Ordinanza 5377/2023
Efficacia riflessa del giudicato – Art. 2909 cc – Sale and lease back
La sentenza passata in giudicato ha un’efficacia diretta tra le parti, i loro eredi ed aventi causa e una riflessa, poiché, quale affermazione oggettiva di verità, produce conseguenze giuridiche anche nei confronti di soggetti rimasti estranei al processo in cui è stata resa, se titolari di diritti dipendenti dalla (o comunque subordinati alla) situazione definita in quella lite; pertanto, in ipotesi di collegamento negoziale, il giudicato formatosi sulla nullità di uno dei contratti collegati riverbera i suoi effetti anche sugli altri che, seppure intercorsi tra soggetti diversi, siano strettamente interdipendenti e collegati, tanto da poter essere considerati come un’unica complessa e contestuale operazione. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che il passaggio in giudicato della declaratoria di nullità del contratto qualificato come fattispecie di “sale and lease back” riverberasse i suoi effetti anche sui distinti giudizi relativi al contratto di leasing, strettamente collegato perché attuativo di un medesimo fine illecito e stipulato in esecuzione della stessa operazione elusiva).
Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 21-2-2023, n. 5377 (CED Cassazione 2023)
Art. 2909 cc (Cosa giudicata) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
1. (OMISSIS) s.p.a. (già (OMISSIS) s.p.a.) propone ricorso, affidato a quattro motivi, rei confronti di (OMISSIS) s.r.l. in concordato preventivo e di (OMISSIS), per la cassazione della sentenza n. 678/2020 pronunciata dalla Corte d’appello di Ancona, con la quale, in totale riforma della sentenza n. 183/2002 del Tribunale di Pesaro, è stata dichiarata la nullità del contratto di leasing del 26 ottobre 1993, stipulato da (OMISSIS) s.p.a. con l’ (OMISSIS) s.r.l., con conseguente revoca dei Decreti Ingiuntivi n. 131 del 1996 e n. 147 del 1996, emessi dal Tribunale di Pesaro, su istanza di (OMISSIS) s.p.a., per il pagamento dei canoni di locazione e delle spese condominiali, nei confronti della società utilizzatrice e della garante (OMISSIS) e condanna della concedente alla restituzione dei canoni corrisposti in adempimento del medesimo contratto.
2. Riferisce la ricorrente in punto di fatto che:
– in data 26 ottobre 1993 l’ (OMISSIS) stipulò con la (OMISSIS) s.p.a. (poi (OMISSIS), quindi (OMISSIS) s.p.a., poi (OMISSIS) s.p.a., poi (OMISSIS) s.p.a., ora (OMISSIS) s.p.a.) un contratto di locazione finanziaria avente ad oggetto un immobile sito in (OMISSIS), in pari data venduto alla (OMISSIS) s.p.a. da (OMISSIS), la quale contestualmente aveva rilasciato fideiussione a garanzia del buon esito del contratto;
– constatata la morosità dell’ (OMISSIS) s.r.l. a partire dal marzo 1995, la (OMISSIS) s.p.a. presentò istanza di fallimento e richiese ed ottenne dal Tribunale di Pesaro, in data 8 ottobre 1996, un decreto ingiuntivo nei confronti della società utilizzatrice, per il pagamento dei canoni e delle spese condominiali, ed altro decreto ingiuntivo nei confronti della garante; essendo la concedente venuta a conoscenza che l’immobile era detenuto, senza alcuna autorizzazione e senza titolo, dalla garante, che lo utilizzava quale studio professionale, chiese ed ottenne dal Tribunale di Pesaro provvedimento ex art. 700 c.p.c., volto ad ottenere l’immediata restituzione dell’immobile, a cui fece seguito l’introduzione del giudizio di merito;
– con distinti atti di citazione l’ (OMISSIS) e (OMISSIS) proposero opposizione avverso i decreti ingiuntivi, incardinando dinanzi al Tribunale di Pesaro due distinti giudizi, poi riuniti;
– nel contempo, la (OMISSIS) s.p.a. introdusse altro giudizio dinanzi al Tribunale di Pesaro, nei confronti dell’ (OMISSIS) s.r.l., al fine di far accertare che non era debitrice nei confronti di quest’ultima;
