Roma, Via Valadier 44 (00193)
o6.6878241
avv.fabiocirulli@libero.it

Cassazione Civile 470/2014 – Mancato ricorso al giudice per la determinazione del prezzo ex art. 1474 cod. civ. – Concorso del fatto colposo del danneggiato

Richiedi un preventivo

Sentenza 470/2014

Mancato ricorso al giudice per la determinazione del prezzo ex art. 1474 cod. civ. – Concorso del fatto colposo del danneggiato – Esclusione

L’esercizio dell’azione giudiziaria costituisce una mera facoltà e non un obbligo del titolare, sicché il mancato ricorso all’autorità giudiziaria per la determinazione del prezzo ai sensi dell’art. 1474 cod. civ. non integra un concorso colposo del danneggiato e non giustifica una riduzione del risarcimento ex art. 1227, primo comma, cod. civ.

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, Sentenza 13 gennaio 2014, n. 470  (CED Cassazione 2014)

Articolo 1227 c.c. annotato con la giurisprudenza

 

  

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 9-3-2001 la (OMISSIS) s.r.l. conveniva dinanzi al Tribunale di Trieste la (OMISSIS) s.p.a., lamentando l’inadempimento della convenuta al contratto preliminare del 22-8-1995, con il quale la predetta società si era obbligata a vendere a (OMISSIS) o a persona da nominare (poi indicata nella (OMISSIS)), per il prezzo di lire 650.000.000, alcuni terreni edificabili, per costruirvi abitazioni. La società istante deduceva che, nonostante alcune difficoltà intervenute a causa del mancato assenso dei vicini per alcune demolizioni e modifiche previste nel preliminare, le parti avevano mantenuto ferma la volontà di perfezionare il contratto definitivo, sia pure per un prezzo inferiore a quello originariamente concordato; tant’è che la (OMISSIS), con lettera del 16-9-1998, aveva invitato l’attrice alla stipula per il prezzo di lire 568.000.000. La convenuta, peraltro, dopo che la (OMISSIS), con lettera del 29-9-1998, aveva confermato la volontà di acquisto, sia pure ad un prezzo inferiore, dalla stessa indicato in lire 550.000.000 con successiva lettera del 15-12-1998, con missiva del 24-2-1999 aveva comunicato di non essere più disponibile alla vendita, e non aveva dato riscontro alla successiva lettera del 21-4-1999, con cui la (OMISSIS) aveva ribadito la volontà di stipulare il contratto definitivo, accettando la determinazione del prezzo in lire 568.000.000. Ciò posto, l’attrice, nel rilevare di avere in seguito appreso che gli immobili in questione erano stati venduti dalla (OMISSIS) al Comune di Trieste, chiedeva la risoluzione del contratto preliminare del 22-8-1995 per inadempimento della convenuta, con conseguente condanna di quest’ultima al risarcimento dei danni.

Nel costituirsi, la (OMISSIS) s.p.a. contestava la fondatezza della domanda, sostenendo che la compravendita non era giunta a buon fine per esclusiva responsabilità della promittente acquirente, la quale, in particolare, non aveva rispettato la scadenza del 30-11-1995, entro cui doveva essere sottoscritto il preliminare e versato la caparra, e successivamente aveva lasciato decorrere i nuovi termini, dichiarati essenziali, del 30-9-1998 e del 24-11-1998, fissati per la stipula del contratto definitivo, nonchè il termine del 24-11-1998, fissato per il versamento dell’acconto di lire 300.000.000. La convenuta, pertanto, concludeva per il rigetto della domanda attrice.

Con sentenza n. 1466/2005 il Tribunale rigettava la domanda, condannando l’attrice al pagamento delle spese di lite.

Avverso la predetta decisione proponeva appello la (OMISSIS)i s.r.l..

Con sentenza in data 26-4-2007 la Corte di Appello di Trieste, in riforma della sentenza impugnata, risolveva il contratto preliminare stipulato dalle parti il 22-8-1995 per inadempimento della (OMISSIS) e, ritenuto il concorso colposo del creditore ai sensi dell’articolo 1227 c.c., comma 1, condannava la convenuta a corrispondere alla (OMISSIS), a titolo risarcitorio, la somma di euro 7.461,15, oltre al pagamento di metà delle spese di doppio grado, che compensava per il resto.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la (OMISSIS) s.r.l., sulla base di due motivi.

