Sentenza 4668/2023
Azione revocatoria a tutela di un credito risarcitorio derivante da reato – Estinzione del reato per prescrizione
In tema di azione revocatoria a tutela di un credito risarcitorio derivante da reato, per il cui esperimento è sufficiente l’esistenza di una ragione o aspettativa di credito scaturente dai fatti già posti a fondamento del procedimento penale, l’estinzione del reato per prescrizione non determina l’estinzione della pretesa risarcitoria ad esso correlata, atteso che quei medesimi fatti continuano a rilevare sul piano civilistico, avendo la parte civile diritto al pieno accertamento dell’obbligazione risarcitoria mediante verifica dell’integrazione della fattispecie dell’illecito aquiliano ex art. 2043 c.c..
Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 15-2-2023, n. 4668 (CED Cassazione 2023)
Art. 2901 cc – (Revocatoria ordinaria) – Giurisprudenza
Art. 2043 cc (Risarcimento per fatto illecito) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Roma accolse la domanda ex art. 2901 c.c. proposta dalla (OMISSIS) s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa, in relazione a una pretesa risarcitoria vantata nei confronti di (OMISSIS) e, per l’effetto, dichiarò l’inefficacia, rispetto all’attrice, di atti di donazione di azioni delle società (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) s.p.a. effettuati dal (OMISSIS) in favore del figlio (OMISSIS) e di trasferimenti di azioni delle stesse società compiuti dal (OMISSIS) in favore della moglie (OMISSIS), in esecuzione di un accordo di separazione consensuale.
Il credito tutelato dall’azione revocatoria risultava da una provvisionale di 2.633.055,77 Euro che era stata riconosciuta dal giudice penale di primo grado della Repubblica di San Marino e che era stata confermata dal giudice di appello pur a fronte della dichiarata prescrizione dei reati ascritti a (OMISSIS).
La Corte di Appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado, rigettando sia il gravame della Nasi e del figlio (OMISSIS) che quello di (OMISSIS).
Hanno proposto distinti ricorsi per cassazione il predetto (OMISSIS) (n. 4/2019 R.G.) e (OMISSIS) e (OMISSIS) (n. 203/2019 R.G.); ad entrambi ha resistito, con unico controricorso, la (OMISSIS) s.p.a. in l.c.a..
Fissata per i due ricorsi l’odierna pubblica udienza, i difensori di entrambe le parti ricorrenti hanno tempestivamente chiesto la discussione orale.
Il P.M. ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo il rigetto dei ricorsi.
Tutte le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. I due ricorsi vanno riuniti, ex art. 335 c.p.c., in quanto concernono la medesima sentenza; il ricorso proposto dalla Nasi e dal figlio (OMISSIS) (n. 203/2019 R.G.) – notificato nella stessa data di quello proposto da (OMISSIS), ma iscritto successivamente va considerato come incidentale (cfr. Cass. n. 25562/2014).
IL RICORSO PRINCIPALE (N. 4/201.9 R.G.).
2. Con il primo motivo il ricorrente, denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c. in relazione alla normativa della Repubblica di San Marino e in particolare all’art. 59 c.p. RSM e all’art. 196 c.p.p., vigente all’epoca degli atti di disposizione, nonchè all’art. 196 bis c.p.p. RSM entrato in vigore il 28.12.2015. Insussistenza dell’elemento oggettivo dell’azione revocatoria: assenza di ragioni di credito della (OMISSIS) all’epoca degli atti di disposizione”.
