Sentenza 4922/2018
Locazione ad uso non abitativo – Patto occulto di maggiorazione del canone
Nei contratti di locazione ad uso non abitativo stipulati anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 311 del 2004 – che ha introdotto la sanzione della nullità testuale in caso di omessa registrazione – il patto occulto di maggiorazione del canone è comunque da considerarsi viziato da nullità (virtuale), atteso che l’accordo simulatorio trova la sua causa concreta nella finalità di eludere il fisco, sottraendo all’erario il maggior canone dissimulato realmente pattuito, così ponendosi in contrasto con la norma che impone l’obbligo di registrazione, integrale e fedele, dei contratti di locazione, da considerarsi imperativa e, in quanto tale, idonea ad incidere sulla validità degli atti civili, ai sensi e per gli effetti dell’art.1418, comma 1, c.c.
Corte di Cassazione, Sezione 3, Sentenza 2 marzo 2018, n. 4922 (CED Cassazione 2018)
FATTI DI CAUSA
- Gi. St. ricorre, con tre mezzi, nei confronti dell’Associazione Musicale F.C. (che resiste con controricorso) avverso la sentenza in epigrafe con la quale la Corte d’appello di Napoli ne ha rigettato l’appello confermando la sentenza di primo grado che, per quanto ancora in questa sede interessa, in accoglimento del ricorso proposto dall’associazione, l’aveva condannata alla restituzione della somma di € 31.000,00 corrisposta per la locazione di immobile ad uso non abitativo, in misura eccedente al canone convenuto con il contratto scritto e registrato in data 15/9/1999 (e poi rettificato con successivo atto registrato il 25/1/2001), ancorché in forza di coevo separato accordo scritto.
Ha infatti rilevato la Corte territoriale che la pattuizione di un canone superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato non può in ogni caso ritenersi valida, in quanto segnata da una causa illecita, ossia dallo scopo di eludere il fisco, in contrasto con il principio generale antielusivo desumibile dall’art. 53 Cost..
Ha inoltre richiamato a supporto anche i principi affermati da Cass. Sez. U 17/09/2015, n. 18213 (secondo cui, in tema di locazione immobiliare ad uso abitativo, la nullità prevista dall’art. 13, comma 1, della legge n. 431 del 1998 sanziona esclusivamente il patto occulto di maggiorazione del canone, oggetto di un procedimento simulatorio, mentre resta valido il contratto registrato e resta dovuto il canone apparente; il patto occulto, in quanto nullo, non è sanato dalla registrazione tardiva, fatto extranegoziale inidoneo ad influire sulla validità civilistica) ritenendone l’estensibilità anche alle locazioni ad uso non abitativo, per identità di ratio ed in applicazione dei principi generali dell’ordinamento, attraverso una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 79 legge 27 luglio 1978, n. 392.
La ricorrente e la controricorrente hanno depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
- Con il primo motivo di ricorso Gi. St. deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 79 legge 27 luglio 1978, n. 392; 13 legge 9 dicembre 1998, n. 431; 1414, 1343 e 1344 cod. civ.; 12 e 14 preleggi, nonché insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360, comma primo, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., per avere i giudici d’appello ritenuto che la disposizione di cui all’art. 79 legge n. 392 del 1978, ai fini in esame, sia analoga a quella di cui all’art. 13 legge n. 431 del 1998 e possa spiegare gli stessi effetti.
Sostiene di contro che l’art. 79 legge n. 392 del 1978 non prevede la possibilità di sanzionare il procedimento simulatorio elusivo che invece è stata attribuita all’art. 13 legge n. 431 del 1998, né può essere riferito alle ipotesi di causa illecita, atteso che in essa parametro di riferimento (in rapporto al quale è prevista la sanzione di nullità delle pattuizioni contrastanti) sono le norme sulla durata del contratto e la determinazione del canone contenute nella medesima legge e non anche quelle che impongono obblighi fiscali.
Rileva, inoltre, sottoponendo a critica la contraria affermazione contenuta nella richiamata pronuncia delle Sezioni Unite n. 18213 del 2015, che né l’art. 13 legge n. 431 del 1998, né tantomeno l’art. 79 legge n. 392 del 1978, quali leges speciales, possono derogare o modificare le disposizioni contenute nella legge ordinaria in materia fiscale, né introdurre fattispecie che disciplinano aspetti di natura tributaria o determinare la nullità di un contratto, ostandovi la previsione di cui agli artt. 1, 2 e 10 legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del contribuente).
