Sentenza 4677/2023
Danno ad un immobile per effetto della creazione di uno stato di fatto – Pretesa di risarcimento danni in forma specifica mediante rimozione – Prescrizione – Decorrenza
Allorquando si lamenti un danno ad un immobile per effetto della creazione di uno stato di fatto e si domandi l’eliminazione di questo ed il risarcimento del danno cagionato all’immobile, sia l’illecito costituito dalla creazione dello stato di fatto in sé e per sé quale fonte di danno come tale all’immobile, sia l’illecito rappresentato dalla verificazione di danni all’immobile in quanto originantisi come effetti della presenza dello stato di fatto, hanno natura di illeciti permanenti, con la conseguenza che il termine di prescrizione della pretesa di risarcimento in forma specifica mediante rimozione dello stato di fatto non decorre dall’ultimazione dell’opera che lo ha determinato, in quanto la condotta illecita si identifica nel fatto del mantenimento dello stato di fatto che si protrae ininterrottamente nel tempo (salvo che tale condotta non cessi di essere illecita per l’eventuale consolidarsi di una situazione di diritto in ordine al suo mantenimento), mentre il termine di prescrizione del diritto al risarcimento per equivalente dei danni subiti dall’immobile in conseguenza dell’esistenza dello stato di fatto decorre in relazione a tali danni “de die in diem”, a mano a mano che essi si verificano.
Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 15-2-2023, n. 4677 (CED Cassazione 2023)
Art. 2947 cc (Prescrizione del diritto al risarcimento del danno) – Giurisprudenza
Art. 2943 cc (Interruzione della prescrizione) – Giurisprudenza
Art. 2935 cc (Decorrenza della prescrizione) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
1. (OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio e quali rappresentanti dell’Azienda agraria eredi (OMISSIS) s.s., ed aventi causa di (OMISSIS) s.n.c., convennero in giudizio con citazione del 25 novembre 2008 innanzi al Tribunale di Ancona il Comune di Senigallia e la Regione Marche chiedendo la condanna alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi ed al risarcimento del danno in relazione ai lavori di adeguamento e potenziamento del depuratore di Senigallia e del sistema di fertirrigazione eseguiti su fondo di proprietà di parte attrice. Si costituì la parte convenuta chiedendo il rigetto della domanda e proponendo chiamata in causa di (OMISSIS) s.p.a., ditta appaltatrice, la quale a sua volta chiamò in giudizio la subappaltatrice (OMISSIS) soc. coop. a r.l. nella qualità di mandataria dell’ATI.
2. Il Tribunale adito rigettò la domanda per prescrizione.
3. Avverso detta sentenza propose appello l’originaria parte attrice ed appello incidentale (OMISSIS).
4. Con sentenza di data 18 aprile 2019 la Corte d’appello di Ancona dichiarò il difetto di legittimazione attiva dell’Azienda agraria eredi (OMISSIS) s.s. e condannò il Comune di Senigallia e la Regione Marche, in solido fra di loro, alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi mediante rimozione delle opere ubicate fuori dell’area di asservimento; condannò inoltre (OMISSIS) a tenere indenne la Regione Marche in ordine a quanto dovuto da quest’ultima per l’esecuzione dell’ordine di ripristino.
