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Cassazione Civile 4823/2023 – Avviso di accertamento – Notifica alla società di persone – Legittimazione dell’amministratore di fatto a ricevere la notificazione dell’avviso di accertamento rivolto alla società

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Ordinanza 4823/2023

Avviso di accertamento – Notifica alla società di persone – Legittimazione dell’amministratore di fatto a ricevere la notificazione dell’avviso di accertamento rivolto alla società – Esclusione

L’amministratore di fatto di una società di persone non è legittimato a ricevere la notificazione dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società, perché l’atto impositivo deve essere consegnato alla persona che rappresenta l’ente secondo la legge, ai sensi dell’art. 145, comma 1, c.p.c.; peraltro, l’amministratore di fatto non può lamentare la lesione del proprio diritto di difesa per non aver ricevuto personalmente, da parte dell’ente impositore, la notificazione di un atto idoneo all’istaurazione del contraddittorio preventivo, in quanto si deve ritenere che fosse comunque a conoscenza di ogni vicenda riguardante la società.

Cassazione Civile, Sezione Tributaria, Ordinanza 16-2-2023, n. 4823   (CED Cassazione 2023)

 

 

Fatti di causa

1. L’Agenzia delle Entrate notificava il 12.2.2014 (ric., p. 2) a (OMISSIS) l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), attinente ad Iva, Irap ed accessori, in relazione all’anno di imposta 2006, per l’importo dichiarato di Euro 135.449,00. Mediante l’atto impositivo l’Amministrazione finanziaria attribuiva al contribuente la funzione di amministratore occulto della (OMISSIS) di (OMISSIS), che non aveva presentato la dichiarazione dei redditi ed il cui reddito era stato pertanto accertato con metodo induttivo, basandosi sulle movimentazioni bancarie. L’Amministrazione finanziaria contestava l’omesso dovuto versamento di Iva (Euro 106.041,00) ed Irap (Euro 29.408,00), oltre accessori. L’avviso di accertamento traeva origine da un’articolata indagine, anche penale, che vedeva coinvolto il contribuente in ipotizzate fattispecie di interposizione fittizia, in relazione a più imprese. “La (OMISSIS) era una delle c.d. società fittizie che, sulla base delle indagini effettuate, risultava pesantemente coinvolta nei caroselli fiscali transnazionali gestiti da (OMISSIS)” (controric., p. 24). Nel caso di specie le violazioni fiscali erano contestate a (OMISSIS)in qualità di amministratore occulto, autore delle violazioni e coobbligato.

2. Il contribuente proponeva impugnazione dell’avviso di accertamento, innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, introducendo plurime censure. La CTP rigettava il ricorso.

3. (OMISSIS)spiegava appello avverso la decisione sfavorevole conseguita nel primo grado del giudizio, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Campania contestando, tra l’altro, l’omessa pronuncia del giudice di primo grado sulla sussistenza di un’ipotesi di violazione del litisconsorzio necessario, l’errata interpretazione dell’art. 2495 c.c., perchè l’accertamento era stato promosso avverso società cancellata ed estinta, nonchè la decadenza dell’Amministrazione finanziaria dal potere di esercitare la pretesa tributaria, non ricorrendo un’ipotesi di raddoppio dei termini di accertamento, comunque non applicabile in relazione all’Irap. La CTR rigettava integralmente il ricorso del contribuente.

4. (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione avverso la pronuncia del giudice dell’appello, affidandosi ad otto motivi di impugnazione, resiste mediante controricorso l’Amministrazione finanziaria.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il contribuente contesta la violazione dell’art. 2495 c.c., in cui è incorsa la CTR per non aver rilevato l’invalidità dell’avviso di accertamento, indirizzato a società estinta.

2. Mediante il secondo strumento di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente censura la violazione del Decreto Legislativo n. 472 del 1997, art. 11, perchè non è più applicabile la responsabilità solidale a carico dell’amministratore (anche di fatto) di società.