Il ricorrente censura la sentenza nella parte ire cui ha ritenuto sussistente un credito risarcitorio per condotte divenute irrilevanti soltanto ai fini penali per intervenuta prescrizione; assume che le “ragioni” o “aspettative” o “eventualità” di credito rilevanti ai fini dell’azione revocatoria “debbono non solo esistere in capo al creditore procedente al momento del compimento dell’atto di disposizione, ma anche permanere nel corso del giudizio” e che “l’estinzione, insieme con la pretesa punitiva, di qualunque ipotetica pretesa restitutoria costituisce in sostanza un fatto (…) “storico” che non può essere trascurato e che la sentenza impugnata oblitera in modo palesemente illegittimo”; evidenzia che, se non fosse intervenuta medio tempore l’introduzione dell’art. 196 bis c.p.p. RSM, il giudice penale di appello non avrebbe alcuna base giuridica per pronunciarsi sull’illecito civile, “irrimediabilmente estinto insieme a quello penale” e che solo la distorta applicazione retroattiva di quella legge aveva consentito di addebitare al (OMISSIS) un’obbligazione restitutoria; rilevato che anche il sistema sanmarinese prevede l’irretroattività della legge penale sfavorevole al reo, assume che il giudice italiano non è esonerato dalla corretta applicazione della legge straniera ai fini della propria decisione e aggiunge che “è solo in forza dell’illegittima applicazione retroattiva di una norma penale con effetti in malam partem, che la sentenza impugnata ha potuto ritenere esistente la “continuità” della pretesa creditoria”.
2.1. Il motivo è infondato in quanto basato sull’assunto erroneo che la pretesa risarcitoria correlata a un illecito costituente reato si estingua a seguito dell’estinzione del reato per prescrizione.
Quanto poi alla dedotta erroneità/illegittimità della sentenza d’appello del giudice penale sanmarinese, la stessa non rileva ai fini della revocatoria; a tali fini, interessa l’esistenza di una ragione/aspettativa di credito scaturente dai fatti già posti a fondamento del procedimento penale, che continuano a rilevare sul piano civilistico nonostante l’intervenuta prescrizione del reato (cfr. Corte Cost. n. 182/2021 che, in relazione alla previsione dell’art. 578 c.p.p., ha rilevato che, a seguito dell’estinzione del reato per prescrizione, l’imputato ha “diritto a che la sua responsabilità penale non sia più rimessa in discussione”, ma la parte civile ha “diritto al pieno accertamento dell’obbligazione risarcitoria” mediante verifica dell’integrazione della fattispecie civilistica dell’illecito aquiliano ex art. 2043 c.c.).
Va da sè che ogni valutazione circa la legittimità della pronuncia che ha disposto la condanna (o, comunque, circa l’effettiva esistenza del credito) potrà interessare la fase satisfattiva successiva all’accoglimento della revocatoria e potrà, se del caso, comportare il venir meno degli effetti di conservazione della garanzia patrimoniale (cfr., per tutte, Cass. n. 19289/2007), ma non rileva nella cornice della presente azione revocatoria.
Per le stesse ragioni, va esclusa qualunque rilevanza ai fini revocatori della pronuncia emessa dalla CEDU il 20 ottobre 2020 ( (OMISSIS) c. Repubblica di San Marino), che ha accertato la violazione della presunzione di innocenza da parte del giudice di San Marino per avere deciso il risarcimento in favore della parte civile sulla base di osservazioni incoerenti con la ritenuta prescrizione del reato; va ribadito, infatti, che ciò che rileva nella presente sede è l’esistenza di una ragione di credito – nell’accezione lata recepita dalla consolidal,Q, giurisprudenza di legittimità (cfr., per tutte, Cass. n. 1893/2012) – che possa giustificare la conservazione della garanzia patrimoniale fornita dal patrimonio del debitore mediante la dichiarazione di inefficacia degli atti pregiudizievoli posti in essere dal medesimo.
2. Con il secondo motivo deduce la “mera apparenza di motivazione in relazione alla dedotta preesistenza delle ragioni di credito di (OMISSIS), costituente fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti – ex art. 360 c.p.c., n. 5”.
Il (OMISSIS) contesta alla Corte di non avere adeguatamente motivato in merito alla dedotta inesistenza della motivazione di primo grado, non avendo preso posizione sull’eccezione di inesistenza della motivazione per relationem effettuata mediante richiamo ad un provvedimento di sequestro conservativo “non più esistente nell’ordinamento essendo stato annullato in sede di gravame”, da ciò derivando che “è palese l’inesistenza di un percorso motivazionale adeguato”.
2.1. Il motivo è infondato, in quanto la Corte ha ampiamente e adeguatamente motivato (a pag. 11) in ordine alla deduzione di inesistenza della motivazione di primo grado (per aver fatto rinvio ad un precedente provvedimento cautelare successivamente “annullato”); e ciò dando atto della censura e richiamando la motivazione del primo giudice nei passaggi in cui aveva affermato che le condotte che avevano generato il credito risarcitorio risultavano anteriori alla data degli atti revocandi; in tal modo facendo proprie considerazioni che superavano e determinavano l’irrilevanza del richiamo al provvedimento cautelare “annullato”.