– con altro atto di citazione il Commissario liquidatore dell’ (OMISSIS) s.r.l. e la medesima società convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Firenze, la (OMISSIS) s.p.a. al fine di far accertare la risoluzione del contratto di leasing ed ottenere la condanna della (OMISSIS) s.p.a. alla restituzione delle somme corrisposte a titolo di canoni, nonchè il risarcimento dei danni subiti derivanti dalla presentazione dell’istanza di fallimento;
– con sentenza n. 183/2002 il Tribunale di Pesaro, pronunciando nell’ambito dei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo, al quale erano stati riuniti tutti gli altri giudizi, dichiarò risolto il contratto di leasing del 26 ottobre 1993 per inadempimento dell’ (OMISSIS), confermò il provvedimento di rilascio dell’immobile, rigettò entrambe le opposizioni a decreto ingiuntivo e dichiarò che l’allora (OMISSIS) s.p.a. non era tenuta alla restituzione della somma di Euro 1.229.112,50 ricevuta in esecuzione del contratto; condannò l’ (OMISSIS) e (OMISSIS), in solido, a risarcire i danni subiti dalla (OMISSIS) s.p.a. in conseguenza dell’inadempimento e del ritardato rilascio dell’immobile, nonchè al pagamento delle spese di lite;
– nelle more del giudizio di primo grado (OMISSIS) convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Bologna, la società (OMISSIS) s.p.a. al fine di accertare la simulazione della compravendita del 26 ottobre 1993 e, comunque, la nullità del contratto” deducendo che essa dissimulava, in realtà, un mutuo stipulato in violazione del divieto di patto commissorio, al fine di consentirle di conseguire un importante finanziamento volto a risanare le precarie condizioni patrimoniali in cui ella versava a quell’epoca;
– il Tribunale di Bologna (con sentenza n. 1791/06), qualificata la fattispecie negoziale in termini di sale and lease back – astrattamente lecita, ma nella specie confliggente con il divieto del patto commissorio – accolse la domanda, dichiarando la nullità della vendita e ritenendo che i tre contratti (di compravendita, di fideiussione e di leasing) fossero tra loro collegati, attesi i rapporti tra società utilizzatrice e venditrice dell’immobile, e finalizzati ad eludere il divieto di cui all’art. 2744 c.c.;
– con successiva sentenza n. 510/2012, la Corte d’Appello di Bologna, in riforma della sentenza n. 1791/06 del Tribunale di Bologna, accolse il gravame principale proposto dalla (OMISSIS) s.p.a., dichiarando inammissibile la domanda di nullità del procedimento negoziale proposta dalla (OMISSIS), per aver il giudice di primo grado pronunciato ultra petitum, e rigettando l’originaria domanda di simulazione relativa;
– la decisione d’appello, impugnata con ricorso per cassazione, venne cassata da questa Corte con sentenza n. 21775/2015, con rinvio alla Corte d’appello per verificare se lo schema contrattuale del sale and lease back fosse o meno privo di elementi patologici “sintomatici di un contratto di finanziamento assistito da una vendita in funzione di garanzia, volto ad aggirare, con intento fraudolento, il divieto di patto commissorio e, pertanto, sanzionabile, per illiceità della causa, con la nullità, ex art. 1344 c.c., in relazione all’art. 1418 c.c., comma 2”;
– a seguito di riassunzione del giudizio da parte di (OMISSIS), erede di (OMISSIS), la Corte d’appello di Bologna, quale giudice di rinvio, con sentenza n. 583/2019, dichiarò la nullità del contratto di compravendita e dei singoli negozi ad esso collegati, perchè realizzati in violazione del divieto di cui all’art. 2744 c.c., e, per l’effetto, condannò la società di leasing al pagamento della somma di Euro 1.497.725,01, oltre interessi;
– la sentenza n. 183/02 del Tribunale di Pesaro venne impugnata dall’ (OMISSIS) in concordato preventivo e da (OMISSIS) con distinti atti di impugnazione e, a seguito di riunione dei giudizi, la Corte di Appello di Ancona, all’esito del passaggio in giudicato della sentenza n. 583/2019 della Corte d’appello di Bologna, con la sentenza qui impugnata, ha dichiarato la nullità del contratto di leasing, revocato i decreti ingiuntivi opposti e condannato la (OMISSIS) s.p.a. alla restituzione dei canoni corrisposti in adempimento del contratto di leasing, respingendo ogni altra domanda.