3. Con il suo terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il contribuente critica la violazione o falsa applicazioni del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, art. 43, e del conseguente raddoppio dei termini di accertamento, perchè l’Amministrazione finanziaria era ben a conoscenza da anni delle violazioni tributarie che ritiene di avere accertato, e tuttavia non ha tempestivamente attivato la procedura di contestazione.

4. Mediante il quarto mezzo di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il ricorrente contesta ancora la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, art. 43, perchè comunque il raddoppio dei termini di accertamento non opera in materia di Irap.

5. Con il quinto motivo di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente censura la violazione dell’art. 102 c.p.c., per non avere il giudice dell’appello rilevato la violazione del litisconsorzio necessario tra la società di persone ed i soci.

6. Mediante il sesto mezzo di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in conseguenza della criticata violazione del disposto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, art. 40, il contribuente contesta la decisione adottata dalla CTR per non aver rilevato che alla rettifica delle dichiarazioni presentate dalle società ed associazioni occorre procedere con un unico atto, nei confronti dell’ente collettivo e dei partecipi.

7. Con il settimo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il contribuente lamenta la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, per non avere il giudice dell’appello rilevato la violazione del contraddittorio endoprocedimentale nei confronti del ricorrente.

8. Mediante l’ottavo mezzo di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il ricorrente censura il “vizio di carenza e illogicità della motivazione della sentenza” pronunciata dalla CTR per non aver deliberato sulla contestazione relativa alla procedura adottata dall’Amministrazione finanziaria al fine di quantificare il reddito che si pretende essere stato sottratto a tassazione, e che sarebbe stato accertato mediante indagini bancarie.

9. Mediante il primo motivo di impugnazione il ricorrente contesta l’invalidità dell’accertamento tributario perchè posto in essere nei confronti di società estinta. Con il secondo strumento di impugnazione il contribuente critica l’impropria applicazione della responsabilità solidale del preteso amministratore occulto in relazione ai debiti fiscali della società, peraltro estinta. I due mezzi d’impugnazione presentano profili di connessione, e possono essere trattati congiuntamente per ragioni di sintesi e chiarezza espositiva. Innanzitutto merita di essere premesso che il ricorrente non ha specificamente contestato di essere stato, di fatto, l’amministratore e liquidatore della società. Tanto premesso, la responsabilità per l’obbligazione tributaria è stata contestata a (OMISSIS) quale socio ed amministratore, nonchè liquidatore, della società, pertanto a titolo proprio e personale, non quale successore di una società estinta.

9.1. Merita a tal proposito di essere ricordato che questa Corte di legittimità ha già avuto modo di chiarire, condivisibilmente, che “la responsabilità dei liquidatori e degli amministratori per le imposte non pagate con le attività della liquidazione, prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, art. 36, trova la sua fonte in un’obbligazione civile propria “ex lege” in relazione agli artt. 1176 e 1218 c.c., sicchè, non avendo natura strettamente tributaria, a carico dei predetti non vi è alcuna successione o coobbligazione nei debiti tributari per effetto della cancellazione della società dal registro delle imprese”, Cass. sez. VI-V, 25.6.2019, n. 17020; e non si è mancato di specificare che “l’azione di responsabilità nei confronti del liquidatore verso i creditori ex art. 2495 c.c. si fonda sulla inosservanza degli obblighi suoi propri attinenti alla fase della liquidazione (ad esempio, rispettando i gradi di privilegio), mentre quella ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, art. 36 è riconducibile agli artt. 1176 e 1218 c.c. ed integra una ipotesi di responsabilità propria ex lege (esercitabile solo se i ruoli in cui siano iscritti i tributi della società possano essere posti in riscossione e se sia acquisita legale certezza che i medesimi non siano stati soddisfatti con le attività della liquidazione) in funzione del prioritario soddisfacimento dei crediti tributari, sicchè, estinta la società contribuente, non si realizza alcuna forma di successione nei confronti del liquidatore, ma sorgono ipotesi di responsabilità nuove e fondate su differenti presupposti, ancorchè implichino l’esistenza della obbligazione tributaria. In ultima analisi, quello verso l’amministratore o liquidatore è credito dell’amministrazione finanziaria non strettamente tributario, ma più che altro civilistico, il quale trova titolo autonomo rispetto all’obbligazione fiscale vera e propria, costituente mero presupposto della responsabilità stessa (S.U. 2767-1989)”, Cass. sez. V, 19.11.2019, n. 29969 (cfr., anche, Cass. sez. V, 13.7.2012, n. 11968).

