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Cassazione Civile 41801/2021 – Responsabilità professionale del Notaio – Diligenza nella verifica dell’identità personale

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Ordinanza 41801/2021

Responsabilità professionale del Notaio – Diligenza nella verifica dell’identità personale

Il notaio, incaricato della stipula di una compravendita e del collegato mutuo ipotecario, deve accertarsi dell’identità personale delle parti secondo criteri di diligenza, prudenza e perizia professionale ed è adempiente a tale obbligo ove non si limiti ad esaminare la carta d’identità (o altro documento equipollente) o confidi sulla garanzia prestata da un solo soggetto fidefaciente (giacché l’art. 49 della legge n. 89 del 1913 prevede almeno due fidefacienti per tale garanzia) o, ancora, sul possesso, da parte del soggetto da identificare, di documenti inerenti all’immobile oggetto della compravendita o, infine, sulla pregressa conoscenza tra le parti del contratto, occorrendo invece che, sulla base degli elementi forniti dalle stesse parti, specie se non concordanti, il notaio valuti l’opportunità di avviare ulteriori indagini allo scopo di giungere al grado di certezza sull’identità personale richiesto dalla citata norma. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito, con la quale era stata esclusa la responsabilità del notaio che, pur avendo effettuato i menzionati accertamenti concernenti l’identità del legale rappresentante di una società, poi rivelatosi un impostore, non aveva effettuato ulteriori indagini, benché i dati anagrafici emergenti dal documento d’identità esibito non fossero del tutto congruenti con quelli della visura camerale acquisita e con quelli del titolo di provenienza dell’immobile stesso).

Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 28-12-2021, n. 41801   (CED Cassazione 2021)

Art. 1176 cc (Diligenza nell’adempimento) – Giurisprudenza

 

 

Fatti di causa

Me. S.r.l. ha agito in giudizio nei confronti dei notai Pi. Ba. e Al. Al., nonché nei confronti della società (OMISSIS) & C. S.n.c. e (OMISSIS) S.r.l., per ottenere: a) la dichiarazione di nullità e comunque di inefficacia (o, in subordine, l’annullamento) di un atto rogato dal notaio Ba., avente ad oggetto la vendita di alcuni immobili di sua proprietà in favore della (OMISSIS) S.n.c., falsamente sottoscritto dal proprio legale rappresentante, nonché del successivo atto rogato dal notaio Al., di vendita dei medesimi immobili, da parte della (OMISSIS) S.n.c. in favore della (OMISSIS) S.r.l., con il risarcimento dei danni subiti, a carico di tutti i convenuti; b) in via alternativa, il risarcimento integrale dei danni subiti, a carico del notaio Ba., per la sua responsabilità professionale.

Il Ba. ha chiamato in causa la propria assicuratrice della responsabilità civile (Assicuratori dei Lloyd’s per il rischio relativo alla specifica polizza stipulata), per essere manlevato in caso di condanna.

Il Tribunale di Brescia ha emesso dapprima una sentenza non definitiva in relazione al giudizio incidentale per querela di falso proposto dalla società attrice e, con essa, ha dichiarato la falsità della sottoscrizione del primo contratto di compravendita da parte del suo legale rappresentante, con conseguente nullità ed inefficacia di entrambi i contratti impugnati; successivamente, con la sentenza che ha definito il giudizio, ha condannato il solo notaio Ba. a risarcire all’attrice il danno comunque subito, per € 200.000,00, oltre accessori; ha rigettato la domanda risarcitoria proposta dall’attrice nei confronti del notaio Al. e una domanda riconvenzionale di quest’ultimo nei confronti dell’attrice; ha accolto la domanda di manleva del notaio Ba. nei confronti degli Assicuratori dei Lloyd’s, dichiarando invece assorbita la domanda proposta dal notaio Al. contro i medesimi assicuratori; ha posto a carico del notaio Ba. le spese di lite sostenute dall’attrice e quelle della consulenza tecnica di ufficio espletata; ha disposto la compensazione delle spese processuali relative ai rapporti di chiamata in causa (ponendo però a carico dei chiamati le spese sostenute dai chiamanti), di quelle relative ai rapporti tra l’attrice ed il notaio Al., nonché di quelle relative ai rapporti tra la medesima attrice e le due società rimaste contumaci, (OMISSIS) S.n.c. e (OMISSIS) S.r.l..

La decisione è stata impugnata, in via principale, dal notaio Ba. e, in via incidentale, dagli Assicuratori dei Lloyd’s e dalla Me. S.r.l..

