Sentenza 5397/2014
Azione per indebito arricchimento nei confronti della P.A. – Riconoscimento dell’utilità dell’opera
In tema di azione per indebito arricchimento nei confronti della P.A., il riconoscimento dell’utilità dell’opera e la configurabilità stessa di un arricchimento restano affidati a una valutazione discrezionale della sola P.A. beneficiaria, unica legittimata – mediante i suoi organi amministrativi o tramite quelli cui è istituzionalmente devoluta la formazione della sua volontà – ad esprimere il relativo giudizio, che presuppone il ponderato apprezzamento circa la rispondenza, diretta o indiretta, dell’opera al pubblico interesse, senza che possa operare in via sostitutiva la valutazione di amministrazioni terze, pur se interessate alla prestazione, né di un qualsiasi altro soggetto dell’amministrazione beneficiaria. Tale riconoscimento può essere esplicito o implicito, occorrendo, in quest’ultimo caso, che l’utilizzazione dell’opera sia consapevolmente attuata dagli organi rappresentativi dell’ente, in quanto la differenza tra le due forme di riconoscimento sta solo nel fatto che la prima è contenuta in una dichiarazione espressa, mentre la seconda si ricava da un comportamento di fatto, tale da far concludere che il suo autore abbia inteso conseguire uno specifico risultato. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso l’ammissibilità dell’azione di arricchimento nei confronti di una USL sul presupposto dell’insussistenza del riconoscimento, sia pure implicito, dell'”utilitas” da parte degli organi dell’ente pubblico effettivamente deputati a disporre la spesa sanitaria).
Corte di Cassazione, Sezione 1 civile, Sentenza 7 marzo 2014, n. 5397 (CED Cassazione 2014)
Articolo 2041 c.c. annotato con la giurisprudenza
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1 Con sentenza 27 agosto 2004, il Tribunale di Caltanissetta revocò il decreto ingiuntivo emesso su istanza della Caltanissetta Sud nei confronti dell’Unità Sanitaria Locale n. (OMISSIS) di Mussomeli, per il pagamento di somme dovute a seguito d’interventi di manutenzione e riparazione di apparecchiature nei reparti dell’ente, come da fatture del 1992 allegate al ricorso.
2. La decisione è stata confermata dalla Corte d’appello di Caltanissetta con sentenza in data 19 luglio 2007. La corte ha escluso l’ammissibilità dell’azione di arricchimento senza causa nei confronti dell’ente pubblico in mancanza di riconoscimento dell’utilitas da parte dello stesso ente. La corte ha escluso anche che l’utilizzazione della prestazione, seppure consapevole, valga a integrare il suddetto riconoscimento.
Per la cassazione di questa sentenza, non notificata, ricorre la società con atto notificato il 17 luglio 2008 affidato a tre motivi, illustrati anche con memoria.
L’ente non ha svolto difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
3. Con il primo motivo si censura l’affermazione della corte territoriale, che l’azione di arricchimento senza causa contro la pubblica amministrazione richieda un riconoscimento esplicito dell’utilità della prestazione proveniente dagli organi deputati alla formazione della volontà della pubblica amministrazione.
3.1. La questione circa l’esperibilità dell’azione d’ingiustificato arricchimento contro la pubblica amministrazione sulla base del riconoscimento dell’utilità della prestazione, che attiene all’elemento dell’arricchimento, e che è decisiva nel presente giudizio, deve essere tenuta distinta da quella – pur largamente trattata dal ricorrente ma non pertinente alla fattispecie di causa – dell’esclusione dell’azione laddove sia esperibile l’azione Decreto Legge n. 66 del 1989, ex articolo 66 che attiene alla sussidiarietà.
