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Cassazione Civile 5166/2023 – Rito lavoro – Appello incidentale tempestivamente depositato ma tardivamente notificato – Mancanza o irregolarità della notifica dell’appello incidentale a uno dei litisconsorti

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Ordinanza 5166/2023

Rito lavoro – Appello incidentale tempestivamente depositato ma tardivamente notificato – Improcedibilità dell’appello incidentale – Esclusione – Assegnazione di un termine perentorio per la rinnovazione della notifica

Nel rito del lavoro l’appello incidentale tempestivamente depositato ma tardivamente notificato all’appellato contumace è ammissibile e non può essere dichiarato improcedibile, dovendo il giudice assegnare un termine per la rinnovazione della notificazione, non vertendosi in un’ipotesi di inesistenza della stessa, neppure nel caso in cui l’appellante incidentale abbia richiesto all’ufficiale giudiziario la notifica una volta spirato il termine di cui all’art. 436, comma 3, c.p.c.

Mancanza o irregolarità della notifica dell’appello incidentale a uno dei litisconsorti – Integrazione del contraddittorio ex art. 331 c.p.c. – Necessità

In caso di mancata o invalida notifica dell’appello incidentale ad un litisconsorte necessario, il giudice deve ordinare l’integrazione del contraddittorio, anche se a tale parte sia stato regolarmente notificato l’appello principale, atteso che tale adempimento, pur consentendo al litisconsorte di partecipare al giudizio di appello, non sana la mancata notifica dell’appello incidentale, giacché non gli consente tale partecipazione nella pienezza dell’esercizio dei suoi diritti di difesa.

Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 17-2-2023, n. 5166   (CED Cassazione 2023)

 

 

FATTI DI CAUSA

1. – In qualità di terza trasportata, (OMISSIS) convenne in
giudizio (OMISSIS) e la Milano Assicurazioni S.p.A. per sentirli
condannare, in solido tra loro, al risarcimento di tutti i danni subiti
a seguito di sinistro stradale nel quale era rimasta coinvolta
l’autovettura di proprietà (nonché condotta) dal predetto
convenuto.

Incontroversa la sussistenza della responsabilità, la Milano
Assicurazioni S.p.A. si costituì in giudizio per contestare la sola
quantificazione della pretesa risarcitoria avanzata dalla parte
attrice; sulla base dell’accordo transattivo concluso con la
ricorrente, rappresentava di averle inviato la somma di euro
365.000,00.

L’adito Tribunale di Patti, con sentenza del marzo 2017,
condannò, in solido tra loro, (OMISSIS) e la Milano Assicurazioni
S.p.A. al pagamento, in favore di (OMISSIS), della complessiva
somma di euro 574.374,86, a titolo di risarcimento del danno,
scomputando soltanto la somma di euro 15.000,00, erogata dalla
impresa assicuratrice a titolo di acconto.

2. – Avverso tale decisione proponevano appello la Unipol Sai
Assicurazioni S.p.A. (incorporante la Milano Assicurazioni S.p.A.), in
via principale, e (OMISSIS), in via incidentale.

La Corte di appello di Messina, con sentenza resa pubblica il
22 ottobre 2019, dichiarava la contumacia di (OMISSIS), dichiarava,
altresì, l’improcedibilità dell’appello incidentale e, in accoglimento
dell’appello principale, detraeva dall’importo risarcitorio liquidato
dal primo giudice l’ulteriore somma di euro 350.000,00, con
condanna della (OMISSIS) al pagamento delle spese processuali del
grado.