I primi due motivi di ricorso sono perciò da ritenersi infondati, e devono in conseguenza essere rigettati.

10. Con il terzo strumento di impugnazione il ricorrente censura, in relazione al profilo della violazione di legge, la pronuncia della CTR per non aver ritenuto l’inapplicabilità del raddoppio dei termini di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, art. 43, in conseguenza della rilevanza penale delle condotte ascritte, sebbene le stesse risultassero accertate da tempo, e ben potessero essere contestate senza necessità di ricorrere al raddoppio dei termini. Merita di essere ricordato come, anche a prescindere dagli specifici elementi riassunti dall’Agenzia delle Entrate, e dai riferimenti pure analiticamente forniti, nel presente giudizio non risulti in contestazione la rilevanza penale delle condotte ascritte al contribuente, peraltro effettivamente sottoposto a procedimento penale. Tanto premesso, questa Corte regolatrice ha già avuto modo di chiarire che “in tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, artt. 43, comma 3, e dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, 57, comma 3, nei testi applicabili “ratione temporis”, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte Cost. nella sentenza n. 247 del 2011, sicchè, ove il contribuente denunci il superamento dei termini di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, deve contestare la carenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, non potendo mettere in discussione la sussistenza del reato il cui accertamento è precluso al giudice tributario”, Cass. sez. V, 12.7.2020, n. 13481, e non si è mancato di specificare che “in tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, artt. 43, comma 3, e 57, comma 3, , nei testi applicabili “ratione temporis”, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 247 del 2011. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha annullato la decisione impugnata che aveva ritenuto inoperante il raddoppio dei termini per mancata prova della comunicazione della “notitia criminis” entro il termine di decadenza ordinario)”, Cass. sez. VI-V, 28.6.2019, n. 17586 (evidenza aggiunta); essendosi pure evidenziato che “in tema di accertamento tributario, il cd. raddoppio dei termini previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, art. 43, attiene solo alla commisurazione del termine di accertamento ed i termini prolungati sono anch’essi fissati direttamente dalla legge, non integrando quindi ipotesi di “riapertura” o proroga di termini scaduti nè di reviviscenza di poteri di accertamento ormai esauriti, in quanto i termini “brevi” e quelli raddoppiati si riferiscono a fattispecie “ab origine” diverse, che non interferiscono tra loro ed alle quali si connettono diversi, unitari e distinti termini di accertamento. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza che aveva ritenuto operante il “raddoppio” solo nel caso di rilievo del reato da parte dell’Ufficio finanziario prima dello spirare del termine quadriennale di prescrizione tributaria)”, Cass. sez. VI-V, 9.10.2017, n. 23628. Unico presupposto richiesto perchè operi il raddoppio dei termini di accertamento, pertanto, è la sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, che ricorreva nel caso di specie, rimanendo irrilevante il tempo trascorso tra l’accertamento della ricorrenza dei presupposti della denuncia obbligatoria e la notificazione dell’avviso di accertamento.

Il terzo motivo di ricorso deve essere pertanto respinto.

11. Mediante il quarto motivo di ricorso il contribuente critica ancora la affermata violazione della disciplina del raddoppio dei termini processuali di accertamento, in conseguenza dell’obbligo di denuncia penale, questione che si è già analizzata esaminando il terzo motivo di ricorso. Il contribuente aggiunge poi che la sua contestazione deve ritenersi anche specificamente riferita alla parte della decisione con cui la CTR ha ritenuto che il raddoppio dei termini sia applicabile anche in relazione al tributo dell’Irap, per il quale invece il raddoppio non è previsto.