Soggiunge che una diversa lettura non può considerarsi imposta dai parametri costituzionali, atteso che l’asserita disparità di trattamento deve considerarsi ampiamente giustificata dalla diversità delle fattispecie da regolare e delle posizioni da tutelare, considerato anche che il soggetto presuntivamente leso non è il conduttore (possibilmente cointeressato a una dichiarazione fiscale non fedele) ma il fisco.
- Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 10 legge n. 212 del 2000; 13 legge n. 431 del 1998 e 12 preleggi, in relazione all’art. 360, comma primo, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.. Sostiene — ribadendo rilievo critico già svolto con il primo motivo sopra sintetizzato — che l’arresto di Cass. Sez. U n. 18213 del 2015 e, conseguentemente, la sentenza qui impugnata che ne ha sposato l’iter argomentativo, forniscono, in relazione alla portata applicativa della norma di cui all’art. 13 legge n. 431 del 1998, una chiave di lettura giuridicamente errata del rapporto tra la normativa generale, costituita dallo Statuto dei diritti del contribuente, e la legge speciale n. 431 del 1998, in particolare in punto di incidenza delle norme tributarie sulla validità ed efficacia degli atti negoziali privatistici.
Sottopone al riguardo a critica il richiamo, contenuto nella sentenza delle Sezioni Unite, alla motivazione dell’ordinanza n 420 del 2007 della Corte costituzionale e all’ordinanza n. 242 del 2004 della stessa Corte delle leggi, assumendo che quest’ultima mostra con tali pronunce di propendere piuttosto per l’interpretazione opposta, in passato accolta da Cass. n. 16089 del 2003.
Chiede pertanto che, ai fini della revisione del principio di diritto enunciato dalla detta sentenza n. 18213 del 2015, la questione venga nuovamente rimessa alle Sezioni Unite.
- Con il terzo motivo la ricorrente denuncia infine l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 1, legge n. 431 del 1998, se interpretato nel senso voluto dalle Sezioni Unite e, quindi, dalla sentenza della Corte d’appello di Napoli che ad essa fa richiamo, per contrasto con gli artt. 3 e 42 Cost..
Sostiene che l’art. 13 l. cit., se interpretato nel senso che gli obblighi assunti liberamente dalle parti non possono essere adempiuti perché contenuti in un documento non registrato nei termini, vìola il principio affermato nella giurisprudenza della Corte costituzionale di legittimità di norme che impongono prestazioni fiscali in stretta correlazione (solo) con il processo e, inoltre, (vìola) l’art. 3 Cost. perché pone a carico del solo proprietario le conseguenze di un inadempimento, quello della registrazione, posto a carico di entrambe le parti del contratto.
- I motivi di ricorso, congiuntamente esaminabili per la loro intima connessione, sono infondati.
Sulla questione trattata sono di recente intervenute le Sezioni Unite di questa Corte che, con sentenza n. 23601 del 09/10/2017, hanno affermato, tra gli altri, il principio secondo cui «è nullo il patto col quale le parti di un contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato; tale nullità vitiatur sed non vitiat, con la conseguenza che il solo patto di maggiorazione del canone risulterà insanabilmente nullo, a prescindere dall’avvenuta registrazione».
Tale pronuncia, cui questo collegio intende dare piena adesione, dà risposta, con le sue ampie ed esaurienti motivazioni, a tutte le censure dedotte dalla ricorrente, le quali pertanto vanno disattese, non fornendo esse argomentazioni ulteriori in grado di condurre a un diverso convincimento.
