Ordinanza 6220/2018
Querela di falso – Accertamento preliminare da parte del giudice del merito volto a verificare la sussistenza dei presupposti giustificativi
In tema di querela di falso, la formulazione dell’art. 221 c.p.c., secondo cui la proposizione della querela deve contenere, a pena di nullità, l’indicazione degli elementi e delle prove poste a sostegno dell’istanza, indica in modo non equivoco che il giudice di merito davanti al quale essa sia stata proposta è tenuto a compiere un accertamento preliminare per verificare la sussistenza o meno dei presupposti che ne giustificano la proposizione, finendosi diversamente per dilatare i tempi di decisione del processo principale, in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111, comma 2, Cost.
Cassazione Civile, Sezione 6, Ordinanza 14-3-2018, n. 6220 (CED Cassazione 2018)
Art. 221 cpc (Querela di falso) – Giurisprudenza
RILEVATO
– che la società contribuente, destinataria di due avvisi di accertamento per gli anni di imposta 2002 e 2003, che impugnava dinanzi alla competente Commissione tributaria provinciale, a fronte dell’eccezione, sollevata dall’Agenzia delle entrate, di tardività del ricorso perchè proposto oltre il sessantesimo giorno dalla notifica degli atti impositivi, con atto di citazione dinanzi al Tribunale di Firenze proponeva querela di falso in ordine alla data del 10/11/2005 apposta sui due avvisi di ricevimento delle raccomandate postali di spedizione dei predetti atti impositivi, sostenendo che i plichi erano stati invece recapitati il successivo 11/11/2005;
– che la domanda avanzata dalla società veniva dichiarata improcedibile dal Tribunale di Pistoia per omessa conferma della querela a norma dell’art. 99 disp. att. c.p.c., e, quindi, dichiarata inammissibile dalla Corte di appello di quella città “per irrimediabile carenza degli elementi di prova dedotti a supporto”;
– che avverso tale statuizione la società attrice ricorre per cassazione sulla base di un unico motivo, variamente articolato, cui replica l’Agenzia delle entrate con controricorso;
– che la Corte, regolarmente costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380-bis c.p.c., ha disposto la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata.
CONSIDERATO
– che con il motivo di cassazione il ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 (prima censura) nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo (seconda censura);
– che il vizio procedurale dedotto nella prima censura è palesemente inammissibile perchè la violazione dell’art. 112 c.p.c. è soltanto prospettata nella rubrica del ricorso senza che nel motivo venga sviluppata una qualche argomentazione al riguardo;
– che è infondata, invece, la censura con cui la ricorrente deduce l’omesso esame di fatti decisivi, nella specie rappresentati dai timbri postali apposti sulle buste contenenti gli avvisi di accertamento, riportanti, a detta della ricorrente, la data dell’I 1 novembre 2005;
– che, al riguardo, deve ricordarsi che secondo l’insegnamento del Supremo consesso di questa Corte (Cass., Sez. U., n. 8053 del 2014), cui hanno fatto seguito numerose pronunce conformi delle sezioni semplici (tra cui Cass. n. 23238 del 2017), l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., così come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, ossia idoneo a determinare un esito diverso della controversia, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie;
– che, nella fattispecie, quelli cui ha fatto riferimento la ricorrente, ovvero l’esistenza di timbri postali con la data dell’11/11/2005 apposti sul retro delle buste contenenti gli avvisi di accertamento, su cui peraltro sembrava essere presente “una leggera abrasione della carta in corrispondenza del numero indicante l’unità del giorno 11” (come affermato dal Tribunale di Pistoia nella sentenza di primo grado riprodotta in parte qua a pag. 6 del ricorso), erano elementi assolutamente privi di decisività, idonei soltanto a far dubitare la ricorrente della falsità della data apposta sugli avvisi di ricevimento delle raccomandate postali, chiaramente indicata in quella del 10/11/2005, ma di certo non a determinare un esito diverso della controversia; tant’è vero che la formulazione di prova testimoniale era diretta a superare tale evidente incertezza;
– che, sotto tale ultimo profilo, avendo fatto corretta applicazione del consolidato principio giurisprudenziale in base al quale “la formulazione dell’art. 221 c.p.c., secondo cui la proposizione della querela deve contenere, a pena di nullità, l’indicazione degli elementi e delle prove poste a sostegno dell’istanza, indica in modo non equivoco che il giudice di merito davanti al quale sia stata proposta la querela di falso è tenuto a compiere un accertamento preliminare per verificare la sussistenza o meno dei presupposti che ne giustificano la proposizione, finendosi diversamente per dilatare i tempi di decisione del processo principale, in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., comma 2” (Cass., Sez. U., n. 15169 del 2010), la statuizione di appello è incensurabile e, per vero, neanche censurata dalla ricorrente che lamenta soltanto l’omesso esame di quei fatti che si è detto non essere decisivi;
– che, in estrema sintesi, il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali nella misura liquidata in dispositivo ai sensi del Decreto Ministeriale Giustizia n. 55 del 2014.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della 1. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma il 07/02/2018