11.1. In materia questa Corte regolatrice ha avuto modo di chiarire, in forma sintetica e condivisibile, che “in tema di accertamento, il cd. “raddoppio dei termini”, previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 600, del 1973, art. 43, non può trovare applicazione anche per l’IRAP, poichè le violazioni delle relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali”, Cass. sez. VI-V, 3.5.2018, n. 10483 (conf. Cass. sez. V, 9.8.2022, n. 24576, che opera riferimento anche alla disciplina dell’Iva, rilevante in questo giudizio).

11.2. Nei limiti esposti, pertanto, il quarto motivo di ricorso deve essere accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, pronunziando ai sensi dell’art. 384, comma 2, c.p.c., la sentenza impugnata deve essere cassata senza rinvio sul punto, annullandosi la pretesa tributaria in relazione a quanto richiesto a titolo di Irap.

12. Mediante il quinto strumento di impugnazione il contribuente lamenta la violazione del litisconsorzio necessario tra lui, ritenuto socio, amministratore e liquidatore occulto, nonchè autore delle violazioni, gli altri soci e la stessa società, peraltro estinta.

Occorre quindi ricordare che il presente giudizio ha ad oggetto l’Iva (oltre l’Irap in relazione alla quale, però, si è visto che la pretesa tributaria deve essere annullata), e può allora evidenziarsi come questa Corte regolatrice abbia già condivisibilmente chiarito, in proposito, che “in tema di accertamento ai fini IRAP e IVA a carico di una società di persone, non ricorre un’ipotesi di litisconsorzio necessario tra la stessa ed i soci, atteso che l’atto impositivo non implica una rettifica del reddito dell’ente e, quindi, di quello dei soci: peraltro, sebbene non sia invocabile l’efficacia di giudicato della sentenza emessa nei soli confronti della società, ciò non esclude che l’Amministrazione finanziaria possa notificare l’avviso di mora per l’obbligazione dell’ente direttamente al socio, poichè il diritto di difesa dello stesso è garantito dalla possibilità di contestare la pretesa originaria, impugnando contestualmente gli atti presupposti, la cui notificazione sia stata omessa o risulti irregolare”, Cass. sez. V, 16.3.2018, n. 6531; e non si era già mancato di specificare che “in tema di IVA dovuta da società di persone, pur dovendosi riconoscere la soggettività passiva della società, la responsabilità della stessa si ripercuote – sia pur in via sussidiaria – anche sui soci ai sensi dell’art. 2291 c.c. (che è norma operante – in assenza di espressa deroga – anche per i rapporti tributari e le obbligazioni da essi derivanti) ma non esclude la natura solidale della obbligazione dei soci, con la conseguenza che, sul piano processuale, non è ravvisabile alcun litisconsorzio necessario con i soci e la scindibilità delle cause non determina la necessità del “simultaneus processus”, Cass. sez. V, 10.4.2009, n. 8782.

12.1. Non si è espressa in difformità, rispetto al ricordato orientamento della Suprema Corte, la CTR nel presente giudizio, evidenziando pure che la responsabilità fiscale risulta attribuita a (OMISSIS)in qualità di amministratore occulto ed autore delle violazioni. La decisione del giudice dell’appello non merita quindi censure.

Il quinto motivo di ricorso risulta pertanto infondato, e deve essere respinto.

13. Con il sesto motivo di ricorso il contribuente censura la decisione adottata dalla CTR per non aver rilevato che all’accertamento nei confronti della società e dei soci deve procedersi con unico atto.

Il ricorrente invoca la previsione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, comma 2 di cui all’art. 40 che, nella parte richiamata, detta: “Alla rettifica delle dichiarazioni presentate dalle società e associazioni indicate nell’art. 5 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 597, si procede con unico atto ai fini dell’imposta locale sui redditi dovuta dalle società stesse e ai fini delle imposte sul reddito delle persone fisiche o delle persone giuridiche dovute dai singoli soci o associati”. La norma trova applicazione, pertanto, in relazione alla rettifica delle dichiarazioni del reddito “presentate” dalla società, mentre nel caso di specie la dichiarazione dei redditi risulta omessa. Non solo. La disposizione opera con riferimento ai tributi Ilor, Irpef ed Irpeg, mentre nel caso di specie è contestata una violazione in materia di Iva.