La Corte di Appello di Brescia, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato le domande proposte dalla Me. S.r.l. aventi ad oggetto la responsabilità professionale del notaio Ba., condannandola al pagamento delle spese del doppio grado in favore delle parti costituite (Ba. ed Assicuratori dei Lloyd’s).

Ricorre Me. S.r.l., sulla base di due motivi.

Resistono con distinti controricorsi, contenenti ricorso incidentale, il notaio Ba. e gli Assicuratori dei Lloyd’s. Non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli altri intimati.

Il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c.. Hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c. la società ricorrente e gli Assicuratori dei Lloyd’s (questi ultimi dichiarando di rinunciare al ricorso incidentale).

Ragioni della decisione

1. Ricorso principale

Per ragioni di priorità logica e per il suo carattere potenzialmente assorbente, va in primo luogo esaminato il secondo motivo del ricorso principale, relativo al merito della controversia.

1.1 Con esso si denunzia «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 n. 5 cpc» nonché «violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 cpc».

La società ricorrente contesta l’esclusione della responsabilità professionale del notaio Ba., ai sensi dell’art. 49 della Legge Notarile, in relazione all’accertamento dell’identità del soggetto che aveva sottoscritto l’atto di compravendita immobiliare stipulato a suo rogito, poi rivelatasi falsa. Sostiene che la corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto la condotta del notaio conforme ai parametri di diligenza professionale richiesti dalla legge e fornito al riguardo una motivazione «oltremodo superficiale e lacunosa».

Il motivo è fondato, per quanto di ragione. Ai sensi dell’art. 49 della legge notarile: «Il notaio deve essere certo dell’identità personale delle parti e può raggiungere tale certezza, anche al momento della attestazione, valutando tutti gli elementi atti a formare il suo convincimento. In caso contrario il notaio può avvalersi di due fidefacienti da lui conosciuti, che possono essere anche i testimoni».

Il primo comma della disposizione non specifica quali sono le indagini che deve effettuare il notaio per accertare l’identità della parte che non conosce personalmente, limitandosi a prevedere che egli possa e debba «valutare tutti gli elementi atti a formare il suo convincimento».

La giurisprudenza di questa Corte ha peraltro già da tempo chiarito, in merito alla diligenza richiesta al notaio ai fini dell’accertamento dell’identità della parte che stipula un atto a suo ministero, che «l’art. 49 della legge notarile (nel testo fissato dall’art. 1 della legge n. 333 del 1976) secondo il quale il notaio deve essere certo della identità personale delle parti e può raggiungere tale certezza, anche al momento dell’attestazione, con la valutazione di “tutti gli elementi” atti a formare il suo convincimento, contemplando, in caso contrario, il ricorso a due fidefacienti da lui conosciuti, va interpretato nel senso che il professionista, nell’attestare l’identità personale delle parti, deve trovarsi in uno stato soggettivo di certezza intorno a tale identità, conseguibile, senza la necessaria pregressa conoscenza personale delle parti stesse, attraverso le regole di diligenza, prudenza e perizia professionale e sulla base di qualsiasi elemento astrattamente idoneo a formare tale convincimento, anche di natura presuntiva, purché, in quest’ultimo caso, si tratti di presunzioni gravi, precise e concordanti; l’accertamento relativo è demandato al giudice del merito, il cui giudizio è incensurabile in cassazione se motivato in maniera congrua e logica» (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 29321 del 07/12/2017, Rv. 646654 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 9757 del 10/05/2005, Rv. 581307 – 01; nel medesimo senso: Sez. 3, Sentenza n. 15424 del 10/08/2004, Rv. 575939 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 11767 del 12/05/2017, Rv. 644299 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 28823 del 30/11/2017, Rv. 646191 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 13362 del 29/05/2018, Rv. 648795 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 15599 del 04/06/2021, Rv. 661631 – 01).

È peraltro pacifico – in base a tale ricostruzione – che non possa ritenersi diligentemente conseguita, da parte del notaio, la certezza soggettiva in ordine all’identità personale di una parte, mediante la sola verifica dell’esibizione di un documento di identità apparentemente valido.

Deve poi considerarsi che il secondo comma dell’art. 49 della legge notarile, in mancanza di adeguata certezza soggettiva del notaio sull’identità dello stipulante, richiede che lo stesso si avvalga di «due fidefacienti da lui conosciuti, che possono essere anche i testimoni»: da questa previsione – oltre alla necessità che della garanzia fornita dai soggetti fidefacienti si dia espressamente conto nell’atto – si desume, soprattutto, che la certezza soggettiva del notaio sull’identità delle parti non può mai fondarsi su un solo fidefaciente da lui personalmente conosciuto, non potendo ciò ritenersi sufficiente, ai fini della diligenza professionale richiesta, per espresso disposto normativo.