2.1. – La Corte territoriale, a fondamento della decisione (e
per quanto ancora rileva in questa sede), osservava che: a) quanto
all’appello incidentale, non poteva essere concesso termine per la
rinnovazione della notifica a (OMISSIS) (rimasto già contumace a
seguito della rituale notifica dell’appello principale), in quanto, alla
stregua dei principi enunciati da Cass., S.U., n. 20604/2008, detta
impugnazione, seppure tempestivamente proposta, era da
dichiararsi improcedibile per mancata notificazione nei termini di
rito; a.1) nella specie, benché la (OMISSIS) avesse telematicamente
depositato la relata notifica dell’appello incidentale a (OMISSIS)
(eseguita ex art. 143 c.p.c. in data 5 luglio 2017), “non (aveva),
però, dimostrato, come sarebbe stato suo onere, di aver
provveduto alla richiesta di notifica all’ufficiale giudiziario prima
dello spirare del termine di cui all’art. 436 c.p.c. (ossia prima del
3.07.2017), così che manca(va) la prova della regolarità
dell’adempimento”; b) andava, invece, accolto il gravame
principale in punto di richiesta detrazione dalla somma liquidata dal
Tribunale a titolo di danno non patrimoniale del complessivo
importo di euro 365.000,00 (di cui euro 15.000,00, già detratti dal
primo giudice), in quanto: b.1) “il pagamento della somma di euro
365.000,00 allegato dalla società nella comparsa di costituzione
(“la società ..ha inviato alla ricorrente la complessiva somma di
euro 365.000,00”) non (era) stato puntualmente contestato da
controparte nella prima difesa utile, ma solo all’udienza del
9.11.2011, quando erano ormai maturate le preclusioni istruttorie”;
b.2) né la contestazione avrebbe potuto, nel caso di specie,
operare in via retroattiva “in conseguenza della mancata
allegazione di circostanze sopravvenute volte ad alterare la
situazione processuale e, dunque, a legittimare la modifica della
originaria linea difensiva”; b.3) pertanto, “la mancata iniziale
contestazione del dedotto pagamento anche della somma di euro
350.000,00, mantenuta per buona parte del giudizio, doveva
ritenersi irreversibile” e “(c)iò comportava l’esclusione del
pagamento dal tema di indagine”; b.4) inoltre, “le risultanze
ritualmente acquisite non erano tali da consentire al giudice di
accertare d’ufficio l’inesistenza del pagamento non contestato …
che, piuttosto, risultava assai verosimile, avuto riguardo alla
corrispondenza intercorsa tra le parti, quale prodotta dall’allora
ricorrente (racc. a.r. del 14.02.2008, con cui la società
assicurativa, dato atto del pagamento di euro 15.000,00, offriva
all’ulteriore somma di euro 350.000,00, invitando controparte a
comunicare le coordinate IBAN; fax del 15.02.2008 a firma
dell’avv. (OMISSIS) con cui si chiedeva di effettuare il bonifico
sul conto corrente del predetto legale in virtù di mandato
all’incasso).

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre (OMISSIS),
affidando le sorti dell’impugnazione a tredici motivi.
Resiste con controricorso UnipolSAI Assicurazioni S.p.A.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360,
primo comma, n. 3 e n. 4, c.p.c., violazione o falsa applicazione del
combinato disposto degli artt. 436 e 291 c.p.c., per aver la Corte
territoriale errato nel dichiarare l’appello incidentale improcedibile,
a seguito di una lettura non corretta degli arresti della
giurisprudenza di legittimità dalla stessa richiamati (Cass., S.U., n.
20604/2008; Cass. n. 16274/2012; Cass. n. 24742/2017), in forza
dei quali il giudice di appello avrebbe dovuto ritenere che “non è
possibile rinnovare la notifica dell’appello che non s’è mai fatta (o
che, è lo stesso, è da ritenersi inesistente); non anche che non
può, e anzi, non deve sanarsi una notifica dell’appello (principale o
incidentale) fatta troppo a ridosso dell’udienza fissata per la
discussione” (come nella specie, essendo stata eseguita la
notificazione al contumace (OMISSIS), con deposito telematico della
relata di notifica, ex art. 143 c.p.c. in data 5 luglio 2017).

2. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360,
primo comma, n. 3 e n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 102 e 331
c.p.c., anche in relazione all’art. 144, comma 3, del d.lgs. n.
209/2005, per aver la Corte territoriale errato nel non procedere
alla integrazione del contraddittorio nei confronti di (OMISSIS).

La ricorrente sostiene che, «anche a supporre che la notifica
nei riguardi di Shan fosse “non sanabile”»”, la Corte avrebbe
dovuto ordinare l’integrazione del contraddittorio nei confronti di
quest’ultimo sul presupposto che, da un lato, l’appello incidentale
era stato tempestivamente depositato e notificato alla UnipolSai e,
dall’altro, che sussisteva un litisconsorzio necessario (cd.
sostanziale) tra l’assicuratore e il proprietario del veicolo assicurato
((OMISSIS)), ai sensi dell’art. 144, comma 3, del codice delle
assicurazioni private.

3. – Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360,
primo comma, n. 5, c.p.c., violazione dell’art. 102 e 331 c.p.c.,
anche in relazione all’art. 144, comma 3, del d.lgs. n. 209/2005,
per avere la Corte d’appello omesso di esaminare che “l’appello
incidentale – oltre che tempestivamente proposto, mediante
deposito in data 3.7.2017 – è stato tempestivamente notificato alla
UnipolSai, come risulta dal deposito telematico fatto in data
3.7.2017”.

4. – Con il quarto è denunciata, in relazione all’art. 360,
comma primo, n. 3 e 4, c.p.c., violazione degli artt. 112, 329, 342,
435 c.p.c. e 2909 c.c., per aver il giudice di secondo grado violato il
principio della domanda nella parte in cui avrebbe rigettato la
stessa per motivi diversi da quelli censurati in sede di gravame.
In particolare, sebbene motivo specifico di appello fosse la
sola violazione dell’art. 421 c.p.c. – nella parte in cui il giudice di
primo grado non aveva proceduto alla acquisizione ex officio della
documentazione necessaria per comprovare il pagamento di
350.000,00 asseritamente inviato dalla UnipolSai, senza che fosse
«impugnata la statuizione che voleva strenuamente contestata la
circostanza del pagamento dell’ulteriore somma di euro
350.000,00» – la Corte territoriale aveva comunque proceduto alla
riforma della sentenza del Tribunale, considerando in ogni caso
provato il pagamento in forza della mancata contestazione dello
stesso, senza tenere conto del giudicato sull’anzidetta statuizione.