3. Con il terzo motivo (indicato anch’esso come II) denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c. in relazione all’art. 156 c.c. e all’art. 711 c.p.c., all’art. 2751 c.c., n. 4) e agli artt. 2784 ss. c.c.. Insussistenza dell’elemento oggettivo dell’azione revocatoria: assenza di eventus damni – art. 360 c.p.c., n. 3”.
Il ricorrente contesta “l’idoneità degli atti di disposizione patrimoniale ad arrecare un pregiudizio alle ragioni dell’asserito creditore”, rilevando che la cessione in favore della moglie era “avvenuta a titolo di anticipata capitalizzazione dell’assegno di mantenimento in sede di separazione coniugale e, poi, divorzio” e “non arrecava alcun peggioramento della propria garanzia patrimoniale”, “in considerazione della natura privilegiata del credito della signora (OMISSIS), destinato a soddisfazione con prelazione sul credito chirografario della (OMISSIS)”, e tenuto conto, altresì, che era “sempre il giudice a pronunciare la separazione, ancorchè si tratti di separazione consensuale, attraverso il procedimento(di omologazione degli accordi coniugali”; quanto poi alla cessione in favore del figlio (OMISSIS), deduce che la sentenza impugnata non ha considerato che “le azioni trasferite sono oggetto di pegno in favore di un terzo, per un debito cambiario contratto molti anni prima dell’atto di trasferimento”.
3.1. Il motivo è inammissibile in quanto propone – genericamente – profili di diritto non direttamente conferenti a specifiche tematiche trattate dalla sentenza ed è volto sostanzialmente alla rivisitazione dell’accertamento di merito sull’eventus damni.
4. Con il quarto motivo (indicato come III) deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2901 c.c. per “insussistenza dell’elemento soggettivo dell’azione revocatoria: assenza di scientia damni”.
Il (OMISSIS) rileva di avere argomentato già in primo grado sul fatto che all’epoca degli atti traslativi (9.12.2013) “non sussisteva alcun debito rilevato nel corso dell’ispezione della Banca Centrale che non fosse stato integralmente saldato e nel procedimento penale appena iniziato (OMISSIS) non risultava neppure costituita come parte civile”; aggiunge che “le pretese successivamente svolte da (OMISSIS) erano destinate all’estinzione e in concreto si sono estinte per prescrizione il 10 settembre 2015, più di un anno prima della inopinata condanna resa possibile dall’applicazione illegittima di una novella legislativa sfavorevole”.
4.1. Anche questo motivo è inammissibile in quanto è genericamente volto a sostenere la non configurabilità della scientia damni prescindendo dall’accertamento – in fatto – che le condotte illecite appropriative erano anteriori al 2013 e reiterando l’errore di far discendere dall’estinzione del reato per prescrizione un effetto “fulminante” anche agli effetti civili.
5. Col quinto motivo (indicato come IV), il ricorrente deduce “assenza totale di motivazione in relazione alla insussistenza della scientia damni, costituente fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti. Art. 360 c.p.c., n. 5” e contesta la sentenza per non avere reso alcuna motivazione a confutazione delle censure svolte avverso la sentenza di primo grado in punto di non adeguata e coerente motivazione sulla ritenuta prova presuntiva sulla scientia damni.
5.1. Il motivo è infondato in quanto la Corte ha dato atto della censura mossa dal ricorrente e ha svolto le sue considerazioni in punto di sussistenza della scientia damni, in tal modo esprimendo le proprie ragioni a fondamento della decisione e “superando” implicitamente ogni censura svolta avverso la sentenza del primo giudice.
6. Con il sesto motivo (indicato come V) denuncia “carenza di motivazione sull’insussistenza del consilium fraudis. Omesso esame delle istanze istruttorie svolte dai signori (OMISSIS) ed (OMISSIS)”.
