Sentenza 552/2017
Equa riparazione – Termine semestrale di proponibilità dell’azione risarcitoria – Decorrenza
In tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo, il termine semestrale di decadenza per la proposizione della relativa domanda, previsto dall’art. 4 della l. n. 89 del 2001, decorre dalla data in cui è divenuta definitiva la decisione che conclude il processo presupposto e, una volta spirato, non può essere riaperto, peraltro a tempo indeterminato, per effetto del ricorso per revocazione della sentenza conclusiva del processo presupposto, ai sensi dell’art. 395 n. 4 e 5 c.p.c., trattandosi di un mezzo di impugnazione straordinario, non legato da “rapporto di unicità” con il giudizio di cognizione concluso con sentenza passata in giudicato.
Corte di Cassazione, Sezione 6 civile, Sentenza 11 gennaio 2017, n. 552 (CED Cassazione 2017)
FATTO E DIRITTO
Con ricorso depositato presso la Corte d’appello di Catanzaro in data 9 settembre 2014, (OMISSIS) chiedeva la condanna del Ministero della Giustizia all’equa riparazione per la irragionevole durata di un processo civile conseguente alla proposizione di un’opposizione a decreto ingiuntivo con atto di citazione notificato in data 16/1/1997. Aggiungeva che il giudizio di primo grado era stato definito dal Tribunale di Reggio Calabria con sentenza del 2001 e che a seguito di appello proposto dallo stesso (OMISSIS), la Corte d’Appello di Reggio Calabria aveva accolto le richieste del ricorrente con sentenza n. 121 del 27/4/2009.
Successivamente la sentenza della Corte distrettuale era stata impugnata con revocazione straordinaria dalla controparte, e che l’impugnazione era stata dichiarata inammissibile con successiva sentenza n. 234 del 2013.
Con decreto del 3/10/2014 il Consigliere delegato rigettava il ricorso attesa l’intervenuta decadenza, per essere stato proposto oltre il termine di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4, che doveva farsi decorrere dalla data del 13/7/2010, allorquando era divenuta definitiva la sentenza della Corte d’Appello che aveva accolto il gravame del ricorrente, non potendosi attribuire alcuna rilevanza a tali fini alla successiva proposizione della revocazione straordinaria.
Tale statuizione era confermata dalla Corte in composizione collegiale, all’esito dell’opposizione proposta dallo (OMISSIS), con Decreto 12 febbraio 2016, osservandosi che il termine di cui all’art. 4, una volta spirato, non poteva riaprirsi a tempo indeterminato per effetto di un successivo eventuale ricorso per revocazione, e ciò soprattutto alla luce del fatto che avverso la sentenza della Corte d’Appello era stata proposta un’istanza di revocazione straordinaria, e cioè un mezzo di impugnazione proponibile anche contro le pronunce passate in cosa giudicata.
Per la cassazione di questo decreto fa ricorrente ha proposto ricorso affidato ad un motivo.
L’intimato Ministero ha resistito con controricorso.
Con un unico motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione della legge n. 89/2001, nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione nella parte in cui il decreto gravato sostiene che la natura del rimedio revocatorio esperito esclude il rapporto di unicità con il precedente giudizio di cognizione.
Il motivo, in disparte la sua inammissibilità nella parte in cui denunzia l’insufficiente e contraddittoria motivazione con il richiamo alla formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, non più applicabile alla fattispecie ratione temporis (trattandosi di provvedimento emesso in epoca successiva al 12 settembre 2012), è infondato.
Ed, invero costituisce orientamento consolidato della Corte quello per il quale il termine semestrale di decadenza per la proposizione della relativa domanda, previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 4, decorre dalla data in cui è divenuta definitiva la decisione che conclude il processo della cui durata si discute. Detto termine, una volta spirato, non può essere riaperto, ed a tempo indeterminato, per effetto del ricorso per revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., nn. 4 e 5, della sentenza conclusiva del processo presupposto, trattandosi di un mezzo di impugnazione straordinario, non legato da “rapporto di unicità” con il giudizio di cognizione concluso con sentenza passata in giudicato (cfr. Cass. n. 14970/2012; Cass. n. 24358/2006).
La decisione gravata ha fatto quindi corretta applicazione di tale principio e per l’effetto il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.
Tuttavia risultando dagli atti del giudizio che il procedimento in esame è considerato esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al testo unico approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 10 novembre 2016.