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Cassazione Civile 4748/2023 – Reclamo ex art. 624 comma 2 cpc – Statuizione sulle spese – Opposizione ex art. 615 comma cpc

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Sentenza 4748/2023

 

Reclamo ex art. 624, comma 2, c.p.c. – Statuizione sulle spese – Opposizione ex art. 615, comma 2, c.p.c.

La statuizione sulle spese contenuta nell’ordinanza sul reclamo ex art. 624, comma 2, c.p.c. può formare oggetto di opposizione all’esecuzione iniziata in base a tale provvedimento qualora l’opponente intenda contestare solo l’ambito oggettivo e soggettivo di operatività del titolo esecutivo senza investire l'”an” della decisione cautelare (cioè, con censure attinenti all’illegittima quantificazione degli importi o ad altri profili non dipendenti dalla soccombenza), mentre è necessaria l’introduzione del giudizio di merito, a norma degli artt. 616 e 618 c.p.c., per contestare le ragioni che hanno condotto all’individuazione della parte soccombente e di quella vittoriosa e ottenere una revisione totale della decisione sull’istanza di sospensione della procedura.

Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 15-2-2023, n. 4748   (CED Cassazione 2023)

Art. 624 cpc (Sospensione per opposizione all’esecuzione) – Giurisprudenza

 

 

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) – debitrice esecutata con atto di pignoramento presso terzi – propose opposizione a precetto, notificato da (OMISSIS), con cui si intimava il pagamento delle spese processuali liquidate con ordinanza del 12 aprile 2016, resa dal Tribunale di Avezzano in esito al procedimento ex art. 669-terdecies c.p.c., promosso dall’opposto per contestare il provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione aveva disposto la sospensione della procedura esecutiva per l’eccepita incompetenza, ma senza fissare termine per la riassunzione della causa dinanzi al giudice ritenuto competente.

In particolare, la (OMISSIS) contestò la statuizione di condanna al pagamento delle spese processuali disposta con la ordinanza collegiale del 12 aprile 2016 sia nell’an, assumendo che non fosse legittimo il giudizio di reclamo, perchè instaurato dopo lo spirare del termine concesso dal giudice dell’esecuzione per l’introduzione del giudizio di merito e per essere la sospensione dell’esecuzione venuta meno per effetto della mancata instaurazione del giudizio di merito, sia nel quantum, per avere l’ordinanza collegiale liquidato le spese della fase cautelare svoltasi dinanzi al giudice dell’esecuzione in assenza di costituzione ed in difetto di attività difensiva da parte del (OMISSIS) in quella fase.

Il Giudice di Pace di (OMISSIS), rilevato, da un lato, che il giudizio di opposizione non fosse la sede in cui poter discutere l’an della statuizione concernente la condanna al pagamento delle spese di lite disposta con l’ordinanza collegiale del 12 aprile 2016 e, dall’altro, che fosse possibile ridiscutere solo il quantum delle spese di lite, respinse l’opposizione in difetto di produzione documentale da cui poter desumere la mancanza di attività processuale nella fase cautelare che potesse inficiare la liquidazione delle spese operata in sede di reclamo.

2. La sentenza è stata impugnata dall’esecutata, che ha esposto che: a) al momento in cui il (OMISSIS) aveva proceduto alla notifica del reclamo avverso il provvedimento del giudice dell’esecuzione era già spirato il termine assegnato da quest’ultimo per âEuroËœintroduzione del giudizio di merito, con conseguente sopravvenuta “inefficacia della sospensione dell’esecuzione” e carenza di interesse del (OMISSIS) a conseguire una pronuncia di merito; b) il giudice del reclamo non avrebbe potuto porre a suo carico le spese di lite anche perchè il provvedimento assunto dal giudice dell’esecuzione non era suscettibile di reclamo; c) l’opposizione ex art. 615, comma 2, c.p.c. costituiva l’unico mezzo con cui contestare le sl:atuizioni assunte dal giudice cautelare in punto di spese; d) non potevano ricomprendersi nella statuizione di condanna alle spese di lite anche quelle attinenti alla prima fase del giudizio cautelare di opposizione all’esecuzione, a causa della mancata costituzione dell’esecutante in detto giudizio.

