Sentenza 4529/2022
Regolamento di condominio contrattuale contenente limitazioni imposte alle proprietà esclusive
Le clausole del regolamento condominiale di natura contrattuale possono imporre limitazioni ai poteri e alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà, e, purchè siano enunciate in modo chiaro ed esplicito, sono vincolanti per gli acquirenti dei singoli appartamenti qualora, indipendentemente dalla trascrizione, nell’atto di acquisto si sia fatto riferimento al regolamento di condominio, che – seppure non inserito materialmente – deve ritenersi conosciuto o accetto in base al richiamo o alla menzione di esso nel contratto.
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 11-2-2022, n. 4529 (CED Cassazione 2022)
Art. 1138 cc (Regolamento di condominio) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
Dopo aver proposto accertamento tecnico preventivo, (OMISSIS) S.r.L., con atto di citazione notificato l’11.2.2013, evocava in giudizio innanzi il Tribunale di Tempio Pausania le società (OMISSIS) S.n.c., e (OMISSIS) S.p.a., rispettivamente utilizzatrice in leasing, la prima, e proprietaria, la seconda, di un immobile sito in territorio del Comune di Olbia, lamentando che le convenute avevano eseguito alcune opere di sopraelevazione, in violazione delle norme del regolamento condominiale, dei diritti degli altri condomini e delle disposizioni in tema di distanze. (OMISSIS) S.r.l. invocava quindi la rimozione di dette opere, ovvero il loro arretramento sino al rispetto della distanza minima legale dalla veduta esercitabile dal suo immobile.
Nella resistenza delle società convenute, la domanda veniva accolta dal Tribunale, con sentenza n. 47/2015, sul presupposto che le opera, eseguite sul lastrico di copertura del locale adibito a farmacia, sito al piano terreno dell’edificio, fossero state realizzate in violazione delle disposizioni del regolamento di condominio.
Interponeva appello avverso detta decisione la società (OMISSIS) – (OMISSIS) S.n.c. e si costituiva in seconde cure la (OMISSIS) S.r.l., resistendo al gravame.
Con ordinanza del 22.3.2016 la Corte di Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, dichiarava inammissibile l’impugnazione.
Propone ricorso per la cassazione della sentenza di primo grado (OMISSIS) S.n.c., affidandosi a quattro motivi.
Resiste con controricorso (OMISSIS) S.r.l..
La parte controricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale del 31.3.2021, in esito alla quale, con ordinanza interlocutoria n. 21478-2021, il ricorso è stato rinviato a nuovo ruolo per la trattazione in udienza pubblica, con invito alle parti, ai sensi dell’art. 101 c.p.c. e art. 384 c.p.c., comma 3, a dedurre in relazione al potenziale profilo di nullità della clausola del regolamento condominiale convenzionale, per indeterminatezza del suo oggetto, rilevato dal Collegio della predetta adunanza.
In prossimità dell’udienza pubblica, ambo le parti hanno depositato memoria.
Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 1350, 2702, 2659 e 2655 c.c. perchè il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto esistente, e vincolante per la società ricorrente, un regolamento condominiale limitativo delle facoltà dei proprietari, mai trascritto e dunque a questi ultimi non opponibile.
Il motivo è infondato.
Il Tribunale dà atto (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata) che con il rogito del 24.3.2009, con il quale (OMISSIS) S.p.a. aveva acquistato il cespite oggetto di causa, poi adibito a farmacia da (OMISSIS) S.n.c., ambedue le predette società, intervenute all’atto, avevano dichiarato di ben conoscere il regolamento condominiale relativo allo stabile nel quale l’immobile è compone 11/02/2022 di accettarne il contenuto. Detto regolamento, che per clausola vieta qualsiasi innovazione alle cose comuni, anche se in corrispondenza alle proprietà individuali, senza il consenso della maggioranza dei condomini che rappresenti i 2/3 del valore dell’edificio, era dunque loro pienamente opponibile.
Sul punto, va ribadito il principio secondo cui “Le clausole del regolamento condominiale di natura contrattuale, che può imporre limitazioni ai poteri e alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà purchè siano enunciate in modo chiaro ed esplicito, sono vincolanti per gli acquirenti dei singoli appartamenti qualora, indipendentemente dalla trascrizione, nell’atto di acquisto si sia fatto riferimento al regolamento di condominio, che -seppure non inserito materialmente- deve ritener si conosciuto o accettato in base al richiamo o alla menzione di esso nel contratto” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17886 del 31/07/2009, Rv. 609727; cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10523 del 03/07/2003, Rv. 564771).
Con il secondo motive, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., perchè il Tribunale avrebbe erroneamente interpretato la volontà delle parti, senza valorizzare il fatto che, sin dalle trattative precontrattuali, la parte acquirente avesse esplicitato che il bene immobile oggetto di causa avrebbe dovuto essere adibito a farmacia e studi medici. Ad avviso della ricorrente, le opere che erano state eseguite sul cespite erano funzionali al suo adeguamento allo scopo prefisso dalle parti e rientravano nell’ambito degli interventi espressamente indicate, ed autorizzati, nel contratto di acquisto.
La censura è infondata.
La sentenza impugnata richiama l’art. 4 del rogito di compravendita, che autorizzava espressamente la parte acquirente a realizzare le opere necessarie a rendere funzionale il bene alle sue esigenze e rileva, da un lato, che nell’esemplificazione contenuta nella clausola in esame non erano comprese le modifiche effettivamente eseguite dalla ricorrente, e dall’altro che, anche a voler ritenere l’elenco contenuto nella detta clausola come meramente indicativo e non esaustivo, poteva -al più- ritenersi consentita la posa in opera dell’impianto di condizionamento e refrigerazione, ma non anche la sopraelevazione (cfr. pag. 4 della sentenza).
