Sentenza 63/2017
Equa riparazione da irragionevole durata di un processo civile – Termine di proponibilità della domanda – Decorrenza
In tema di equa riparazione da irragionevole durata di un processo civile conclusosi innanzi alla Corte di cassazione con una decisione di rigetto (o inammissibilità o decisione nel merito) del ricorso, ai fini della decorrenza del termine di cui all’art. 4 della l. n. 89 del 2001- il cui “dies a quo” è segnato dalla definitività del provvedimento conclusivo del procedimento nell’ambito del quale si assume verificata la violazione – occorre avere riguardo alla data di deposito della decisione della Corte, quale momento che determina il passaggio in giudicato della sentenza, a ciò non ostando la pendenza del termine per la revocazione, ex art. 391 bis c.p.c.
Corte di Cassazione, Sezione 6 civile, Sentenza 3 gennaio 2017, n. 63 (CED Cassazione 2017)
RITENUTO IN FATTO
Ritenuto che (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
che il consigliere designato dichiarava il ricorso inammissibile, atteso che la sentenza della Corte di cassazione che aveva definito il giudizio doveva ritenersi divenuta irrevocabile il 9 ottobre 2012, trovando applicazione per le decisioni della Corte di cassazione non l’articolo 395 c.p.c., nn. 4 e 5, cui si riferisce l’articolo 324 dello stesso codice, ma l’articolo 391 – bis c.p.c., a tenore del quale la pendenza del termine per la revocazione della sentenza della Corte di cassazione non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza impugnata con il ricorso respinto;
che avverso questo decreto i ricorrenti proponevano opposizione ai sensi della L. n. 89 del 2001, articolo 5 – ter;
che la Corte d’appello di Perugia, in composizione collegiale, rigettava l’opposizione;
che per la cassazione del decreto di rigetto i ricorrenti in epigrafe indicati hanno proposto ricorso sulla base di un unico motivo;
che il Ministero della giustizia ha resistito con controricorso;
che i ricorrenti hanno depositato memoria in prossimità dell’udienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Considerato che con l’unico motivo di ricorso – violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto della L. n. 89 del 2001, articolo 4, articoli 324, 391 – bis e 395 c.p.c. – i ricorrenti, premesso che il giudizio presupposto si era concluso con una decisione della Corte di cassazione a loro favorevole (reiezione del ricorso proposto dalla controparte), sostengono che il termine di proposizione della domanda di equa riparazione decorreva dalla data in cui avverso la sentenza di questa Corte, depositata il 9 ottobre 2012, non era più proponibile alcuna impugnazione, e segnatamente quella per revocazione ordinaria ai sensi degli articoli 324 e 395 c.p.c., e invocano a sostegno del proprio assunto Cass. n. 15778 del 2010;
che pertanto, sostengono i ricorrenti, posto che la sentenza di questa Corte a conclusione del giudizio presupposto era stata depositata il 9 ottobre 2012 e non era stata notificata, la stessa doveva ritenersi divenuta definitiva il 9 ottobre 2013 e rispetto a tale data la domanda di equa riparazione era certamente tempestiva;
che nella citata sentenza n. 15778 del 2010, proseguono i ricorrenti, si è appunto affermato il detto principio con riferimento al procedimento che si svolge dinnanzi alla Corte dei conti, sicchè ove non si pervenisse ad analoga conclusione con riguardo al giudizio di cassazione, non potrebbe non sollevarsi questione di legittimità costituzionale dell’articolo 391 – bis c.p.c., comma 4, in riferimento agli articoli 3 e 117 Cost., per la ritenuta vincolatività della preclusione di cui alla citata disposizione per la parte risultata vittoriosa nel giudizio di cassazione, essendo la proponibilità della revocazione idonea a precludere il passaggio in giudicato della sentenza;
che il ricorso è infondato alla luce del condiviso principio per cui “in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai fini della decorrenza del termine di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, articolo 4, il cui dies a quo è segnato dalla definitività del provvedimento conclusivo del procedimento, nell’ambito del quale la violazione si assume violata, occorre aver riguardo al momento del deposito della decisione della Corte di cassazione, la quale, nel caso di rigetto (o dichiarazione di inammissibilità) del ricorso, determina il passaggio in giudicato della sentenza, non essendo lo stesso impedito dalla pendenza del termine per la revocazione ex articolo 391 bis c.p.c.” (Cass. n. 21863 del 2012);
che deve solo aggiungersi che ai fini della decorrenza del termine per la proposizione della domanda di equa riparazione è indifferente che la parte che propone tale domanda sia risultata vittoriosa nel giudizio di cassazione per effetto della reiezione del ricorso proposto dalla controparte, atteso che è solo l’accoglimento del ricorso che, determinando la cassazione della sentenza impugnata impedisce il passaggio in giudicato della stessa (a meno che la Corte non decida nel merito: ipotesi, questa, certamente non ricorrente nel caso di specie); che, d’altra parte, il principio affermato da questa Corte nella sentenza n. 15778 del 2010 con riferimento alla domanda di equa riparazione relativa a giudizio presupposto che si sia svolto dinnanzi alla Corte dei conti, il cui ordinamento prevede la revocazione proponibile in un termine di tre anni, è stato superato dalla successiva giurisprudenza di questa Corte, la quale ha affermato il diverso principio per cui “in caso di irragionevole durata del giudizio di appello della Corte dei conti, la domanda di equa riparazione, ai sensi della L. n. 89 del 2001, articolo 4, (nel testo originario, applicabile ratione temporis), può essere proposta anche all’esito del giudizio di revocazione ordinaria, sempre che questo sia stato introdotto entro sei mesi dal deposito della sentenza che ha concluso il giudizio presupposto, essendo irrilevante, perchè assolutamente straordinario, il termine di tre anni previsto per la revocazione dal Regio Decreto n. 1214 del 1934, articolo 68” (Cass. n. 25179 del 2015);
che tale approdo consente anche di ritenere manifestamente infondata la prospettata questione di legittimità costituzionale dell’articolo 391 – bis c.p.c.;
che il ricorso va quindi rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, come liquidate in dispositivo;
che, risultando dagli atti del giudizio che il procedimento in esame è considerato esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al dell’articolo 13, comma 1 – quater, del testo unico approvato con il Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.