La (OMISSIS) s.p.a. ha resistito con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale, anch’esso affidato a due motivi.

La ricorrente principale ha resistito al ricorso incidentale con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi, ai sensi dell’articolo 335 c.p.c..

2) Per ragioni di ordine logico-giuridico vanno esaminati in via prioritaria i motivi di ricorso incidentale, concernenti la pronuncia di risoluzione contrattuale per inadempimento della convenuta: l’eventuale accoglimento di tali motivi, infatti, comporterebbe l’assorbimento dei motivi di ricorso principale, riguardanti il quantum liquidato dal giudice di appello in favore dell’attrice a titolo risarcitorio.

3) Con il primo motivo la ricorrente incidentale lamenta la violazione degli articoli 1350 e 1326 c.c., nonchè l’insufficiente motivazione, con riferimento alla natura di contratto preliminare attribuita dalla Corte di Appello alla scrittura privata del 15-12-1998. Deduce che tale atto costituiva una semplice proposta di acquisto, nella quale erano state poste condizioni e scadenze che condizionavano la volontà della venditrice, subordinandola al verificarsi di eventi che poi non si erano verificati. A riprova del suo assunto, fa presente che il predetto atto conteneva un esplicito richiamo alla successiva stipulazione di un vero e proprio contratto preliminare. L’offerta di acquisto del 15-12-1998, inoltre, era stata in seguito sostituita da altra offerta novativa, non accettata dalla proprietaria; sicchè non è ipotizzabile la sussistenza e permanenza di un’obbligazione di vendere a carico della (OMISSIS).

L’illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto, ai sensi dell’articolo 366 bis c.p.c.: “Se possa essere considerata come un contratto preliminare vincolante, ai sensi dell’articolo 1326 c.c., una proposta d’acquisto contenente l’accettazione della misura del prezzo ma subordinata alla successiva stipulazione di un altro vero e proprio contratto preliminare ed al verificarsi di condizioni non dipendenti dalla volontà del proprietario del bene oggetto della proposta e successivamente seguita da altra offerta novativa e sostitutiva della precedente”.

Il motivo deve essere disatteso.

Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, l’interpretazione della volontà delle parti tradotta in un atto negoziale, costituendo indagine di fatto, è attività tipica del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione e violazione delle regole legali di ermeneutica fissate dalla legge, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione di una interpretazione diversa da quella criticata (Cass. 20-11-2012 n. 20301; Cass. 2-5- 2012, n. 6641; Cass. 30-4-2010 n. 10554; Cass. 22-2-2007 n. 4178; Cass. 21-4-2005 n. 8296; Cass. 9-8-2004 n. 15381). Poichè, pertanto, preliminare alla qualificazione del contratto è la ricerca della comune volontà delle parti, che costituisce un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione sia contestata la qualificazione da quest’ultimo attribuita al contratto intercorso tra le parti, le relative censure, per essere esaminabili, non possono risolversi nella mera contrapposizione all’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, ma debbono essere proposte sotto il profilo della mancata osservanza dei criteri ermeneutici di cui all’articolo 1362 c.c. e ss., o dell’insufficienza o contraddittorietà della motivazione e, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, debbono essere accompagnati dalla trascrizione delle clausole individuative dell’effettiva volontà delle parti, al fine di consentire alla Suprema Corte di verificare l’erronea applicazione della disciplina normativa (tra le tante v. Cass. 4-6-2010 n. 13587; Cass. 25-10-2006 n. 22889; Cass. 28-5-2005 n. 15798).

Nella specie, la ricorrente incidentale non ha censurato la decisione impugnata sotto il profilo della violazione di canoni di ermeneutica, nè ha posto in evidenza specifiche carenze motivazionali. Essa, inoltre, non ha trascritto il testo dell’atto del 15-12-1998, che a suo dire non costituirebbe un contratto preliminare, come ritenuto dal giudice di appello, bensì una mera proposta di acquisto da parte del (OMISSIS).