Trattasi di apprezzamento di fatto, fondato sull’interpretazione letterale della clausola contrattuale, al quale ha fatto seguito un risultato ermeneutico non implausibile. A detta interpretazione, la società ricorrente contrappone una differente ed alternativa lettura del dato negoziale, senza tuttavia considerare che “La parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poichè quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 28319 del 28/11/2017, Rv. 646649; conf. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 16987 del 27/06/2018, Rv. 649677; in precedenza, nello stesso senso, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009, Rv. 610944 e Cass. Sez. L, Sentenza n. 25728 del 15/11/2013, Rv. 628585).
Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 900, 907, 1102 e 2697 c.c., perchè il Tribunale avrebbe dovuto considerare che le opere eseguite sull’immobile di cui è causa avevano comportato un appoggio alla soletta della loggia ed al muro comune, non vietate dalla legge. Inoltre, il giudice di merito avrebbe dovuto considerare che la lesione del diritto di veduta genericamente lamentata da parte attrice era in realtà inesistente, quantomeno per la parte di opere che avevano inglobato l’impianto di condizionamento e refrigerazione posto a servizio del locale della società ricorrente.
La censura è infondata.
La sentenza impugnata evidenzia (cfr. in particolare pag. 5) che la nuova costruzione realizzata dalla società ricorrente aveva comportato il posizionamento del solaio di copertura della sopraelevazione realizzata sul lastrico di copertura della farmacia ad una distanza di soli 3 cm. dal piano di calpestio del balcone della (OMISSIS) S.r.l., e quindi in violazione della norma sulle distanze. Detta disposizione, ad avviso del Tribunale, sarebbe derogabile soltanto quando il proprietario del balcone o terrazzo sottostante posizioni la veranda esattamente sotto il balcone del piano superiore, senza così ledere la veduta in appiombo esercitabile dal balcone superiore.
Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta infine la violazione e falsa applicazione dell’art. 907 c.c., perchè il Tribunale avrebbe ordinato la demolizione dell’intera sopraelevazione, e non soltanto l’arretramento dell’opera sino al rispetto della distanza minima prevista dalla disposizione sopra richiamata.
Le due censure, suscettibili di trattazione unitaria, non sono fondate.
Dalla lettura della sentenza impugnata e degli atti del giudizio di legittimità, ivi incluse le memorie depositate dalle parti a seguito dell’ordinanza interlocutoria, risulta che la società ricorrente ha realizzato una sopraelevazione sul lastrico di copertura del locale sito al piano terreno dell’edificio, adibito a farmacia e studi medici, ponendo il lastrico di copertura del nuovo manufatto ad una distanza minima (3 cm.) dalla soletta del balcone di proprietà di (OMISSIS) S.r.l.. Il Tribunale ha accertato che dette opere, in ragione del minimo distacco dalla proprietà sovrastante della controricorrente, ledono il diritto di veduta di quest’ultima, e tale statuizione, fondata su un apprezzamento di fatto, non viene sostanzialmente contestata dalla società ricorrente. Quest’ultima, infatti, si limita a dolersi, da un lato, del fatto che il giudice di merito non abbia considerato che la soletta posta tra i diversi piani dell’edificio è di proprietà comune ai proprietari degli immobili siti al piano inferiore e superiore, e -come tale- è suscettibile di essere usata, dal proprietario del piano inferiore, in tutti i modi non idonei a ledere i diritti del proprietario del piano superiore. Tra detti modi di utilizzazione rientrerebbe, secondo la società ricorrente, l’infissione della struttura atta a coprire il balcone del piano inferiore. Dall’altro lato, la ricorrente lamenta che il Tribunale, una volta verificata la lesione delle distanze, abbia ordinato la rimozione dell’intera sopraelevazione, e non soltanto della parte eseguita in aggetto rispetto al balcone, senza tener conto che la parte posta al di sotto del balcone di (OMISSIS) S.r.l. non è idonea a ledere alcun diritto di veduta esercitabile di quest’ultima società.
La stessa prospettazione in fatto di parte ricorrente conferma che l’intervento di cui è causa -che, per la parte aggettante rispetto al balcone di (OMISSIS) S.r.l., è stato ritenuto dal Tribunale lesivo delle distanze minime in tema di vedute in appiombo- è, per la restante parte, posta al di sotto del balcone della società controricorrente idonea ad interessare parti comuni dell’edificio: in particolare, la facciata dell’edificio, espressamente ricompresa nell’ambito delle parti comuni dell’edificio elencate dall’art. 1117 c.c., n. 1.
L’opera eseguita da (OMISSIS) S.n.c., di conseguenza è, per la prima parte, contraria alla disposizione di cui all’art. 907 c.c., mentre, per la seconda parte, contrasta con la clausola del regolamento condominiale che subordina l’esecuzione di modifiche e innovazioni al preventivo consenso della maggioranza dei due terzi dei partecipanti al condominio, già scrutinata in occasione dell’esame dei primi due motivi di ricorso, perchè essa ha interessato anche parti comuni dell’edificio, senza il rispetto della richiamata autorizzazione.
Da quanto precede discende il rigetto del ricorso.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto –ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002– della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali, nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile, il 26 gennaio 2022.