Ordinanza 6001/2023
Prova testimoniale – Automatica inattendibilità del testimone che abbia vincoli di parentela – Insussistenza
In materia di prova testimoniale, non sussiste alcun principio di necessaria inattendibilità del testimone che abbia vincoli di parentela o coniugali con una delle parti, atteso che, caduto il divieto di testimoniare previsto dall’art. 247 c.p.c. per effetto della sentenza della Corte cost. n. 248 del 1974, l’attendibilità del teste legato da uno dei predetti vincoli non può essere esclusa aprioristicamente in difetto di ulteriori elementi dai quali il giudice del merito desuma la perdita di credibilità. (In applicazione di detto principio, la S.C., ha cassato la sentenza della corte territoriale che, in tema di revoca del permesso di soggiorno per motivi familiari dello straniero, aveva ritenuto inattendibile la deposizione testimoniale della moglie italiana sulla circostanza della convivenza effettiva con il ricorrente, senza dare contezza di quegli ulteriori elementi destinati a corroborare la ritenuta non credibilità della teste).
Cassazione Civile, Sezione 1, Ordinanza 28-2-2023, n. 6001 (CED Cassazione 2023)
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Milano, con sentenza depositata il 12.5.2021, ha accolto l’appello proposto dal Ministero dell’Interno avverso il provvedimento con cui il Tribunale di Milano aveva accolto il ricorso ex art. 702 bis c.p.c. proposto da (OMISSIS), cittadino del Marocco, contro il decreto n. 15129/2018 ID 937516 del 19.07.2018 con cui il Questore di Milano gli aveva revocato il permesso di soggiorno per motivi di famiglia in ragione dell’assenza del requisito della convivenza con il coniuge, cittadina italiana, (OMISSIS).
Ha osservato il giudice di secondo grado che, posto che il cittadino italiano non aveva presentato la richiesta di rilascio della carta di soggiorno ai sensi del Decreto Legislativo n. 30 del 2007, art. 10 lo stesso era soggetto alla disciplina di cui al Decreto Legislativo n. 286 del 1998, la quale prevede (all’art. 30, comma 1 bis, prima parte) come requisito per la titolarità del permesso di soggiorno per motivi familiari la convivenza effettiva del cittadino straniero con il coniuge italiano. Nel caso di specie, il sig. (OMISSIS) non era stato in grado di provare la sua convivenza con il coniuge atteso che, da un lato, le deposizioni testimoniali, sul punto, rese dalla moglie e dalla suocera non erano attendibili in relazione al legame di coniugio ed affinità esistente con il medesimo, dall’altro, le risultanze anagrafiche concorrevano a confermare l’esito del sopralluogo dagli Ufficiali di Polizia locali, secondo cui l’appellato e sua moglie risiedevano in due comuni diversi.
Ha proposto ricorso per cassazione da (OMISSIS) affidandolo a quattro motivi.
Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per la nullità della sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 1518/2021 in ordine al vizio di ultrapetizione.
Espone il ricorrente che i testi escussi, Sig.ra (OMISSIS) e (OMISSIS) (rispettivamente moglie e suocera) sono state sentite rispettivamente alle udienze dell’8/5/2019 e dell’11/6/2019 senza che mai alcuna eccezione o osservazione sia stata proposta, ex adverso, nè in ordine alla ammissibilità della loro testimonianza, nè in ordine alla attendibilità della loro deposizione.
Parimenti, alcuna censura della sentenza di primo grado è stata sollevata sul punto, con l’atto d’appello, dal Ministero appellante, conseguendone che il giudizio di inattendibilità dei testi espresso dalla Corte d’Appello di Milano si pone fuori dal solco dell’art. 112 c.p.c., risolvendosi in un vizio di ultrapetizione, per non esserne mai stata investita con l’atto di gravame.
2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè motivazione insufficiente e contraddittoria su punto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la Corte d’Appello di Milano ritenuto inattendibile (senza motivare tale inattendibilità) la testimonianza delle signore (OMISSIS) e (OMISSIS), in ordine alla prova della convivenza tra coniugi.