Nel far integrale rimando a detta sentenza, può qui rimarcarsi, a confutazione delle tesi sostenute dalla ricorrente, che la sanzione di nullità dell’accordo dissimulato sul maggior canone, il suo radicamento positivo nella previsione di cui all’art. 79 legge n. 392 del 1978, l’affermata sua insanabilità per effetto di una successiva registrazione, trovano giustificazione nei seguenti passaggi argomentativi che giova brevemente ripercorrere:
- a) il principio di tendenziale non interferenza tra le regole di diritto tributario e quelle attinenti alla validità civilistica degli atti, recepito nell’art. 10, comma 3, legge 27 luglio 2000, n. 212, ha trovato nel tempo, nella specifica materia locatizia, non consonanti interventi normativi prevedenti nullità testuali a presidio dell’osservanza degli obblighi tributari (art. 13, comma 1, legge n. 431 del 1998, a mente del quale «è nulla ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione di immobili urbani superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato»; art. 1, comma 346, legge 30 dicembre 2004, n. 311, che ha stabilito che «i contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, essi non sono registrati»; viene anche ricordato, benché non più in vigore, l’art. 3, commi 8 e 9, d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, il quale aveva previsto un particolare regime in caso di omessa o tardiva registrazione del contratto di locazione, nonché in caso di registrazione di un contratto di comodato fittizio e di una locazione recante un canone inferiore rispetto a quello realmente pattuito);
- b) investita più volte della questione di legittimità costituzionale di tali norme, la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente inammissibili o infondate quelle riguardanti l’art. 13, comma 1, legge n. 431 del 1998 (ord. n. 242 del 2004) e l’art. 1, comma 346, legge n. 311 del 2004 (ord. n. 420 del 2007), in tale ultima occasione in particolare affermando che la norma censurata «non introduce ostacoli al ricorso alla tutela giurisdizionale, ma eleva la norma tributaria al rango di norma imperativa, la violazione della quale determina la nullità del negozio ai sensi dell’articolo 1418 c.c.»: passaggio questo che lasciava intendere o comunque non escludeva che la nullità ivi prevista non fosse propriamente o soltanto una nullità testuale (art. 1418, comma terzo, cod. civ.) ma potesse intendersi anche come nullità virtuale (art. 1418, comma primo, cod. civ.) per contrarietà a norme imperative;
- c) la giurisprudenza di legittimità ha a sua volta a lungo adottato un orientamento tendente a negare che la norma fiscale avesse carattere imperativo, conseguentemente affermando un principio di non interferenza fra le regole del diritto tributario e quelle attinenti alla validità civilistica degli atti, e tale indirizzo ha mantenuto fermo anche dopo l’introduzione, con l’art. 13, comma 1, legge n. 431 del 1998, della sanzione della nullità di ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato nelle locazioni abitative (conseguentemente fatta oggetto di una interpretazione restrittiva in termini di mera invariabilità successiva della pattuizione sul canone: Cass. n. 16089 del 2003 e succ. conformi); tale orientamento è stato però radicalmente rivisto da Cass. Sez. U n. 18213 del 2015 che — nell’affermare che la nullità prevista dall’art. 13, comma 1, legge n. 431 del 1998 sanziona esclusivamente il patto occulto di maggiorazione del canone e non è sanabile dalla registrazione tardiva — muove dalla premessa che si tratti non solo di nullità testuale ma, in parte qua, anche virtuale, attesa la causa concreta del patto occulto, illecita perché caratterizzata dalla vietata finalità di elusione fiscale e, quindi, insuscettibile di sanatoria;
- d) si afferma dunque nella giurisprudenza di questa Corte una diversa linea di pensiero che, sulla scorta di «indicazioni … di carattere storico-sistematico ed etico-costituzionale», tende a riconoscere che «le disposizioni di legge successive al 1998 introducono un principio generale di inferenza/interferenza dell’obbligo tributario con la validità del negozio, principio generale di cui è sostanziale conferma nel dictum dello stesso giudice delle leggi (Corte cost. 420 del 2007)»; principio che non può ritenersi contrastato dalla previsione di cui all’art. 10, comma 3, ultimo inciso, legge n. 212 del 2000 (a mente del quale «le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto»), atteso che si è al cospetto di disposizioni che, circoscritte al solo ambito delle locazioni (e dunque leges speciales), non costituiscono prescrizioni di esclusivo carattere tributario, ma introducono regole di diritto civile, comminando una speciale nullità nei rapporti tra privati, sia pure per effetto di una violazione di carattere tributario, come autorevolmente sostenuto dallo stesso giudice delle leggi;