5. – Con il quinto mezzo è dedotta, in relazione all’art. 360,
comma primo, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt.
414, 416, 420, 115 c.p.c. e 111 Cost., per aver considerato come
“non contestato” un fatto già negato nell’atto introduttivo del
giudizio.

Ad avviso della ricorrente, «la generica e fors’anche vacua
allegazione della Milano Assicurazioni, che diceva di aver “inviata”
(non pagata) la somma di euro 365.000,00, seguiva e, dunque,
serviva … solo a contestare le “precisissime” e “documentatissime”
allegazioni dell’esponente», dalle quali si evinceva come percepita,
a titolo di acconto, la sola somma di euro 15.000,00.

Pertanto, essa attrice non avrebbe dovuto formulare altra
specifica contestazione a fronte delle contrarie allegazioni, con la
conseguenza che «il successivo “silenzio” … riguardo al fatto che la
compagnia avesse “inviato” la somma di euro 365.000,00, serbato
fino “all’udienza del 9.11.2011, quand’erano già maturate le
preclusioni istruttorie” …, non poteva essere valorizzato».

6. – Con il sesto mezzo (erroneamente numerato come “V”) è
prospettata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.,
violazione e falsa applicazione degli artt. 414, 416, 420, 115 c.p.c.
e 111 Cost., per aver la Corte d’Appello «trascurato fatti, oggetto di
discussione, che sarebbero stati dirimenti al fine di escludere la
“non contestazione”».

Parte ricorrente assume di aver, sin dall’origine, negato di
aver ricevuto l’ulteriore somma di euro 350.000,00 in
considerazione del fatto che, mentre il ricorso era stato depositato
in cancelleria, il 28 novembre 2008, la Milano Assicurazione aveva
«“allegato”, molto tempo dopo la sua costituzione in giudizio, che il
pagamento sarebbe stato fatto con lo “assegno n. 82340446286
dell’11 06 2008 dell’importo di euro 350.000,00».

7. – Con il settimo mezzo è dedotto, ai sensi dell’art. 360,
comma primo, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 414,
416, 420 e 115 c.p.c., anche in relazione agli artt. 1362 ss. e 1176
ss. c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto
sussistente un onere di specifica contestazione a carico di essa
attrice all’udienza ex art. 420 c.p.c.

Il giudice di appello, infatti, avrebbe fatto mal governo dei
criteri codicistici in materia di interpretazione dei contratti (artt.
1362 e ss., c.p.c.), giacché ha inteso come “eseguito” il pagamento
della somma oggetto di contestazione, allegato alla comparsa di
costituzione, nonostante vi fosse scritto soltanto che “la società
…ha inviato alla ricorrente la complessiva somma di euro
365.000,00”.

Pertanto, la Corte territoriale non avrebbe dovuto
considerare, anzitutto, come allegato il pagamento e, in secondo
luogo, a fronte della genericità di detta affermazione (avendo la
compagnia assicuratrice affermato di aver “pagato” la somma di
euro 350.000,00 solo all’udienza del 21.12.2011, quale tardiva
allegazione “strenuamente” contestata in modo tempestivo da essa
attrice), non avrebbe dovuto fare applicazione del principio di non
contestazione.

8. – Con l’ottavo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360,
primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1176,
1178, 1182, 1188, 1199, 2697 c.c., 115, 116 e 216 c.p.c., in
quanto la Corte territoriale – motivando nel senso che “le risultanze
ritualmente acquisite non erano tali da consentire al giudice di
accertare d’ufficio l’inesistenza del pagamento non contestato” –
avrebbe fondato la propria decisione non sulla prova del
pagamento, bensì sulla verosimiglianza della sua esistenza, così da
violare i principi in materia di obbligazioni e sull’onere della prova
recati dalle norme suindicate.

9. – Con il nono mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360,
comma primo, n. 4 e n. 5, c.p.c., violazione e falsa applicazione
degli artt. 115, 116, 132, n. 4, 216, 414, 416, 420 c.p.c., 118 disp.
att. c.p.c., 1176, 1178, 1182, 1188, 1199, 2607 c.c. e 111 Cost.,
per avere la Corte territoriale, con motivazione “meno che
apparente”, ritenuto “verosimile” – e, dunque, provato – un
pagamento con assegno che la compagnia rappresentava d’aver
fatto, ma che non provava di aver effettuato.

