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Cassazione Civile 5955/2023 – Procedimento di convalida di sfratto per finita locazione – Opposizione dell’intimato – Introduzione da parte del locatore a fondamento della domanda di “causa petendi” diversa da quella originariamente formulata

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Ordinanza 5955/2023

Procedimento di convalida di sfratto per finita locazione – Opposizione dell’intimato – Introduzione da parte del locatore a fondamento della domanda di “causa petendi” diversa da quella originariamente formulata – Ammissibilità

Nel procedimento di convalida di sfratto per finita locazione l’opposizione dell’intimato determina la conclusione del procedimento sommario e l’instaurazione di un autonomo processo di cognizione ordinaria, con la conseguenza che il locatore può introdurre a fondamento della domanda una “causa petendi” diversa da quella originariamente formulata, purché la nuova domanda risulti connessa alla vicenda sostanziale dedotta con l’atto introduttivo del procedimento sommario. (In applicazione del suddetto principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che, a fronte dell’iniziale domanda di sfratto per finita locazione di un contratto transitorio, proposta nell’atto introduttivo del procedimento sommario, aveva ritenuto inammissibile quella di risoluzione per inadempimento, formulata dal locatore nella memoria integrativa successiva al mutamento di rito ex art. 667 c.p.c., per il caso in cui il contratto fosse stato ritenuto di durata quadriennale).

Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 28-2-2023, n. 5955   (CED Cassazione 2023)

 

 

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) ricorre, sulla base di un unico motivo, per la
cassazione della sentenza n. 1309/18, del 5 settembre 2018, della
Corte di Appello di Palermo, che – respingendone il gravame
avverso la sentenza n. 2896/15, del 2 maggio 2015, del Tribunale
di Palermo – ha rigettato la domanda di risoluzione per
inadempimento proposta nei confronti dì (OMISSIS) ed
(OMISSIS).

2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierno ricorrente di aver
locato alle medesime (OMISSIS) e (OMISSIS) – in forza di contratto di
natura transitoria concluso I’ll dicembre 2012 – un immobile di
sua proprietà, ad uso abitativo, con scadenza fissata al 30
novembre 2013 e pattuizione di un canone mensile dì C 380,00,
da pagarsi il giorno 5 di ogni mese.

Poiché alla scadenza del termine di durata del contratto le
conduttrici non avevano rilasciato la “res locata”, né corrisposto
l’ultimo canone mensile, il (OMISSIS) adiva l’autorità giudiziaria,
chiedendo convalidarsi lo sfratto per finita locazione.

Oppostesi le conduttrici alla domanda del (OMISSIS), sul rilievo
che quello concluso fosse un ordinario contratto quadriennale, il
Tribunale palermitano, rigettata la richiesta di convalida – e
tenuto conto della necessità di avviare la procedura dì mediazione
della vertenza – rimetteva il giudizio ad altra udienza, assegnando
termine alle parti per integrazione dei rispettivi atti introduttivi.

Svoltasi, senza esito, la suddetta procedura, l’odierno ricorrente
– in conformità con l’istanza di mediazione – eccepiva che,
nell’ipotesi in cui il giudice di prime cure avesse ravvisato la
ricorrenza di un ordinario contratto della durata di quattro anni,
le convenute, comunque, non sarebbero state legittimate ad
occupare o detenere l’immobile, avendo accumulato, dal
novembre 2013, una consistente morosità nel pagamento del
canone.

Depositata memoria integrativa, quanto alle intimate, dalla
sola (OMISSIS), che svolgeva domanda riconvenzionale con cui
lamentava mala fede contrattuale, per essere stato concluso un
contratto transitorio “pur in assenza di qualunque esigenza di tal
fatta”, il (OMISSIS), oltre a contrastarla, ribadiva – nell’ipotesi di
ritenuta sussistenza di un contratto dì durata quadriennale – la
proposta domanda di risoluzione per grave inadempimento per la
(non contestata) morosità.

All’esito del giudizio di primo grado, l’adito Tribunale – dopo
aver dichiarato il contratto di durata quadriennale, e dunque con
scadenza al 30 novembre 2016 (non ancora maturata) – rigettava
la domanda di risoluzione per inadempimento delle conduttrici,
ravvisando in quella proposta, in tal senso, dal locatore, nella
memoria integrativa, una domanda nuova.

Esperito gravame dall’attore soccombente, il giudice di appello
lo rigettava, confermando la decisione resa in prime cure.

3. Avverso la sentenza della Corte panormita ha proposto
ricorso per cassazione il (OMISSIS), sulla base – come detto – di un
unico motivo.

3.1. Esso denuncia – ex art. 360, comma 1, nn. 3), 4) e 5),
cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione degli artt. 665-
667 cod. proc. civ., oltre che degli artt. 426-420 cod. proc. civ.
“applicati al rito locatizio”, nonché degli artt. 101, 112 e 115 cod.
proc. civ, e violazione, infine, del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28.

Si censura la sentenza impugnata per avere ravvisato nel
contegno processuale assunto da esso (OMISSIS) un’inammissibile
“mutati° libelli”, ed in particolare per aver qualificato come
domanda nuova l’avvenuta modifica di quella originaria – di
sfratto per finita locazione, introdotta nel rito sommario ex art.
667 cod. proc. civ. – in domanda di risoluzione per
inadempimento, quantunque questa fosse stata formulata, con la
memoria integrativa di cui all’art. 426 cod. proc. civ., per effetto
della opposizione dell’intimato in sede di convalida e
dell’intrapresa procedura di mediazione.

