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Cassazione Civile 5778/2019 – Prova civile – Valore probatorio telefax

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Ordinanza 5778/2019

 

Prova civile – Valore probatorio telefax

La riproduzione di un atto mediante il servizio “telefax” rientra fra quelle meccaniche indicate, con elencazione non tassativa, dall’art. 2712 c.c., che formano piena prova dei fatti o delle cose rappresentate se colui contro il quale è prodotta non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesimi, costituendo detta modalità di trasmissione un sistema di posta elettronica volto ad accelerare il trasferimento della corrispondenza mediante la riproduzione a distanza – con l’utilizzazione di reti telefoniche e terminali facsimile – del contenuto di documenti.

Cassazione Civile, Sezione 6-2, Ordinanza 27-2-2019, n. 5778   (CED Cassazione 2019)

Art. 2712 cc (Riproduzioni meccaniche) – Giurisprudenza

 

 

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

Con ricorso al tribunale di Roma depositato il 17.5.2004 la ” (OMISSIS)” s.r.l. esponeva che su richiesta datata 28.8.2003 della ” (OMISSIS)” s.p.a. aveva realizzato 25.000 confezioni di “Bacampicillina 12 cpr 1200 mg”; che il corrispettivo dovutole, pari ad Euro 120.000,00, era rimasto insoluto.

Chiedeva ingiungersi a controparte il pagamento della suindicata somma, oltre interessi e spese.

Con decreto n. 12900/2004 il tribunale di Roma pronunciava l’ingiunzione. Con atto di citazione notificato il 15.10.2004 la ” (OMISSIS)” s.p.a. proponeva opposizione.

Deduceva che alcunchè doveva a controparte.

Deduceva, segnatamente e tra l’altro, che controparte non aveva provveduto nè alla produzione nè alla consegna dell’ingente quantitativo di “Bacampicillina”; che giammai aveva sottoscritto la versione, ex adverso prodotta, dell’allegato “E” al contratto di fornitura, asseritamente idonea a legittimare la richiesta di pagamento all’emissione dell’ordine.

Instava per la revoca dell’opposta ingiunzione.

Si costituiva la ” (OMISSIS)” s.r.l..

Invocava il rigetto dell’opposizione.

Con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 5, l’opposta chiedeva condannarsi l’opponente al pagamento della minor somma di Euro 116.875,00. Con sentenza n. 165 del 2009 il tribunale di Roma accoglieva l’opposizione, revocava l’ingiunzione e condannava l’opposta alle spese di lite.

La ” (OMISSIS)” s.r.l. proponeva appello.

Resisteva la ” (OMISSIS)” s.p.a..

Con sentenza n. 6198 del 2017 la corte d’appello di Roma rigettava il gravame e condannava l’appellante alle spese del grado.

Evidenziava la corte che indiscutibilmente la fornitura della “Bacampicillina” non era mai avvenuta.

Evidenziava altresì che la copia dell’allegato “E”, trasmessa a mezzo fax, al contratto di fornitura, prodotta dalla ” (OMISSIS)”, era stata disconosciuta dalla ” (OMISSIS)”; che dunque era da escludere che la ” (OMISSIS)” avesse dato prova della pattuizione in virtù della quale il pagamento dell’intero prezzo dovesse avvenire contestualmente all’emissione dell’ordine.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso la ” (OMISSIS)” s.r.l.; ne ha chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.

La ” (OMISSIS)” s.p.a. ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese e con condanna della ricorrente ai sensi dell’art. 96 c.p.c..

Le parti hanno depositato memoria.

Con il primo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 1326 e 1498 c.c.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2712 c.c.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’errore di percezione relativo ad una circostanza oggetto di discussione tra le parti; in subordine, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo della controversia prospettato dalle parti; l’apparenza della motivazione.

Deduce che il fax da essa allegato “è quello originale, perchè ricevuto dall’apparecchio fax di (OMISSIS), completo di tutte le sottoscrizioni” (così ricorso, pag. 12); che propriamente “il documento è partito dal fax di (OMISSIS) e, dopo circa mezz’ora, è stato reinviato dal fax di (OMISSIS), con ivi la apposizione della firma del (OMISSIS)” (così ricorso, pag. 12).

Deduce altresì che, “una volta depositato l’originale, la Corte di Appello avrebbe dovuto essa valutare se tale produzione, contenente la clausola (di pagamento dell’intero prezzo all’emissione dell’ordine) fosse o meno idonea a superare la mancanza probatoria, correttamente rilevata dal Giudice di primo grado” (così ricorso, pag. 5).

Deduce inoltre che il documento trasmesso a mezzo fax, ancorchè disconosciuto, ha efficacia di prova liberamente valutabile dal giudice alla luce degli altri elementi di prova presenti agli atti; che la corte di merito al riguardo “ha totalmente omesso ogni valutazione” (così ricorso, pag. 8).

Deduce infine che fu pattuito per iscritto che “il pagamento avrebbe dovuto precedere l’invio della merce” (così ricorso, pag. 11).

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 4, la violazione del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, art. 4, lettera c) e dell’art. 91 c.p.c..

