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Cassazione Civile 4460/2009 – Procedimento amministrativo – Interesse a ricorrere – Tutela risarcitoria

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Sentenza 4460/2009

Procedimento amministrativo – Interesse a ricorrere – Tutela risarcitoria

L’interesse e la legittimazione ad impugnare un provvedimento amministrativo non vengono meno qualora esso abbia già dispiegato i propri effetti, tenuto conto sia del vincolo conformativo prodotto dalla pronuncia di annullamento (con effetti “ex tunc”) in ordine ai successivi provvedimenti e comportamenti dell’Amministrazione, sia dell’interesse della parte a chiedere successivamente con maggior forza la tutela risarcitoria, sebbene sia venuto meno l’istituto della cosiddetta pregiudizialità amministrativa. (Fattispecie in tema di impugnazione dinanzi al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche di un provvedimento regionale che, per fronteggiare una crisi idrica, ordinava alle società titolari di concessioni di derivazione d’acqua, ai fini idroelettrici, di rilasciare acqua in misura maggiore di quella che essi ritenevano dovuta).

Cassazione Civile, Sezioni Unite, Sentenza 25 febbraio 2009, n. 4460

Art. 2043 cc (Risarcimento per fatto illecito)

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto dirigenziale 19 luglio 2005, n. 11321, rettificato con decreto 20 luglio 2005, n. 11386, la Regione Lombardia, Direzione generale reti e servizi di pubblica utilità, emanava disposizioni urgenti concernenti la regolazione delle portate del bacino del fiume Adda, limitazioni temporanee all’uso dei serbatoi idroelettrici in concessione alle società Ed. s.p.a., En. Pr. s.p.a., Ed. s.p.a. ed AE. s.p.a. e deroga temporanea al limite minimo di regolazione del lago di (OMESSO), ai sensi e per gli effetti del Testo Unico delle acque Regio Decreto n. 1775 del 1933, articoli 43, comma 4, e della Legge n. 36 del 1994, articolo 28. Più specificamente la Regione, per fronteggiare la crisi idrica in atto, ordinava alle predette società, titolari di concessioni di derivazione di acque dell’Adda a fini idroelettrici, poste a monte del lago di Como, di rilasciare volumi d’acqua dei rispettivi serbatoi, secondo modalità e tempi prefissati o da concordare con il Consorzio dell’Adda e comunque entro il 14.8.2005, fino al raggiungimento delle portate di competenza delle utenze irrigue poste a valle del lago. Le società impugnavano i decreti davanti al Tribunale Superiore delle acque pubbliche, con distinti ricorsi poi riuniti dal Tribunale. Resistevano la Regione Lombardia e il Consorzio dell'(OMESSO) e spiegavano intervento adesivo ad opponendum la Federazione Provinciale dei Coltivatori diretti di (OMESSO), il Consorzio di bonifica (OMESSO), il Consorzio di bonifica (OMESSO), il Naviglio della Città di Cremona, il Consorzio di bonifica (OMESSO) e la Libera Associazione Agricoltori (OMESSO). Il TSAP, con la sentenza in esame depositata in data l’8.8.2006:

– respingeva l’eccezione di carenza di interesse ad agire, sollevata dal Consorzio dell’Adda e dagli altri consorzi e associazioni intervenuti ad opponendum sul rilievo del pacifico esaurimento degli effetti dei provvedimenti impugnati (riferiti alla sola stagione estiva 2005 e tempestivamente eseguiti dalle società), osservando che tale interesse era comunque attuale, in considerazione sia delle pretese risarcitorie esercitabili dalle ricorrenti sulla base dell’accertamento dell’illegittimità dei provvedimenti in discussione, sia della possibilità che la Regione adottasse in futuro analoghi provvedimenti;

– accoglieva, quindi, i ricorsi in relazione a due dei motivi in essi articolati (e dichiarava assorbiti gli altri) accertando l’illegittimità dei decreti regionali sotto due profili:

– a) la falsa applicazione del cit. Testo Unico delle acque articoli 43, comma 4, e della Legge n. 36 del 1994, articolo 28, per essere invece applicabile l’articolo 30, 1 comma, lettera b), di quest’ultima legge, versandosi, nella specie, nell’ipotesi ivi prevista di “emergenza” idrica, la quale si differenzia dalla “eccezionalità” prevista dal cit. articolo 43, per la frequenza con cui si verifica (la siccità, posta alla base dei provvedimenti impugnati, è situazione che si determina ciclicamente ogni estate), con la conseguenza che la Regione non poteva adottare da sola i provvedimenti eccezionali consentiti dal cit. articolo 43, (come invece aveva fatto) ma era tenuta ad acquisire gli indirizzi stabiliti a livello centrale dal CIPE, previsti dal richiamato articolo 30;