Costituendosi in appello, il (OMISSIS) ha replicato che: a) era stata del tutto legittima la proposizione del reclamo, ai sensi degli artt. 624 e 669-terdecies c.p.c., avverso l’ordinanza del giudice dell’esecuzione; b) era invece inammissibile il rimedio dell’opposizione a precetto, non essendo alcuna delle statuizioni adottate con la ordinanza collegiale del 12 aprile 2016, neppure quella attinente alle spese del procedimento cautelare in ambedue le fasi, suscettibile di essere esaminata, se non nel giudizio di merito instaurato dall’una o dall’altra parte, che, tuttavia, nel caso di specie, non era stato introdotto nel termine assegnato; c) l’opposizione era altresì inammissibile perchè impiegata per far valere pretesi vizi attinenti ad un titolo di formazione giudiziale, quale era l’ordinanza pronunciata dal Tribunale nel procedimento di reclamo; d) si era costituito nel giudizio di opposizione ex art. 615, comma 2, cod, proc. civ., non occorrendo a tal fine il deposito di memoria scritta ed essendo sufficiente lo svolgimento di deduzioni difensive a verbale.

Il Tribunale di (OMISSIS) ha respinto il gravame.

Ha, preliminarmente, dato atto che dalla sequenza degli atti della procedura esecutiva emergeva che il giudice dell’esecuzione, a seguito della proposizione, da parte della (OMISSIS), del ricorso di opposizione all’esecuzione ex art. 615, comma 2, c.p.c., aveva fissato dinanzi a sè l’udienza per la trattazione della procedura esecutiva e del sub-procedimento cautelare, nel corso della quale entrambe le parti avevano svolto le rispettive deduzioni difensive, e, dopo avere rinviato la causa ad altra udienza, invitando le parti a trattare specificamente la questione riguardante la eccepita incompetenza, era poi addivenuto alla adozione del provvedimento reso in data 30 ottobre 2015, con il quale, trattando la questione nell’ambito del sub-procedimento di opposizione, e non nell’ambito della procedura esecutiva, aveva disposto la sospensione della procedura sul rilievo della fondatezza della eccezione sollevata dalla esecutata.

Ricostruito l’iter processuale, il giudice d’appello ha posto in rilievo che il (OMISSIS), avendo a propria disposizione due opzioni per reagire alla ordinanza del 30 ottobre 2015 – ossia proporre reclamo ex art. 624 c.p.c. oppure introdurre il giudizio di merito – aveva legittimamente scelto la prima e che altrettanto legittimamente il Tribunale, investito di un reclamo ammissibile, aveva deciso di pronunciarsi anche sulle altre questioni che avevano originariamente formato oggetto del giudizio di opposizione all’esecuzione, respingendole integralmente e revocando, di conseguenza, l’ordinanza di sospensione del procedimento esecutivo. Ha, inoltre, respinto il secondo motivo di appello, con il quale la (OMISSIS) aveva dedotto che il (OMISSIS) non avesse interesse ad ottenere un provvedimento favorevole da parte del giudice del reclamo, dal momento che la sospensione dell’esecuzione era divenuta, di per sè, inefficace per non avere le parti introdotto il giudizio di merito entro il termine perentorio assegnato, rilevando, per un verso, che l’art. 624, comma 3, c.p.c., si occupava della sola sorte della procedura esecutiva e, per un altro verso, che la procedura esecutiva per essere dichiarata estinta presupponeva, tra l’altro, che non fosse stato proposto reclamo o che l’ordinanza dichiarativa della sospensione fosse stata confermata dal giudice del reclamo. Ritenuta, altresì, irrilevante la circostanza che il creditore procedente non avesse formalizzato la propria costituzione con il deposito di separata memoria difensiva, ha pure considerato privo di fondamento l’altro motivo di appello con cui la (OMISSIS) si doleva del fatto che in sede di reclamo il Tribunale non avrebbe potuto liquidare e porre a suo carico le spese della fase celebrata dinanzi al giudice dell’esecuzione, in assenza di esplicita domanda da parte del creditore procedente; e, sul punto, ha motivato che il reclamo aveva portata pienamente devolutiva, cosicchè il Collegio, nel definire il procedimento con ordinanza non impugnabile, aveva il potere/dovere di regolare le spese di entrambe le fasi, anche d’ufficio, tenendo conto dell’esito complessivo della lite, che aveva visto la (OMISSIS) soccombente su tutti i motivi di opposizione, a nulla rilevando che il giudice dell’esecuzione avesse omesso di pronunciare sulle spese.