3. La Corte territoriale ha osservato che la sentenza n. 538/2019 della Corte d’Appello di Bologna copriva con efficacia di giudicato le questioni (in fatto ed in diritto) comuni a quelle oggetto del presente giudizio e che l’accertamento (che investiva la vendita e la fideiussione) si estendeva al contratto di leasing tra la (OMISSIS) s.p.a. e l’ (OMISSIS) s.r.l., stante il collegamento negoziale tra i tre negozi. Ha, inoltre, escluso la sussistenza di un giudicato implicito sulla validità del contratto di leasing, ritenendo possibile il rilievo officioso della nullità dello stesso contratto, ed ha, infine, disatteso le domande di attribuzione dei canoni o di risarcimento danni da occupazione sine titulo proposte da Intesa Sanpaolo s.p.a. e dichiarato inammissibile la domanda di usucapione del bene di proprietà della (OMISSIS), perchè estranea al giudizio e comunque infondata.
4. (OMISSIS) in concordato preventivo resiste mediante controricorso.
(OMISSIS) non ha svolto attività difensiva in questa sede.
8. La trattazione è stata fissata in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
In prossimità dell’adunanza camerale entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380-bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, rubricato: “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte d’Appello di Ancona affermato che la sentenza n. 538/2019 resa dalla Corte d’appello di Bologna copre con efficacia di giudicato le questioni (in fatto ed in diritto) comuni a quelle oggetto del presente giudizio (v. sentenza impugnata a pag. 2)”, la ricorrente assume che la declaratoria di nullità della compravendita immobiliare stipulata da (OMISSIS) e dalla (OMISSIS) s.p.a. in data 26 ottobre 1993, ormai passata in giudicato, non può legittimare la domanda, avanzata per la prima volta dall’ (OMISSIS) nella comparsa conclusionale depositata nel giugno 2020, di declaratoria di nullità del contratto di leasing, nè il rilievo d’ufficio, da parte della Corte d’Appello, della nullità di detto contratto.
Ribadendo, sul punto, che (OMISSIS) non era parte del contratto di locazione finanziaria del 26 ottobre 2003 e che l’ (OMISSIS) non era parte del giudizio incardinato da (OMISSIS) unicamente nei confronti di (OMISSIS) s.p.a., sostiene che la declaratoria di nullità del contratto di locazione non può ritenersi pronunciata con efficacia erga omnes, ma deve considerarsi effettuata incidenter tantum e, come tale, inidonea a passare in giudicato nei confronti di un terzo, quale è l’ (OMISSIS) s.r.l..
1.1. La censura è infondata.
1.2. La questione posta con il motivo in esame concerne il problema dell’efficacia riflessa del giudicato esterno e, in particolare, l’individuazione delle condizioni e dei presupposti perchè possa realizzarsi e la verifica della loro eventuale ricorrenza nel caso di specie.
In base alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, dal principio stabilito dall’art. 2909 c.c. – secondo cui l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa – si evince, a contrario, che l’accertamento contenuto nella sentenza non estende i suoi effetti, e non è vincolante, rispetto ai terzi (Cass., sez. U., 5/11/1996, n. 9631).
è ammesso, tuttavia, che il giudicato, quale affermazione obiettiva di verità, possa produrre – a determinate condizioni – effetti riflessi anche al di fuori dei limiti indicati dalla norma indicata, ossia in ipotesi in cui il giudicato si sia formato tra soggetti in tutto o in parte diversi.
Tenuto conto che l’efficacia di un giudicato nell’ambito di un diverso giudizio tra soggetti differenti o anche solo in parte diversi potrebbe collidere con i principi del rispetto del contraddittorio e, in genere, del diritto di difesa, la nozione di efficacia riflessa del giudicato presuppone un “nesso di pregiudizialità-dipendenza giuridica, che si ha allorchè un rapporto giuridico, pregiudiziale o condizionante, rientra nella fattispecie di altro rapporto giuridico condizionato dipendente, il quale solo legittima l’efficacia riflessa del giudicato nei confronti di soggetti in tutto o in parte diversi, nel rispetto dei diritti costituzionali del contraddittorio e di difesa” (Cass., sez. U., 12/03/2008, n. 6523).
La necessità che sussista un rapporto di dipendenza tra situazioni giuridiche è stata ribadita da questa Corte anche in altri arresti, laddove si è affermato che “la sentenza che sia passata in giudicato, oltre ad avere un’efficacia diretta tra le parti, i loro eredi o aventi causa, ne abbia anche una riflessa” poichè, quale affermazione oggettiva di verità, produce conseguenze giuridiche anche nei confronti di soggetti rimasti estranei al processo nel quale sia stata resa qualora essi siano titolari di diritti dipendenti dalla situazione definita in quel processo, o, comunque, subordinati a questa” (Cass., sez. L, 31/01/2014, n. 2137) e laddove si è pure precisato che “il giudicato può spiegare efficacia riflessa nei confronti di soggetti rimasti estranei al giudizio quando contenga l’affermazione di una verità che non ammette un accertamento diverso ed il terzo non vanti un diritto autonomo rispetto a quello su cui il giudicato è intervenuto” (Cass., sez. 6-2, 08/10/2013, n. 22908).