– b) la violazione dei principi di proporzionalità e di leale collaborazione, avendo la Regione dato puramente e semplicemente prevalenza alle concessioni irrigue, anteriori nel tempo, a totale discapito delle concessioni idroelettriche, successive, ed essendo venuta meno all’obbligo di valutare i dati sull’accumulo delle acque, nell’ambito di queste ultime concessioni, offerti da entrambe le parti (erano stati presi in considerazione i soli dati offerti dal Consorzio dell’Adda).

Avverso tale sentenza ricorre la Regione Lombardia con cinque motivi. Propongono distinti controricorsi: l’ En. Pr. s.p.a., l’ AE. s.p.a., il Consorzio dell'(OMESSO) (“atto di costituzione” adesivo al ricorso); l’Ed. s.p.a., Ed. s.p.a..

I controricorsi di queste ultime due società contengono anche ricorsi incidentali condizionati (aventi ad oggetto censure dichiarate assorbite dal TSAP), cui resistono con distinti controricorsi la Regione Lombardia e le società En. Pr. s.p.a. ed AE. s.p.a.

La Federazione Provinciale Coltivatori diretti di Cremona propone ricorso incidentale adesivo al ricorso della Regione con tre motivi. Il Consorzio di Bonifica (OMESSO), il Consorzio di Bonifica (OMESSO), il Naviglio della Città di (OMESSO), il Consorzio di bonifica (OMESSO) e Libera Associazione Agricoltori (OMESSO) propongono, infine, analogo ricorso incidentale adesivo con quattro motivi, cui resistono con distinti controricorsi la En. Pr. s.p.a. e l’ AE. s.p.a.. Hanno depositato memoria la Ed. , la Ed. , il Consorzio di Bonifica (OMESSO) (ed altri), la A2A (già AE. ).

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ricorso principale (Regione Lombardia):

con il primo motivo di ricorso si deduce violazione dell’articolo 100 c.p.c., da parte delle società ricorrenti innanzi al TSAP, per avere le stesse già dato esecuzione al provvedimento regionale impugnato, per cui “il 17.5.2005, data dell’udienza conclusiva del giudizio di primo grado, l’atto impugnato aveva cessato di esistere come atto produttivo di effetti giuridici”;

con il secondo motivo si deduce violazione e mancata applicazione del Regio Decreto n. 642 del 1907, articolo 2, per mancanza da parte dei ricorrenti di una posizione di interesse legittimo, con conseguente difetto di legittimazione attiva, in quanto “nel caso di specie, i ricorrenti hanno agito in quanto concessionari ma per la tutela oggetto della concessione in misura non riconosciuta dalla legge per quanto previsto dal Regio Decreto n. 1733 del 1933, articolo 19, comma 1, e dal Regio Decreto n. 1285 del 1920, articolo 17, comma 1”;

con il terzo motivo si deduce violazione ed errata applicazione del Regio Decreto n. 1733 del 1933, articolo 19, comma 1, e del Regio Decreto n. 1285 del 1920, articolo 17, comma 1, in quanto, ove mai si ritenga i ricorrenti in primo grado comunque legittimati, l’atto impugnato, avendo ad oggetto il rilascio di volumi d’acqua, “avrebbe dovuto correttamente considerarsi atto vincolato”;

con il quarto motivo si deduce violazione e mancata applicazione del Regio Decreto n. 1775 del 1933, articolo 43, comma 4, ed errata applicazione della Legge n. 36 del 1994, articolo 30, in relazione al punto in cui la decisione impugnata ritiene la situazione idrica posta a base dell’impugnato provvedimento non di tipo “eccezionale” ma causa solamente di un’emergenza riconducibile al cit. articolo 30, al di fuori di prospettazioni delle parti in causa in tal senso;

con il quinto motivo, infine, si deduce difetto di motivazione nel punto in cui la decisione impugnata “non dice quali concrete istanze, richieste, osservazioni o dati, i ricorrenti abbiano formulato o presentato e siano stati disattesi o ignorati dall’amministrazione procedente”.