Lamenta il ricorrente che la Corte ambrosiana ha apoditticamente valutato che il rapporto di coniugio e di affinità tra i testi escussi ed il Sig. (OMISSIS) fosse in se rivelatore della inattendibilità delle loro deposizioni e ed ha erroneamente valorizzato le risultanze anagrafiche non considerando che nessuna norma impone che i coniugi abbiano la stessa residenza anagrafica.
Ne consegue che la Corte d’Appello avrebbe dovuto adeguatamente motivare il giudizio di inattendibilità dei testi, che non può automaticamente discendere dalla parentela con la parte, senza contare che non occorrono, riscontri affinchè una testimonianza, pur se unica, esplichi valore probatorio.
3. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 30 del 2007, artt. 2, 10, 14, 17 e 23, Decreto Legislativo n. 286 del 1998, artt. 29 e 30, e dell’art. 16 della Direttiva 2004/38/CE, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte d’Appello di Milano valorizzato il requisito della mancata convivenza tra coniugi, pur in un caso di piena applicabilità del Decreto Legislativo n. 30 del 2007.
Espone il ricorrente che il requisito della convivenza non è richiesto quando si tratti di straniero che sia entrato in Italia a seguito di ricongiungimento familiare o di visto di ingresso per familiare al seguito (Decreto Legislativo n. 286 del 1998, art. 30, comma 1, lettera a)). Ed è proprio quello che è accaduto nella sua vicenda, atteso che (OMISSIS) ha contratto matrimonio con la Sig.ra (OMISSIS) in Marocco ed è giunto in Italia a seguito del ricongiungimento con la cittadina italiana. Peraltro, che il matrimonio sia stato celebrato in Marocco risulta, in primo luogo, dalla deposizione della moglie del ricorrente, sig.ra (OMISSIS), nonchè dalle stesse allegazioni dell’appellante già nel fascicolo di primo grado riprodotto in appello (all. 6 fascicoletto – pag. 12 – produzione allegata dal Ministero Interno in occasione della propria costituzione nel giudizio di primo grado) e non è mai stata oggetto di contestazione, cosicchè, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., deve ritenersi definitivamente provata.
Infine, il ricorrente contesta l’affermazione della Corte d’Appello, secondo cui l’appellato avrebbe dovuto richiedere la carta di soggiorno Decreto Legislativo n. 30 del 2007, ex art. 10 (pag. 5 sentenza impugnata), atteso che dalla stessa norma sopra indicata si evincerebbe che, a seguito dell’entrata in vigore di tale normativa, la Questura sarebbe stata tenuta a rilasciare la carta di soggiorno e non il permesso di soggiorno per motivi familiari di cui al Decreto Legislativo n. 286 del 1998, art. 30.
4. Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 286 del 1998, art. 30, comma 1, lettera a) e art. 19, comma 2, lettera c) e in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la Corte d’appello omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Espone il ricorrente che quando, in generale, si denuncia l’omessa valutazione di un fatto, sia esso primario o secondario, inevitabilmente si censura che il giudice è pervenuto ad una ricostruzione del fatto errata per non avere vagliato elementi che, se considerati, avrebbero certamente determinato una risultato diverso. Nel caso di specie, la prova non esaminata riguarda le testimonianze della moglie e della suocera del ricorrente, deposizioni ritenute aprioristicamente inattendibili dalla Corte Territoriale e pertanto ritenute aprioristicamente (e ingiustificatamente) tamquam non essent.
5. Il secondo ed il terzo motivo possono essere esaminati unitariamente avendo ad oggetto questioni strettamente connesse.
Non vi è dubbio che, sotto un profilo di priorità logica, deve affrontarsi, preliminarmente, la questione della rilevanza giuridica del requisito della convivenza effettiva dei coniugi, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno al cittadino straniero, atteso che ove si ritenesse irrilevante tale requisito, i dedotti vizi in cui sarebbe incorsa la Corte d’Appello nel valutare la testimonianze della moglie e della suocera del ricorrente, sarebbero evidentemente assorbiti.