Premessa la dichiarazione di contumacia di (OMISSIS) per non avere reiterato la propria costituzione a seguito di riassunzione della causa dopo il fallimento di (OMISSIS), osservò la corte territoriale, per quanto qui rileva, che era intervenuto fra il Comune e i proprietari del fondo atto di assenso all’occupazione del terreno con cui il concessionario delle opere si era impegnato a liquidare, a lavori ultimati, i danni prodotti durante la realizzazione delle opere medesime, con assunzione inoltre di ogni responsabilità in ordine ai danni causati da guasti eccezionali, e che i danni lamentati non erano ricollegabili agli interventi di realizzazione dell’opera ma all’asserita erronea realizzazione della stessa in difformità rispetto a quanto previsto del progetto o secondo modalità asseritamente abusive, oltre che con occupazione di aree non risultanti oggetto di asservimento, dovendosi pertanto escludere la configurabilità di una responsabilità contrattuale e del relativo termine di prescrizione e dovendosi invece qualificare la pretesa in termini di istanza risarcitoria e ripristino dello stato dei luoghi per illecito extracontrattuale conseguente ad asseriti abusi edilizi e occupazione di area non asservita, con relativa prescrizione quinquennale. Aggiunse che infondata era l’eccezione di inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 345 c.p.c. perchè gli appellanti avevano con l’atto introduttivo del giudizio prospettato l’illegittima parziale occupazione, per la realizzazione dell’impianto di fertirrigazione, di area diversa da quella soggetta ad asservimento, avendo fatto riferimento a posizionamento delle tubazioni al di fuori della striscia di asservimento e alla realizzazione dell’impianto in modo difforme rispetto al progetto approvato, con l’istanza di tutela sia reale che risarcitoria. Osservò ancora che ricorreva una fattispecie di illecito a carattere permanente poichè con riferimento all’azione risarcitoria per violazione delle norme urbanistiche ed edilizie il termine di prescrizione decorreva di giorno in giorno (Cass. n. 20231 del 2016).
Aggiunse che rispetto alla domanda di riduzione in pristino andava riconosciuta la legittimazione passiva di Comune e Regione, proprietario e committente dell’appalto per la realizzazione dell’impianto. Osservò ancora che mentre il Comune non aveva riproposto la domanda di garanzia, e così pure (OMISSIS) con la comparsa del 28 novembre 2013 non aveva chiesto l’accoglimento della domanda di garanzia proposta in primo grado nei confronti di (OMISSIS), la Regione aveva invece riproposto la domanda di garanzia nei confronti di (OMISSIS) costituendosi con la memoria di data 25 maggio 2018 prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni. Aggiunse che tale domanda meritava accoglimento perchè era emerso che l’erroneo posizionamento era da ricondurre non ad una erroneità della progettazione, ma alla fase di esecuzione, e, siccome ricorreva la responsabilità solidale fra appaltatore, progettista e direttore dei lavori ai sensi dell’art. 2055 c.c., il risarcimento poteva essere preteso per la totalità da uno di tali soggetti, salvo il regresso fra condebitori. In particolare osservò che circa l’esatto posizionamento dell’opera nell’area oggetto di asservimento la responsabilità del direttore dei lavori concorreva con quella dell’appaltatore, che rispondeva anche della condotta del subappaltatore.
5. Ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) s.p.a. sulla base di cinque motivi. Resistono con distinti controricorsi (OMISSIS) e (OMISSIS), la Regione Marche, il Fallimento (OMISSIS) soc. coop. a r.l., che ha proposto altresì ricorso incidentale condizionato sulla base di due motivi. Resiste con controricorso la Regione Marche avverso il ricorso incidentale condizionato. Con ordinanza di data 2 agosto 2022 il ricorso è stato rimesso alla pubblica udienza. Il pubblico ministero ha presentato le conclusioni scritte. è stata depositata memoria di parte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Muovendo dal ricorso principale, con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 303 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che il giudice di appello ha erroneamente dichiarato la contumacia della ricorrente dopo la riassunzione del giudizio per il mancato deposito di nuova comparsa di costituzione, essendo sufficiente la comparizione all’udienza fissata.
1.1. Va preliminarmente disattesa l’eccezione di improcedibilità del ricorso per mancato deposito della relazione di notifica della sentenza alla parte ricorrente personalmente, dichiarata contumace in appello. La ricorrente ha depositato la relazione di notifica della sentenza, la quale risulta eseguita sia nei confronti del procuratore costituito in appello sia nei confronti della parte personalmente. La notifica idonea ai fini del decorso del termine breve per impugnare è quella eseguita nei confronti del procuratore costituito in appello posto che la parte, essendo comparsa all’udienza dopo la notifica dell’istanza di riassunzione, non poteva essere considerata contumace (art. 303 c.p.c., comma 4). In tema di riassunzione del processo interrotto, i soggetti già costituiti nella fase precedente all’interruzione, i quali, a seguito della riassunzione ad opera di altra parte, si presentino all’udienza a mezzo del loro procuratore, non possono essere considerati contumaci, ancorchè non abbiano depositato nuova comparsa di costituzione, atteso che la riassunzione del processo interrotto non dà vita ad un nuovo processo, diverso ed autonomo dal precedente, ma mira unicamente a far riemergere quest’ultimo dallo stato di quiescenza in cui versa (Cass. n. 21480 del 2019).