1.3. Nel caso in esame, sussiste – come è evidente – un siffatto nesso di pregiudizialità-dipendenza tra il giudizio svoltosi tra (OMISSIS) e la (OMISSIS) concernente la domanda di nullità del contratto di compravendita concluso dalle medesime parti in data 26 ottobre 2003, definito con sentenza n. 583/19 della Corte d’Appello di Bologna ormai passata in giudicato, ed il giudizio che ha visto coinvolti la odierna ricorrente, (OMISSIS) e l’ (OMISSIS) in concordato preventivo, riguardante le cause di opposizione ai decreti ingiuntivi ottenuti dalla (OMISSIS) s.p.a., aventi ad oggetto il pagamento dei canoni dovuti in adempimento del contratto di leasing, la causa di accertamento negativo del credito vantato dalla (OMISSIS) nei confronti della società di leasing, in dipendenza del contratto, nonchè la causa di accertamento dell’avvenuta risoluzione del medesimo contratto di leasing e di condanna della concedente al pagamento delle somme incassate in forza di detto contratto, definito dalla Corte d’Appello di Ancona con la sentenza n. 678/2020 qui impugnata.
Infatti, la Corte bolognese, attenendosi al principio di diritto enunciato da questa Corte con la sentenza n. 21042/2017, secondo cui lo schema contrattuale del sale and lease back, sebbene in astratto lecito e, quindi, valido, impone di verificare, caso per caso, l’assenza di elementi patologici, sintomatici di un contratto di finanziamento assistito da una vendita in funzione di garanzia, volto ad aggirare, con intento fraudolento, il divieto di patto commissorio e, pertanto, sanzionabile, per illiceità della causa, con la nullità, ex art. 1344 c.c., in relazione all’art. 1418 c.c., comma 2, ha ritenuto, all’esito di tale verifica, che lo stato di difficoltà economica della venditrice e la sproporzione tra le controprestazioni fossero indici sintomatici della illiceità del contratto di vendita e dei contratti ad esso collegati, ossia del contratto di leasing e del contratto di fideiussione. In tal modo riconoscendo che i tre contratti, seppure intercorsi tra soggetti diversi, fossero strettamente interdipendenti e collegati, tanto da dover essere considerati come un’unica complessa operazione che non avrebbe potuto essere realizzata se non attraverso la contestuale conclusione di tutti i contratti.
Da tanto deriva che la definizione del presente giudizio, in cui si discute delle pretese fatte valere dalla odierna ricorrente basate sul contratto di leasing, dipende strettamente dalla causa introdotta, dinanzi al Tribunale di Bologna, dalla (OMISSIS) nei confronti della società di leasing, sussistendo un rapporto di pregiudizialità tra i diversi giudizi.
Correttamente, pertanto, la Corte d’Appello di Ancona, con la sentenza in questa sede impugnata, rilevando l’esistenza del giudicato esterno sopravvenuto in pendenza del giudizio dinanzi ad essa proposto, ha affermato che l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato investisse non soltanto il contratto di compravendita del 26 ottobre 1993 tra (OMISSIS) e la (OMISSIS) s.p.a., ma anche i contratti di leasing e di fideiussione ad essa strettamente collegati “perchè attuativi di un medesimo fine illecito”.
Ne discende che le censure rivolte alla sentenza con il mezzo in esame sono prive di fondamento, considerato che il giudicato esterno, al pari di quello interno, risponde alla finalità d’interesse pubblico di eliminare l’incertezza delle situazioni giuridiche e di rendere stabili le decisioni, sicchè il suo accertamento non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, non essendo il giudice al quale ne risulti l’esistenza vincolato dalla posizione assunta da queste ultime in giudizio, potendo procedere al suo rilievo e valutazione anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo (Cass., sez. L, 03/04/2017, n. 8607).