Va preliminarmente osservato che, secondo la disciplina normativa vigente, la “convivenza effettiva” tra i coniugi rileva senz’altro ai fini del divieto di refoulement di cui all’art. 19, comma 2, lettera c) legge cit. per gli stranieri privi del permesso di soggiorno nonchè, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari, sia a norma del combinato disposto del Decreto Legislativo n. 286 del 1998, art. 30, comma 1, lettera b) e comma 1 bis sia a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 1999, art. 28, lettera b) (che consente agli stranieri “che si trovano nelle documentate circostanze di cui all’art. 19, comma 2, lettera c) del testo unico” di poter conseguire il permesso di soggiorno per motivi familiari).
In particolare, il requisito della convivenza rileva nella fattispecie di cui al Decreto Legislativo n. 286 del 1998, art. 30, comma 1, lettera b), art. 30, comma 1 bis che riguarda gli stranieri “regolarmente soggiornanti ad altro titolo da almeno un anno che abbiano contratto matrimonio nel territorio dello Stato con cittadini italiani o di uno Stato membro dell’Unione Europea, ovvero con cittadini stranieri regolarmente soggiornanti” – in quanto il comma 1 bis, prima parte, così recita: “Il permesso di soggiorno nei casi di cui al comma 1, lettera b) è immediatamente revocato qualora sia accertato che al matrimonio non sia seguita l’effettiva convivenza salvo che dal matrimonio sia nata prole”.
Il requisito della convivenza effettiva tra i coniugi non rileva, invece, nella diversa fattispecie di cui all’art. 30, comma 1, lettera a) legge cit., che riguarda lo “straniero che ha fatto ingresso in Italia con visto di ingresso per ricongiungimento familiare, ovvero con visto di ingresso al seguito del proprio familiare nei casi previsti dall’art. 29, ovvero con visto di ingresso per ricongiungimento al figlio minore”.
In relazione a tale fattispecie, a norma dell’art. 30, comma 1 bis, seconda parte, legge cit. “La richiesta di rilascio o di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero di cui al comma 1, lettera a) è rigettata e il permesso di soggiorno è revocato se è accertato che il matrimonio o l’adozione ha avuto luogo allo scopo esclusivo di permettere all’interessato di soggiornare nel territorio”.
Dunque, la seconda parte della norma sopra citata, a differenza della prima, non prevede il mancato rinnovo del permesso di soggiorno come diretta conseguenza dell’accertamento della mancata convivenza effettiva tra i coniugi, ma solo ove sia accertata la fittizietà dello stesso matrimonio.
Infine, il requisito della convivenza effettiva tra coniugi può rilevare – come, invocato dal ricorrente – nella disciplina prevista dal Decreto Legislativo n. 30 del 2007, la quale richiede che il cittadino straniero abbia effettuato, entro tre mesi dall’ingresso nel territorio comunitario, richiesta di rilascio della Carta di Soggiorno.
In proposito, questa Corte (vedi Cass. n. 17346/2010) ha già enunciato il principio di diritto – cui questo Collegio intende dare continuità secondo cui “Il familiare coniuge del cittadino italiano (o di altro Stato membro dell’Unione Europea), dopo aver trascorso nel territorio dello Stato i primi tre mesi di soggiorno “informale”, è tenuto a richiedere la carta di soggiorno ai sensi del Decreto Legislativo n. 30 del 2007, art. 10 e, sino al momento in cui non ottenga detto titolo (avente valore costitutivo per l’esercizio dei diritti nell’Unione Europea), la sua condizione di soggiornante regolare rimane disciplinata dalla legislazione nazionale, in forza della quale, ai fini della concessione del permesso di soggiorno per coesione familiare (Decreto Legislativo n. 286 del 1998, art. 19, comma 2, lettera C), e Decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 1999, art. 28), nonchè ai fini della concessione e del mantenimento del titolo di soggiorno per coniugio, è imposta la sussistenza del requisito della convivenza effettiva il cui accertamento compete all’Amministrazione ed è soggetto al controllo del giudice.
Nel caso di specie, secondo gli accertamenti in fatto svolti dalla Corte d’Appello, non si dovrebbe rientrare nè nella fattispecie di cui alla lettera a), nè in quella di cui al Decreto Legislativo n. 286 del 1998, art. 30, comma 1, lettera b) nè, infine in quella di cui al Decreto Legislativo n. 30 del 2007.
