Ordinanza 4755/2023
Vendita immobile locato ad uso diverso – Subentro di locatore non esente iva ad originario contraente esente
In tema di contratto di locazione, nel caso in cui venga stipulato un contratto di locazione di bene immobile ad uso diverso da un soggetto locatore esentato dall’IVA e questi, trasferendo il bene immobile, ceda il contratto di locazione ad altro locatore cessionario il quale, viceversa, non benefici dell’esenzione, quest’ultimo non può pretendere di addebitare al conduttore quanto, non essendo soggetto esente, debba versare a titolo di IVA sull’importo del canone convenuto originariamente, essendo tenuto a rispettare il contratto ex art. 1599 c.c.
Cassazione Civile, Sezione 3. Ordinanza 15-2-2023, n. 4755 (CED Cassazione 2023)
Rilevato che
1. In data 30 luglio 2013, la società (OMISSIS) s.n.c. di (OMISSIS)- (OMISSIS)- (OMISSIS) proponeva opposizione a decreto ingiuntivo n. 13062/2013 emesso dal Tribunale di Roma su istanza di (OMISSIS) con cui le veniva intimato il pagamento dell’importo di Euro 38.712,79, oltre a interessi e spese, preteso a titolo di IVA sui canoni di locazione di un immobile ad uso non abitativo, sito in (OMISSIS), giusta contratto del (OMISSIS), registrato il (OMISSIS) (per il periodo da settembre 2011, data di subentro della nuova locatrice (OMISSIS), sino alla riconsegna dell’immobile avvenuta nel novembre 2014). L’opponente deduceva nello specifico che il contratto di locazione stipulato con l’originaria conduttrice, (OMISSIS), non era assoggettato ad IVA e che tuttavia, essendo stato l’immobile trasferito a (OMISSIS)S.p.a., quest’ultima, dopo essere subentrata nella posizione di locatrice, aveva preteso il pagamento dell’IVA dalla conduttrice, in aggiunta al canone di locazione.
La società opposta si costituiva eccependone la tardività del ricorso perchè proposto secondo il rito ordinario e non quello locatizio e deducendo nel merito la legittimità della pretesa creditoria derivante dall’applicazione dell’imposta prevista per legge.
Il Tribunale di Roma con sentenza n. 5601 del 2014 respingeva l’eccezione di tardività perchè non fondata, e nel merito, dichiarava infondata l’opposizione tenuto conto che l’IVA, pur non ponendosi sul piano della corrispettività contrattuale, integrasse tuttavia una obbligazione accessoria a carico del conduttore nei confronti del quale il locatore, su cui grava l’obbligo del versamento all’Erario, può esigerne il rimborso.
2. Avverso la sentenza di prime cure proponeva appello la società opponente, chiedendo la riforma integrale della sentenza. Costituitasi la società appellata a sua volta, chiedeva il rigetto dell’appello.
La Corte di appello di Roma con sentenza n. 1765-2019 ha respinto l’appello e confermato la sentenza di prime cure, con condanna delle spese di lite a carico della società appellante.
3. Avverso la sentenza di appello, (OMISSIS) s.n.c. di (OMISSIS) e (OMISSIS) (già (OMISSIS) di (OMISSIS)- (OMISSIS)- (OMISSIS)) ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi. Ha resistito con controricorso (OMISSIS) S.p.a..
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni; entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso, la società ricorrente lamenta la “Violazione dell’art. 345 c.p.c. in relazione all’art. 360, 1 comma n. 3 c.p.c.”; in particolare, sostiene che la decisione impugnata ha ritenuto inammissibile l’eccezione fondata sul principio di buona fede di cui all’art. 1375 c.c. perchè nuova in violazione dell’art. 345 c.p.c., ritenendola non proposta in prime cure sebbene, al contrario, detta eccezione fosse stata specificatamente proposta con il ricorso in opposizione al decreto ingiuntivo de quo.
2. Con il secondo motivo lamenta la “Violazione dell’art. 1362 e segg. e 1375 c.c. in relazione all’art. 360, 1 comma n. 3 c.p.c.” in quanto la Corte di appello, avendo ritenuto inammissibile l’eccezione proposta ai sensi dell’art. 1375 c.c., si è limitata a considerare corretto il percorso del giudice di prime cure in applicazione di un meccanismo estraneo alla volontà delle parti ex art. 1374 c.c. che le le obbliga al rispetto della normativa tributaria, e non avrebbe preso in considerazione quanto dedotto nell’atto di impugnazione in ordine all’illegittimità della maggiorazione del 25% rispetto al prezzo concordato soltanto in virtù del fatto che la società opposta fosse succeduta quale nuova locatrice al precedente locatore, (OMISSIS).