Le deduzioni svolte con il motivo in esame, pertanto, si risolvono sostanzialmente nella non consentita contrapposizione di una diversa interpretazione della volontà negoziale rispetto a quella compiuta dalla Corte di Appello, la quale ha ravvisato nell’atto del 22-8-1995 gli estremi di un contratto preliminare di compravendita. 11 tutto sulla base di una motivazione immune da vizi logici e giuridici e come tale non sindacabile in questa sede, con cui è stato rilevato che la proposta contrattuale del (OMISSIS) era stata accettata dalla destinataria (OMISSIS), della quale recava la sottoscrizione, e che dalla lettura di tale atto emergeva la comune volontà delle parti di impegnarsi rispettivamente ad acquistare e a vendere.

4) Con il secondo motivo la ricorrente incidentale si duole della violazione dell’articolo 1460 c.c., nonchè della insufficiente e contraddittoria motivazione, in ordine alla ritenuta sussistenza di un comportamento gravemente inadempiente della (OMISSIS). Sostiene che dall’esame degli atti si desume che l’unico comportamento inadempiente, a fronte non solo dell’offerta del 22-8-1995, ma anche delle successive trattative, è stato quello della (OMISSIS), la quale, in particolare, non ha corrisposto la caparra pattuita e non ha rispettato i termini originariamente previsti per la stipulazione del contratto preliminare e del contratto definitivo, nè quelli proposti nel corso delle ulteriori trattative dalla (OMISSIS), a torto considerati troppo brevi dal giudice di appello. Deduce, pertanto, che il rifiuto della (OMISSIS) di pervenire alla vendita è da considerare pienamente legittimo, ai sensi dell’articolo 1460 c.c..

Il quesito di diritto posto è il seguente: “Se integri la violazione del principio inadimplendi non est adimplendum posto dall’articolo 1460 c.c. il rifiuto, da parte di chi abbia accettato la quantificazione del prezzo di vendita di un immobile contenuto in un’offerta di acquisto, di pervenire alla vendita in presenza di gravi inadempienze da parte dell’offerente quali la mancata corresponsione della caparra ed il mancato rispetto dei termini proposti per la stipulazione del contratto preliminare e dell’atto di vendita”.

Il motivo non è meritevole di accoglimento.

La Corte territoriale ha dato adeguato conto delle ragioni per le quali ha individuato nella promittente venditrice la parte inadempiente alle obbligazioni assunte con il contratto preliminare.

Nel ricostruire la vicenda, essa ha evidenziato, in particolare, che con il contratto preliminare del 22-8-1995 le parti avevano previsto, oltre all’impegno di addivenire alla compravendita definitiva dei terreni indicati, appartenenti alla (OMISSIS), anche una obbligazione accessoria a carico di quest’ultima, consistente nella sua attivazione per giungere a degli accordi con dei vicini per ottenere della facilitazioni per un comodo ingresso nel fondo oggetto del preliminare. Ha rilevato che l’acquirente non aveva inteso avvalersi della clausola che le attribuiva la facoltà di recesso dal contratto nel caso in cui “gli accordi non dovessero essere portati a buon fine entro il 30-11-1995”; e che, conseguentemente, a seguito del fallimento dei tentativi di accordo con i vicini, le parti avevano iniziato delle trattative per raggiungere un accordo per la riduzione del prezzo. Secondo la Corte territoriale, avendo le parti concordemente riconosciuto la sopravvenuta incongruità del prezzo originariamente pattuito, il contratto preliminare era rimasto “In una condizione di inefficacia, stabilita consensualmente, in attesa di una ripresa di efficacia al momento dell’accordo sul nuovo prezzo……ossia, più precisamente, in una fase di inefficacia temporanea, sospensivamente condizionata all’accordo sul nuovo prezzo”. Il predetto contratto, pertanto, “sia per l’assenza di un contratto scritto di natura risolutiva, sia per il principio di conservazione dei contratti, doveva ritenersi ancora valido pur in pendenza delle trattative”, trattative che rappresentavano una “fase necessaria, corretta, e corrispondente alla previsione della legge circa la sorte del contratto in caso di impossibilità parziale (articolo 1464 c.c.), successiva al primo accordo e prodromica ad un nuovo accordo sul nuovo prezzo”. Il giudice del gravame, nel dare atto che, nei quattro anni che seguirono, tra le parti non si pervenne ad un accordo, ha addebitato alla (OMISSIS) di aver tenuto, nel corso delle relative trattative, un comportamento scorretto e non conforme a buona fede, allorchè, nel proporre il nuovo prezzo di lire 568.000.000, aveva dato alla controparte un termine brevissimo per dare una risposta: la convenuta, infatti, nella lettera spedita in data 16-9-1998, aveva dato termine fino al 30-9-1998 per saldare il prezzo proposto e firmare davanti al notaio; analogamente, nella lettera spedita il 19-11-1998, aveva dato termine fino al 30-11-1998 per pagare un acconto di lire 300.000.000. Di conseguenza, appariva immotivata la decisione della (OMISSIS), comunicata con lettera del 24-2-1999, di non essere più disponibile alla conclusione del definitivo; e risultava scorretto il successivo comportamento della stessa società, allorchè, dopo aver ricevuto la lettera della (OMISSIS) datata 21-4-1999 che accettava l’offerta della (OMISSIS) (prezzo di lire 568.000.000), non rispondeva, e dopo qualche mese (il 24-5-2000) vendeva l’immobile a terzi. Sulla base di tali considerazioni, la Corte di Appello ha ritenuto che la traumatica conclusione delle trattative era da addebitare alla (OMISSIS), e costituiva un grave inadempimento, tale da fondare la domanda di risoluzione contrattuale e di risarcimento danni proposta dalla (OMISSIS).