Ricorsi incidentali (condizionati) della Ed. s.p.a. e Ed. s.p.a.: con l’unico motivo (analogo nei due ricorsi pur se autonomi) si deduce violazione del Regio Decreto n. 1775 del 1933, articoli 19, 43, 45, ed “eccesso di potere” in quanto “la Regione non si è posto il problema di procedere a una distribuzione ragionata del sacrificio imposto ai vari concessionari”.

Ricorso incidentale adesivo del Consorzio di Bonifica (OMESSO) (ed altri sopra indicati):

con il primo motivo si deduce violazione dell’articolo 100 c.p.c., per le stesse ragioni prospettate nel primo motivo del ricorso principale, con il secondo motivo si deduce violazione del Regio Decreto n. 1775 del 1933, articolo 43, per le stesse ragioni di cui al quarto motivo del ricorso principale;

con il terzo motivo si deduce violazione della Legge n. 36 del 1994, articolo 28, e del Regio Decreto n. 1773 del 1933, articolo 19, comma 1, per le stesse ragioni di cui al terzo motivo del ricorso principale;

con il quarto motivo si deduce violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 4, in quanto la sentenza impugnata è il risultato di “mera adesione acritica alle tesi prospettate dai ricorrenti”.

Ricorso incidentale adesivo della Federazione Provinciale Coltivatori Diretti di Cremona:

con i tre motivi si riportano le stesse deduzioni di cui al primo, terzo e quarto motivo del ricorso principale.

Preliminarmente si dispone la riunione dei ricorsi ai sensi dell’articolo 335 c.p.c..

Infondato è il ricorso principale. In proposito si osserva:

quanto al primo ed al secondo motivo, da trattarsi congiuntamente in quanto aventi ad oggetto il medesimo thema decidendum dell’azionabilità in giudizio degli interessi dei ricorrenti in ordine all’impugnato provvedimento della Regione Lombardia, priva di pregio è l’assunto di quest’ultima (secondo cui interesse e legittimazione attiva vengono meno in presenza di un provvedimento che ha già dispiegato i suoi effetti) in virtù di considerazioni plurime.

Innanzitutto, come già affermato da questa Corte (sul punto, Cass. n. 1446/2000), la giurisdizione di tipo cognitivo (oltre quella cautelare) in ordine all’illegittimo esercizio del potere di adottare un provvedimento da parte della Pubblica Amministrazione non può assolutamente ritenersi preclusa dall’avvenuta efficacia del provvedimento impugnato; se ciò fosse ne risulterebbe eluso il principio costituzionale, di cui all’articolo 113 Cost., comma 1, in base al quale contro gli atti della Pubblica Amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi davanti alla giurisdizione ordinaria e amministrativa.

Inoltre, è da osservare che è ormai un dato acquisito del nostro ordinamento (a seguito della giurisprudenza di queste Sezioni Unite formatasi sulla scia della nota sentenza n. 500/1999, tra cui l’ordinanza n. 13911/2006) la risarcibilità dei danni derivanti dalla lesione di interessi legittimi, in modo tale da rendere omogenee le forme di tutela dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi, essendo possibile per questi ultimi oltre la tutela dell’azione di annullamento anche quella appunto risarcitoria, restando, ovviamente, fermo il relativo termine prescrizionale; in proposito, deve aggiungersi che priva di pregio è la tesi dell’odierna ricorrente secondo cui non è più configurabile la possibilità di impugnativa di un provvedimento illegittimo che ha dispiegato tutti i propri effetti, anche in virtù dell’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte, in base al quale è venuto meno l’istituto della c.d. pregiudizialità amministrativa, nel senso che non occorre, preventivamente ottenere l’annullamento del provvedimento illegittimo da parte del Giudice amministrativo per accedere successivamente alla tutela risarcitoria: da ciò infatti non può assolutamente trarsi, sul piano logico – processuale, l’ulteriore affermazione che non sussista comunque un interesse autonomo del destinatario del provvedimento illegittimo ad ottenere prima la pronuncia di annullamento per poi, ovviamente “con maggior forza”, chiedere la tutela risarcitoria.