3. (OMISSIS) propone ricorso per la cassazione della suddetta decisione, con due articolati motivi.

(OMISSIS) non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Per la trattazione del ricorso è stata fissata l’udienza pubblica del 5 dicembre 2022, che ha avuto luogo in camera di consiglio, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020 n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito, con modificazioni, in L. 18 dicembre 2020 n. 176, come successivamente prorogato dal Decreto Legge 10 aprile 2021 n. 44, art. 6, comma 1, lettera a), n. 1), convertito cori modificazioni in L. 28 maggio 2021 n. 76, nonchè dal Decreto Legge 23 luglio 2021 n. 105, art. 7, commi 1 e 2.

Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato conclusioni scritte.

In prossimità dell’udienza pubblica la ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce, sotto un primo profilo, “Violazione di legge (art. 12 preleggi al c.c.) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; per derivazione: erronea applicazione della legge processuale (art. 669-teràecies, 616, 617, 307, comma 3 e 310, comma 2, c.p.c.) che si è riflessa sulla violazione dell’art. 91 c.p.c. e, quindi, sulla decisione di respingere l’appello della (OMISSIS) del 15.3.2017”.

Segnatamente, sostiene che la decisione impugnata, affermando che il Giudice dell’esecuzione aveva definito la questione della competenza nell’ambito del procedimento di opposizione all’esecuzione e da ciò desumendo che il procedimento di reclamo sarebbe stato ritualmente introdotto dal (OMISSIS), con conseguente legittimità della decisione di condanna della debitrice al pagamento delle spese processuali, non avrebbe correttamente interpretato gli atti processuali, incorrendo nella violazione dei canoni di interpretazione. Assume, al riguardo, che il tenore testuale della ordinanza del 30 ottobre 2015 lascia, al contrario, ritenere che il giudice dell’esecuzione abbia definito, seppure in modo atipico, il processo esecutivo con il ritenere insussistente la competenza territoriale del Tribunale di Avezzano, seppure omettendo di assegnare alle parti un termine per la riassunzione del giudizio dinanzi al giudice ritenuto competente, con la conseguenza che il Tribunale, adito in sede di reclamo, avrebbe dovuto rilevare che, entro il termine di cui all’art. 50 c.p.c., il processo non era stato riassunto dinanzi al giudice dichiarato territorialmente competente, per poi acclarare l’insussistenza di un provvedimento reclamabile. In ogni caso, prosegue la ricorrente, ove si volesse ritenere che il giudice dell’esecuzione abbia pronunciato sulla competenza, dovrebbe trovare applicazione il rimedio tipico previsto per gli atti della procedura esecutiva, ossia l’opposizione agli atti esecutivi. Soggiunge che la sentenza è altresì viziata là dove considera il reclamo rimedio alternativo a quello dell’introduzione del giudizio di merito dell’opposizione all’esecuzione, stante la struttura bifasica (cautelare e di merito) di questo, e laddove considera ritualmente introdotto il reclamo nell’ambito del giudizio di opposizione all’esecuzione, che si era, invece, estinto per effetto dell’art. 307, comma 3, c.p.c..

Sotto altro profilo, la ricorrente deduce la “nullità della sentenza per motivazione apparente: art. 132 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4” laddove la decisione gravata esclude la fondatezza dell’appello nella parte in cui era stata censurata la statuizione sulle spese del procedimento di reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c., in ragione dell’inutilità dello stesso per essere la sospensione della esecuzione venuta meno a causa della mancata introduzione del giudizio di merito.

Sostiene che la ratio decidendi non è comprensibile, perchè, senza fare riferimento alla specifica censura dell’appello, si limita a fare richiamo all’art. 624, comma 3, c.p.c., cie si riferisce alla sola sorte della procedura esecutiva, trascurando di motivare sulla questione processuale riguardante le conseguenze derivanti dalla mancata applicazione degli artt. 307, comma 3, e 310, comma 2, c.p.c..