2. Con il secondo motivo, deducendo la “violazione e falsa applicazione dell’art. 99 c.p.c., artt. 1418, 1421 e 2909 c.c.”, la ricorrente sostiene che sulla validità del contratto di locazione finanziaria stipulato in data 26 ottobre 2003, nonchè sulla risoluzione dello stesso per inadempimento della (OMISSIS) si era già pronunciato il Tribunale di Pesaro con la sentenza n. 183/2002, non impugnata sul punto, con la conseguenza che si sarebbe formato il giudicato implicito sull’autonomo capo di quella sentenza afferente l’accertamento della originaria validità del contratto di leasing, nonchè l’intervenuta risoluzione dello stesso contratto. Assume, pertanto, che sarebbe del tutto irrilevante la pronuncia della Corte d’appello di Bologna n. 538/2019 e che in nessun caso l’ (OMISSIS) s.r.l. potrebbe valersi della declaratoria di nullità del contratto di leasing, pronunciata incidenter tantum, in un giudizio in cui essa non era parte.
2.1. Anche tale censura è infondata.
2.2. La sentenza impugnata sfugge alle critiche ad essa mosse e si pone in linea con i principi enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui il rilievo ex officio di una nullità negoziale – sotto qualsiasi profilo ed anche ove sia configurabile una nullità speciale o “di protezione” – deve ritenersi consentito, semprechè la pretesa azionata non venga rigettata in base ad una individuata “ragione più liquida”, in tutte le ipotesi di impugnativa negoziale (adempimento, risoluzione per qualsiasi motivo, annullamento, rescissione), senza, per ciò solo, negarsi la diversità strutturale di queste ultime sul piano sostanziale, poichè tali azioni sono disciplinate da un complesso normativo autonomo ed omogeneo, affatto incompatibile, strutturalmente e funzionalmente, con la diversa dimensione della nullità contrattuale (Cass., sez. U., 12/12/2014, n. 26242).
Come precisato dalla medesima sentenza delle Sezioni Unite, “nel giudizio di appello ed in quello di cassazione, il giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa, in primo grado, di una nullità contrattuale, ha sempre facoltà di procedere ad un siffatto rilievo”.
E ciò perchè, allorquando il giudice di primo grado abbia deciso su pretese che suppongono la validità ed efficacia di un rapporto contrattuale oggetto delle allegazioni introdotte nella controversia, senza che nè le parti abbiano discusso nè lo stesso giudice abbia prospettato ed esaminato la questione relativa a quella validità ed efficacia, si deve ritenere che la proposizione dell’appello sul riconoscimento della pretesa, poichè tra i fatti costitutivi della stessa per come riconosciuta da primo giudice vi è il contratto, implichi che la questione della sua nullità sia soggetta al potere di rilevazione d’ufficio del giudice, integrando un’eccezione cd. in senso lato, relativa ad un fatto già allegato in primo grado. Ciò, risulta giustificato, in ognuno dei regimi dell’art. 345 c.p.c., succedutisi nella storia del codice di rito, dalla previsione, sempre rimasta vigente, del potere di rilevazione d’ufficio delle eccezioni soggette a rilievo officioso (Cass., sez. U., 22/03/2017, n. 7294).
3. Con il terzo motivo si deduce la “Violazione dell’art. 101, art. 183, comma 3, nel testo ante riforma del 2005 – oggi comma 4 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, nonchè all’art. 111 Cost., per avere la Corte di Appello, a fronte del rilievo officioso della nullità del contratto di leasing del 26/10/1993 posto a fondamento della propria decisione, omesso di concedere alle parti (e, per quanto qui di interesse, alla società ricorrente) un termine per effettuare osservazioni e istanze in ordine a detta questione”.
La ricorrente sostiene che la Corte d’appello, rilevando d’ufficio la nullità del contratto di leasing, ha gravemente leso il suo diritto di difesa, perchè, ove la causa fosse stata rimessa in istruttoria per consentire alle parti di prendere posizione sulla questione della nullità, avrebbe potuto chiedere di essere rimessa in termini per documentare di avere pacificamente posseduto l’immobile sito in Firenze, oggetto del contratto di leasing sin dal 26 ottobre 1993, o potuto avanzare domanda di conversione, ex art. 1424 c.c., del contratto di leasing in contratto di locazione ordinaria e/o comunque eccepire un’occupazione senza titolo e chiedere, in subordine, una somma, a titolo di ingiustificato arricchimento o di risarcimento dei danni, pari alla somma dei canoni scaduti e rimasti impagati.