Tanto premesso in diritto, si osserva che, nella specie, gli elementi su cui risulta essersi basato il notaio convenuto, ai fini dell’acquisizione della certezza soggettiva sull’identità del sedicente Mario Bergamaschi, sono sostanzialmente i seguenti:

a) l’esibizione di un documento di identità personale (sebbene poi rivelatosi falsificato);

b) la garanzia sull’identità personale dello stipulante, che – per quanto i testimoni escussi nel presente giudizio hanno riferito – sarebbe stata fornita al notaio da tale Copia, soggetto già conosciuto dal notaio, benché non indicato come fidefaciente nell’atto stesso;

c) il possesso, da parte dello stipulante stesso, di una serie di documenti relativi all’immobile oggetto della compravendita (tra cui la certificazione energetica, la quale – secondo la corte territoriale – verrebbe rilasciata solo previa visita dell’immobile, nonché la documentazione catastale);

d) la pregressa conoscenza tra le parti che stavano per stipulare l’atto e le discussioni tra le stesse in ordine al relativo contenuto. La società ricorrente sostiene (con riguardo all’elemento sub a) che il documento di identità esibito presentava in realtà elementi grafici anomali che avrebbero dovuto indurre a dubitare della sua autenticità e (con riguardo all’elemento sub b) che in realtà il Copia era semplicemente un soggetto che aveva partecipato alla stipula di altri atti presso il notaio, ma non era da questi personalmente conosciuto.

Tali contestazioni riguardano, peraltro, la ricostruzione dei fatti e la valutazione delle prove, cioè attività del giudice del merito non censurabili nella presente sede: la corte di appello ha, infatti, escluso la riconoscibilità ictu oculi della falsità del documento esibito al notaio ed ha affermato che il Copia era soggetto già da quest’ultimo conosciuto, in sostanza equiparandolo ad un fidefaciente.

Le indicate censure non possono dunque ritenersi ammissibili, e ciò, in particolare, alla stregua dei limiti che il n. 5 dell’art.360 c.p.c. impone al controllo, da parte della Corte di Cassazione, della ricostruzione della quaestio facti, restringendoli al caso dell’omesso esame, siccome definito dalle note sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014 delle Sezioni Unite.

Diverso è, invece, il discorso relativo all’attività di sussunzione dei fatti, come in concreto accertati dai giudici del merito, nell’ambito dell’astratta previsione di cui alla disposizione normativa da applicare. In proposito, va richiamato l’indirizzo di questa Corte secondo il quale «le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente l’applicazione della norma stessa, una volta correttamente individuata ed interpretata; il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione; non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità» (così, in sintesi, di recente: Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 640 del 14/01/2019, Rv. 652398 – 01; si tratta peraltro di indirizzo risalente e consolidato; cfr., in proposito, Cass., Sez. U, Sentenza n. 10313 del 05/05/2006, Rv. 589877 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 22348 del 24/10/2007, Rv. 599791 – 01; Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745 – 01; Sez. L, Sentenza n. 16698 del 16/07/2010, Rv. 614588 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 8315 del 04/04/2013, Rv. 626129 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171 – 01; Sez. L, Sentenza n. 195 del 11/01/2016, Rv. 638425 – 01; Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017, Rv. 645538 – 03; Sez. 3, Sentenza n. 13747 del 31/05/2018, Rv. 649041 – 01, con ampie argomentazioni sulla esatta portata del cd. vizio di sussunzione).

Nella specie, la corte di appello ha ritenuto che la condotta del notaio, che si era formato il suo convincimento soggettivo sull’identità personale dello stipulante considerando gli elementi sopra elencati, integrasse, in concreto, il parametro della adeguata diligenza professionale, come richiesto dall’art. 49 della legge notarile.

Ha cioè ritenuto che la fattispecie concreta, come da essa ricostruita sulla base della valutazione degli elementi istruttori, potesse ritenersi corrispondere alla fattispecie astratta prevista, nei termini generali di cui si è dato conto, dalla disposizione di legge: secondo la corte territoriale, in altri termini, la regola di condotta in concreto osservata dal notaio, come sopra ricostruita, rientrerebbe nella astratta previsione normativa di cui all’art. 49 della legge notarile.

Tale operazione interpretativa, come appena esposto, consistendo appunto nella “sussunzione” della fattispecie concreta, come emergente dalle risultanze di causa, nell’ambito della fattispecie astratta prevista della disposizione di legge (pacificamente) applicabile nella situazione data, ha natura giuridica ed è quindi sindacabile in sede di legittimità sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione di legge, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c..