1.1. Il primo profilo della doglianza in esame, che investe la questione della individuazione del rimedio esperibile per impugnare la statuizione sulle spese relative alla fase sommaria dell’opposizione alla esecuzione contenuta, come nel caso di specie, nell’ordinanza adottata in esito al reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. proposto avverso l’ordinanza con la quale il giudice de l’esecuzione ha provveduto, ai sensi dell’art. 624 c.p.c., sull’istanza di sospensione della esecuzione stessa, è inammissibile.

1.2. Questa Corte, già con la sentenza del 24 ottobre 2011, n. 22033, occupandosi della questione attraverso una articolata motivazione – nel pronunciare su un ricorso straordinario di cassazione presentato contro un provvedimento con cui il Tribunale aveva respinto un reclamo proposto, ai sensi dell’art. 669-terdecies c.p.c., avverso un’ordinanza con cui il giudice dell’esecuzione aveva disposto la sospensione, ai sensi dell’art. 586 c.p.c., di una vendita esattoriale – ha avuto modo di stabilire che, nella struttura delle opposizioni all’esecuzione, ai sensi degli arti:. 615, comma 2, 617 e 619 c.p.c., articolate in una fase sommaria davanti al giudice dell’esecuzione ed in una fase successiva a cognizione piena davanti a quello competente nel merito, il giudice dell’esecuzione, con il provvedimento che chiude la fase sommaria davanti a sè e nel contempo fissa il termine per l’introduzione del giudizio di merito o quello per la riassunzione, debba provvedere sulle spese della fase sommaria, anche quando dia un provvedimento positivo di sospensione dell’esecuzione, e che la relativa statuizione può essere riesaminata esclusivamente nell’ambito del giudizio di merito dell’opposizione.

Inoltre, si è chiarito che, qualora il giudice dell’esecuzione ometta di fissare il termine per l’introduzione del giudizio di merito o per la riassunzione davanti al giudice competente, la parte interessata, sia nel caso in cui sia stato adottato provvedimento sulle spese, sia nel caso in cui tale provvedimento manchi, può, alternativamente, chiedere al giudice dell’esecuzione la fissazione del termine con istanza ai sensi dell’art. 289 c.p.c. o introdurre o riassumere di sua iniziativa il giudizio di merito, dovendosi, invece, escludere l’esperibilità del ricorso per cassazione ai sensi della Costituzione, art. 111, comma 7, in quanto il provvedimento de quo, emesso a seguito di uno svolgimento dell’azione secondo le forme della sommarietà, non è diretto a portare ad una decisione definitiva sul diritto coinvolto, ma solo ad una decisione del tutto provvisoria, come tale priva dei caratteri della definitività e della decisorietà e, quindi, destinata ad essere ridiscussa nella fase a cognizione piena con l’introduzione del giudizio di merito. Con la ulteriore precisazione che l’errore del giudice, consistito nel negare la progressione del procedimento e, quindi, il passaggio dalla fase sommaria a quella di cognizione piena, non muta la natura non definitiva del provvedimento reso nella fase sommaria, di talchè quell’errore nell’applicare le forme del procedimento, laddove compiuto in una fase processuale nella quale il giudice non poteva rendere una decisione definitiva, non può attribuire al provvedimento irritualmente adottato il valore di decisione definitiva.

Da tanto questa Corte ha poi desunto che, qualora il provvedimento sulle spese della fase sommaria si accompagni alla irrituale decisione di chiusura del procedimento senza la fissazione del termine per l’introduzione del giudizio di merito o per la sua riassunzione dinanzi al giudice competente, la mancata iniziativa della parte di dare inizio al giudizio di merito dopo la concessione della sospensione nella fase sommaria dell’opposizione all’esecuzione ai sensi del comma 2 dell’art. 615 c.p.c. (e ai sensi dell’art. 619 c.p.c.) ed in quella dell’opposizione agli atti esecutivi, determina, di riflesso, l’estinzione del processo ai sensi dell’art. 307, comma 3, c.p.c., a seguito del consolidamento del provvedimento provvisorio in caso di mancato reclamo o di conferma in sede di reclamo.

Le soluzioni sopra prospettate, come sottolineato dalla sentenza richiamata, valgono anche con riferimento all’ipotesi di adozione di provvedimenti sulla fase sommaria, negativi o positivi, da parte del giudice del reclamo di cui all’art. 624, comma 2, c.p.c..

