Sentenza 4769/2014
Compenso in favore dell’amministratore di società – Privilegio ex art. 2751 bis n. 2 cod. civ. – Esclusione
Il credito costituito dal compenso in favore dell’amministratore di società, anche se di nomina giudiziaria, non è assistito dal privilegio generale di cui all’art. 2751 bis, n. 2, cod. civ., atteso che egli non fornisce una prestazione d’opera intellettuale, né il contratto tipico che lo lega alla società è assimilabile al contratto d’opera, di cui agli artt. 2222 e ss. cod. civ. non presentando gli elementi del perseguimento di un risultato, con la conseguente sopportazione del rischio, mentre l'”opus” (e cioè l’amministrazione) che egli si impegna a fornire non è, a differenza di quello del prestatore d’opera, determinato dai contraenti preventivamente, né è determinabile aprioristicamente, identificandosi con la stessa attività d’impresa.
Corte di Cassazione, Sezione 1 civile, Sentenza 27 febbraio 2014, n. 4769 (CED Cassazione 2014)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione – affidato a un motivo articolato in due censure di violazione di legge e vizio di motivazione – contro il decreto depositato in data 10.10.2011 con il quale il Tribunale di Roma ha rigettato la sua opposizione allo stato passivo del fallimento della s.r.l. ” (OMISSIS)” in liquidazione, con la quale lamentava l’esclusione del privilegio in relazione al proprio credito, ammesso in chirografo, per prestazioni rese quale amministratore unico della società fallita, già sottoposta a sequestro penale e delle cui quote il creditore opponente era stato nominato custode dal Pubblico Ministero. Non ha svolto difese la curatela fallimentare intimata.
1.1.- Secondo il tribunale l’attività dell’amministratore, ancorchè nominato dall’autorità giudiziaria e sebbene svolta nel rispetto delle direttive impartite dal pubblico ministero, non è assimilabile, sotto il profilo oggettivo-contenutistico, al contratto di opera intellettuale nè rileva che l’attività sia stata svolta in esplicazione della custodia, che, altrimenti, il compenso sarebbe attratto nel compenso di custode. Il richiamo contenuto nel decreto del P.M. all’articolo 2389 c.c. consentiva la distinta remunerabilità dell’attività di amministratore, con la conseguenza che il credito seguiva il regime proprio del compenso degli amministratori.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2.- Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione dell’articolo 2751 bis c.c., n. 2 in relazione all’articolo 321 c.p.c. e articoli 2222 e 2389 c.c. nonchè vizio di motivazione.
Deduce che l’orientamento di cui a Cass. 9692/1995 – secondo il quale “l’attività svolta dal liquidatore di società non è caratterizzata in modo preminente dalla prestazione d’opera intellettuale, ancorchè a svolgerla possono essere chiamati dei professionisti legali o commerciali e quantunque il compimento di una parte delle operazioni richieste possa implicare la soluzione di problemi anche complessi. Di conseguenza al credito vantato dal liquidatore quale corrispettivo per l’opera svolta non compete il privilegio indicato nell’articolo 2751 bis c.c., n. 2” – non sarebbe applicabile nella concreta fattispecie perchè esso ricorrente aveva espletato l’attività di amministratore il qualità di custode nominato dall’autorità giudiziaria, alle cui direttive si era attenuto. Talchè l’attività di amministrazione costituiva una semplice estensione della custodia giudiziaria, avendo egli operato solo formalmente quale amministratore ma di fatto come custode “anche nella sua funzione di amministratore unico”. Dopo la pronuncia della Corte costituzionale n. 1/1998 il privilegio spetterebbe ad ogni prestatore d’opera anche non intellettuale e, quindi, anche in relazione al contratto ex articolo 2222 c.c. Deduce di essere stato nominato custode in quanto “professionista” e il credito maturato si riferisce a compenso professionale.
3.- Il ricorso è infondato.
Invero, il credito del compenso in favore dell’amministratore o liquidatore di società non è assistito dal privilegio generale di cui all’articolo 2751 bis c.c., n. 2, atteso che l’amministratore o liquidatore non fornisce una prestazione d’opera intellettuale, nè (e ciò rileva a seguito della sentenza n. 1 del 1998 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il riferimento della norma citata ai soli prestatori d’opera intellettuale) il contratto tipico che lo lega alla società è assimilabile al contratto d’opera di cui agli articoli 2222 e ss. cod. civ.: di quest’ultimo, infatti, non presenta gli elementi del perseguimento di un risultato con la conseguente sopportazione del rischio, e l'”opus” (e cioè l’amministrazione) che l’amministratore o il liquidatore si impegna a fornire non è – a differenza di quello del prestatore d’opera – determinato dai contraenti preventivamente, nè è determinabile aprioristicamente, identificandosi con la stessa attività d’impresa. (Sez. 1, n. 13805/2004; Sez. 1, n. 11652/2007). D’altra parte la funzione dell’amministratore giudiziario dei beni e delle quote di una società di capitali sottoposta a sequestro preventivo non si esaurisce nella custodia di quanto sottoposto alla misura cautelare ma si estende all’esercizio dei diritti connessi alla titolarità delle quote sociali, quali il diritto di voto e d’impugnazione delle delibere assembleari, nonchè all’esercizio di poteri gestori e di amministrazione (Sez. 1, Sentenza n. 22800/2011).
Si tratta, dunque, nella concreta fattispecie, di attività che il ricorrente ha svolto in adempimento della funzione di custode. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.