13.1. Risulta pertanto sufficiente ricordare come questa Corte di legittimità, condivisibilmente ed in materia di Iva, esprimendo un principio estensibile alla fattispecie in esame, abbia già avuto modo di chiarire che “in tema di accertamento e riscossione dell’IVA, l’avviso di rettifica emesso dall’Ufficio nei confron i di una società in nome collettivo ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, artt. 54 e 56, legittimamente può contenere l’indicazione, come condebitori solidali, dei nominativi dei soci, sia palesi che occulti, ed essere notificato anche a costoro per la contestazione di tale loro qualità, in vista della successiva procedura di riscossione: la responsabilità solidale ed illimitata dei soci per i debiti della società, prevista dall’art. 2291 c.c. ed operante anche nei rapporti tributari, pur consentendo all’Amministrazione finanziaria di procedere in via esecutiva nei loro confronti direttamente con la notifica dell’avviso di mora, mediante la semplice indicazione della qualità attribuita (non essendo previsto per quell’atto un particolare obbligo di motivazione), non esclude infatti che la contestazione di detta qualità possa aver luogo anche in occasione della notifica dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società, fermo restando per il destinatario l’onere di impugnare il provvedimento, facendo valere in quella sede tutte le sue ragioni, senza limitazione alcuna”, Cass. sez. V, 23.1.2020, n. 1504 (evidenza aggiunta. Conf. Cass. sez. V, 28.7.2006, n. 17225).

Il sesto motivo di ricorso risulta pertanto infondato, e deve essere rigettato.

14. Premesso che il ricorrente non contesta che l’Amministrazione finanziaria abbia convocato ai fini dell’instaurazione del contraddittorio predibattimentale il legale rappresentante (formale) della società, il contribuente, mediante il settimo strumento di impugnazione, contesta l’omessa instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale nei suoi confronti, in quanto ritenuto l’amministratore occulto della società. In proposito la CTR osserva che “all’esito dell’esame dell’intera documentazione acquisita in atti, deve confermarsi che l’odierno appellante è stato adeguatamente messo in condizione di difendersi, essendosi istaurato il contraddittorio endoprocedimentale a seguito del formale invito a controdedurre rivolto dall’Ufficio” (sent. CTR, p. V). Il contribuente lamenta che la CTR deve essere incorsa in una svista, perchè l’unico contraddittorio al di fuori del processo intercorso tra (OMISSIS)e l’Amministrazione finanziaria è stato provocato da lui stesso, promuovendo il procedimento di accertamento con adesione, ma dopo che le attività di verifica erano terminate e l’avviso di accertamento era già stato emesso (ric., p. 25).

14.1. Occorre allora ricordare ancora che il presente giudizio ha ad oggetto l’Iva, e può allora evidenziarsi come questa Corte regolatrice abbia già condivisibilmente chiarito, in proposito, che “in tema di contenzioso tributario in materia societaria, l’amministratore di fatto è privo della legittimazione ad essere destinatario di un avviso di accertamento rivolto alla società di capitali, in quanto il Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, artt. 145 c.p.c. e 60 prevedono che la notifica alle persone giuridiche avvenga mediante consegna alla persona che rappresenta l’ente (ovvero ad altri soggetti legittimati indicati dalla norma)”, Cass. sez. V, 22.11.2021, n. 36034 (conf. Cass. sez. VI-V, 9.7.2014, n. 15742). Tanto meno, pertanto, è dovuta all’amministratore di fatto la notificazione dell’inizio delle operazioni di verifica, oppure del PVC, e l’instaurazione del contraddittorio preventivo con lui.