3. Il primo motivo del ricorso così come prospettato e sopra sinteticamente riassunto è inammissibile; non sussiste la violazione paventata in quanto, a fronte della statuizione impugnata che ha ritenuto il richiamo dell’appellante alla buona fede ex art. 1375 c.c. inammissibile “siccome nuovo in violazione all’art. 345 c.p.c.” (cfr. pag. 3 sentenza impugnata), il ricorrente si limita a lamentare di aver proposto l’eccezione fondata sul principio di buona fede ex art. 1375 c.c. genericamente eccependo (cfr. pagg. 2 e 3 del ricorso in opposizione) che sarebbe stata erroneamente dichiarata inammissibile dalla Corte di appello che l’avrebbe ritenuta come mai proposta ed in quanto tale, omettendo del tutto di esaminarla.
In realtà, la sentenza impugnata, lungi dall’ometterne la considerazione, ha tenuto conto del richiamo formulato dall’appellante-odierno ricorrente al principio di buona fede di cui all’art. 1375 c.c. e il ricorrente mostra di impugnare una ratio decidendi inesistente e non offre elementi idonei a valutare l’ambito di quanto ritiene di aver eccepito, non spiegandone lo specifico contenuto.
4. Il secondo motivo del ricorso è fondato e va, viceversa, accolto.
Parte ricorrente nell’illustrazione della censura evoca l’art. 1374 c.c., norma applicata dalla Corte di merito per affermare: “che il maggior onere a carico dell’odierno ricorrente-conduttore sarebbe intervenuto nel contratto in forza di disposizione legislativa e per un meccanismo estraneo alla volontà dele parti che, ec art. 1374 c.c. le obbliga al rispetto della normativa tributaria (…)” (pag. 3 della sentenza impugnata).
Giova rammentare che per soggetti passivi dell’IVA si intendono coloro che effettuano cessioni di beni e prestazioni di servizi (oggettivamente) soggette all’IVA nell’esercizio di imprese o di arti e professioni ovvero che effettuano, nell’esercizio di tali attività, importazioni o operazioni intracomunitarie. Tali soggetti sono di diritto contribuenti di diritto dell’IVA in quanto obbligati ad applicare l’imposta: essi si contrappongono ai consumatori finali che sono i contribuenti di fatto in quanto sono coloro che effettivamente sostengono l’onere dell’imposta. I soggetti passivi dell’IVA devono addebitare l’IVA come maggiorazione del prezzo dei beni ceduti o dei servizi prestati e diventano debitori verso il Fisco dell’IVA così addebitata relativa alle operazioni imponibili, anche intracomunitarie, effettuate (cfr. Decreto del Presidente della Repubblica n. 26/10/72, n. 633, art. 17, comma 1, Decreto Legge n. 30/8/93, n. 331, art. 37).
Nel caso del contratto di locazione, soggetto passivo è il locatore; ora, se il locatore è esente, il canone pattuito verrà certamente stabilito in una misura che non comprende l’IVA da riversare sul conduttore, quale contribuente c.d. di fatto.
Se, come accaduto nel caso di specie, il locatore esente da IVA cede il diritto di proprietà sul bene immobile oggetto del contratto di locazione ad un acquirente che è, invece, soggetto non esente da IVA, in tanto costui, acquistando e dovendo rispettare il contratto, a norma dell’art. 1599 c.c., non può pretendere che l’importo del canone da lui riscosso, che è diventato necessariamente soggetto ad IVA, debba in conseguenza crescere; è lo stesso locatore, quindi, subentrato nel lato attivo del contratto, ad essere consapevole del proprio assoggettamento al regime IVA e a dover versare una parte del canone a titolo di imposta.
Il riferimento al meccanismo di integrazione del contratto previsto dall’art. 1374 c.c. per giustificare che la corresponsione dell’IVA da parte del locatore debba risolversi in una corrispondente aumento del canone per il conduttore non è corretto; la soggezione ad IVA, infatti, non è riferita, cioè disposta dalla legge tributaria con riguardo al contratto, ma è un obbligo imposto al soggetto, nella specie, al solo locatore, una volta riscosso il canone di locazione.
In questa prospettiva, questa Corte ha già affermato la piena autonomia del rapporto tributario tra contribuente ed Amministrazione finanziaria, rispetto al rapporto di natura privatistica tra i soggetti contraenti dell’operazione tassabile (cfr. in tema di giurisdizione: Cass. Sez. 3, 16/11/2020 n. 25850).
Il motivo va, pertanto, accolto sulla base seguente principio di diritto: “nel caso in cui venga stipulato un contratto di locazione di bene immobile ad uso diverso da un soggetto locatore che si trovi in una situazione di soggetto esente ad IVA e questi, trasferendo il bene immobile, ceda il contratto di locazione ad altro locatore cessionario il quale, viceversa, non benefici dell’esenzione, quest’ultimo non può pretendere di addebitare al conduttore quanto, non essendo soggetto esente, debba versare a titolo di IVA sull’importo del canone convenuto originariamente”.
5. Il ricorso va, dunque, accolto in relazione al secondo motivo, inammissibile il primo, la sentenza va cassata in relazione e la causa rinviata alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione che provvederà secondo i principi sopra ricordati ed anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
Per questi motivi
La Corte accoglie il ricorso in relazione al secondo motivo, inammissibile il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione che provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile il 21 dicembre 2022.