Il ricorrente censura la sentenza impugnata perchè, pur emendando la sentenza di primo grado e ritenendo applicabile agli atti relativi all’assetto patrimoniale dei coniugi separati il regime revocatorio degli atti a titolo oneroso, la Corte di Appello ha ritenuto sussistente il consilium fraudis mediante un utilizzo della prova per presunzioni che appare “del tutto insoddisfacente”; aggiunge che neppure risulta adeguata la motivazione per la mancata ammissione delle istanze istruttorie formulate dalla (OMISSIS) e da (OMISSIS).
6.1. Il motivo è inammissibile in quanto si sostanzia in una generica contestazione dell’adeguatezza dell’apprezzamento presuntivo e in una non consentita istanza di rivalutazione da parte della Corte di legittimità; altrettanto generica è la censura relativa alla mancata ammissione delle istanze istruttorie (basata sull’assunto della non adeguatezza della motivazione), che, peraltro, concerne prove richieste da altre parti.
IL RICORSO INCIDENTALE (N. 203/2019 R.G.).
7. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la “violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3 ed in particolare della prescrizione nell’ambito del procedimento penale avanti alla giurisdizione sammarinese. Totale inesistenza del credito e/o di aspettativa dal momento di maturazione della prescrizione e l’entrata in vigore della nuova norma del codice di procedura penale applicato retroattivamente”.
Premesso che la prescrizione del reato ascritto al (OMISSIS) era maturata il 10.9.2015 e che all’epoca “era in vigore la cosiddetta efficacia fulminante della prescrizione, prevista dall’art. 196 c.p.p. di San Marino”, comportante “la completa caducazione di ogni accertamento ed ogni anche solo aspettativa di credito, a far data dalla prescrizione del reato”, i ricorrenti assumono che per oltre tre mesi (ossia fino a quando non era entrata in vigore la norma dell’art. 196 bis c.p.p., che il giudice penale di appello sammarinese aveva poi illegittimamente applicato retroattivamente) non vi era stato alcun credito, o anche solo aspettativa di credito, della pendente azione revocatoria, difettando quindi uno dei presupposti di detta azione; tanto premesso, sostengono che la sentenza impugnata “avrebbe dovuto prendere atto di tale circostanza “interruttiva” della pretesa creditoria ed accertare il difetto di aspettativa di credito”.
7.1. Il motivo è manifestamente infondato giacchè, come già il primo motivo del ricorso principale, è basato sull’assunto erroneo che la prescrizione del reato avrebbe determinato il venir meno dei crediti risarcitori conseguenti all’illecito; è ovvio, tuttavia, che la ragione di
credito che fonda la revocatoria è rimasta ferma nonostante la sopravvenuta prescrizione e che non interessa in questa sede accertare la correttezza o meno della pronuncia penale di secondo grado che ha confermato la condanna risarcitoria (nè, quindi, rilevano le questioni relative all’applicazione “retroattiva” dell’art. 196 bis c.p.p.), in quanto la pretesa creditoria ha continuato a persistere e vale – dunque – a sostenere l’azione revocatoria.
8. Con il secondo motivo deducono la violazione “dell’art. 2901 c.c. in relazione agli elementi che devono essere coperti dalla consapevolezza del terzo. Assenza di alcun elemento di prova circa la consapevolezza della sig.ra (OMISSIS) circa il danno per (OMISSIS)”.
Premesso che la Corte aveva correttamente considerato come atto a titolo oneroso il trasferimento delle azioni, i ricorrenti contestano l’accertamento presuntivo che ha condotto il giudice di appello a ritenere che la mera conoscibilità delle vicende giudiziarie del marito fosse sufficiente a concretizzare, nella Nasi, la consapevolezza del nocumento derivante ai creditori dall’atto di cessione.
8.1. Il motivo è inammissibile in quanto meramente fattuale: senza individuare errori di diritto, sollecita una non consentita diversa valutazione degli elementi considerati dalla Corte per ritenere integrata la scientia damni.