10. – Con il decimo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360,
comma primo, n. 4 e n. 5, c.p.c., violazione degli artt. 111 Cost.,
115, 116, 132, n. 4, 216 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 1176, 1178,
1182, 1188, 1199 e 2697 c.c., per aver la Corte territoriale omesso
di rilevare “fatti” dirimenti ai fini della esclusione della prova del
pagamento, ossia: a) il tempestivo disconoscimento delle “firme
poste su quell’assegno”; b) la mancata produzione o esibizione da
parte della Milano Ass.ni dell’originale dell’assegno, sebbene avesse
chiesto la “verificazione” delle sottoscrizioni; c) la mancata richiesta
di verificazione delle sottoscrizioni disconosciute da parte della
incorporante UnipolSai, “ch’aveva nuovamente prodotto copia di
quell’assegno nel giudizio d’appello a riprova del pagamento”; d) la
attestazione ad opera di “ignoto” della “conformità all’originale”
della copia dell’assegno di euro 350.000,00, senza che sia stata
prodotta alcuna “lettera di trasmissione”, né alcun “avviso di
ricevimento della raccomandata con la quale sarebbe stato spedito
l’assegno”.

11. – Con l’undicesimo mezzo – proposto ove, in primo luogo,
si ritenesse superflua la rinnovazione della notificazione a Shan
Lifu, irreperibile, e, in secondo luogo, non si reputassero necessari
ulteriori accertamenti di fatto e una nuova valutazione delle prove –
è prospettata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.,
violazione degli artt. 2043 e 2059, c.c.

La ricorrente deduce che il giudice di primo grado aveva
erroneamente rigettato la domanda di risarcimento del danno da
lucro cessante, nonostante essa attrice avesse fornito la prova
(testimoniale) dell’impossibilità di svolgere l’attività lavorativa che
esercitava nel tempo in cui si è verificato l’incidente. A tal riguardo,
essa Xu Jinlui aveva svolto apposito motivo di gravame (il settimo),
su cui la Corte territoriale non si è pronunciata per aver dichiarato
improcedibile l’appello incidentale.

12. – Con il dodicesimo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art.
360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione degli artt. 91 e 92
c.p.c., per aver la Corte territoriale condannato essa appellante
incidentale al pagamento delle spese del grado in conseguenza
dell’erronea declaratoria di improcedibilità dell’impugnazione e
dell’accoglimento dell’appello principale.

13. – Con il tredicesimo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art.
360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione dell’art. 13 del d.P.R. n.
115/2002, per aver la Corte territoriale condannato essa appellante
incidentale al pagamento del doppio contributo in conseguenza
dell’erronea declaratoria di improcedibilità dell’impugnazione.

14. – I primi tre motivi, in quanto strettamente connessi,
vanno scrutinati congiuntamente.
Essi, anzitutto, sono ammissibili, giacché, diversamente da
quanto dedotto dalla controricorrente (con eccezione
genericamente formulata, priva di alcun raccordo con lo specifico
tenore contenutistico del ricorso in parte qua), si presentano
rispettosi dei principi di specificità e localizzazione processuale, di
cui all’art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6, c.p.c.

Essi, inoltre, sono anche fondati, alla luce delle ragioni di
seguito esposte.

14.1. – E’ principio consolidato, a partire dalla sentenza n.
20604 del 30 luglio 2008 delle Sezioni Unite, quello per cui, nel rito
del lavoro, l’appello (principale e/o incidentale), pur
tempestivamente proposto nel termine previsto dalla legge, è
improcedibile ove la notificazione del ricorso depositato e del
decreto di fissazione dell’udienza non sia avvenuta, non essendo
consentito – alla stregua di una interpretazione costituzionalmente
orientata (art. 111, comma secondo, Cost.) – al giudice di
assegnare ex art. 421 c.p.c. all’appellante, previa fissazione di una
altra udienza di discussione, un termine perentorio per provvedere
ad una nuova notifica a norma dell’art. 291, c.p.c..

Il percorso argomentativo alla base dell’enucleazione di tale
principio presuppone una scissione degli effetti tra fase di deposito
dell’atto di impugnazione (principale e/o incidentale) e quella di
notificazione dell’atto medesimo.

Pertanto, da ciò consegue che, mentre il mancato deposito
dell’appello nel termine di cui all’art. 436 c.p.c., determina
l’inammissibilità dello stesso, la successiva omissione della sua
notificazione è sanzionata con una declaratoria di improcedibilità
del relativo gravame.

La più recente giurisprudenza della Sezione lavoro di questa
Corte (Cass. n. 21889/2020) ha avuto modo di precisare che il
mancato rispetto del termine di cui all’art. 436, comma terzo,
seconda parte, c.p.c. da parte dell’appellante incidentale determina
un vizio della vocatio in ius che, anche in ipotesi di prolungata
inerzia che si sostanzi nella richiesta di avvio alla notifica del
gravame incidentale dopo la scadenza del termine di legge, si
traduce in nullità della notificazione e non già in inesistenza od
omissione della stessa, con possibilità per il giudice del gravame di
autorizzarne la rinnovazione o di concedere un differimento
dell’udienza a fronte rispettivamente della richiesta dell’appellante
incidentale di procedere a rinotifica dell’impugnazione o
dell’istanza, da parte dell’appellante principale, di differimento
dell’udienza di discussione.