La Corte territoriale, pertanto, nel rilevare che, a seguito del fallimento dei tentativi di accordo con i vicini, il contratto preliminare era entrato in una fase di inefficacia e di quiescenza, ha evidentemente ritenuto sospesi, finchè non fosse stato raggiunto un nuovo accordo sul prezzo, anche i termini di pagamento della caparra e degli acconti previsti in tale contratto, con ciò escludendo che al riguardo potessero configurarsi eventuali inadempienze della promittente acquirente. Nel dare atto della incongruità dei termini assegnati dalla (OMISSIS) alla (OMISSIS) nel corso delle successive trattative dirette alla rideterminazione del prezzo, inoltre, il giudice del gravame ha inequivocamente negato che l’inadempimento in cui era incorsa la promittente venditrice potesse ritenersi giustificato, ai sensi dell’articolo 1460 c.c., dal mancato rispetto di tali termini da parte dell’attrice.

Le valutazioni espresse al riguardo dal giudice di appello si sottraggono al sindacato di questa Corte, essendo sorrette da argomentazioni corrette sul piano logico e giuridico e costituendo espressione di tipici apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito.

Non sussistono, pertanto, la violazione di legge e i vizi di motivazione denunciati dalla ricorrente incidentale, dovendosi piuttosto osservare che quest’ultima, nel sostenere che l’unica parte inadempiente era la società (OMISSIS) e che il proprio rifiuto a vendere era giustificato dall’inadempimento dell’attrice, propone, in buona sostanza, mere censure di merito, che mirano ad ottenere una diversa e più favorevole valutazione delle risultanze processuali rispetto a quella compiuta dal giudice distrettuale. In tal modo, peraltro, si sollecita a questa Corte l’esercizio di un potere di cognizione esulante dai limiti del sindacato ad essa riservato, rientrando nei compiti istituzionali del giudice di merito l’accertamento dei fatti oggetto della controversia e la valutazione delle emergenze probatorie.

5) Con il primo motivo la ricorrente principale lamenta la violazione degli articoli 1223 e 1227 c.c., nonchè l’insufficiente motivazione, con riguardo ai danni conseguenti all’inadempimento della convenuta. Il motivo si articola in tre censure, con cui si contesta: a) il mancato riconoscimento, a titolo di danno emergente, delle spese sostenute per la costituzione e per la gestione della società (OMISSIS); b) il mancato riconoscimento, sempre a titolo di danno emergente, delle spese sostenute per la redazione del progetto architettonico relativo alle opere edilizie da realizzare sul fondo oggetto del contratto preliminare; c) il mancato riconoscimento del danno da lucro cessante conseguente alla mancata stipulazione del contratto definitivo di compravendita.