Il motivo, che come si è appena visto pone una questione corretta dal punto di vista astratto, è comunque inammissibile ai sensi dell’art. 360 – bis c.p.c., n. 2. La ricorrente ha denunciato l’erroneità della dichiarazione di contumacia senza esporre le circostanze e le ragioni atte a configurare la rilevanza dell’errore denunciato e cioè del concreto pregiudizio subito per effetto di tale declaratoria in ragione della mancata considerazione da parte del giudice del gravame delle attività difensive (deduzioni, eccezioni, richieste istruttorie ecc.) da lui svolte in quel grado del processo ed idonee ad incidere, in senso a lui favorevole, sulle statuizioni finali della sentenza impugnata.
2. Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 345 e 342 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che era inammissibile l’introduzione con l’atto di appello della fattispecie della prescrizione decennale sulla base dell’accordo sottoscritto con il Comune perchè l’originaria domanda era stata configurata come fatto illecito, senza che con le memorie ex art. 183 c.p.c. fosse stata posta la questione di una diversa qualificazione della domanda. Aggiunge che mentre nella citazione di primo grado era stato chiesto il ripristino dei luoghi e il risarcimento, nell’atto di appello era stato chiesto di dichiarare Comune e Regione responsabili degli abusi riscontrati anche attraverso sconfinamenti e di accertare vizi e difformità delle opere, con ciò introducendo una novità nella domanda. Osserva ancora che, in violazione dell’art. 342, in relazione alla qualificazione della domanda l’appellante si era limitato ad indicare la parte della sentenza criticabile e a chiedere di verificare se l’azione avesse natura contrattuale sulla base di un asserito accordo senza articolare in quale modo avrebbe potuto essere articolata la nuova qualificazione. Aggiunge che in relazione al motivo di appello avente ad oggetto l’illecito permanente non era individuabile quale fosse la parte di sentenza sottoposta a critica e quale diversa ricostruzione del fatto veniva proposta.
2.1. Il motivo è infondato. In relazione al motivo di appello concernente la qualificazione in termini di responsabilità contrattuale dell’azione, sia dal punto di vista dell’art. 345 che da quello dell’art. 342, la ricorrente difetta dell’interesse ad impugnare avendo il giudice di appello mantenuto, anche ai fini del termine di prescrizione, la qualificazione in termini di fatto illecito. Quanto alla novità dei temi dello sconfinamento e dei vizi e difformità delle opere, la ricorrente in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 ha omesso di indicare in modo specifico la causa petendi della originaria domanda, limitandosi al richiamo del petitum, per cui la censura non può essere scrutinata (non è inutile precisare che comunque a pag. 6 del ricorso, in sede di sommaria esposizione dei fatti di causa, si afferma che nell’originaria citazione era stata denunciata l’occupazione di area non asservita). Infine infondata è la censura ai sensi dell’art. 342 in relazione al motivo di appello avente ad oggetto l’illecito permanente posto che dalla stessa trascrizione della parte rilevante di atto di appello nel motivo si evince che l’appellante aveva inteso criticare la parte della sentenza che aveva ritenuto compiuta la prescrizione e che la modifica da apportare era quella di introdurre la natura permanente dell’illecito al fine di superare la tesi dell’intervenuta prescrizione.
3. Con il terzo motivo si denuncia violazione dell’art. 2055 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che il giudice di appello, nonostante abbia ritenuto che l’erroneo posizionamento fosse imputabile all’esecuzione e non alla progettazione, la prima di competenza del subappaltatore e la seconda riservata a (OMISSIS), ha riconosciuto la responsabilità di (OMISSIS) senza un previo accertamento del suo efficiente concorso nel danno, applicando il principio della solidarietà passiva senza operare alcuna distinzione fra le posizioni dei singoli obbligati.