Ad avviso di questo Collegio giudicante, la suddetta operazione non è stata effettuata in modo conforme a diritto.

Tra gli elementi considerati dal notaio Ba. (e ritenuti sufficienti dalla corte di appello) per la formazione del suo convincimento soggettivo, quelli sub a) e sub b), infatti, come già visto, certamente non possono ritenersi da soli adeguati – già in diritto – nell’ottica della diligente e professionale verifica dell’identità personale della parte richiesta al notaio dall’art. 49 della legge notarile, ai fini della relativa attestazione.

Quello sub a), in base al costante indirizzo giurisprudenziale di questa stessa Corte di cui si è già dato conto più sopra, per cui la semplice esibizione di un documento di identità, anche se apparentemente valido e non palesemente falsificato, non può mai considerarsi idonea ai fini dell’accertamento dell’identità personale dello stipulante da parte del notaio.

Quello sub b), perché la possibilità di avvalersi della garanzia sull’identità della parte fornita da un unico soggetto fidefaciente, peraltro neanche indicato come tale nell’atto, è implicitamente ma inequivocabilmente esclusa dalla disposizione di cui all’art. 49 della legge professionale, che ne richiede almeno due (la questione non è stata espressamente sollevata dalla ricorrente, ma può comunque essere rilevata di ufficio, trattandosi di questione di diritto, tenuto conto che è pacifico che il Copia fu l’unico soggetto a garantire l’identità del sedicente Bergamaschi e venendo comunque in rilievo nella presente sede la corretta applicazione della disposizione di legge appena richiamata; cfr. in proposito: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 6935 del 22/03/2007, Rv. 597297 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 10841 del 17/05/2011, Rv. 617225 – 01; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 3437 del 14/02/2014, Rv. 629913 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 18775 del 28/07/2017, Rv. 645168 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26991 del 05/10/2021).

Per quanto poi riguarda gli ulteriori elementi di fatto posti a base dell’accertamento dell’identità del sedicente Mario Bergamaschi, cioè quelli sopra indicati sub c) e sub d), in realtà si tratta di elementi del tutto neutri e privi di un pur minimo apprezzabile significato, ai fini dell’acquisizione di una qualunque certezza sull’identità di un determinato soggetto. Si tratta cioè di elementi per sé non idonei a fondare, già sul piano della congruità logica in astratto, alcun tipo di convincimento sull’identità personale di chicchessia (e meno che mai idonei a giustificare che il soggetto che ne è in possesso si trovi in una relazione di titolarità dell’immobile oggetto dell’atto notarile, sì da essere legittimato a stipularlo). Basti considerare che la documentazione ipotecaria e catastale relativa ad un immobile è di pubblica disponibilità, che la stessa certificazione energetica può ben essere falsificata da chiunque (o comunque irregolarmente attestata, senza alcun accesso all’immobile), mentre la pregressa conoscenza tra le parti che si apprestano a stipulare un atto notarile non fornisce alcun elemento utile in ordine alla loro effettiva identità e potrebbe, anzi, addirittura fondare un sospetto su una possibile “complicità”, nell’ottica di una eventuale operazione truffaldina.

Sotto questo aspetto, la stessa motivazione della decisione impugnata, oggetto delle censure della società ricorrente, nella parte in cui, in buona sostanza, sebbene senza invocare espressamente il ragionamento presuntivo, considera tali elementi come indizi gravi, precisi e concordanti in ordine all’identità del sedicente Bergamaschi, oltre a violare la disposizione dell’art. 2729 c.c. (aspetto in verità non dedotto, parimenti expressis verbis e comunque in modo chiaro nel ricorso), deve ritenersi in sostanza meramente apparente e, comunque, talmente carente sotto il profilo logico da risultare del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione, in quanto perplessa o obbiettivamente incomprensibile e, come tale, sindacabile anche ai sensi dell’attuale formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (cfr., ex multis: Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 – 01; Sez. U, Sentenza n. 8054 del 07/04/2014, Rv. 629833 – 01; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 23828 del 20/11/2015, Rv. 637781 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018, Rv. 650880 – 01).

In ogni caso, l’accertamento effettuato della corte di appello in ordine alla sussistenza dello «stato di certezza soggettiva del notaio sull’identità del sedicente Bergamaschi, dallo stesso desunto, attraverso regole di diligenza, prudenza e perizia professionale, sulla base di elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti» (accertamento che questo Collegio non rivaluta, ma si limita ad assumere proprio nei termini fattuali in cui l’ha assunto la corte territoriale) si risolve in una falsa applicazione delle disposizioni di cui all’art. 49 della legge notarile, sotto gli sotto gli aspetti indicati e, nel contempo, si fonda su un ragionamento in iure che si rivela ab intrinseco del tutto illogico.