A tal riguardo, si è, quindi, valorizzato il principio del giusto
processo e di strumentalità e congruità delle forme rispetto allo
scopo, che esalta l’esigenza del raggiungimento del risultato
rispetto al dato formale in presenza di vizi procedurali minori, non
essendo consentito di attribuire rilevanza, in una prospettiva
unitaria di catalogazione dei vizi di notificazione, al dato che la
richiesta sia stata o meno effettuata all’ufficiale giudiziario prima
dello spirare del termine di legge rifluendo ogni vizio relativo alla
vocatio in ius in ipotesi di nullità sanabile.

Si tratta, peraltro, di una lettura coerente con la
perimetrazione del concetto giuridico di inesistenza di un atto
operata da questa Corte con la sentenza n. 14196/2016 delle
Sezioni Unite civili, le quali hanno enunciato il principio per cui
l’inesistenza della notificazione, oltre che in caso di totale
mancanza materiale dell’atto, è ravvisabile nelle sole ipotesi in cui
venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi
essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come
notificazione.

Dunque, se l’appello (anche incidentale) tardivamente
notificato è ammissibile – in caso di deposito dell’atto di
impugnazione nel termine di cui all’art. 436, comma secondo,
c.p.c. – e non può essere colpito da una declaratoria di
improcedibilità – in quanto, benché tardivo, l’atto è esistente
materialmente e giuridicamente, nel senso poc’anzi precisato –,
non si può non affermare la sussistenza delle condizioni per
l’operatività di meccanismi sananti del vizio denunciato.

Nel caso di specie, in considerazione della tardività
dell’appello incidentale nei confronti (del solo) (OMISSIS) (avvenuta
il 5 luglio 2017, mentre, per rispettare il termine di legge, avrebbe
dovuto essere effettuata il 3 luglio 2017), il giudice d’appello era
tenuto ad assegnare all’appellante, previa fissazione di un’altra
udienza di discussione, un termine perentorio per provvedere alla
rinnovazione della notifica dell’atto di impugnazione nei confronti
della anzidetta parte processuale.

14.2. – Fermo restando il principio innanzi ribadito, la
specificità del caso di specie avrebbe, comunque, comportato la
cassazione in parte qua della sentenza impugnata.
Il presente giudizio è stato promosso da un terzo trasportato
nei confronti dell’impresa di assicurazione del veicolo a bordo del
quale si trovava al momento del sinistro e del proprietario del
veicolo medesimo, in cui quest’ultimo assume la veste di
litisconsorte necessario, con la conseguenza che, ove non sia stato
citato in giudizio, il contraddittorio deve essere integrato e la
relativa omissione determina la nullità della sentenza (tra le altre,
Cass. n. 27078/2022).

In particolare, quanto alla fase di gravame (che interessa in
questa sede), deve trovare applicazione l’art. 331 c.p.c., per cui la
mancata impugnazione nei confronti di tutte le parti impone al
giudice di ordinare l’integrazione del contraddittorio, fissando il
termine nel quale la notificazione deve essere fatta.

L’esigenza di disporre l’integrazione del contraddittorio in fase
di gravame nei confronti del litisconsorte necessario al quale non
sia stato (ritualmente) notificato l’appello incidentale, sussiste,
peraltro, anche nel caso in cui a costui (come nella specie) sia stato
regolarmente notificato l’appello principale; adempimento, questo,
che, pur consentendo al litisconsorte di partecipare al giudizio di
appello, non sana la mancata notifica dell’appello incidentale,
giacché non gli consente tale partecipazione nella pienezza
dell’esercizio dei suoi diritti di difesa (cfr. Cass. n. 365/1989, in
fattispecie speculare, di notifica di appello incidentale e mancata
notifica di appello principale).

Pertanto, sebbene l’appello incidentale – tempestivamente
notificato alla UnipolSai Assicurazioni S.p.A. – sia stato
tardivamente notificato a (OMISSIS), il giudice d’appello, vertendosi
in ipotesi di causa inscindibile, avrebbe dovuto disporre
l’integrazione del contraddittorio nei suoi confronti, fissando il
termine nel quale la notificazione dell’impugnazione incidentale
doveva effettuarsi e la data della nuova udienza di discussione.

14.3. – Dunque, alla luce delle considerazioni che precedono,
va, comunque, disposto l’annullamento della sentenza di appello
quanto alla declaratoria di improcedibilità dell’impugnazione
incidentale proposta da (OMISSIS).