3.1. Il motivo è inammissibile. La censura muove dal presupposto di fatto che a (OMISSIS) fosse riservata esclusivamente la fase di progettazione, mentre quella di esecuzione sarebbe stata riservata al subappaltatore (OMISSIS). Un tale presupposto di fatto non risulta accertato dal giudice del merito, il quale ha accertato soltanto che l’erroneo posizionamento è da ascrivere all’esecuzione e non alla progettazione (mentre i riferimenti al soggetto responsabile della progettazione o dell’esecuzione risultano in motivazione nella parte in cui si richiama l’assunto di (OMISSIS), e dunque come prospettazione di parte e non positivo accertamento). La ricorrente avrebbe dovuto proporre denuncia di vizio motivazionale in modo da fare emergere il fatto eventualmente non accertato dal giudice del merito e sulla base di tale censura denunciare anche la violazione della norma di diritto. Non essendo stato assolto tale onere nella formulazione della censura, il motivo non può essere scrutinato e resta inammissibile.
Va inoltre osservato che, diversamente da quanto si sostiene nel motivo, il giudice di appello ha riconosciuto il titolo della responsabilità, in relazione all’esecuzione che aveva determinato l’occupazione di area non asservita, e lo ha identificato nella qualità di appaltatore, affermando altresì che questi risponde anche del fatto del subappaltatore e chiarendo che la quota di responsabilità rileva solo nel rapporto interno con progettista e direttore dei lavori. Che l’appaltatore risponda anche del fatto del subappaltatore è statuizione non impugnata specificatamente nel motivo di ricorso e dunque costituisce ratio decidendi che resta ferma e rende priva di decisività la censura che, come si è detto, muove dal presupposto di fatto, non accertato dal giudice del merito, dell’esclusiva competenza del subappaltatore quanto alla fase esecutiva.
Ove poi si considerasse il principio di diritto secondo cui nei confronti dei terzi la responsabilità è del subappaltatore e non dell’appaltatore, come lo è di quest’ultimo e non del committente (cfr. Cass. n. 9065 del 2006, n. 4361 del 2005, n. 2745 del 1999), il principio comunque non verrebbe in rilievo nella presente fattispecie perchè il titolo fatto valere non è quello della responsabilità extracontrattuale nei confronti dei terzi, ma è il titolo contrattuale fatto valere in sede di rivalsa dalla Regione che, quale committente, è stata ritenuta responsabile nei confronti dei terzi.
4. Con il quarto motivo si denuncia violazione degli artt. 106 e 346 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che (OMISSIS) aveva riproposto la domanda di garanzia dapprima con la memoria difensiva in relazione all’istanza di sospensione, richiamando le anomalie riconducibili alla direzione lavori, e poi con la comparsa di costituzione in appello, ribadendo le medesime argomentazioni e chiedendo il rigetto dell’appello e “la decisione delle questioni dichiarata assorbite in primo grado”, da intendere ivi inclusa la domanda di manleva nei confronti di (OMISSIS).
4.1. Il motivo è infondato. In disparte l’irrilevanza ai fini della riproposizione della domanda ai sensi dell’art. 346 della memoria depositata in sede di subprocedimento ai sensi dell’art. 283 c.p.c. (memoria che comunque si limita, sulla base di quanto trascritto nel motivo, alla negazione della responsabilità), non assolve l’onere di espressa riproposizione in appello la richiesta di “decisione delle questioni dichiarata assorbite in primo grado”. In mancanza di una norma specifica sulla forma nella quale l’appellante che voglia evitare la presunzione di rinuncia ex art. 346 c.p.c. deve reiterare le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, queste possono essere riproposte in qualsiasi forma idonea ad evidenziare la volontà di riaprire la discussione e sollecitare la decisione su di esse; tuttavia, pur se libera da forme, la riproposizione deve essere fatta in modo specifico, non essendo al riguardo sufficiente un generico richiamo alle difese svolte ed alle conclusioni prese davanti al primo giudice (Cass. n. 25840 del 2020). La riproposizione, con la generica indicazione di “questioni dichiarate assorbite”, non è specifica.