Ancora, va rilevato che, quali ulteriori aspetti argomentativi non trascurabili (sempre in tema di infondatezza dei primi due motivi), la pronuncia di annullamento ha una portata costitutiva ex tunc, così determinando sul piano giuridico il venir meno degli effetti dell’atto sin dal momento della sua emanazione, e al tempo stesso impone un vincolo conformativo (a quanto giudizialmente accertato e stabilito) in ordine a successivi provvedimenti e comportamenti dell’Amministrazione stessa; tale ultima considerazione assume una specifica rilevanza nel caso di specie in cui il TSAP ha rilevato situazioni di crisi idrica a carattere ciclico, con la conseguente esigenza amministrativa di provvedere più volte e ripetutamente nel tempo e di stabilire, eventualmente, diversi ordini di rilascio di volumi di acqua a carico dei vari concessionari. Tra l’altro, tale aspetto è ben messo in evidenza nella decisione impugnata, là dove (pag. 22) correttamente si afferma: “è evidente l’attualità dell’interesse ad agire per l’annullamento del decreto della Regione Lombardia che impone l’obbligo di rilasciare acqua in misura maggiore di quella che i concessionari dell’Adda sopralacuale ritengono dovuta. Aldilà del provvedimento contingente, l’azione che i ricorrenti intentano scaturisce da un interesse procedimentale in senso stretto che essi considerano un bene giuridico del quale chiedere tutela. Nelle condizioni di tempo e di luogo in cui è maturata, la situazione da cui trae origine il provvedimento si riproduce sempre e ciclicamente, per il normale ricorrere dell’emergenza idrica durante le stagioni estive”.

Parimenti, infondato, è il terzo motivo in relazione alla dedotta natura vincolata e non discrezionale del provvedimento in questione: a parte la considerazione che la censura in ordine alla ritenuta discrezionalità del provvedimento amministrativo è alquanto generica come risulta dalla testuale argomentazione svolta in proposito (“i vizi evidenziati dai ricorrenti non avrebbero avuto alcun rilievo in relazione al provvedimento impugnato in quanto l’ordine di rilascio, in esso contenuto, avrebbe dovuto correttamente considerarsi atto vincolato, avente il limitato significato di esplicitare, dichiarare, il divieto di trattenere acqua in violazione delle norme in epigrafe”), è da rilevare che il provvedimento in questione è stato emesso dalla Regione Lombardia in virtù di quanto disposto dal Regio Decreto n. 1775 del 1933, articolo 43, comma 4, secondo cui “il Ministero dei lavori pubblici può imporre temporanee limitazioni all’uso della derivazione che siano ritenute necessarie per speciali motivi di pubblico interesse o quando si verificassero eccezionali deficienze dell’acqua disponibile, in guisa da conciliare nel modo più opportuno le legittime esigenze delle diverse utenze”; è evidente dunque il potere e non l’obbligo spettante alla pubblica amministrazione in virtù di valutazioni tecnico – amministrative su circostanze di fatto non ulteriormente valutabili nella presente sede. Inammissibili sono pertanto le censure svolte nel terzo motivo in esame riguardo ai presupposti di ratio per l’emissione di detto provvedimento, censure poi riprese nel quarto e nel quinto motivo. Anche tali ultimi due motivi del ricorso della Regione sono inammissibili, rispettivamente, per erronea formulazione e mancanza del quesito di diritto di cui all’articolo 366 bis c.p.c.. Per quanto attiene il quarto motivo, deve rilevarsi che risultano formulati due quesiti al seguente tenore: “se il Giudice possa giudicare come diverso il presupposto di fatto posto a fondamento del provvedimento impugnato dalla P.A. in mancanza di qualunque prova, allegazione o contestazione, in facto, da parte dei ricorrenti”, e “se in mancanza dei provvedimenti di pianificazione di competenza del CIPE, l’amministrazione regionale possa, ed anzi debba, utilizzare i poteri di cui al cit. Testo Unico Acque articolo 43, comma 4, con modalità espositive generiche e “svincolate” dalle ragioni del decidere dell’impugnata sentenza e, quindi, difformemente da quanto statuito da questa Corte; infatti, a parte la considerazione che è principio ormai consolidato (sul punto Cass. n. 27130/2006), sulla base di quanto statuito dall’articolo 366 bis c.p.c., comma 1, in questione, quello dell’illustrazione per ciascuna censura di un unico quesito (e ciò ovviamente per una chiara comprensione delle singole doglianze rivolte alla Corte di legittimità), è necessario (sul punto, tra le altre, Sez. U. n. 3519/2008) che, affinchè detto quesito abbia i requisiti idonei ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione con riferimento al ricorso per violazione di norme di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, risulti individuata la discrasia tra la ratio decidendi della sentenza impugnata (che deve essere indicata) e il principio di diritto da porre a fondamento della decisione invocata (che deve essere enunciato), non essendo sufficiente che il ricorrente si limiti a prospettare genericamente detta violazione, senza enunciare gli errori di diritto in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata; pertanto la parte ha l’onere di formulare espressamente nel ricorso per cassazione a pena di inammissibilità, una chiara sintesi logico – giuridica della questione sottoposta al vaglio del Giudice di legittimità, in termini tali per cui dalla risposta (negativa od affermativa) che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame. Ne consegue che è inammissibile non solo il ricorso nel quale il suddetto quesito manchi, ma anche quello, come nel caso in esame, nel quale, pur essendovi due quesiti, gli stessi non rispondano alle suesposte esigenze, perchè formulati in modo generico ed inconferente rispetto alla illustrazione delle censure, ed in modo tale da richiedere alla Corte un inammissibile accertamento di fatto. Quanto poi al quinto motivo, pur prospettandosi con esso solo vizi di motivazione, non può che ribadirsi in proposito (sul punto, tra le altre Sez. U. n. 20603/2007), ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., comma 2, che la formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del Decreto Legislativo 2. febbraio 2006, n. 40, ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, per cui la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità.