3.1. Il motivo è inammissibile.
3.2. Anche nel sistema, qui applicabile, anteriore all’introduzione dell’art. 101 c.p.c., comma 2 (secondo cui, il giudice, se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, deve assegnare alle parti, “a pena di nullità”, un termine “per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione”), operata con la L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 13, il dovere costituzionale di evitare sentenze cosiddette “a sorpresa” o della “terza via”, poichè adottate in violazione del principio della “parità delle armi”, era enucleabile dall’art. 183 c.p.c., che al comma 3 (oggi quarto, in virtù di quanto disposto dal Decreto Legge n. 35 del 2005, art. 2, comma 3, lettera c-ter, convertito con L. n. 263 del 2005) fa carico al giudice di indicare, alle parti, “le questioni rilevabili d’ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione”, dovere configurabile peraltro solo con riferimento alle questioni di puro fatto o miste (di fatto o di diritto), non a quelle di puro diritto (Cass., sez. 2, 27/11/2018, n. 30716).
3.3. Tuttavia, nel caso di specie, come emerge dalla stessa ricostruzione dello svolgimento del processo illustrato nel ricorso per cassazione, il contraddittorio delle parti sulla questione della validità del contratto di leasing è stato instaurato già nel giudizio dinanzi alla Corte d’appello di Ancona, nel corso del quale l’ (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) hanno chiesto l’acquisizione della sentenza pronunciata dalla Corte d’appello di Bologna, che dichiarava la nullità del contratto di compravendita e dei negozi ad esso collegati, avanzando contestualmente istanza di sospensione ex art. 295 c.p.c., del giudizio d’appello e sottolineando che l’accertamento della validità del contratto di leasing si poneva come questione pregiudiziale all’accertamento dell’inadempimento contestato dalla (OMISSIS) s.p.a. alla (OMISSIS) in ordine a tale contratto.
Ciò impone di ritenere non sussistente il vizio denunciato, a nulla rilevando che l’odierna ricorrente, a pag. 24 del ricorso, abbia indicato, peraltro in modo estremamente generico e senza peraltro specificare le prove che avrebbe potuto allegare, eventuali facoltà difensive che la stessa avrebbe potuto esercitare per contrastare la domanda di nullità del contratto di leasing.
4. Con il quarto motivo si denuncia la violazione degli artt. 99, 112, 189 e 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la Corte d’appello di Ancona condannato l’odierna ricorrente alla restituzione dei canoni corrisposti in adempimento del contratto di leasing dichiarato nullo, con aggravio di interessi legali dalla domanda al saldo, in assenza di una rituale domanda sul punto.
4.1. La censura è infondata.
4.2. Le ragioni richiamate a supporto delle doglianze sono smentite dalla stessa ricorrente, la quale:
a) a pag. 6 del ricorso, ha confermato che “con atto di citazione notificato in data 19-22/07/1997 (v. doc. n. 35 del fascicolo allegato alla comparsa di costituzione (OMISSIS) avanti il Tribunale di Firenze…) il Dott. (OMISSIS), quale Commissario Liquidatore dell’ (OMISSIS), e la medesima (OMISSIS) convenivano la (OMISSIS) avanti il Tribunale di Firenze affinchè venisse accertato che il contratto di leasing si fosse risolto per volontà della (OMISSIS) ed affinchè quest’ultima venisse condannata a restituire la somma di Lire 1.229.112.500, salvo altra. Ricevuta per canoni di leasing oltre interessi e rivalutazione monetaria…”;
b) alla successiva pagina 8 del ricorso per cassazione, ha pure evidenziato che il Tribunale di Pesaro, dinanzi al quale il giudizio è stato riassunto, a seguito dell’accoglimento, da parte del Tribunale di Firenze, dell’eccezione di continenza sollevata dalla società di leasing, con la sentenza n. 183/2002 si è espressamente pronunciato, respingendola, sulla domanda di restituzione della somma incassata dalla società di leasing a titolo di canoni di locazione.
La domanda di restituzione dei canoni versati in esecuzione del contratto di leasing, come risulta dalle conclusioni dell’atto di citazione in appello, trascritte per la parte rilevante a pag. 28 del controricorso, è stata riproposta nel giudizio di secondo grado dinanzi alla Corte d’Appello di Ancona ed è stata successivamente ribadita, quando è venuta meno la disposta sospensione del giudizio, nelle conclusioni rassegnate con l’atto di riassunzione del giudizio.
Ne deriva che la Corte d’Appello di Ancona ha pronunciato su domanda tempestivamente introdotta in giudizio e ricompresa nel thema decidendum ad essa devoluto, nel rispetto del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato.
5. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 20.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio il 24 novembre 2022.