3.2. Sul primo punto si deve registrare l’esistenza di alcune pronunce della corte non conformi all’orientamento prevalente. Nel senso che il riconoscimento dell’utilità, da parte della pubblica amministrazione, possa essere implicito, purchè derivante da elementi univoci d1interpretazione, la giurisprudenza è in realtà consolidata e uniforme. Esistono tuttavia alcune pronunce che ammettono la possibilità, non solo di ravvisare il riconoscimento implicito nella mera utilizzazione della prestazione, quanto, soprattutto, che il riconoscimento implicito provenga da organi diversi da quelli rappresentativi della pubblica amministrazione. Alcune decisioni, infatti, sono pervenute all’affermazione che nell’azione d’indebito arricchimento nei confronti della p.a., ai fini dell’utilità della prestazione non è richiesto che il riconoscimento, quando non sia esplicito, provenga formalmente da organi qualificati della P.A., restando altrimenti privo di contenuto il potere del giudice di verificare l’utilità della prestazione, la quale deve essere vagliata sulla base della valutazione in fatto dell’arricchimento, da accertare con la regola paritaria di diritto comune, sia quando riguarda il privato, sia quando si riferisce alla pubblica amministrazione (Cass. 16 maggio 2006 n. 11368, 24 settembre 2007 n. 19572).
Queste decisioni si ponevano in contrasto con una giurisprudenza consolidata per la quale l’azione d’indebito arricchimento nei confronti della p.a. differisce da quella ordinaria, in quanto presuppone non solo il fatto materiale dell’esecuzione di un’opera o di una prestazione vantaggiosa per l’ente pubblico, ma anche il riconoscimento, da parte di questo, dell’utilità dell’opera o della prestazione; e tale riconoscimento può avvenire in maniera esplicita, cioè con un atto formale (il quale, peraltro, può essere assistito dai crismi richiesti per farne un atto amministrativo valido ed efficace ovvero può anche essere carente delle formalità e dei controlli richiesti, come nel caso in cui l’organo di controllo lo annulli), oppure in modo implicito, cioè mediante l’utilizzazione dell’opera o della prestazione, purchè consapevolmente attuata dagli organi rappresentativi dell’ente (ex pluribus, Cass. 23 giugno 1992 n. 7694, 23 maggio 1995 n. 5638, 11 settembre 1999 n. 9690, 11 febbraio 2002 n. 1884). Le pronunce in questione, tuttavia, non hanno avuto seguito, e le successive sono ritornate all’indirizzo originario (Cass. 31 gennaio 2008 n. 2312, 14 ottobre 2008 n. 25156, 6 settembre 2012 n. 14939, 18 aprile 2013 n. 9486), sicchè il contrasto non sembra più attuale. Particolarmente esauriente, in proposito, è proprio l’ultima sentenza massimata sul punto: il riconoscimento dell’utilità dell’opera e la configurabilità stessa di un arricchimento restano affidati a una valutazione discrezionale della sola P.A. beneficiarla, unica legittimata – mediante i suoi organi amministrativi o tramite quelli cui è istituzionalmente devoluta la formazione della sua volontà – a esprimere il relativo giudizio, che presuppone il ponderato apprezzamento circa la rispondenza, diretta o indiretta, dell’opera al pubblico interesse, senza che possa operare in via sostitutiva la valutazione di amministrazioni terze, pur se interessate alla prestazione, nè di un qualsiasi altro soggetto dell’amministrazione beneficiarla; e tale riconoscimento può essere esplicito o implicito, occorrendo, in quest’ultimo caso, che l’utilizzazione dell’opera sia consapevolmente attuata dagli organi rappresentativi dell’ente, in quanto la differenza tra le due forme di riconoscimento sta solo nel fatto che la prima è contenuta in una dichiarazione espressa, mentre la seconda si ricava da un comportamento di fatto, tale da far concludere che il suo autore abbia inteso conseguire uno specifico risultato (Cass. 18 aprile 2013 n. 9486).