Assorbente è comunque il fatto che, come eccepito dal controricorrente Fallimento (OMISSIS) soc. coop. a r.I., nell’atto di costituzione in appello di (OMISSIS), cui il Collegio ha potuto accedere data la natura processuale della violazione denunciata, vi è un paragrafo (a pagina 20) dedicato alle “questioni riproposte ai sensi dell’art. 346 c.p.c.”: in tale paragrafo si richiamano unicamente le questioni del difetto di legittimazione attiva e della prescrizione quanto al rapporto fra (OMISSIS) e i due enti territoriali (pag. 15 del
controricorso), per cui la richiesta di “decisione delle questioni
dichiarata assorbite in primo grado” è chiaramente da reputare come riferita esclusivamente a queste due questioni.
5. Con il quinto motivo si denuncia violazione degli artt. 2947 e 2935 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che la condotta illecita è istantanea perchè circoscritta nel tempo con mera protrazione degli effetti negativi nel tempo, per cui la prescrizione decorre dalla data di ultimazione dei lavori (4 giugno 1998). Aggiunge che il giudice di appello non ha ravvisato l’inesistenza di efficaci atti interruttivi diversi dall’istanza di A.T.P..
5.1. Il motivo è infondato. Allorquando si lamenti un danno ad un immobile per effetto della creazione di uno stato di fatto e si domandi l’eliminazione di questo ed il risarcimento del danno cagionato all’immobile, sia l’illecito costituito dalla creazione dello stato di fatto in sè e per sè quale fonte di danno come tale all’immobile, sia l’illecito rappresentato dalla verificazione di danni all’immobile in quanto originantisi come effetti della presenza dello stato di fatto, hanno natura di illeciti permanenti, con la conseguenza che il termine di prescrizione della pretesa di risarcimento in forma specifica mediante rimozione dello stato di fatto non decorre dall’ultimazione dell’opera che lo ha determinato, in quanto la condotta illecita si identifica nel fatto del mantenimento dello stato di fatto che si protrae ininterrottamente nel tempo (salvo che tale condotta non cessi di essere illecita per l’eventuale consolidarsi di una situazione di diritto in ordine al suo mantenimento), mentre il termine di prescrizione del diritto al risarcimento per equivalente dei danni subiti dall’immobile in conseguenza dell’esistenza dello stato di fatto decorre in relazione a tali danni “de die in diem”, a mano a mano che essi si verificano (Cass. n. 5831 del 2007). L’illecito spossessamento del privato da parte della P.A. non è istantaneo con effetti permanenti ma ha natura di illecito permanente, che viene a cessare solo per effetto della restituzione del terreno, di un accordo transattivo, della compiuta usucapione da parte dell’occupante che lo ha trasformato, ovvero della rinuncia del proprietario al suo diritto, implicita nella richiesta di risarcimento dei danni per equivalente. (Cass. n. 20231 del 2016).
La questione dell’inesistenza di atti interruttivi è da reputare assorbita una volta che resti confermata la natura permanente dell’illecito.
6. Passando al ricorso incidentale, espressamente condizionato all’accoglimento del quarto motivo del ricorso principale, con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 166, 167, 171, 346, 347 e 359 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la parte ricorrente che tardiva è stata la riproposizione della domanda di garanzia della Regione nei confronti di (OMISSIS) in quanto non proposta con il primo atto difensivo e comunque non oltre la prima udienza (cfr. Cass. sez. U. n. 7940 del 2019).
7. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 949, 2043 e 2055 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che la Regione Marche è priva della legittimazione passiva in ordine all’azione, avente natura reale, di riduzione in pristino delle aree non gravate da servitù, in quanto mera committente dell’appalto per la costruzione dell’impianto, del quale il proprietario, legittimato passivo in quanto soggetto che afferma di avere diritti sul fondo, è il Comune.
8. Il mancato accoglimento del quarto motivo del ricorso principale, cui è espressamente condizionato il ricorso incidentale, determina l’assorbimento di quest’ultimo.
9. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso principale è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene rigettato, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 – quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale.
Condanna la ricorrente principale al pagamento, in favore di (OMISSIS) e (OMISSIS), delle spese del giudizio di legittimità, con distrazione in favore dei difensori e che liquida in Euro 6.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Condanna la ricorrente principale al pagamento, in favore della Regione Marche delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Condanna la ricorrente principale al pagamento, in favore del Fallimento (OMISSIS) soc. coop. a r.l., delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1- bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il giorno 6 dicembre 2022