1.3. Nel solco di tale orientamento si pongono anche le sentenze successive di questa Corte con le quali si è univocamente ribadito il principio secondo il quale la regolamentazione delle spese della fase sommaria dell’opposizione esecutiva operata dal giudice dell’esecuzione può essere ridiscussa nel solo giudizio di merito dell’opposizione, che la parte interessata può sempre instaurare, anche in caso di mancata assegnazione dei relativi termini da parte del giudice dell’esecuzione, con la conseguenza che in relazione a tale provvedimento non è ammissibile nè l’opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell’art. 617 c.p.c. e neppure il ricorso straordinario diretto per cassazione ai sensi della Cost., art. 111 (Cass., sez. 3, 27/10/2011, n. 22503; Cass., sez. 3, 18/09/2014, n. 19644; Cass., sez. 6-3, 14/06/2016, n. 12170; Cass., sez. 6-3, 10/10/2017, n. 23733; Cass., sez. 6-3, 13/04/2017, n. 9652; Cass., sez. 6-3, 31/05/2019, n. 15082; Cass., sez. 6-3, 20/11/2019, n. 30300; Cass., sez. 6-3, 09/02/2021, n. 3019; Cass., sez. 6-3, 29/11/2021, n. 37252; Cass., sez. 3, 26/04/2022, n. 12977).

1.4. Tenuti presenti i suddetti principi, deve rilevarsi che dall’illustrazione della doglianza in esame si evince che le contestazioni che l’odierna ricorrente muove alla liquidazione delle spese relative alla fase sommaria del giudizio di opposizione, operata dal Tribunale in sede di reclamo, sono consequenziali alla contestazione della legittimità stessa della pronuncia di reclamo, di talchè esse avrebbero dovuto essere fatte valere con gli strumenti di reazione tipici, ossia mediante l’instaurazione del giudizio di merito.

A tale approdo si perviene sulla base delle seguenti considerazioni.

Nella specie, il giudice dell’esecuzione, ritenuto il contraddittorio ritualmente instaurato, ha provveduto in ordine all’istanza cautelare in esito all’esame dell’eccepita incompetenza per territorio, concedendo termine per l’instaurazione del giudizio di merito, ma non ha, ciò nonostante, fissato termine per la riassunzione del giudizio dinanzi al giudice competente, nè liquidato le spese di lite della fase sommaria.

Neppure l’eventuale irritualità della ordinanza di sospensione toglie, però, che la stessa fosse comunque reclamabile, ai sensi dell’art. 624, comma 2, c.p.c. (Cass., sez. 6-3, 08/05/2010, n. 11243, Cass., sez. 6-3, 18/01/2016, n. 743), dalla parte interessata nel caso in esame, dal (OMISSIS), che aveva interesse ad ottenere la revoca della disposta sospensione dell’esecuzione -, trattandosi di provvedimento cautelare sui generis che è reso dal giudice dell’esecuzione in una fase “di cerniera” tra il procedimento dallo stesso giudice diretto e, quello, eventuale, affidato alla cognizione del giudice dell’opposizione.

Come anche di recente ritenuto dalle Sezioni Unite (Cass., sez. U, 23/07/2019, n. 19889), con specifico riferimento all’opposizione pre-esecutiva, la qualificazione in questi termini del provvedimento di sospensione “esclude l’applicazione delle norme del processo cautelare uniforme in presenza di norme speciali, sicchè, in pratica, essendo la sospensione anche pre-esecutiva compiutamente regolata in ogni altro aspetto da queste ultime (trattandosi di un vero e proprio microsistema o sottosistema di norme processuali, connotato da una sua spiccata specialità in funzione della sua strutturale finalizzazione al processo esecutivo), la sola ad applicarsi di quel rito uniforme è proprio quella in tema di reclamabilità (art. 669-terdecies c.p.c.)”.