A questo indirizzo il collegio ritiene di doversi uniformare. La tesi minoritaria è indebolita dall’incongruenza di legittimare soggetti diversi in ragione del fatto che il riconoscimento sia esplicito (per il che si riconosce la necessità che provenga dagli organi rappresentativi della pubblica amministrazione) o implicito (nel qual caso potrebbe provenire da organi non qualificati dell’amministrazione), vale a dire in ragione della forma del riconoscimento, che dovrebbe essere un elemento neutro sotto questo profilo. A parte ciò, la tesi in questione, laddove valorizza la regola paritaria di diritto comune, applicabile sia al privato e sia alla pubblica amministrazione, sembra non farsi carico della normativa di diritto pubblico che regola la contabilità della pubblica amministrazione, con efficacia anche per i soggetti esterni che vengono in contatto con essa, e che si giustifica oltre che con vincoli di spesa imposti da norme di rango primario nell’impiego di denaro pubblico, anche con le dimensioni e la complessità dell’articolazione interna della pubblica amministrazione. Detta normativa non consente di ammettere, con riferimento al caso assai frequente d’indebito arricchimento derivante da rapporti negoziali instaurati da dipendenti pubblici privi dei necessari poteri, che la pubblica amministrazione sia chiamata a rispondere in sede d’indebito arricchimento di tutte le iniziative arbitrarie assunte al di fuori del controllo degli organi amministrativi responsabili della spesa, quando il riconoscimento dell’utilità sia ravvisato nella stessa utilizzazione dell’opera o del servizio acquisito, da parte di coloro che hanno abusivamente speso il nome dell’ente o dell’ufficio. L’osservazione si attaglia in modo particolare al caso, che qui viene all’esame, della spesa pubblica sanitaria, per la quale, ferma restando la legittimazione degli organi rappresentativi ad assumere obbligazioni per l’amministrazione, la legge identifica anche i soggetti autorizzati a predisporre i contratti e a emettere i mandati di pagamento (Decreto del Presidente della Repubblica 27 marzo 1969, n. 128, articolo 48). Fermo dunque che il riconoscimento dell’utilitas da parte della pubblica amministrazione può essere anche implicito, e desumibile da facta concludentia, è necessario che esso sia imputabile agli organi deputati a disporre la spesa.
Il motivo è pertanto infondato.
4. Con il secondo motivo si deduce che, in fatto, le apparecchiature mantenute e riparate nei reparti di ostetricia, pediatria, chirurgia e medicina dell’Ospedale di (OMISSIS) dovevano esserlo per legge (si citano le Legge n. 186 del 1968 e Legge n. 91 del 1977 sulla sicurezza elettrica) come per tutti gli impianti sanitari negli ospedali e cliniche anche private, sotto la diretta responsabilità dei reparti ospedalieri, che nella fattispecie avevano sottoscritto le ordinazioni, e confermato l’utilizzazione delle apparecchiature ripristinate, in occasione dell’espletamento della prova testimoniale.
4.1. Il motivo è infondato. Nella fattispecie non è in discussione l’obbligo degli enti ospedalieri di conformarsi alle norme sulla sicurezza degli impianti ma, al più, l’identificazione dei soggetti tenuti ad assicurare il rispetto di quelle norme adottando tutte le misure, anche di spesa, a ciò occorrenti, nell’amministrazione dei fondi disponibili, dei quali rispondono personalmente. Si tratta di competenze degli organi amministrativi centrali stabilite dalla legge, e che non possono essere scavalcate dai singoli reparti, ponendo l’amministrazione nella condizione di soggiacere alle azioni d’indebito arricchimento che puntualmente seguirebbero al mancato pagamento dei contratti verbali o comunque nulli, per il solo fatto che chi ha abusivamente contrattato per l’ente utilizza poi il bene o il servizio così acquisito.
5. Il terzo motivo censura il regolamento delle spese del giudizio di appello, diverso da quello auspicato dalla ricorrente. Nei termini nei quali è formulata la censura, vertendo sull’esercizio di un potere discrezionale, è inammissibile.
6. In conclusione il ricorso è respinto. In mancanza di difese svolte dalla controparte non v’è luogo a pronuncia sulle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.