- e) tale chiave di lettura del sistema assume particolare rilievo nel caso — quale quello all’esame delle Sezioni Unite nel recente arresto che qui si sta richiamando, ma anche nel presente giudizio — di doppia pattuizione del canone, l’una indicata in un contratto simulato e registrato, l’altra (maggiore) specificata in un atto dissimulato e non registrato;
- f) al riguardo, esclusa la possibilità di assimilare sul piano morfologico e degli effetti civilistici l’ipotesi di totale omissione della registrazione del contratto contenente ab origine l’indicazione del canone realmente dovuto (in assenza, pertanto, di qualsivoglia procedimento simulatorio) e quella — qui in esame — di simulazione del canone con registrazione del solo contratto simulato recante un canone inferiore, cui acceda il c.d. «accordo integrativo» con canone maggiorato, l’esame di tale ultima fattispecie dalla prospettiva dell’accordo simulatorio consente di far emergere il vizio da cui essa è affetta: «vizio genetico, attinente alla sua causa concreta, inequivocabilmente volta a perseguire lo scopo pratico di eludere (seppure parzialmente) la norma tributaria sull’obbligo di registrazione dei contratti di locazione»;
- g) ne consegue che «se tale norma tributaria si ritiene essere stata elevata a “rango di norma imperativa”, come sembra suggerire l’evoluzione normativa e giurisprudenziale più recente e come precisato dalla stessa Corte costituzionale, deve concludersi che la convenzione negoziale sia intrinsecamente nulla, oltre che per essere stato violato parzialmente nel quantum l’obbligo di (integrale) registrazione, anche perché ab origine caratterizzata da una causa illecita per contrarietà a norma imperativa (ex art. 1418 comma primo cod. civ.) tale essendo costantemente ritenuto lo stesso articolo 53 Cost., la cui natura di norma imperativa (come tale, direttamente precettiva) è stata, già in tempi ormai risalenti, riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 5 del 1985; Cass. ss. uu. n. 6445 del 1985)»;
- h) ne discende ulteriormente che, «trattandosi di un vizio riconducibile al momento genetico del contratto, e non (soltanto) ad un mero inadempimento successivo alla stipula … deve allora ravvisarsi la diversa ipotesi di una nullità virtuale, secondo la concezione tradizionale di tale categoria – e, quindi, tradizionalmente insanabile ex articolo 1423 c.c.: in tal caso, infatti, la nullità deriva non dalla mancata registrazione (situazione suscettibile di essere sanata con il tardivo adempimento), ma, a monte, dall’illiceità della causa concreta del negozio, che una tardiva registrazione non appare idonea a sanare»;
- i) se in caso di omessa registrazione del contratto contenente la previsione di un canone non simulato ci si trova di fronte ad una nullità testuale ex art. 1, comma 346, legge n. 311 del 2004, sanabile con effetti ex tunc a seguito del tardivo adempimento all’obbligo di registrazione, nel caso di simulazione relativa del canone di locazione, e di registrazione del contratto contenente la previsione di un canone inferiore per finalità di elusione fiscale, si è in presenza, quanto al c.d. «accordo integrativo», di una nullità virtuale insanabile, ma non idonea a travolgere l’intero rapporto – compreso, quindi, il contratto reso ostensibile dalle parti a seguito della sua registrazione (v. sentenza citata, par. 25);
- l) in tale contesto ricostruttivo l’art. 79 legge n. 392 del 1978 assume rilievo di norma speculare a quella di cui all’art. 13, comma 1, legge n. 431 dell_998, previa analoga revisione dell’esegesi tradizionale (secondo cui la sanzione di nullità in essa prevista ha riguardo alle sole vicende funzionali del rapporto, colpendo, pertanto, le sole maggiorazioni del canone previste in itinere e diverse da quelle consentite ex lege, e non anche quelle convenute al momento della conclusione dell’accordo) nel senso che il patto di maggiorazione del canone è nullo anche se la sua previsione attiene al momento genetico, e non soltanto funzionale, del rapporto.
- Giova a questo punto rimarcare che, benché la ripercorsa pronuncia delle Sezioni Unite riguardi fattispecie bensì analoga ma riferita tuttavia a contratto stipulato in data 20/10/2008, mentre quella qui in esame risalga ad epoca precedente, anteriore all’entrata in vigore dell’art. 1, comma 346, legge n. 311 del 2004, nondimeno proprio l’operata distinzione tra la nullità testuale (sancita da quest’ultima disposizione in conseguenza della omessa registrazione, violazione extraformale) e la nullità virtuale (discendente dal vizio genetico del patto determinato dallo scopo elusivo perseguito con la simulazione e dalla sua contrarietà alla norma tributaria imperativa che impone l’obbligo di registrazione del contratto) e il rilievo autonomo attribuito comunque a quest’ultima, consentono di ritenere che il principio debba applicarsi anche a contratti di locazione non abitativa che, come quello di specie, siano stati stipulati anteriormente alla entrata in vigore della citata legge n. 311 del 2004.