Premette che la corte distrettuale ha liquidato le spese del secondo grado con riferimento alla “fase di studio della controversia”, alla “fase introduttiva del giudizio”, alla “fase istruttoria e/o di trattazione” ed alla “fase decisionale”.

Indi deduce che in appello non è stata svolta nessuna delle attività elencate al Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, art. 4, lettera c), ove è chiarito cosa si intende “per fase istruttoria”.

Il primo motivo è destituito di fondamento.

Evidentemente la circostanza che il fax allegato dalla ” (OMISSIS)” sia quello “reinviato dal fax di (OMISSIS), con ivi la apposizione della firma del (OMISSIS)” (così ricorso, pag. 12), per nulla svilisce il rilievo circa la natura di “copia” dello stesso documento operato dalla corte territoriale, rilievo che la ” (OMISSIS)”, dal canto suo, ha puntualmente provveduto a corroborare (cfr. controricorso, pag. 11).

Più esattamente, nel segno dell’art. 2712 c.c. e nel solco dell’elaborazione di questa Corte (secondo cui fra le riproduzioni meccaniche indicate, con elencazione meramente esemplificativa, dall’art. 2712 c.c., le quali formano piena prova dei fatti o delle cose rappresentati, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesimi, rientra anche la riproduzione di un atto mediante il servizio “telefax”, che costituisce un sistema di posta elettronica volto ad accelerare il trasferimento della corrispondenza mediante la riproduzione a distanza (con l’utilizzazione di reti telefoniche e terminali facsimile) del contenuto di documenti: cfr. Cass. 24.11.2005, n. 24814; Cass. sez. lav. 20.3.2009, n. 6911), va appieno condiviso il postulato che la corte di Roma ha inteso affermare, ossia che “la produzione di una copia dell’Allegato E non è comunque sufficiente a ritenere assolto, da parte di (OMISSIS), l’onere della prova riguardo al fatto che le parti avessero pattuito che il pagamento dell’intero prezzo dovesse avvenire contestualmente alla emissione dell’ordine, stante il disconoscimento del documento” (così sentenza d’appello, pag. 5).

Evidentemente, a fronte dell’innegabile disconoscimento del fax (” (OMISSIS) (…), avendo piuttosto e semplicemente contestato la conformità del fax all’originale”: così ricorso, pag. 5), non potevano e non possono che determinarsi gli effetti che l’elaborazione di questa Corte prefigura.

Più esattamente che, in tema di efficacia probatoria delle riproduzioni informatiche di cui all’art. 2712 c.c., il “disconoscimento” non ha gli stessi effetti del disconoscimento previsto dall’art. 215 c.p.c., comma 2, perchè mentre questo, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo di questa, preclude l’utilizzazione della scrittura, il primo non impedisce che il giudice possa accertare la conformità all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni semplici (cfr. Cass. sez. lav. 17.2.2015, n. 3122; Cass. 16.10.2001, n. 12598 – con specifico riferimento all’art. 2719 c.c. – secondo cui, in caso di disconoscimento della copia fotostatica o fotografica non autenticata di un documento, questa non può essere utilizzata come prova dei fatti in essa rappresentati nè della esistenza stessa della scrittura riprodotta, dovendo i medesimi essere autonomamente dimostrati dalla parte che ha prodotto in giudizio la copia disconosciuta, nei modi consentiti dalla legge).

In questi termini si rappresenta quanto segue.

Per un verso, la corte d’appello ha reputato “non (…) ammissibili le prove richieste, in quanto assolutamente tardive” (così sentenza d’appello, pag. 6).

Ebbene siffatta affermazione non è stata oggetto nè con l’uno nè con l’altro mezzo di impugnazione di alcuna specifica, puntuale censura.

Per altro verso, la corte di merito ha esplicitato che risultava alquanto singolare che le parti avessero pattuito “il pagamento non dopo il decorso di un certo tempo dalla emissione della fattura o tutt’al più al momento della consegna come usualmente avviene, ma addirittura al momento dell’emissione dell’ordine” (così sentenza d’appello, pag. 6).

Ebbene è innegabile che in tal guisa la corte distrettuale ha fatto leva su una nozione di comune esperienza ex art. 115 c.p.c., comma 2, (cfr. Cass. 4.10.2011, n. 20313, secondo cui le massime o nozioni di comune esperienza costituiscono regole di giudizio di carattere generale, derivanti dall’osservazione reiterata di fenomeni naturali e socioeconomici di cui il giudice è tenuto ad avvalersi, in base all’art. 115 c.p.c., come regola di giudizio destinata a governare sia la valutazione delle prove che l’argomentazione di tipo presuntivo), al cui cospetto tuttavia a nulla vale addurre “donde (…) il Collegio romano abbia tratto un tale assurdo convincimento (…) non è dato comprendere” (così ricorso, pag. 4), “la Corte di merito non ci dice punto dove mai abbia potuto riscontrare siffatta petizione di principio” (così ricorso, pag. 4).

