dell’attore (il creditore istante), rigettando conseguentemente l’opposizione, qualora riscontri che i fatti costitutivi del diritto fatto valere in sede monitoria, pur se non esistenti al momento della proposizione del ricorso, sussistono tuttavia in quello successivo della decisione.

Cassazione Civile, Sezione 2, Ordinanza 15-12-2021, n. 40110

Art. 645 cpc (Del procedimento di ingiunzione – Opposizione) – Giurisprudenza

 

 

Ritenuto che:

– il Tribunale di Genova rigettò l’opposizione proposta da Ma. Ve. avverso il decreto ingiuntivo emesso dal medesimo Tribunale in favore della s.p.a. (OMISSIS), con il quale era stato ingiunto all’opponente il pagamento della complessiva somma di € 105.144,47, costituente il prezzo non corrisposto di forniture di lubrificanti;

– la Corte d’appello di Genova rigettò l’impugnazione avanzata dalla Ve. nei confronti della s.p.a. (OMISSIS), già (OMISSIS) s.p.a.;

– l’insoddisfatta appellante propone ricorso sulla base di due motivi, l’intimata resiste con controricorso;

ritenuto che con il complesso censuratorio, nella sostanza unitario (quello che il ricorso qualifica “II mezzo di gravame”, altro non è che precipitato del primo motivo) la ricorrente denuncia violazione degli artt. 1322-1372, 486, 1183, 1334, 1374, 1474, 1185, 2723, 1460, 2697, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., assumendo che la sentenza impugnata era incorsa in errore per non avere considerato che il “contratto modulare di fornitura tra (OMISSIS) s.p.a. e ditta Ma. Ve.” presenta uno spazio bianco in relazione al “termine di pagamento”, che poi era stato concordato in novanta giorni dalla fattura, in sintonia con quanto previsto dall’art.1183 cod. civ.; in tal senso militavano le risultanze istruttorie e, pertanto, l’ingiunzione era ingiusta, poiché al tempo non era trascorso il predetto termine dilatorio; la (OMISSIS), che era succeduta all'(OMISSIS), era tenuta al rispetto del patto e non avrebbe potuto modificare unilateralmente il termine di pagamento e legittimamente l’esponente aveva rifiutato la ricezione di merce, spedita in costanza di contestazione del nuovo termine di pagamento imposto; infine, ne era derivato un danno per la mancata vendita, che avrebbe dovuto essere risarcito;

considerato che le critiche non superano il vaglio d’ammissibilità per le ragioni che seguono:

a) la sentenza d’appello, con scrutinio di merito in questa sede incensurabile, ha chiarito che la consegna della merce non aveva formato oggetto di contestazione di sorta; la mancata risposta all’interrogatorio formale del legale rappresentante della controparte non assumeva significato avente un qualche rilievo; l’appellante non aveva fornito la prova che, per patto intervenuto, i pagamenti potessero effettuarsi con una dilazione di novanta giorni dalla fine del mese di emissione di ogni fattura (la conclusione del giudice d’appello aveva a base le risultanze testimoniali); la Ve., a tutto concedere, non aveva provveduto al pagamento neppure nel termine di novanta giorni dalla medesima invocato; l’assegno di € 30.156,45 messo a disposizione della controparte non poteva imputarsi al debito per il quale era stata richiesta l’ingiunzione, perché afferente a pregresso debito e anche perché la stessa Ve. aveva affermato non essere comunque soddisfattivo dell’intero debito; l’inadempimento dell’opponente ne rendeva ovviamente infondata la pretesa risarcitoria;

b) nella sostanza, peraltro neppure efficacemente dissimulata, il complesso censuratorio investe inammissibilmente l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile, neppure attraverso l’escamotage dell’evocazione dell’art. 116, cod. proc. civ. (peraltro, neppure richiamata) in quanto, come noto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt.115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr., da ultimo, Sez. 6-1, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299);

c) è del tutto evidente che attraverso la denunzia di violazione di legge la ricorrente sollecita – non determinando essa, nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente – un improprio riesame di merito (da ultimo, S.U. n. 25573, 12/11/2020, Rv. 659459), peraltro in difetto di specificità, sotto il profilo dell’autosufficienza;

d) l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (S.U. n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629831);

e) infine, a tutto concedere, deve ribadirsi che in tema di procedimento civile, l’opposizione di cui all’art. 645 cod. proc. civ. non è un’impugnazione del decreto ingiuntivo, volta a farne valere vizi ovvero originarie ragioni di invalidità, ma dà luogo a un ordinario giudizio di cognizione di merito, finalizzato all’accertamento dell’esistenza del diritto di credito fatto valere dal creditore con il ricorso ex art. 633 e 638 cod. proc. civ.; pertanto la sentenza che decide il giudizio deve accogliere la domanda dell’attore (il creditore istante), rigettando conseguentemente l’opposizione, qualora riscontri che i fatti costitutivi del diritto fatto valere in sede monitoria, pur se non esistenti al momento della proposizione del ricorso, sussistono tuttavia in quello successivo della decisione (Sez. 2, n. 5844, 16/3/2006, Rv. 587799) e qui, è indubbio che il credito dell’opposta sussisteva, oramai da tempo consumato il termine di dilazione prospettato dall’opponente, al momento della decisione sull’opposizione in parola;

considerato che la ricorrente va condannata a rimborsare le spese in favore delle controricorrenti, tenuto conto del valore, della qualità della causa e delle attività svolte, siccome in dispositivo;

che ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in euro 5.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge;

ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 29 settembre 2021.