Anche in tal caso, infatti, e certamente per la fattispecie in esame, non è dubitabile che l’accordo simulatorio trovi la sua causa concreta (scopo pratico) nella finalità di eludere il fisco, sottraendo il maggior canone dissimulato realmente pattuito all’erario (non soltanto, come rimarcato dalle Sezioni Unite, all’imposta di registro, ma anche a quella sui redditi); anche in tal caso dunque l’accordo si pone in contrarietà con norma, certamente ad esso preesistente, che impone l’obbligo di registrazione (integrale, fedele) dei contratti di locazione.
A tale norma, in virtù della descritta evoluzione ermeneutica, deve riconoscersi carattere imperativo e idoneità pertanto a incidere sulla validità degli atti civili che con essa si pone in contrasto, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1418, primo comma, cod. civ..
Non si tratta pertanto di fare una non consentita applicazione retroattiva dell’art. 1, comma 346, legge n. 311 del 2004, bensì di applicare norme preesistenti sia pure alla luce di una mutata interpretazione della loro forza ed espansività nella gerarchia dei principi dell’ordinamento e della conseguente loro incidenza sulla validità degli atti negoziali privatistici.
Del resto, come opportunamente rimarcato dalle Sezioni Unite (v. sentenza citata, paragrafi da 13.2 a 13.3), la detta norma di cui all’art. 1, comma 346, I. cit., quand’anche fosse applicabile, non potrebbe comunque svolgere un ruolo diretto ai fini della configurazione di una nullità (testuale) del descritto accordo simulatorio. Manca, invero, per le locazioni non abitative, una norma analoga a quella dettata per le locazioni abitative dell’art. 13, comma 1, legge n. 431 del 1998, che sancisca la nullità testuale del patto di maggiorazione del canone. «La nullità è, di converso, stabilita per l’intero contratto (e non per il solo patto controdichiarativo), in 1.1 conseguenza non già di un vizio endonegoziale, ma (della mancanza) di un requisito extraformale costituito dall’omissione della registrazione del contratto» (v. sentenza citata, par. 13.3).
La nullità (virtuale) dell’accordo simulatorio (in sé e con i visti diversi effetti), resta dunque, ripetesi, legata (solo) alla illiceità dello scopo pratico perseguito, certamente ravvisabile anche prima dell’entrata in vigore della legge n. 311 del 2004 per contrarietà con norma cardine dell’ordinamento, cui non può non riconoscersi carattere imperativo anche in epoca antecedente alla detta evoluzione legislativa (da intendersi solo quale motivo o occasione, per l’interprete, di una diversa prospettiva storico-ricostruttiva e di una mutata sensibilità etico-costituzionale).
Non sfugge che tale soluzione rende ancor più accentuata, per i contratti anteriori alla legge n. 311 del 2004, la disparità di disciplina rispetto all’ipotesi di totale omissione della registrazione del contratto (non sanzionata da alcuna nullità, non essendo detta legge retroattiva), ma anche in tal caso vale quanto rilevato dalle Sezioni Unite con riferimento al diverso regime della nullità testuale ex art. 1, comma 346, l. cit. e della nullità virtuale, e cioè che «la diversità di conseguenze può trovare una congrua spiegazione nella maggiore gravità del vizio che inficia le ipotesi simulatorie rispetto a quelle in cui manchi la registrazione del contratto tout court: un vizio genetico e voluto da entrambe le parti nel primo caso, un inadempimento successivo alla stipula di un contratto geneticamente valido, nel secondo caso».
- In ragione delle considerazioni che precedono deve in definitiva pervenirsi al rigetto del ricorso.
Avuto tuttavia riguardo alla complessità delle questioni trattate ed essendo la decisione fondata su radicale mutamento della giurisprudenza sopravvenuto al ricorso introduttivo, si ravvisano i presupposti per l’integrale compensazione delle spese di giudizio di merito.
Trattandosi di ricorso proposto successivamente al 30/1/2013, ricorrono le condizioni per l’applicazione dell’art. 13, comma 1- quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Compensa integralmente tra le parti le spese processuali.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso il 5/12/2017