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Cassazione Civile 6007/2019 – Rivendicazione – Distruzione o alienazione del bene rivendicato – Ripartizione dell’onere probatorio ex art 2697 cc – Presunzione di buona fede nel possesso

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Ordinanza 6007/2019


Rivendicazione – Distruzione o alienazione del bene rivendicato prima della proposizione della domanda

Poiché l’azione di rivendicazione ha per oggetto la restituzione del medesimo bene che l’attore afferma essere nel possesso o detenzione del convenuto, laddove tale bene, già prima della proposizione della domanda, sia venuto a mancare per distruzione, per alienazione ad altro soggetto o per altra causa, l’azione esperibile sarà soltanto quella personale o di risarcimento dei danni diretta a conseguire il valore pecuniario della cosa.

Ripartizione dell’onere probatorio ex art. 2697 cc – Presunzione di buona fede nel possesso

Dalla presunzione di buona fede nel possesso, fissata dall’art.1147, comma 3, c.c., deriva che all’attore in rivendicazione di un bene mobile è sufficiente provare di averne acquistato il possesso in base a titolo astrattamente e potenzialmente idoneo al trasferimento della proprietà (art. 1153 c.c.), mentre spetta a chi resiste all’azione medesima di dimostrare l’eventuale mala fede al momento della consegna a “non domino”.

Cassazione Civile, Sezione 2, Ordinanza 28 febbraio 2019, n. 6007   (CED Cassazione 2019)

Art. 948 cc (Azione di rivendicazione) – Giurisprudenza

Art. 1147 cc (Possesso di buona fede) – Giurisprudenza

Art. 2697 cc (Onere della prova) – Giurisprudenza

 

 

RILEVATO CHE:

– la vicenda oggetto del giudizio trae origine dalla domanda proposta dalla curatela del fallimento della (OMISSIS) s.r.l. nei confronti di (OMISSIS), avente ad oggetto la restituzione di un tendone, di cui la curatela asseriva essere proprietaria, per averlo acquistato con atto del 21.8.1992; deduceva che, successivamente all’acquisto del tendone, con atto di transazione del 15.12.1998, i due soci della società fallita avevano diviso il compendio aziendale trasferendo a (OMISSIS) solo il capannone ma non il tendone, che sarebbe, pertanto, rimasto nella proprietà della società fallita.

– a conclusione dei giudizi di merito, la Corte di Appello di Firenze, con sentenza del 12.7.2013, confermava la decisione del primo giudice;

– la corte territoriale, qualificata la domanda come rivendica di bene mobile, riteneva che il possesso costituisse titolo idoneo al trasferimento della proprietà, ai sensi dell’art.1153 c.c., ma, poichè il (OMISSIS) aveva trasferito a terzi il tendone, alla curatela residuava la tutela risarcitoria;

– avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) sulla base di tre motivi;

– ha resistito con controricorso il Fallimento (OMISSIS) s.r.l..

CONSIDERATO CHE:

– con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 948 c.c. e dell’art. 1153 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto che, ai fini dell’azione di rivendicazione di bene mobile, fosse sufficiente il possesso in buona fede sulla base di un titolo astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà, anche in caso di acquisto a non domino, mentre, ad avviso del ricorrente, sarebbe necessario fornire la prova rigorosa della proprietà attraverso la produzione dei titoli dei propri danti causa, fino alla prova di un acquisto a titolo originario;

– il motivo è infondato;

– in caso di rivendica di un bene mobile, il rigore probatorio richiesto dall’art. 948 c.c., deve necessariamente coniugarsi con i modi di acquisto della proprietà dei beni mobili e con la loro circolazione;

– per quanto riguarda i beni mobili, il titolo di acquisto è il possesso, anche in caso di acquisto a non domino, purchè il possessore sia in buona fede al momento dell’acquisto e sussista un titolo astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà;