Non può, però, convenirsi con la ricorrente sull’inutilità o
superfluità di una rinnovazione della notificazione dell’appello
incidentale al litisconsorte pretermesso davanti al giudice di
secondo grado, per essersi costui reso irreperibile in occasione
delle precedenti notificazioni, con conseguente contumacia in
entrambi i gradi di merito.

Si rende, infatti, necessario – come detto – consentire al
litisconsorte di esercitare in pienezza i propri di diritti difesa, là
dove la situazione di irreperibilità (non conoscenza della residenza,
della dimora e del domicilio del destinatario: art. 143 c.p.c.) è,
comunque, presupposto di fatto contingente (che deve sussistere al
momento della notificazione dell’atto processuale) e, quindi, anche
reversibile (rispetto a ulteriore notificazione da effettuarsi in
successivo momento).

15. – Il quarto motivo non può trovare accoglimento.

15.1. – Giova rammentare, anzitutto, che, ove con il ricorso
per cassazione siano denunciati degli errores in procedendo,
determinativi della nullità della sentenza o del procedimento (come
nella specie, avendo la ricorrente lamentato la violazione dei
principi di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, di specificità
dell’appello e del giudicato interno), la Corte ha il potere-dovere di
procedere all’esame e all’interpretazione degli atti processuali e, in
particolare, delle istanze e delle deduzioni delle parti, da compiersi,
essenzialmente, sulla base del contenuto sostanziale della pretesa
fatta valere, in relazione alle finalità perseguite dalla parte ed al
provvedimento richiesto in concreto (tra le molte, Cass. n.
21087/2015).

Ed è principio consolidato quello per cui, in tal caso,
l’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di
merito presuppone l’ammissibilità del motivo, ossia che la parte
riporti in ricorso, nel rispetto dei principi di specificità
dell’impugnazione e di localizzazione processuale, di cui all’art.
366, primo comma, n. 4 e n. 6, c.p.c., gli elementi ed i riferimenti
che consentono di individuare, nei suoi termini esatti e non
genericamente, il vizio suddetto, così da consentire alla Corte di
effettuare il controllo sul corretto svolgimento dell’iter processuale
senza compiere generali verifiche degli atti (tra le molte, Cass. n.
23834/2019).

15.2. – La ricorrente, per contro, non fornisce una indicazione
adeguata, sia pure per sintesi, dell’intero contenuto dell’appello
proposto dalla UnipolSai, dando rilievo (alle pp. 7-10 del ricorso)
alle sole deduzioni strettamente attinenti alla violazione dell’art.
421 c.p.c. dedotta dall’appellante principale, che si assume (con il
motivo in esame) esser stata la sola ed unica ragione di gravame.
La doglianza è, quindi, costruita in modo affatto generico,
palesandosi inidonea a dare contezza del tenore effettivo
dell’appello della UnipolSai e ciò tenuto conto, segnatamente, che
la sentenza impugnata, contrariamente a quanto assunto dalla
ricorrente, ha messo in rilievo che la UnipolSai, con il primo motivo
di appello – con cui veniva censurato il rigetto dell’eccezione di
pagamento, in favore dell’attrice, dell’importo di euro 350.000,00
(ulteriore rispetto a quello riconosciuto dal primo giudice, ossia
euro 15.000,00), formulata con la comparsa di costituzione di
primo grado -, aveva anche “evidenziato” che la controparte si era
limitata a sollevare “per la prima volta all’udienza del 9.09.2011”
l’“eccezione di difetto di prova”, “non avendo … effettuato alcuna
contestazione prima della maturazione delle preclusioni e
decadenze previste dal rito del lavoro”.

Invero, proprio l’atto di appello della UnipolSai, letto e
interpretato nel suo complesso e in ragione della sostanza delle
censure ivi sviluppate al fine di supportare l’impugnazione siccome
volta a far accertare l’effettivo pagamento anche dell’importo di
euro 350.000,00, rende evidente – concordemente a quanto
rilevato dal giudice di secondo grado – che l’appellante principale
aveva, pur nel contesto della veicolata violazione dell’art. 421
c.p.c. (ossia della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi
del giudice adito in presenza di un principio di prova), comunque
dedotto e argomentato sulla tardività della contestazione della Xu
(OMISSIS) in ordine all’eccezione di pagamento, tempestivamente
sollevata dalla stessa compagnia di assicurazione con la comparsa
di costituzione in primo grado (cfr. p. 9 della sentenza di appello).

E in tal senso trovano rilievo le seguenti argomentazioni
presenti nell’atto di appello: a) la ricorrente aveva sollevato “per la
prima volta … all’udienza del 09 novembre 2011” la “eccezione di
mancanza di prova in ordine al pagamento dei 350 mila euro” e che
già “in sede di ricorso introduttivo depositato in cancelleria il
20.11.2008, controparte non ha sollevato nessuna contestazione in
ordine all’invio della somma di euro 350.000,00 ed ha anche
espressamente menzionato l’offerta di euro 365 mila … da parte
della scrivente, non negando di avere ricevuto, in aggiunta al primo
acconto di euro 15.000,00, l’ulteriore importo di 350 mila euro, che
tra l’altro la signora (OMISSIS) ha regolarmente incassato in data
11.6.2008” (p. 7 dell’appello); b) “la situazione di incertezza”
sull’“effettivo pagamento … della complessiva somma di euro
365.000,00” si era, quindi, determinata “all’udienza del 09
novembre 2011, quando controparte, per la prima volta, ha
eccepito la mancanza della prova dell’avvenuto pagamento della
somma di euro 350.000,00 da parte della Milano Assicurazione” (p.
12); c) l’eccezione di mancato pagamento della somma di euro
350.000,00 è stata proposta dalla ricorrente “solo una volta
maturate le preclusioni le decadenze processuali previste dal rito
del lavoro e quando peraltro l’istruzione era quasi ultimata” (p. 13).

16. – I motivi dal quinto al decimo, in quanto strettamente
connessi, vanno scrutinati congiuntamente.

Essi non sono meritevoli di accoglimento.

16.1. – Alla luce della giurisprudenza di questa Corte (tra le
altre, Cass. n. 3245/2003; Cass. n. 5363/2012; Cass. n.
26859/2013; Cass. n. 26395/2016; Cass. n. 8708/2017; Cass. n.
21675/2018; Cass. n. 5140/2020; Cass. n. 20556/2021; Cass. n.
2223/2022; Cass. n. 9439/2022), il sistema di preclusioni su cui
fonda il rito del lavoro comporta per entrambe le parti l’onere di
collaborare, fin dalle prime battute processuali, a circoscrivere la
materia controversa, evidenziando con chiarezza gli elementi in
contestazione; ne consegue che ogni volta che sia posto a carico di
una delle parti (attore o convenuto che sia) un onere di allegazione
(e di prova), il corretto sviluppo della dialettica processuale impone
che l’altra parte prenda posizione in maniera precisa rispetto alle
affermazioni della parte onerata, nella prima occasione processuale
utile (e perciò nel corso dell’udienza di cui all’art. 420 cod. proc.
civ., se non ha potuto farlo nell’atto introduttivo), atteso che il
principio di non contestazione, derivando dalla struttura del
processo e non soltanto dalla formulazione dell’art. 416 c.p.c., è
applicabile, ricorrendone i presupposti, anche con riguardo
all’attore, ove oneri di allegazione (e prova) gravino anche sul
convenuto.

A tal fine, il deducente è tenuto a provare il fatto –
costitutivo, modificativo e/o impeditivo del diritto – genericamente
dedotto e/o non rientrante nella sfera di conoscibilità della
controparte anche in assenza di contestazione specifica o generica
o di non contestazione da parte di quest’ultima, mentre è tenuto a
provare il fatto specificamente dedotto e/o rientrante nella sfera di
conoscibilità della controparte soltanto se specificamente
contestato.

Dunque, in questa seconda ipotesi, la mancata contestazione
tempestiva del “fatto” lo rende incontroverso, senza che possa
operare una revoca espressa della non contestazione, né la
deduzione di una narrazione dei fatti alternativa e incompatibile
con quella posta a base delle difese precedentemente svolte.

La possibilità di negazione dei fatti precedentemente non
contestati è, però, consentita al mutare delle circostanze che ne
hanno comportato la mancata contestazione, purché la modifica
dell’atteggiamento difensivo avvenga con modalità coerenti con la
dinamica processuale del rito del lavoro, per cui, come le
sopravvenienze devono essere allegate nella prima occasione
processuale utile, anche la conseguente contestazione dovrà essere
tempestivamente operata nella prima difesa.
In ogni caso, nel rito del lavoro, il principio che esclude dal
tema di indagine il fatto costitutivo della domanda (ovvero
modificativo e/o impeditivo della stessa) per effetto della sua
mancata contestazione – non configurandosi quest’ultima come
una prova legale – è suscettibile di deroga in forza della possibilità
che il giudice ne accerti, d’ufficio, l’esistenza o l’inesistenza in base
alle risultanze ritualmente acquisite.

16.2. – La Corte territoriale, avendo fatto corretta
applicazione dei principi innanzi ricordati, si sottrae alle doglianze
di parte ricorrente.

16.2.1. – Va, anzitutto, osservato (in riferimento alle
doglianze mosse con i motivi dal quinto al settimo) che alla Xu
(OMISSIS) si imponeva l’onere di specifica e tempestiva contestazione
dell’eccezione di pagamento formulata dalla compagnia di
assicurazione, poiché l’affermazione che “la società … ha inviato
alla ricorrente la complessiva somma di euro 365.000,00” era tale,
anche e soprattutto a fronte delle deduzioni della stessa ricorrente,
presenti nell’atto introduttivo del giudizio (in ordine alla offerta di
detta somma da parte dell’allora Milano Assicurazioni e della
richiesta di un versamento della stessa a titolo di acconto: cfr. p.
24 del ricorso), di dare chiara e specifica contezza di un pagamento
effettivamente operato in favore della danneggiata dal sinistro
stradale domicilio.

Ne consegue che la mancata contestazione di tale allegazione
ha reso incontroverso il fatto dell’avvenuta corresponsione di detto
complessivo importo, senza che la (OMISSIS) abbia dedotto,
tempestivamente, circostanze sopravvenute tali da consentirle un
mutamento della linea difensiva (come rilevato dalla stessa Corte
territoriale, senza che sul punto vi siano idonee doglianze volte a
smentire il rilievo dell’assenza di contestazione ulteriore “nella
prima occasione processuale utile”: p. 10 della sentenza di
appello).

16.2.2. – Non colgono nel segno neppure le censure
(veicolate con i motivi dall’ottavo al decimo) che aggrediscono la
motivazione con cui il giudice di secondo grado (cfr. pp. 10 e 11
della sentenza di appello) ha escluso che le risultanze probatorie
acquisite “non erano tali da consentire al giudice di accertare
d’ufficio l’inesistenza del pagamento non contestato” e che, anzi, gli
elementi in atti (ossia la documentazione prodotta dalla stessa
ricorrente: la raccomandata del 14 febbraio 2008, con cui la società
assicurativa, dato atto del pagamento di euro 15.000,00, offriva
all’ulteriore somma di euro 350.000,00, invitando controparte a
comunicare le coordinate IBAN; il fax del 15 febbraio 2008 a firma
dell’avv. (OMISSIS) con cui si chiedeva di effettuare il bonifico
sul conto corrente del predetto legale in virtù di mandato
all’incasso), deponevano “piuttosto” e in modo “assai verosimile”
nel senso dell’avvenuto pagamento in favore della (OMISSIS).
Si tratta di argomentazione giustificativa della decisione
affatto intelligibile e priva di insanabili contraddizioni intrinseche –
dunque, rispettosa del c.d. minimo costituzionale della
motivazione, che segna il perimetro entro il quale può svolgersi il
sindacato di legittimità al riguardo (Cass., S.U., n. 8053/2014) -,
che, invero, si pone in armonia con il principio, innanzi
rammentato, per cui l’operare, in modo tendenzialmente
irreversibile, del meccanismo probatorio della “non contestazione”,
che non ha valenza di prova legale, è derogabile, per l’appunto, là
dove il giudice accerti, d’ufficio, l’esistenza o l’inesistenza del fatto
da provare in base alle risultanze ritualmente acquisite.

E, nella specie, il giudice di appello, nel rivalutare il
compendio probatorio agli atti, ha ritenuto che le risultanze
acquisite non fossero sufficienti a provare l’inesistenza del
pagamento e, anzi, volgessero nel senso di dimostrarne
l’effettività.

Si tratta di un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di
merito, che non è sindacabile in questa sede, se non nei limiti del
vizio di omesso esame di fatto storico decisivo, oggetto di
discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5
c.p.c. (Cass., S.U., n. 8053/2014, citata). Censura, questa, che,
tuttavia, non solo non è fondata, poiché i fatti dei quali si assume
l’omesso esame sono stati comunque presi in considerazione dalla
sentenza impugnata (cfr. relative pp. 8 e 9), ma che in buona parte
si risolve nella sollecitazione ad una diversa valutazione delle
emergenze probatorie (doglianza inammissibile anche nel regime
del previgente vizio motivazionale) o in una critica della logicità e
sufficienza della motivazione (anche là dove il giudice di appello ha
considerati i fatti che la ricorrente assume non esaminati), non più
consentita in questa sede.

17. – L’esame dei motivi dall’undicesimo al tredicesimo è
assorbito dalla cassazione della sentenza impugnata in relazione ai
motivi accolti in riferimento alla declaratoria di improcedibilità
dell’appello incidentale.

Né, del resto, è possibile addivenire ad una cassazione con
decisione nel merito sull’undicesimo motivo di ricorso, giacché la
pronuncia che dovrà al riguardo emettere il giudice di appello
presuppone accertamenti di fatto e apprezzamento del quadro
probatorio sia sull’an debeatur della pretesa risarcitoria azionata,
che (eventualmente, ove se ne riconosca la fondatezza) sul
quantum debeatur.

18. – Vanno, dunque, accolti i primi tre motivi di ricorso,
rigetta i motivi dal quarto al decimo e dichiara assorbiti i motivi
dall’undicesimo al tredicesimo.

La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai
motivi accolti e la causa rinviata alla Corte di appello di Messina, in
diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese
del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie i primi tre motivi, rigetta i motivi dal quarto al
decimo e dichiara assorbiti i motivi dall’undicesimo al tredicesimo
del ricorso;

cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e
rinvia la causa alla Corte di appello di Messina, in diversa
composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del
giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza
Sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 12 gennaio
2023.