In parte assorbiti e in parte infondati sono anche i ricorsi incidentali adesivi del Consorzio di Bonifica (OMESSO) (ed altri) e della Federazione Provinciale Coltivatori Diretti di Cremona, in relazione ai quali non può, in via preliminare, statuirsi l’inammissibilità per tardività (per essere scaduto il relativo termine di 45 giorni di cui al Regio Decreto n. 1775 del 1933, articolo 202, u.c.) per quanto di recente affermato da questa stessa Corte a Sezioni Unite (Cass. n. 24627/2007), secondo cui deve affermarsi che l’impugnazione incidentale tardiva è sempre ammissibile a tutela della reale utilità della parte tutte le volte che l’impugnazione principale metta in discussione l’assetto di interessi derivante dalla sentenza alla quale il coobbligato solidale aveva prestato acquiescenza, e ciò sia quando essa rivesta le forme della controimpugnazione rivolta contro il ricorrente principale, sia quando rivesta le forme della impugnazione adesiva, come per i ricorsi in esame, rivolta contro la parte investita dall’impugnazione principale, e, in tal caso, anche se fondata sugli stessi motivi fatti valere dal ricorrente principale.

In particolare per quanto attiene il ricorso adesivo del Consorzio di Bonifica (OMESSO) (ed altri) assorbiti risultano i primi tre motivi in quanto riproducono censure del ricorso principale mentre il quarto motivo è inammissibile perchè con esso si deduce un mero difetto di motivazione senza formulazione del relativo quesito, per cui vale in proposito quanto già esposto in relazione al quinto motivo del ricorso principale; riguardo poi al ricorso adesivo della Federazione Provinciale Coltivatori Diretti di Cremona è anch’esso assorbito, in relazione a tutte le doglianze espresse, dal rigetto del ricorso principale.

Inammissibili, infine, per evidente carenza di interesse sono poi i ricorsi incidentali della Ed. s.p.a. e della Ed. s.p.a. in quanto non sono risultate soccombenti nel giudizio di merito innanzi al TSAP ed anzi lo stesso TSAP ha accolto i ricorsi “riuniti” tra cui quelli delle stesse Ed. e della Ed. .

In conclusione, deve affermarsi che non merita accoglimento il ricorso della Regione Lombardia sia perchè sussisteva l’interesse dei ricorrenti innanzi al TSAP, pur avendo il provvedimento impugnato formalmente prodotto i suoi effetti, sia perchè non sono più esaminabili nella presente sede i presupposti di fatto, come valutati dallo stesso TSAP, che hanno dato luogo a detto provvedimento amministrativo (avente ad oggetto il rilascio di volumi di acqua) ed inammissibili sono le censure con quesito di diritto formulato in modo generico o svolte, in ordine ad un eventuale difetto di motivazione ex articolo 360 c.p.c., n. 5, senza formulazione di detto quesito.

In relazione alla natura ed alla complessità della controversia, si ritengono sussistere giusti motivi per dichiarare interamente compensate tra tutte le parti in causa le spese della presente fase.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale nonchè i ricorsi incidentali adesivi e dichiara inammissibili gli altri ricorsi incidentali. Compensa le spese.

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