14.2. Il fatto che l’omessa notifica di atti presupposti non comporta, in fattispecie come quella in esame, alcuna lesione del diritto di difesa del contribuente, è stato poi chiarito spiegandosi che “in tema di riscossione coattiva, l’amministrazione finanziaria può notificare direttamente al socio, ancorchè receduto, l’avviso di mora per un’obbligazione tributaria della società in nome collettivo, insorta anteriormente al suo recesso, di cui egli risponde solidalmente e illimitatamente, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2290 e 2291 c.c. a nulla rilevando che sia rimasto estraneo agli atti di accertamento ed impositivi finalizzati alla formazione del ruolo, atteso che il suo diritto di difesa è garantito dalla possibilità di contestare la pretesa originaria, impugnando insieme all’atto notificato anche quelli presupposti, la cui notificazione sia stata omessa o risulti irregolare”, Cass. sez. V, 22.12.2014, n. 27189.

14.3. Neppure, e conclusivamente, può trascurarsi che (OMISSIS) è stato coinvolto nell’accertamento fiscale quale socio ed amministratore occulto della società di persone, e deve pertanto ritenersi fosse a conoscenza delle vicende che riguardavano l’impresa.

Può al proposito esprimersi il principio di diritto secondo cui “l’amministratore di fatto della società di persone è privo della legittimazione a ricevere a titolo personale la notificazione dell’avviso di accertamento tributario emesso nei confronti della società, perchè l’atto impositivo deve essere recapitato mediante la consegna alla persona che rappresenta l’ente secondo la legge, ai sensi dell’art. 145, comma 1, c.p.c.; inoltre, l’amministratore di fatto della società di persone, di cui sia accertata la qualità, non può invocare la lesione del proprio diritto di difesa per non aver ricevuto a titolo personale, da parte dell’Ente impositore, la notificazione di un atto idoneo all’istaurazione del contraddittorio preventivo, in quanto deve ritenersi che egli fosse a conoscenza di ogni vicenda riguardante la società”.

Anche il settimo motivo di ricorso risulta pertanto infondato e deve essere rigettato.

15. Con l’ottavo motivo di ricorso il contribuente contesta il vizio di motivazione in cui ritiene essere incorso il giudice dell’appello, per aver deliberato in maniera carente ed illogica in materia di invalidità della procedura di accertamento, eseguita sul fondamento di indagini bancarie, con applicazione di una percentuale di redditività senz’altro eccessiva.

Il motivo di ricorso si appalesa inammissibile.

15.1. Innanzitutto deve osservarsi che il contribuente lamenta “la carenza ed illogicità della motivazione”, invocando una formula dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non più utilizzabile.

Inoltre, afferma il ricorrente che “nel ricorso introduttivo prima e nell’appello poi, si era osservato che la quantificazione del reddito d’impresa, da assumere quale reddito per i soci e imponibile Irap e Iva sia frutto della ricostruzione sopra esposta”, e riassuntiva dell’avviso di accertamento, “tanto semplice quanto non condivisibile” (ric., p. 29). Il ricorso per cassazione, però, richiede l’indicazione di motivi di impugnazione specifici, mentre il ricorrente si limita a generiche considerazioni. Nello strumento d’impugnazione deve indicarsi non solo in quali atti processuali del giudizio di merito le proprie censure siano state formulate, e diligentemente coltivate, ma deve esporsene analiticamente il contenuto, almeno in sintesi, in modo da consentire a questa Corte il controllo che le compete circa la tempestività e congruità delle contestazioni proposte, ancor prima di procedere a valutarne la decisività.

L’ottavo motivo di ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

16. Il ricorso proposto da (OMISSIS) deve essere pertanto accolto in relazione al quarto motivo di impugnazione, e rigettato nel resto.

17. Le spese processuali seguono l’ordinario criterio della soccombenza (prevalente) e sono liquidate come in dispositivo, in considerazione della natura delle questioni esaminate e del valore della causa. In considerazione della parziale vittoria nel giudizio, non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, del c.d. doppio contributo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso proposto da (OMISSIS) e, pronunziando nel merito ai sensi dell’art. 384, comma 2, c.p.c., cassa sul punto la sentenza impugnata senza rinvio, ed annulla l’avviso di accertamento in relazione a quanto richiesto a titolo di Irap.

Rigetta il ricorso nel resto, condannando il ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della costituita Agenzia delle Entrate, e le liquida in complessivi Euro 3.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 12.01.2023