La ricorrente formula i seguenti quesiti di diritto: 1) Se integri violazione dell’articolo 1223 c.c. l’assunto secondo il quale per definizione i costi sostenuti per la costituzione e per la gestione di una società giuridica, la cui unica finalità è quella di realizzare un determinato affare, non possano costituire un danno eziologicamente collegato all’adempimento del contratto di compravendita la cui esecuzione è il presupposto indispensabile per la realizzazione del suddetto affare; 2) se integri una violazione dell’articolo 1223 c.c. l’assunto secondo il quale il costo per la realizzazione del progetto architettonico previsto dal contratto preliminare e prodromico alla realizzazione dell’affare cui era finalizzato il contratto definitivo di compravendita non rappresenti un danno eziologicamente connesso all’inadempimento del contratto preliminare; ovvero se integri la violazione dell’articolo 1227 c.c.l’assunto secondo il quale la realizzazione del suddetto progetto architettonico rappresenti un concorso di colpa della ricorrente nella causazione del danno dalla stessa patito; 3) se integri violazione dell’articolo 1223 c.c. l’assunto secondo il quale il mancato profitto ricavabile dalla edificazione dell’immobile oggetto del contratto preliminare di compravendita non costituirebbe un danno risarcibile a causa del mancato adempimento del contratto preliminare stesso.

Le prime due censure sono infondate.

La Corte di Appello ha ritenuto, in punto di fatto, che le spese occorse per la costituzione della società (OMISSIS) (al pari di quelle relative alla tenuta della contabilità di detta società) non costituivano conseguenza diretta ed immediata dell’inadempimento della (OMISSIS), essendosi trattato di una scelta organizzativa imprenditoriale, non necessitata dal rapporto contrattuale e, quindi, non addebitabile al comportamento inadempiente della controparte.

La decisione resa sul punto si sottrae al sindacato di questa Corte, essendo sorretta da una motivazione congruente sotto il profilo logico e avendo fatto corretta applicazione del disposto dell’articolo 1223 c.c., a mente del quale sono risarcibili solo i danni che costituiscano conseguenza diretta e immediata dell’inadempimento.

Analoghe considerazioni valgono con riguardo alla valutazione espressa dal giudice territoriale, secondo cui non possono essere considerate perdite correlate alle conseguenze immediate e dirette dell’inadempimento della (OMISSIS) le spese occorse per la progettazione dell’insediamento abitativo immaginato. Anche in tal caso, la soluzione adottata risulta supportata da una motivazione immune da vizi logici e giuridici, con cui è stato evidenziato che la impossibilità parziale del contratto, dovuta al mancato accordo con i due vicini, era evidente già alla fine del 1995, e che da quel momento era iniziata una fase di palese incertezza, dovendosi rinegoziare il prezzo e le modalità di pagamento. Di qui la conclusione, coerente e ragionevole, secondo cui l’affidamento, da parte della (OMISSIS) all’ing. (OMISSIS), in questa fase di quiescenza del rapporto, del progetto del complesso abitativo, costituiva una scelta azzardata, non essendo ancora certa la conclusione dell’affare e la compravendita definitiva del terreno.

A diverse conclusioni deve invece pervenirsi con riferimento al mancato riconoscimento del danno da lucro cessante, che il giudice di appello ha motivato sul rilievo secondo cui “il mancato profitto sperato dall’operazione immobiliare” costituiva un “effetto del tutto lontano, indiretto ed incerto del contratto preliminare in esame”.

Così statuendo, la Corte territoriale si è discostata dal costante orientamento della giurisprudenza, secondo cui il risarcimento del danno dovuto al promissario acquirente per la mancata stipulazione del contratto definitivo di vendita di un bene immobile, imputabile al promittente venditore, consiste nella differenza tra il valore commerciale del bene medesimo al momento della proposizione della domanda di risoluzione del contratto (ovvero al tempo in cui l’inadempimento è divenuto definitivo) ed il prezzo pattuito (Cass. Sez. Un, 25-7-1994 n. 6938; Cass. 7-2-1998 n. 1298; Cass. 17-11-2003 n. 17340; Cass. 29-11-2004 n. 22384; Cass. 30-1-2007 n. 1956; Cass. 10-10-2008 n. 25016; Cass. 30-8-2012 n. 14714; Cass. 23-11-2012 n. 20742).