Essendo, dunque, ammissibile il reclamo, in quella sede il Tribunale in composizione collegiale ha legittimamente pronunciato sulla richiesta di revoca dell’ordinanza di sospensione, accogliendo l’istanza avanzata dal creditore, e ha provveduto alla liquidazione delle spese di lite Riguardo a tale ultima statuizione, non può che ribadirsi che il potere del giudice del reclamo ai sensi dell’art. 669-terdecies c.p.c., di cui al comma 2 dell’art. 624 c.p.c., di provvedere sulle spese, allorquando confermi il rigetto dell’istanza di sospensione dell’esecuzione o, come nella specie, revochi la sospensione disposta dal giudice dell’esecuzione, rigettando l’istanza, è sicuramente sussistente “sulla base di una ricostruzione che, indipendentemente dalla prospettiva di una piena riconduzione del provvedimento sulla sospensione dell’esecuzione all’ambito del procedimento di cui all’art. 669-bis e ss. c.p.c.”, consideri il dato che la cognizione piena a seguito della fase sommaria del giudizio di opposizione e, quindi, del provvedimento di sospensione, è, secondo l’art. 616 c.p.c., meramente eventuale, perchè è sostanzialmente rimesso alle parti di valutare se dare corso alla cognizione piena (Cass., sez. 6-3, 23/07/2009, n. 17266). Con la conseguenza che, come il provvedimento del giudice dell’esecuzione che neghi la sospensione dinanzi a sè ha attitudine a definire la vicenda, qualora non segua l’introduzione del giudizio di merito, nel termine assegnato, analogamente ove il giudice del reclamo, di cui al comma 2 dell’art. 624 c.p.c., provveda sull’istanza di sospensione, revocandola, la posizione riguardo alle spese si presta ad essere ricondotta al concetto di “chiusura” del processo dinanzi a sè, espresso dall’art. 91 c.p.c..

2. Ritenuta, dunque, reclamabile l’ordinanza pronunciata dal giudice dell’esecuzione e del tutto legittima la pronuncia sulle spese adottata dal Tribunale in sede di reclamo, si impone cli stabilire se con l’opposizione al precetto ex art. 615, comma 2, c.p.c., la parte debitrice possa contestare senza limiti la decisione resa in punto di spese in sede cautelare o, se piuttosto, debba limitarsi a svolgere censure che involgono il solo profilo del quantum.

La questione appena prospettata deve essere risolta ritenendo che l’opposizione a precetto consenta di contestare il provvedimento cautelare limitatamente a quei profili, che, senza coinvolgere l’an della decisione, sono volti ad incidere esclusivamente sull’ambito oggettivo e soggettivo di operatività del titolo esecutivo, nei sensi che si vengono a specificare.

Invero, qualora si abbia interesse ad ottenere una revisione totale della decisione cautelare, che ponga in discussione anche i criteri che hanno condotto alla individuazione della parte soccombente e di quella vittoriosa e quindi lo stesso merito della controversia come delibato in quella fase sommaria, la parte interessata ha l’onere di introdurre il giudizio di merito, che è giudizio a cognizione piena, solo nell’ambito del quale la soluzione adottata potrà essere integralmente rivista, alla luce di una diversa valutazione della vicenda sia sotto il profilo fattuale sia sotto il profilo sostanziale, anche con riguardo alla statuizione in punto di spese, tenuto conto dell’esito finale della lite.

Laddove, al contrario, la parte intenda muovere censure alla statuizione sulle spese che si incentrino sulla illegittima quantificazione del dovuto o su altri profili che non discendano dalla soccombenza nella delibazione della controversia in fase sommaria, ben può introdurle in sede di opposizione al precetto intimato su tale titolo, ovvero all’esecuzione, ove iniziata sulla base di esso.

L’azione di merito costituisce, invero, il mezzo necessario per ridiscutere sulla regolamentazione delle spese, perchè il capo condannatorio sulle spese subisce lo stesso trattamento a cui è sottoposta l’azione cautelare, che, lasciando impregiudicato l’accertamento del diritto, resta suscettibile di riesame proprio nel giudizio di merito che ciascuna delle parti può sempre iniziare al fine di ottenere la tutela definitiva della situazione che ne è oggetto, e ciò in ragione del nesso di strumentalità tra procedimento cautelare e successiva causa di merito.