In proposito, la Corte d’Appello, a pag. 6 della sentenza impugnata, così ha osservato:”…Nel caso de quo, il sig. (OMISSIS) non ha dimostrato di aver soggiornato regolarmente in Italia nè prima del matrimonio, nè in costanza di matrimonio prima del rilascio nel 2016 del permesso di soggiorno per motivi familiari oggetto di revoca…Non risulta neppure che il sig. (OMISSIS) abbia fatto ingresso nel territorio nazionale al seguito della coniuge italiana ovvero per ricongiungersi con la stessa nè che abbia inoltrato – entro tre mesi dall’ingresso – richiesta di rilascio della Carta di soggiorno di cui al Decreto Legislativo n. 30 del 2007, art. 10….”.
La seconda affermazione della Corte d’Appello, ovvero che il cittadino straniero non avrebbe fatto ingresso nel territorio nazionale al seguito della coniuge italiana ovvero per ricongiungersi con la stessa (circostanza che escluderebbe l’operatività del Decreto Legislativo n. 286 del 1998, art. 30, comma 1, lettera a)), viene contestata dall’odierno ricorrente, il quale deduce, invece, di aver contratto matrimonio in Marocco e di essere giunto in Italia a seguito del ricongiungimento con la coniuge italiana, invocando, a tal fine, le risultanze della deposizione testimoniale resa dalla moglie (che è stata trascritta nel ricorso in ossequio al principio di autosufficienza), che è stata reputata, invece, dalla Corte d’Appello inattendibile.
La contestazione del ricorrente in ordine alla ricostruzione dei fatti operata dalla Corte sarebbe, in linea di principio, chiaramente inammissibile se non fosse che nel secondo motivo – che si rende, questo punto, necessario esaminare – il ricorrente denunzia i vizi in cui sarebbe incorsa la Corte d’Appello nel valutare la testimonianza della moglie e della suocera del ricorrente.
In particolare, come già anticipato, il ricorrente lamenta che la Corte territoriale avrebbe apoditticamente valutato che il rapporto di coniugio e di affinità tra i testi escussi ed il Sig. (OMISSIS) fosse in sè rivelatore della inattendibilità delle loro deposizioni, senza quindi motivare tale inattendibilità, avendo affermato a pag. 6:”… questa Corte non può non ritenere inattendibile la prova della convivenza tra i coniugi ottenuta tramite la deposizione testimoniale assunta in prime cure, essendo stati esaminati testi (moglie e suocera dell’appellato) che per il loro legame con quest’ultimo non possono ritenersi sufficientemente attendibili…”.
Orbene, questo Collegio condivide le censure del ricorrente.
Va, preliminarmente, osservato che se è pur vero che nella rubrica del secondo motivo, la ricorrente ha dedotto la violazione degli artt. 115 e 116 nonchè “motivazione insufficiente e contraddittoria su punto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5”, tuttavia, alla luce di quanto illustrato ed argomentato nello stesso motivo (come sopra sintetizzato), può fondatamente ritenersi che la stessa ricorrente abbia, nella sostanza, dedotto il vizio di motivazione apparente a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con la conseguenza che questo Collegio deve esaminare proprio la sussistenza o meno di tale vizio.
In proposito, questa Corte ha già enunciato il principio di diritto secondo cui, una corretta qualificazione giuridica del vizio denunciato deve avvenire sulla base delle argomentazioni giuridiche ed in fatto svolte dal ricorrente a fondamento della censura, e ciò in quanto la configurazione formale della rubrica del motivo non ha contenuto vincolante, atteso che è solo l’esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura stessa (cfr. Casse n. 12.690 del 2018, Cass. n. 14026 del 2012);
Quanto al merito della questione, va osservato che questa Corte (vedi Cass. n. 25358/2015 con i richiami ivi effettuati a Cass. n. 1109/2006; conf. Cass. n. 12365/2006 e Cass. n. 4202/2011; cfr. anche Cass. n. 25549/2007) ha costantemente enunciato il principio di diritto secondo cui “In materia di prova testimoniale, non sussiste alcun principio di necessaria inattendibilità del testimone che abbia vincoli di parentela o coniugali con una delle parti (…), l’attendibilità de teste legato da uno dei predetti vincoli non può essere esclusa aprioristicamente in difetto di ulteriori elementi dai quali il giudice del merito desuma la perdita di credibilità”.