Invero questa Corte spiega che il ricorso alle nozioni di comune esperienza ex art. 115 c.p.c., comma 2, attiene ad un potere discrezionale devoluto al giudice di merito, il cui esercizio o mancato esercizio non è sindacabile in sede di legittimità neppure con riferimento all’omessa ovvero insufficiente esplicitazione degli elementi sui quali l’affermazione del “notorio” si fonda (cfr. Cass. 18.7.2011, n. 15715; Cass. 19.8.2003, n. 12112; Cass. 11.2.1987, n. 1492).

E spiega inoltre che è censurabile unicamente l’assunzione, a base della decisione, di una inesatta nozione di “notorio”, da intendere quale fatto generalmente conosciuto, almeno in una determinata zona (cd. notorietà locale) o in un particolare settore di attività o di affari da una collettività di persone di media cultura (cfr. Cass. 18.7.2011, n. 15715; Cass. 19.8.2003, n. 12112; Cass. 11.2.1987, n. 1492).

Il che – assunzione di una inesatta nozione di “notorio” – è da escludere recisamente nel caso di specie, atteso che la prassi tendenzialmente non registra casi in cui all’integrale pagamento del prezzo si faccia luogo al momento dell’emissione dell’ordine.

Per altro verso ancora, col primo mezzo di impugnazione, la s.r.l. ricorrente censura la valutazione degli esiti probatori (“la Corte di merito ha allora completamente stravolto i documenti di causa”: così ricorso, pag. 5; “il Giudice di secondo grado avrebbe dovuto valutare il documento prodotto”: così ricorso, pag. 6; “ci si deve, allora, chiedere quale sia il valore di una pattuizione negoziale che le parti abbiano raggiunta a mezzo fax”: così ricorso, pag. 7; “l’assunto avversario, condiviso dalla Corte di Appello, per cui (…) prima (OMISSIS) avrebbe dovuto ricevere la merce, e poi pagare il c.d. tantundem, non risponde affatto al vero”: così ricorso, pag. 11; “nella mentovata lettera accompagnatoria di (OMISSIS) del 28 agosto 2003, è proprio il dott. (OMISSIS) a chiarire il motivo della cautela di (OMISSIS) rispetto alle avversarie richieste”: così ricorso, pag. 13; “nessuno di tali elementi probatori è stato tenuto presente dalla Corte di Appello (…), neppure valutando quanto in merito asserito dalla controparte in altre comunicazioni”: così ricorso, pag. 14).

E nondimeno il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).

Il secondo motivo del pari è destituito di fondamento.

Vi è univoco riscontro di attività difensiva – nell’interesse di ” (OMISSIS)” – riferibile – oltre che alla “fase di studio della controversia”, alla “fase introduttiva del giudizio” ed alla “fase decisionale” – altresì alla “fase istruttoria e/o di trattazione”.

è sufficiente evidenziare – in rapporto all’inciso “l’esame degli scritti o documenti delle altre parti o dei provvedimenti giudiziali pronunciati nel corso e in funzione dell’istruzione” figurante nel corpo del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, art. 4, lettera c) – che attività istruttoria vi è stata quanto meno con riferimento al provvedimento della corte territoriale in data 3/17.6.2010, dalla stessa ricorrente menzionato a pagina 7 del ricorso.

Sicchè è corretto il rilievo della controricorrente secondo cui “una parte fondamentale del procedimento di secondo grado fu proprio afferente la produzione richiesta, contestata ed infine autorizzata dalla Corte d’Appello ad opera della (OMISSIS) di documenti contrattuali non allegati dalla medesima appellante” (così controricorso, pagg. 23 – 24).

Il rigetto del ricorso giustifica la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio. La liquidazione segue come da dispositivo.

Gli articolati rilievi dapprima svolti a reiezione, segnatamente, del primo mezzo di impugnazione danno ragione dell’insussistenza dei presupposti perchè si provveda (come da richiesta della controricorrente: cfr. controricorso, pagg. 29 – 30) ai sensi del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, art. 4, comma 8 ed altresì dell’insussistenza dei presupposti della mala fede ovvero la colpa grave perchè si possa far luogo (come da richiesta della controricorrente: cfr. controricorso, pagg. 25 – 29) a pronunce di condanna ex art. 96 c.p.c. (cfr. Cass. sez. un. 20.4.2018, n. 9912, secondo cui la responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, a differenza di quella di cui ai primi due commi della medesima norma, non richiede la domanda di parte nè la prova del danno, ma esige pur sempre, sul piano soggettivo, la mala fede o la colpa grave della parte soccombente, sussistente nell’ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l’infondatezza o l’inammissibilità della propria domanda, non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate).

Ai sensi dell’art. 13, 1° co. quater, d.p.r. 30.5.2002, n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, 1° co. bis, d.p.r. cit..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente, “(OMISSIS)” s.r.I., a rimborsare alla controricorrente, “(OMISSIS)” s.p.a., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in euro 5.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a.
e cassa come per legge; rigetta l’istanza ex art. 96 cod. proc. civ. della controricorrente; ai sensi dell’art. 13, 1° co. quater, d.p.r. 30.5.2002, n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, 1° co. bis, d.p.r. cit..

Così deciso in Roma nella camera di consiglio della VI sez. civ. – Sottosezione II della Corte Suprema di Cassazione, il 14 novembre 2018.