9. Col terzo motivo, i ricorrenti censurano, sotto il profilo della violazione di legge, il passaggio della sentenza impugnata con cui la Corte ha affermato che, poichè il trasferimento in favore della Nasi era avvenuto nell’ambito di una separazione consensuale, non poteva “predicarsi, in assenza di un accertamento giudiziale della entità del credito per mantenimento, la postulata equivalenza tra valore delle azioni trasferite in proprietà e credito di mantenimento”; contestano la possibilità di porre in dubbio la realtà de negozio di trasferimento sulla base del fatto che vi sia stata una separazione consensuale, senza accertamento giudiziale della congruità.
9.1. Il motivo è inammissibile perchè non coglie adeguatamente la ratio sottesa alla decisione (che fa leva sulla impossibilità di superare l’evidenza di una variazione quantitativa-peggiorativa del patrimonio del (OMISSIS)) e, senza individuare specifici errori di diritto, pretende di sollecitare una valutazione “fattuale” di segno opposto, preclusa in sede di legittimità.
10. Con il quarto motivo denunciano la violazione o falsa applicazione dell’art. 770 c.c., commi 1 e 2, la “errata applicazione della disciplina dei negozi a titolo gratuito all’atto traslativo della proprietà” tra il (OMISSIS) e il figlio e la sua “non riconducibilità, comunque, allo schema dell’art. 770 c.c., comma 1, comma 1”.
I ricorrenti censurano la sentenza nella parte in cui ha considerato la cessione delle azioni effettuata dal (OMISSIS) in favore del figlio come atto a titolo gratuito, lamentando che la Corte ha omesso la valutazione della giurisprudenza relativa al “campo di applicazione dell’art. 770 c.p.c., comma 2 con valutazione dei “servizi resi” o della “conformità agli usi” e sostenendo la “applicazione in ogni caso della disciplina revocatoria degli atti a titolo oneroso, essendo assente la totale gratuità della traslazione”.
10.1. Il motivo è inammissibile in quanto mira, sotto entrambi i profili, a sostenere l’onerosità della cessione senza adeguatamente confrontarsi con l’affermazione della Corte circa la necessità di avere riguardo esclusivo alla causa degli atti (e non ai motivi) e circa il fatto che non era “dato apprezzare nell’atto de quo un negozio a titolo oneroso, posto che non v’è traccia nell’atto dell’esistenza di prestazioni corrispettive a carico del beneficiario”; anche in questo caso, i motivi tendono a un’inammissibile nuova valutazione cli merito circa l’onerosità, anzichè la gratuità, della cessione.
11. Con il quinto motivo deducono omesso esame di un fatto decisivo del giudizio oggetto di discussione tra le parti” e l'”omessa indicazione dei motivi, nonostante specifico motivo di impugnazione, di rigetto delle istanze istruttorie formulate”.
I ricorrenti contestano il rigetto delle istanze istruttorie (che assumono non basato su un compiuto e specifico esame delle stesse), sostenendo che sarebbero valse a dimostrare che la Nasi non era a conoscenza delle vicende processuali del marito, che gli atti traslativi concordati in sede di separazione avevano natura onerosa, che l’attività formativa e professionale posta in essere da (OMISSIS) era stata propedeutica unicamente all’attività nella (OMISSIS) s.p.a. e che il detto (OMISSIS) non era consapevole del pregiudizio per i creditori derivante dall’atto traslativo.
11.1. Il motivo è inammissibile sia in quanto la mancata ammissione di istanze istruttorie non può essere censurata sotto il profilo dell’omesso esame di fatti decisivi sia – a monte – perchè il vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5 non è deducibile” ex art. 348 ter c.p.c., comma 5, a fronte di una “doppia conforme” di merito rispetto alla quale i ricorrenti hanno omesso di allegare e provare che le decisioni non sono fondate sulle stesse ragioni inerenti alle questioni di fatto.
Entrambi i ricorsi vanno pertanto rigettati.
Le spese di lite seguono la soccombenza, con distrazione in favore del difensore della controricorrente, dichiaratosi antistatario.
Sussistono, in relazione a entrambi i ricorsi, le condizioni per l’applicazione dell’art. 13, comma l quater del D.P.R. n. 115/2002.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta entrambi e condanna tutti i ricorrenti al pagamento in solido, delle spese di lite in favore della controricorrente, liquidate in Euro 25.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in Euro 200,00) e agli accessori di legge, con distrazione in favore del difensore antistatario.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Roma, 16.11.2022