Anche di recente si è affermato – in materia di prova testimoniale – che l’insussistenza, per effetto della decisione della Corte cost. n. 248 del 1994, del divieto di testimoniare sancito per i parenti dall’art. 247 c.p.c. non consente al giudice di merito un’aprioristica valutazione di non credibilità delle deposizioni rese dalle persone indicate da detta norma, ma neppure esclude che l’esistenza di uno dei vincoli in essa indicati possa, in concorso con ogni altro utile elementi essere considerato dal giudice di merito – la cui valutazione non è censurabile in sede di legittimità, ove motivata – ai fini della verifica della maggiore o minore attendibilità delle deposizioni stesse (Cass. 98/2019).
Dunque, il giudice di merito non può limitarsi a ritenere “automaticamente” inattendibile una deposizione testimoniale solo perchè proveniente da un soggetto legato da vincoli di natura familiare con una delle parti, ma deve indicare ulteriori elementi da cui emerga la mancanza di credibilità del teste, tanto più che una testimonianza diretta non necessita, a differenza di quella de relato, di riscontri esterni per affermare la sua piena valenza probatoria.
Infine, nel caso di specie, non rileva neppure che il giudice di merito abbia ritenuto non sussistere il requisito della convivenza tra coniugi anche sulla base delle risultanze anagrafiche e dell’esito del sopralluogo, atteso che, nella valutazione degli elementi di prova e nella formazione del suo convincimento, il suo ragionamento è stato viziato in modo evidente dalla aprioristica ed apodittica valutazione di inattendibilità “automatica” delle deposizioni della moglie e della suocera, la cui rilevanza in causa emerge concretamente dal contenuto di tali testimonianze, come ampiamente riportato nel ricorso.
Il secondo motivo deve essere quindi accolto, con conseguente assorbimento del terzo motivo.
6. Il primo ed il quarto motivo sono invece, anche a prescindere dall’accoglimento del secondo, comunque in parte infondati ed in parte inammissibili.
In particolare, quanto al primo motivo, non vi è dubbio che il Ministero non fosse tenuto ad eccepire il difetto di attendibilità della deposizione della moglie e della suocera del ricorrente, già in sede di assunzione della testimonianza, atteso che la valutazione delle risultanze probatorie avviene in sede di discussione della causa.
Inoltre, non è vero che il Ministero, nell’atto di appello, non avesse svolto alcuna censura in ordine alla attendibilità delle testi escusse, ciò risultando dalla sentenza impugnata che, nel ricostruire sinteticamente le doglianze formulate dal Ministero appellante alla sentenza di primo grado (vedi pag. 3 punto a), ha evidenziato come il Ministero avesse ritenuto non provata la convivenza dei coniugi, nonostante l’istruttoria testimoniale, e ciò in relazione alla inidoneità di tale prova.
Per altro verso, l’assunto del ricorrente secondo cui il Ministero non avrebbe contestato l’attendibilità delle testi nell’atto di appello è privo di autosufficienza, non essendo stati riportati nel ricorso stralci sufficienti del motivo di appello idonei ad evidenziare la manchevolezza denunciata, ma soltanto una riga in cui il Ministero avrebbe argomentato la mera “insufficienza dei risultati probatori ottenuti in sede di assunzione della prova testimoniale”.
è, infatti, costante l’orientamento di questa Corte secondo cui il ricorso per cassazione soddisfa il requisito dell’autosufficienza quando presenti tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo (Cass. n. 1926 del 03/02/2015).
Quanto al quarto motivo, il ricorrente si duole che la Corte d’Appello non avrebbe esaminato le deposizioni della moglie e della suocera, non considerando, in primo luogo, che lo stesso ha lamentato al secondo motivo che tali deposizioni sarebbero state sì valutate, ma erroneamente in quanto ritenute “automaticamente” inattendibili.
Inoltre, con la predetta affermazione, il ricorrente non considera il principio già enunciato da questa Corte secondo cui, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cass. SSUU n. 8053/2014).
La sentenza deve essere quindi cassata nei limiti di cui in motivazione con rinvio alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo, infondato il primo ed il quarto, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione.
Così deciso Roma il 6.6.2022