Per un verso, infatti, le suddette disposizioni non risultano applicate in modo conforme al disposto normativo da esse desumibile, perché l’accertata fattispecie del modus operandi del notaio è stata dalla corte territoriale erroneamente ritenuta integrare l’osservanza del citato art. 49 e, per altro verso, la medesima fattispecie concreta è stata ritenuta riconducibile a tale disposto sulla base di una motivazione meramente apparente ed insanabilmente carente sul piano logico, avendo la corte territoriale considerato come indizi gravi, precisi e concordanti in ordine all’identità di un soggetto circostanze di fatto in realtà del tutto prive di alcun significato in proposito.

La decisione impugnata va pertanto cassata, affinché in sede di rinvio sia nuovamente valutata, in concreto, la sussistenza della diligenza professionale del notaio Ba. nell’accertamento dell’identità personale del sedicente Mario Bergamaschi, alla luce dei principi di diritto sopra enunciati e, comunque, sulla base di una congrua e logica valutazione di tutti elementi emergenti dagli atti.

A tal proposito, anche a fini di completezza espositiva, va altresì sottolineato che, effettivamente, di alcune circostanze di fatto pur potenzialmente rilevanti ai fini dell’accertamento della diligenza professionale del notaio e specificamente allegate in giudizio, la corte di appello pare avere del tutto omesso l’esame (in particolare: il basso prezzo dell’immobile e le modalità “sospette” sull’effettivo pagamento dello stesso; la scelta di un notaio avente sede in Desenzano del Garda, circondario diverso da quello in cui si trovava l’immobile, cioè Bergamo), mentre, quelle che ha ritenuto non sufficientemente significative (in particolare, le discrepanze tra i dati anagrafici emergenti dal documento di identità esibito, quelli di cui alla visura camerale e quelli emergenti dall’atto di provenienza del bene oggetto della vendita), alla luce di quanto sin qui osservato in ordine alla persistente situazione di incertezza sull’identità della sedicente parte alla luce degli elementi disponibili, potrebbero, al contrario, anche eventualmente essere considerate rilevanti, quanto meno ai fini della valutazione dell’opportunità, per il notaio, di procedere, nella specie, a più approfondite indagini.

1.2 Con il primo motivo si denunzia «violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 co. 1 n. 3 cpc in relazione all’art. 91 cpc». Oggetto del motivo di ricorso in esame è il capo della decisione impugnata relativo alla regolamentazione delle spese processuali: essendo cassata con rinvio la predetta decisione, il motivo resta assorbito, in quanto la liquidazione delle suddette spese dovrà essere nuovamente effettuata all’esito del giudizio di rinvio.

2. Ricorsi incidentali

Con i rispettivi ricorsi incidentali, sia gli Assicuratori dei Lloyd’s che il Ba. hanno denunciato l’omessa pronuncia, da parte della corte di appello, sulla domanda – proposta nel corso del giudizio di appello – di restituzione dell’importo oggetto della condanna pronunciata in primo grado in favore dei suddetti Assicuratori, i quali avevano provveduto direttamente al pagamento a Me. S.r.l..

Gli Assicuratori dei Lloyd’s hanno rinunciato espressamente a tale ricorso incidentale, con la memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., dichiarando di avere frattanto ottenuto la restituzione delle somme versate. Lo stesso va pertanto dichiarato inammissibile per sopravvenuto difetto di interesse.

Il Ba. non risulta avere formalizzato analoga rinuncia, pur senza contestare né la circostanza di fatto relativa all’avvenuto pagamento della somma oggetto della condanna di primo grado, da parte degli Assicuratori dei Lloyd’s (anzi, dandone espressamente atto nelle sue difese) né l’avvenuta restituzione di essa in favore degli stessi: si tratta quindi di ricorso in ogni caso inammissibile, anch’esso – e quanto meno – per difetto di interesse sopravvenuto (a prescindere, quindi, dalla stessa legittimazione del Ba. a proporre il ricorso incidentale in questione, non avendo egli effettuato alcun pagamento).

3. È accolto il secondo motivo del ricorso principale, assorbito il primo.

I ricorsi incidentali sono dichiarati inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse.

La sentenza impugnata è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di Appello di Brescia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

per questi motivi

La Corte:

– accoglie il secondo motivo del ricorso principale, dichiara assorbito il primo e cassa per l’effetto la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di Brescia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità;

– dichiara inammissibili i ricorsi incidentali per sopravvenuto difetto di interesse.

Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 2 novembre 2021.