Siffatta conclusione, d’altro canto, si pone in linea con la giurisprudenza di legittimità secondo cui il provvedimento con il quale il Tribunale, pronunciandosi ante causam in relazione a fattispecie regolata dalla L. n. 69 del 2009, rigetti il reclamo avverso l’ordinanza di rigetto del ricorso cautelare, ovvero dichiari la cessazione della materia del contendere e condanni il reclamante alle spese del giudizio, non ha natura di sentenza e, non essendo suscettibile di dare luogo alla cosa giudicata sul diritto a cautela della quale è stata esercitata la tutela cautelare, non è impugnabile con il ricorso per cassazione ai sensi della Cost., art. 111. Ne segue che la parte soccombente, qualora non abbia interesse alla introduzione del giudizio di merito, ma intenda soltanto conseguire una diversa liquidazione delle spese contenuta in quel provvedimento, non può che valersi dell’unico strumento esperibile contro ogni titolo esecutivo, che è l’opposizione al precetto intimato sulla base di detto provvedimento o all’esecuzione iniziata sulla base di esso (Cass., sez. 3, 24/05/2011, n. 11370; Cass., sez. L, 12/07/2012, n. 11800; Cass., sez. 6-2, 28/06/2017, n. 16259; Cass., 6-2, 01/03/2019, n. 6180).

In applicazione di tali principi alla fattispecie che ci occupa, è del tutto evidente che le doglianze che l’odierna ricorrente rivolge alla sentenza impugnata, con le quali si duole della statuizione sulle spese del procedimento di reclamo a cagione dell’inutilità dello stesso per essere la sospensione dell’esecuzione venuta meno a causa della mancata introduzione del giudizio di merito, o per essere stato il reclamo proposto tardivamente o, ancora, per essere il reclamo infondato, non possono trovare ingresso con l’opposizione proposta, poichè esse, attenendo ai presupposti stessi su cui poggia la statuizione sulle spese ed all’accertamento delle rispettive posizioni delle parti coinvolte, avrebbero dovuto essere prospettate nel giudizio di merito e costituire oggetto di riesame in quella sede.

Per mera completezza, deve osservarsi che, al fine di contrastare la pronuncia in sede di reclamo contenente anche la statuizione sulle spese relative alla fase sommaria del giudizio di opposizione all’esecuzione non può valere obiettare, come sostenuto dalla ricorrente anche in questa sede, che la notifica del reclamo sarebbe intervenuta in data successiva a quella di scadenza del termine per instaurare il giudizio di merito della opposizione, con conseguente perdita di efficacia del provvedimento di sospensione emesso dal giudice dell’esecuzione e correlato venir meno dell’interesse del creditore a proporre il reclamo.

Tale assunto difensivo è del tutto inconferente, in quanto trascura di considerare che il reclamo si considera proposto già al momento in cui il ricorso viene depositato presso la cancelleria del giudice competente, che poi provvede, con decreto, a fissare la comparizione delle parti dinanzi a sè. Di conseguenza, la sussistenza dell’interesse a proporre il reclamo deve essere valutata avendo riguardo al momento del deposito del ricorso, cosicchè, nel caso di specie, non risultando il termine per l’introduzione del merito (30 dicembre 2015) già scaduto alla data di deposito del reclamo, sicuramente il creditore aveva interesse ad avvalersi di tale strumento processuale. Nè la circostanza che il termine per instaurare il giudizio di merito fosse spirato nel corso del procedimento di reclamo potrebbe avere determinato l’inutilità della prosecuzione del giudizio di reclamo, poichè permaneva comunque in capo al creditore l’interesse a conseguire il rimborso delle spese processuali sostenute.

3. Il secondo profilo della doglianza qui in esame (motivazione apparente) è infondato.

In tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dalla Cost., art. 111 sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, nè alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass., sez. L, 14/02/2020, n. 3819).

Al riguardo, va rammentato che il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge “di specificare le ragioni del suo convincimento”, costituzionalmente imposto (Cost., art. 111, comma 6), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta ailigata et probata.

Alla stregua di tali principi consegue che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico o quelle che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e che presentano una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr. Cass., sez. U, n. 8053 del 2014), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perchè dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire “di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato” (Cass., sez. 3, 25/02/2014, n. 4448).