– dalla presunzione di buona fede nel possesso, prevista dall’art. 1147 c.c., deriva che all’attore in rivendicazione di un bene mobile è sufficiente provare il possesso della cosa in base a titolo astrattamente e potenzialmente idoneo al trasferimento della proprietà (art. 1153 c.c.), mentre spetta a chi resiste all’azione medesima di dimostrare l’eventuale mala fede al momento della consegna a non domino (Cass. 18.2.1977 n. 736);

– la corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto espressi da questa Corte, ritenendo provato, in capo al fallimento, la proprietà del tendone, sulla base dell’atto di acquisto della (OMISSIS) s.r.l. del 21.8.1992 e del principio “possesso vale titolo”, previsto dall’art. 1153 c.c., avendo la società attrice, poi fallita, ricevuto in buona fede ed in base ad un titolo astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà il possesso del bene, di cui lamentava il mancato godimento;

– con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione dell’art. 948 c.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto ammissibile l’azione di rivendica nonostante che il convenuto non fosse nel possesso del bene al momento della domanda, introdotta nel 2002, per aver trasferito il tendone alla (OMISSIS) s.r.l. già nel 1998; secondo il ricorrente, l’azione di rivendica deve essere rivolta nei confronti del possessore e, solo nell’ipotesi in cui questi abbia perduto il bene nel corso del giudizio, sarebbe ammissibile l’azione risarcitoria;

– con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la corte territoriale condannato il (OMISSIS) al risarcimento dei danni in assenza di specifica domanda, avendo il Fallimento della (OMISSIS) s.r.l. agito unicamente per la restituzione del tendone, sicchè la sentenza sarebbe viziata da ultrapetizione;

– i motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, per la loro connessione, sono infondati;

– ai sensi dell’art. 948 c.c., il proprietario può rivendicare la cosa da chiunque la possiede o detiene e può proseguire l’esercizio dell’azione anche se costui, dopo la domanda, ha cessato, per fatto proprio, di possedere o detenere la cosa;

– sul piano testuale, la disposizione normativa richiede soltanto il requisito della attualità, nell’attore, del diritto di proprietà e dello ius possidendi, e quello dell’attualità, nel convenuto, del possesso o della detenzione del bene rivendicato, sicchè la legittimazione passiva non viene meno se il possessore abbia trasferito ad altri il possesso, in quanto l’azione di rivendica è, nel contempo, petitoria e restitutoria;

– proprio la particolare circolazione dei beni mobili rende necessaria, accanto alla tutela restitutoria, quella risarcitoria, ove il bene venga distrutto, trasferito a terzi o sia venuto a mancare per altra causa, circostanza che sfugge al controllo di chi esercita l’azione di rivendica;

– nei casi in cui la perdita del possesso sia avvenuta, invece, prima della proposizione della domanda, la giurisprudenza di questa Corte ritiene che l’azione esperibile sia soltanto quella personale o di risarcimento dei danni, diretta ad ottenere il valore pecuniario della cosa (Cass. Civ. Sez II, 18.4.2001 n. 5702; Cassazione civile, sez. II, 04/02/1992, n. 1207; N. 3705/1988);

– nella specie, la curatela aveva agito per il recupero del bene o, qualora ciò non fosse possibile, per ottenere il suo controvalore in denaro e la tutela risarcitoria, come testualmente risulta dall’atto di citazione, sicchè è corretta la decisione della corte territoriale, che ha ammesso la tutela risarcitoria indipendentemente dalla circostanza che il trasferimento fosse avvenuto prima o dopo l’instaurazione del giudizio.

– non vi è stata, pertanto, alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto la tutela risarcitoria era stata oggetto di specifica domanda proposta dalla curatela fallimentare;

– il ricorso va, pertanto, rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo;

– ricorrono i presupposti di cui all’art. 13 comma 1 -quater D.P.R. n. 115/2002 (applicabile ratione temporis, essendo stato il ricorso proposto dopo il 30 gennaio 2013) per il raddoppio del versamento del contributo unificato;

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, addì 23 maggio 2018.

 

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