Il ricorrente richiama, sul punto, la giurisprudenza di questa
Corte, secondo cui il procedimento per convalida di sfratto si
caratterizza perché, con l’opposizione dell’intimato, si determina
l’instaurazione di un nuovo e autonomo procedimento con rito
ordinario. Nello stesso, dunque, non essendo previsti specifici
contenuti degli atti introduttivi del giudizio, il “thema decidendum”
risulta cristallizzato solo in virtù della combinazione degli atti della
fase sommarìa e delle memorie integrative di cui all’articolo 426
cod. proc. civ., potendo, in particolare, la parte intimante non solo
emendare le proprie domande, ma anche modificarle, soprattutto
in dipendenza delle difese svolte dalla controparte.

4. Sono rimaste solo intimate la (OMISSIS) e la (OMISSIS).

5. La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art.
380-bis.1 cod. proc. cìv.

6. Il ricorrente ha depositato memoria.

7. Non consta, invece, la presentazione dì conclusioni scritte
da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.

RAGIONI DELLA DECISIONE

8. In via preliminare va rilevato che, agli atti del presente
giudizio, risulta la designazione di un difensore per Maria Jessica
(OMISSIS), atto che, peraltro, risulta depositato – del tutto
irritualmente – dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Palermo,
come tale inidoneo a mutarne la condizione processuale di mera
intìmata.

9. Ciò premesso, il ricorso va accolto.

9.1. L’unico motivo, infatti, è fondato.

9.1.1. Ancora di recente è stato ribadito, da questa Corte, che
“nel procedimento per convalida di sfratto, l’opposizione
dell’intimato ai sensi dell’articolo 665 cod. proc. civ. determina la
conclusione del procedimento a carattere sommario e
l’instaurazione di un nuovo e autonomo procedimento con rito
ordinario, nel quale le parti possono esercitare tutte le facoltà
connesse alle rispettive posizioni, ivi compresa per il locatore la
possibilità di porre a fondamento della domanda una «causa
petendi» diversa da quella originariamente formulata, e per il
conduttore la possibilità di dedurre nuove eccezioni e di spiegare
domanda riconvenzionale” (così, da ultimo, in motivazione, Cass.
Sez. 3, ord. 23 giugno 2021, n. 17955, Rv. 661747-01, che
richiama Cass. Sez. 3, sent. 29 settembre 2006, n. 21242, Rv.
593975-01; in senso conforme pure Cass. Sez. 3, sent. 5 marzo
2009, n. 5356, Rv. 606955-01 e Cass. Sez. 3, sent. 28 giugno
2010, n. 15399, Rv. 613809-01), sottolineandosi come tali
principi risultino coerenti con quanto affermato dalle Sezioni Uniti
di questa Corte (il riferimento è a Cass. Sez. Un., sent. 15 giugno
2015, n. 12310, Rv. 635536-01), in relazione alla facoltà di parte
attrice di modificare la domanda “ab origine” proposta, purché la
nuova domanda risulti “connessa alla vicenda sostanziale dedotta
in giudizio” e non abbia “determinato la compromissione delle
potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei
tempi processuali”.

Del resto, come osservato dal Supremo Collegio, ridurre “la
modificazione ammessa ad una sorta di precisazione o addirittura
dì mera diversa qualificazione giuridica del fatto costitutivo del
diritto” significherebbe, “contro la lettera e la logica della norma,
costringere la parte che abbia meglio messo a fuoco il proprio
interesse e i propri intendimenti in relazione ad una determinata
vicenda sostanziale” a “rinunciare alla domanda già proposta per
proporne una nuova in un altro processo, in contrasto con i
principi di conservazione degli atti e di economia processuale,
ovvero a continuare il processo perseguendo un risultato non
perfettamente rispondente ai propri desideri ed interessi, per poi
eventualmente proporre una nuova domanda (con indubbio
spreco di attività e risorse) dinanzi ad un altro giudice” (così, in
motivazione, Cass. Sez. Un., sent. n. 12310 del 2015, cit.).

L’unico limite, conclusivamente, alla consentita sostituzìone
della domanda rispetto alla domanda originaria consiste nella
necessità che – “immutato l’elemento identificativo soggettivo
delle personae” – la domanda modificata debba “pur sempre
riguardare la medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio
con l’atto introduttivo o comunque essere a questa collegata,
regola sicuramente ricavabile da tutte le indicazioni contenute nel
codice in relazione alle ipotesi di connessione a vario titolo, ma
soprattutto se si considera in particolare che, come sopra
evidenziato, la domanda modificata si presenta certamente
connessa a quella originaria quanto meno per «alternatività»”
(così, nuovamente in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. n. 12310
del 2015, cit.).

Fatta applicazione di tali principi al caso di specie, nulla ostava
a che la parte locatrice – che aveva agito per far accertare la finita
locazione, ipotizzata di natura transitoria, a fronte della posizione
assunta dalle conduttrici, che ne assumevano, invece, la durata
quadriennale – potesse richiedere la declaratoria di risoluzione per
inadempimento, in ragione della morosità delle conduttrici.

10. La sentenza impugnata, pertanto, va cassata, con rinvio
alla Corte di Appello di Palermo, in diversa sezione e
composizione, per la decisione nel merito, oltre che sulle spese
processuali, ivi comprese quelle del presente giudizio di
legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso e, per l’effetto, cassa la sentenza
impugnata, rinviando alla Corte di Appello di Palermo, in diversa
sezione e composizione, per la decisione sul merito e sulle spese,
ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della
Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, svoltasi l’11
gennaio 2023.