Ebbene, nella sentenza qui impugnata, le gravi anomalie motivazionali sopra descritte non sono ravvisabili. Piuttosto, dalla stessa prospettazione della censura svolta emerge chiaramente che ci si duole, non tanto di un difetto assoluto di motivazione, quanto piuttosto di una motivazione erronea, avendo la ricorrente sottolineato che il giudice d’appello, anzichè pronunciarsi sulla censura di appello attinente alla dedotta estinzione del giudizio di opposizione all’esecuzione ed all’inefficacia del reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c., si è limitato a fare richiamo all’art. 624, comma 3, c.p.c., che, invece, afferisce alla sorte della procedura esecutiva.

4. Con il secondo motivo si denuncia “error in procedendo: violazione art. 125 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: nullità della sentenza derivante da erronea applicazione della legge processuale”.

Sotto un primo profilo, la ricorrente, partendo dalla considerazione che il giudizio di opposizione si propone con ricorso che deve avere i requisiti prescritti dall’art. 125 c.p.c., contesta al giudice di appello di avere erroneamente ritenuto che la trattazione della fase sommaria del giudizio possa prescindere dalla costituzione del creditore e di avere, sulla base di tale erroneo presupposto, confermato la condanna alla rifusione delle spese in favore del (OMISSIS), pur in assenza di una rituale costituzione di quest’ultimo in quel giudizio.

Sotto un secondo profilo, deduce la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e si duole che la decisione impugnata non abbia ricostruito la volontà delle parti attraverso l’esame delle richieste che sono state verbalizzate nelle udienze tenute dinanzi al giudice dell’esecuzione, nè dell’attività in concreto esercitata, incorrendo in tal modo nella violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale. Puntualizza, al riguardo, che attraverso l’esame delle note difensive, allegate ai verbali di udienza, emerge esclusivamente la trattazione della questione di competenza territoriale.

Sotto un terzo ed ultimo profilo, censura la decisione gravata per “error in procedendo: violazione artt. 91, 92, 115, 342 e 346 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: nullità della sentenza derivante da erronea applicazione della legge processuale” e contesta al giudice di appello di avere ignorato che il (OMISSIS) non aveva avanzato istanza di liquidazione delle spese di lite relative alla fase cautelare del giudizio di opposizione e che l’attività processuale espletata in quella fase coincideva con quella riguardante il processo esecutivo, con l’effetto che era stata operata una ingiusta duplicazione delle spese processuali ai danni della parte esecutata.

4.1. Il motivo è infondato sotto tutti i profili dedotti.

4.2. Con riguardo al primo, la doglianza si incentra, per come illustrata, sulla misura della liquidazione, che in questa sede non è attinta da idonea censura e non può così essere rimessa in discussione. In ogni caso, come accertato dal giudice d’appello, non è rilevante che il creditore procedente non abbia formalizzato la propria costituzione nella fase cautelare del giudizio di opposizione con formale atto di costituzione, giacchè la stessa ricorrente riconosce che la fase sommaria, come documentato dai relativi verbali di udienza, ha richiesto la fissazione di almeno tre udienze e che nel corso di esse il (OMISSIS) ha svolto, tramite il difensore, deduzioni difensive a verbale e depositato memorie difensive, cosicchè non può porsi in dubbio che un’attività difensiva sia stata in concreto espletata.

4.3. Con riferimento al secondo profilo, il contenuto dei verbali di udienza, riportato dalla (OMISSIS) nel ricorso per cassazione (pagg. 29 e 30), pone in evidenza che le questioni oggetto del giudizio di opposizione sono state effettivamente trattate, tanto che si è ampiamente discusso dell’eccezione di incompetenza per territorio sollevata dalla esecutata e dell’istanza di sospensione, il che esclude che il giudice d’appello abbia mal interpretato gli atti difensivi e processuali.

4.4. Per quanto riguarda, infine, i vizi di violazione di legge denunciati con l’ultimo profilo della doglianza, è sufficiente osservare che, essendo la condanna alle spese processuali pronuncia consequenziale ed accessoria a quella con cui è stata sancita la soccombenza, il Tribunale ha fatto corretta applicazione del principio enunciato dall’art. 91 c.p.c., condannando, anche d’ufficio, la odierna ricorrente al pagamento delle spese di lite, atteso che la statuizione sulle spese di lite non postula l’istanza di parte (Cass., sez. 3, 10/02/2003, n. 1938; Cass., sez. 1, 13/05/2011, n. 10663).

5. Conclusivamente, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 5 dicembre 2022.