Poichè, dunque, nell’ipotesi considerata il danno da lucro cessante prescinde dall’utilizzazione che il promittente acquirente abbia avuto intenzione di fare degli immobili, appare improprio il riferimento operato dal giudice del gravame all’incertezza del profitto che l’attrice sperava di ricavare dall’operazione immobiliare.

6) Con il secondo motivo la ricorrente principale denuncia la violazione degli articoli 1223, 1227, 2932 e 1474 c.c., nonchè l’insufficiente motivazione, con riferimento alla ritenuta sussistenza di un concorso di colpa dell’attrice nel fatto illecito della convenuta.

Il quesito di diritto posto è il seguente: Se integri violazione dell’articolo 1223 e/o 1227 e/o 1474 e/o 2932 c.c. l’assunto secondo il quale la mancata proposizione da parte del soggetto non inadempiente delle azioni previste dall’articolo 1474 c.c. e/o articolo 2932 c.c. integri un suo concorso colposo nell’inadempimento della controparte e giustifichi una riduzione del suo diritto al risarcimento.

Il motivo è fondato.

La Corte di Appello, pur avendo ritenuto fondata la domanda dell’attrice di risoluzione del contratto preliminare per inadempimento della (OMISSIS), ha ravvisato un concorso colposo della società (OMISSIS), tale da comportare una riduzione del risarcimento dei danni a questa spettante, ai sensi dell’articolo 1227 c.c., comma 1. Tale concorso di colpa è stato individuato in primo luogo nel fatto che la promittente acquirente aveva lasciato trascorrere tre anni dalla conclusione del preliminare prima di attivarsi per la rideterminazione del prezzo, e in secondo luogo nel fatto che la stessa società aveva omesso di rivolgersi al giudice per chiedere, quando le trattative si erano arenate, la riduzione del prezzo ex articolo 1474 c.c., ovvero la sentenza costitutiva ex articolo 2932 c.c., con la riduzione del prezzo.

La pronuncia impugnata non si sottrae alle censure mosse dalla ricorrente.

E invero, l’affermazione secondo cui vi sarebbe un concorso di colpa della (OMISSIS), per non essersi attivata tempestivamente per ottenere la rideterminazione del prezzo, si pone in contraddizione con i rilievi svolti in sentenza circa la legittimità delle trattative intraprese dalle parti per la fissazione del nuovo prezzo, e circa il grave inadempimento in cui è incorsa la (OMISSIS) nell’interrompere traumaticamente tali trattative e nell’alienare l’immobile a terzi.

E infatti, avendo il giudice di appello dato atto che, nonostante il tempo trascorso, il contratto preliminare doveva ritenersi ancora valido, che tra le parti dovevano necessariamente intraprendersi delle trattative mirate a rideterminare il prezzo della vendita e che le stesse dovevano svolgersi con l’osservanza delle regole di correttezza e buona fede, non si vede come possa addebitarsi alla promittente acquirente di non essersi attivata prima per rideterminazione del prezzo e di non essersi avvalsa, a tal fine, di possibili rimedi giudiziari.

La decisione impugnata, inoltre, nella parte in cui ha ravvisato un concorso di colpa dell’attrice per non aver promosso azioni giudiziarie, si rileva erronea anche sul piano giuridico.

Si rammenta, al riguardo, che la proposizione di un’azione giudiziaria costituisce una mera facoltà, e non un obbligo, della parte adempiente. Il mancato esercizio di tale facoltà e, in particolare, il mancato ricorso all’autorità giudiziaria per la determinazione del prezzo della compravendita, pertanto, non può configurare un concorso colposo del danneggiato nella causazione del danno e giustificare una riduzione del risarcimento, a norma dell’articolo 1227 c.c., comma 1 (per riferimenti cfr. Cass. 14-5-2012 n. 7459; Cass. 21-9-2011 n. 19235).

7) In definitiva, il ricorso principale va accolto nei limiti innanzi precisati, mentre il ricorso incidentale deve essere rigettato.

La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di Appello di Trieste, la quale si atterrà ai principi di diritto innanzi enunciati e provvederà anche sulle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il ricorso principale nei limiti di cui in motivazione, rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese del presente grado ad altra Sezione della Corte di Appello di Trieste.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *