Ordinanza 5276/2022
Accertamento dei redditi – Distinzione tra interposizione fittizia e interposizione reale
In tema di accertamento dei redditi, l’art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, non distingue tra interposizione fittizia e interposizione reale, nella quale non vi è un accordo simulatorio tra le persone che prendono parte all’atto, ma richiede la prova, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti e che possono consistere, in caso di reddito di impresa, anche nella gestione “uti dominus” dell’impresa e delle sue risorse finanziarie, che il contribuente sia l’effettivo possessore del reddito del soggetto interposto; spetta, poi, al contribuente dare la prova contraria dell’assenza di interposizione, o della mancata percezione, in tutto o in parte, dei redditi del soggetto interposto.
Cassazione Civile, Sezione Tributaria, Ordinanza 17-2-2022, n. 5276 (CED Cassazione 2022)
Art. 2697 cc (Onere della prova) – Giurisprudenza
RILEVATO CHE:
1. Il contribuente (OMISSIS) ha impugnato sei avvisi di accertamento, relativi ai periodi di imposta 2003, 2004, 2005, 2006, 2007 e 2008, con i quali – a seguito di PVC – venivano recuperate maggiori IRPEF, IRAP E IVA quale effetto di attività di indagini penali della Guardia di Finanza, in esito alle quali era stato sottoposto a sequestro un cantiere in Comune di Pietra Ligure, località Cravero, ove operavano diverse imprese cooperative costruttrici. All’esito delle indagini era risultato che l’attività di impresa era di fatto gestita dal contribuente, presidente di una delle cooperative di lavoro e del Consorzio Regionale Cooperative Liguri, il quale svolgeva l’attività imprenditoriale in luogo delle stesse, disponendo delle loro risorse finanziarie. Si procedeva, pertanto, ad accertare il reddito delle cooperative partendo dal costo di costruzione e lo si recuperava a tassazione a carico del contribuente a termini del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, art. 37, comma 3.
2. Il contribuente ha contestato la sussistenza dei presupposti per l’accertamento, negando il ruolo attribuitogli dall’Ufficio nella gestione delle cooperative, ritenendo insussistente l’interposizione fittizia, essendo le cooperative soggetti reali, nonchè contestando, infine, la pretesa nel quantum.
3. La CTP di Savona ha accolto i ricorsi del contribuente, ritenendo non ricorrere nè l’interposizione fittizia, nè quella reale, ritenendo altresì sfornita nel quantum la pretesa impositiva.
4. La CTR della Liguria, con sentenza in data 10 febbraio 2015, ha rigettato gli appelli riuniti dell’Ufficio. Ha ritenuto il giudice di appello che manca nella specie l’interposizione fittizia, risultando non provata la volontaria partecipazione dei terzi alla interposizione dedotta dall’Ufficio. Il giudice di appello ha, inoltre, ritenuto insussistente un pregnante quadro indiziario dell’appropriazione, da parte del contribuente, dei redditi dei soggetti interposti operanti del cantiere oggetto di accertamento. Nello specifico, il giudice di appello ha ritenuto che sia mancata la prova, attraverso indagini sui conti correnti riferibili al contribuente, che i pretesi redditi delle cooperative siano entrati nella disponibilità del contribuente.
5. Propone ricorso per cassazione l’Ufficio affidato a quattro motivi, cui resiste con controricorso il contribuente.
CONSIDERATO CHE:
1.1. Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per ultrapetizione e del Decreto Legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, comma 2, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto non necessaria la verifica se nel caso di specie sussistesse un caso di interposizione reale stante la carenza di prova degli avvisi di accertamento in relazione alla prova della percezione da parte del contribuente dei redditi prodotti dalle cooperative. Il ricorrente, dopo avere trascritto (in narrativa) il ricorso iniziale, deduce come non fosse stato contestato dal contribuente tale aspetto, essendosi il contribuente concentrato sulla questione della natura dell’interposizione e sulla mancata attendibilità dei redditi delle cooperative interposte in forza della mancata quantificazione dei costi di costruzione, questione introdotta dal contribuente solo in appello. Osserva, tuttavia, il ricorrente, che tale deduzione sia tardiva e, pertanto, inammissibile, in quanto fondata su circostanze di fatto del tutto nuove.
1.2. Con il secondo motivo si deduce in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2729 e 2697 c.c., Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, art. 37, comma 3, (TUIR) Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 1 e 6, per non avere l’Ufficio provato che il contribuente, dopo essersi ingerito nella gestione delle cooperative asseritamente interposte, si fosse appropriato dei redditi dei soggetti interposti. Osserva il ricorrente come il Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, oneri l’Ufficio della sola prova della effettività del possesso dei redditi da parte del contribuente in base al principio del cd. “reddito entrata”, ossia del reddito come effetto di una causa economica specifica in forza della sola prova della concreta capacità del soggetto di sfruttare economicamente il cespite generatore del reddito, mentre spetta al contribuente dimostrare la mancata percezione dei redditi. Osserva, pertanto, l’Ufficio ricorrente che la mera prova della prova del fatto che il contribuente gestisse le cooperative appropriandosi delle risorse e dei relativi flussi finanziari, avrebbe comportato l’assolvimento dell’onere della prova a carico dell’Amministrazione finanziaria del possesso degli stessi quali redditi da lui posseduti a termini del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, art. 37, comma 3. Osserva inoltre, il ricorrente che la prova della percezione del reddito della cooperativa in capo al contribuente si porrebbe in contrasto con il principio di competenza, il quale va accertato a prescindere dalla prova degli incassi effettivi.
1.3. Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, nella parte in cui non ha ritenuto rilevante accertare se nel caso di specie sussistesse l’interposizione reale. Osserva il ricorrente che la norma in questione si applica a qualsiasi ipotesi di dissociazione tra titolarità apparente e possesso effettivo, che si tratti di interposizione fittizia o reale, come da costante giurisprudenza di questa Corte.
1.4. Con il quarto motivo si deduce in via gradata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, per omessa motivazione, nella parte in cui la CTR ha ritenuto non provata la stima dei costi di costruzione effettuata in sede penale e utilizzata dall’Ufficio come riscontro esterno dei conteggi operati dai verificatori.
2. In relazione al primo motivo, incentrato sull’extrapetizione, il controricorrente ne invoca l’inammissibilità, in quanto deduce l’esistenza di un giudicato interno in relazione alle sei sentenze della CTP (quattro delle quali allegate e relative agli anni 2004, 2005, 2006 e 2007), per essersi le stesse pronunciate sulla suddetta questione e per avere omesso l’Ufficio di impugnare tali statuizioni (“se poi il (OMISSIS) si sia appropriato ed in che misura di tali denari dei soci è questione che esula dalla presente vertenza e non riceve dimostrazione idonea agli atti (…) non si può inferire dalla presenza di talune fatture relative ad attività realizzate presso l’abitazione del (OMISSIS) e fatturate alle cooperative che tutte le somme versate alle cooperative siano state percepite dal (OMISSIS)””). Tuttavia il motivo va rigettato nel merito posto che, come rilevato dal controricorrente, la questione che le risorse distratte dalle cooperative non fossero finite nella disponibilità del contribuente era già stata introdotta nei ricorsi introduttivi, deducendo il contribuente che i proventi fossero pervenuti in un conto societario e non del (OMISSIS) (“non è a nostro avviso corretto imputare al sig. (OMISSIS) i redditi conseguiti dalle Cooperative nel presupposto del tutto arbitrario della loro fittizietà e senza fornire la benchè minima dimostrazione in ordine al titolo e alle modalità con cui il patrimonio personale del sig. (OMISSIS) si sarebbe arricchito attraverso la percezione dei presunti proventi illeciti”: ric. cit.).
3. Il secondo e il terzo motivo, i quali possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati. Dispone il Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, che “in sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona”. La norma prevede che l’Ufficio possa utilizzare elementi indiziari, dotati di pregnanza presuntiva, al fine di accertare il fatto costitutivo dell’imposizione tributaria rappresentato dal possesso effettivo di un reddito “per interposta persona”. Quanto alla prima parte della norma, si osserva come la costante giurisprudenza di questa Corte ritiene che nella prova per presunzioni non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità, con riferimento a una connessione probabile di accadimenti in base a regole di esperienza (Cass., Sez. V, 22 maggio 2019, n. 13807; Cass., Sez. V, 21 febbraio 2018, n. 4168; Cass., Sez. V, 19 luglio 2017, n. 17833; Cass., Sez. V, 7 dicembre 2016, n. 25129; Cass., Sez. V, 29 ottobre 2010, n. 22118; Cass., Sez. V, 19 febbraio 2010, n. 4017; Cass., Sez. U., 13 novembre 1996, n. 9961). Alla ricostruzione indiziaria compiuta dall’Ufficio – fondata sulla ricostruzione del ruolo del controricorrente quale amministratore di fatto di alcune società cooperative – la sentenza impugnata ha opposto il mancato riscontro dell’accredito sui conti correnti personali del contribuente delle risorse presuntivamente sottratte alle società contribuenti.
4. L’elemento di fatto della percezione del reddito sui conti correnti dell’interponente, oltre ad essere elemento non decisivo, essendo plausibile che una ricchezza (in tesi) occulta, creata attraverso l’interposizione di società, non sia resa ragionevolmente palese, non attiene – e qui venendosi alla seconda parte della norma – agli elementi costitutivi dell’interposizione che deve addure l’Ufficio, posto che l’Ufficio deve provare “che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona” (Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, art. 37, comma 3). La funzione della norma appare essere quella di evitare che il contribuente che venga accertato come effettivo possessore del reddito altrui si sottragga al prelievo nascondendo all’Amministrazione finanziaria la propria identità di contribuente, ricorrendo a interposizioni negoziali tali da attribuire a terzi il possesso del reddito. Il possesso del reddito “per interposta persona” costituisce il fatto ignoto oggetto della prova logica a carico dell’Amministrazione finanziaria, quale elemento che lega il reddito prodotto dal soggetto interposto al titolare effettivo. La rilevanza dell’effettivo possesso del reddito rispetto alla sua titolarità formale sancisce la prevalenza della sostanza (possesso del reddito) sulla forma (titolarità effettiva del reddito) e della realtà sull’apparenza, dovendosi individuare non la natura fittizia o ingannevole della titolarità del reddito, bensì l’effettività dell’esercizio del possesso del reddito a dispetto di chi ne sia il formale titolare.
5. La relazione di fatto tra contribuente e reddito, di cui alla locuzione “effettivo possessore per interposta persona”, va ricercata in relazione alla tipologia di reddito oggetto di accertamento (nella specie, reddito di impresa), al fine di operare la traslazione del reddito prodotto all’effettivo titolare accertato. In caso di reddito di impresa diviene rilevante (come osservatosi anche in dottrina) la figura dell’amministratore di fatto del soggetto imprenditoriale formalmente titolare del reddito. Tale ruolo deve, tuttavia, assumere una particolare pregnanza al fine di integrare la presunzione del possesso del reddito perchè deve essere tale da comportare la traslazione del reddito realizzato dall’ente collettivo percettore interposto nel suo complesso (e, quindi, anche ai fini IRAP e IVA) al soggetto persona fisica interponente, come se fosse stato prodotto da quest’ultimo. L’interponente non deve, pertanto, costituire un mero gestore dell’ente collettivo – la cui qualifica rileverebbe ai fini reddituali solo in caso di società di persone interposte, ovvero, in caso di socio, quale maggior reddito da partecipazione e solo ai fini IRPEF – dovendo accertarsi che l’interponente disponga delle risorse del soggetto interposto uti dominus. Si configura, pertanto, in relazione all’interponente, una fattispecie simile a quella della holding unipersonale, ossia di chi eserciti professionalmente, con stabile organizzazione, l’indirizzo, il controllo e il coordinamento delle società (Cass., Sez. I, 26 febbraio 1990, n. 1439; Cass., Sez. I, 16 gennaio 1999, n. 405; Cass., Sez. I, 9 agosto 2002, n. 12113; Cass., Sez. I, 13 marzo 2003, n. 3724; Cass., Sez. U., 29 novembre 2006, n. 25275; Cass., Sez. I, 6 marzo 2017, n. 5520; Cass., Sez. I, 3 giugno 2020, n. 10495). In caso di reddito di impresa deve, quindi, trattarsi di una prova alquanto rigorosa che dimostri il totale asservimento della società interposta all’interponente, tale da dimostrare la relazione di fatto tra l’interponente e la fonte di reddito del soggetto imprenditoriale interposto.
6. è, quindi, nella prova della relazione dell’interponente con la fonte di reddito del soggetto interposto che si risolve la prova del “possesso” del reddito, la quale prescinde dalla natura dell’interposizione (ossia, se l’interposizione possa ricomprendere anche quella reale), atteso che la norma in oggetto imputa al contribuente i redditi formalmente intestati a un altro soggetto laddove, in base a presunzioni, egli ne risulti l’effettivo possessore, senza distinguere tra interposizione fittizia e reale (Cass., Sez. V, 29 luglio 2016, n. 15830; Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27625; Cass., Sez. V, 27 aprile 2021, n. 11055; Cass., Sez. V, 22 giugno 2021, n. 17743). Si condivide, sotto questo profilo, quanto osservato da parte della dottrina, ove afferma che il legislatore tributario avrebbe codificato un principio di maggiore estensione rispetto alla dicotomia civilistica incentrata su titolarità effettiva – titolarità apparente, perchè ciò che rileva ai fini tributari è il possesso del reddito formalmente attribuito a terzi (“effettivo possessore per interposta persona”), in luogo e in sostituzione del formale titolare dei redditi, fattispecie che si configura sia in caso di coinvolgimento di soggetti diversi, sia in caso di coinvolgimento di un unico soggetto. Trattandosi, pertanto, di possesso come situazione di fatto tale da comportare l’individuazione di un titolare effettivo del reddito complessivo diverso e divergente dal titolare formale (Cass., Sez. V, 19 ottobre 2018, n. 26414; Cass., Sez. V, 30 dicembre 2015, n. 26057), esso appare coerente con il fatto che la prova è affidata anche a circostanze di carattere indiziario.
7. Letta in tali termini la norma appare, inoltre, coerente con il fatto che la traslazione del reddito riguarderebbe quello specifico reddito prodotto dal contribuente interposto, anche in termini quantitativi, salva la prova del maggior reddito conseguito dall’interponente (Cass., Sez. V, 20 ottobre 2021, n. 29228). La traslazione del reddito da un contribuente a un altro lascia, inoltre, comprendere come – nel rispetto del principio di capacità contributiva – il soggetto interposto, che provi di aver pagato imposte in relazione a redditi successivamente imputati al terzo interponente, possa richiedere all’Amministrazione il rimborso delle imposte pagate dopo la definitività dell’accertamento nei confronti dell’interponente e in misura non superiore all’imposta effettivamente percepita a seguito di tale accertamento (Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, art. 37, comma 5), neutralizzando in termini economici lo spostamento del reddito complessivo dal titolare formale al titolare effettivo.
8. Nella specie, le indagini penali, come riportato nella sentenza impugnata e come analiticamente indicato dal ricorrente, avevano accertato che l’attività imprenditoriale di diverse cooperative costruttrici ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), sia pur relativamente all’attività svolta in un cantiere sito in Comune di Pietra Ligure, era gestita dal contribuente odierno controricorrente, già Presidente di una ulteriore cooperativa e di un consorzio, il quale ne assumeva ruolo decisionale in relazione ai rapporti commerciali e finanziari. Le indagini avevano, inoltre, accertato che il contribuente disponeva di “assegni e fogli firmati in bianco dai legali rappresentanti delle stesse, scegliendo i materiali ed intrattenendo rapporti con i fornitori”. Nella sentenza impugnata si dà atto, pertanto, di un quadro indiziario che si incentra sull’assunzione di poteri decisionali, commerciali, bancari, di un contribuente che non risultava ricoprire cariche nelle società per le quali assumeva un ruolo decisionale tale da consentirgli di ingerirsi nella gestione delle società cooperative e, soprattutto, fruire delle relative risorse finanziarie. Da tale fatto noto, l’Ufficio ha tratto la presunzione del possesso da parte del contribuente dei redditi di impresa delle cooperative medesime quali soggetti interposti, quale inferenza logica, secondo canoni di probabilità, del fatto che il contribuente si fosse ingerito uti dominus nella gestione delle società cooperative contribuenti, esautorando (come rileva il ricorrente) gli amministratori di diritto e utilizzando, di conseguenza, le risorse delle stesse società contribuenti, potendo liberamente utilizzarne i conti correnti.
9. Deve, pertanto, enunciarsi il seguente principio di diritto:
“in tema di accertamento dei redditi, la norma di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, non distingue tra interposizione fittizia e interposizione reale, nella quale non vi è un accordo simulatorio tra le persone che prendono parte all’atto, ma richiede la prova, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti e che possono consistere, in caso di reddito di impresa, anche nella gestione uti dominus dell’impresa, che coinvolga anche le risorse finanziarie del soggetto interposto, che il contribuente sia l’effettivo possessore del reddito del soggetto interposto; spetta, poi, al contribuente dare la prova contraria dell’assenza di interposizione, o della mancata percezione, in tutto o in parte, dei redditi del soggetto interposto”. La sentenza impugnata non si è attenuta al suddetto principio e va cassata, per il riesame degli elementi di prova, secondo quanto indicato. Il quarto motivo è assorbito.
10. Il ricorso va, pertanto, accolto in relazione al secondo e al terzo motivo, cassandosi la sentenza impugnata, con rinvio alla CTR a quo, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo; accoglie il secondo e il terzo motivo, dichiara assorbito il quarto motivo; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla CTR della Liguria, in diversa composizione, anche per la regolazione e la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 10 febbraio 2022