Ordinanza 6346/2023
Spese giudiziali – Agli avvocati dell’I.N.P.S. non vanno liquidate I.V.A. e C.P.A.
Agli avvocati dell’I.N.P.S. non vanno liquidate I.V.A. e C.P.A.: la prima non è dovuta in quanto essi sono dipendenti dell’ente, sicché la prestazione lavorativa resa non costituisce né una cessione di beni, né un’erogazione di servizi nell’esercizio di una professione, rilevanti ai sensi del d.P.R. n. 633 del 1972; la C.P.A. non compete in quanto sono iscritti ad un albo speciale con apposita gestione separata e non alla Cassa previdenza avvocati.
Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Ordinanza 2-3-2023, n. 6346 (CED Cassazione 2023)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso del 2 luglio 2013 (OMISSIS), dipendente pubblica inserita nei ruoli del personale ex INPDAP con contratto a tempo indeterminato e posizione economica B2, ha convenuto davanti al Tribunale di Torino l’INPS per sentire accertare e dichiarare che aveva svolto mansioni riconducibili a quelle proprie dell’area C, posizione economica C1 o, in subordine, B, posizione economica B3, con condanna dell’amministrazione a corrispondere Euro 13.871,99.
Il Tribunale di Torino, nel contraddittorio delle parti, con sentenza parziale n. 483/2016, ha accertato che la ricorrente aveva svolto dal 22 marzo 2004 al 29 settembre 2009 mansioni ascrivibili all’area C, posizione economica C1.
Successivamente, con sentenza definitiva n. 1077/2016, ha condannato l’INPS a corrispondere Euro 11.318,53.
L’INPS ha proposto appello contro entrambe le sentenze.
La Corte d’appello di Torino, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 814/2016, ha accolto gli appelli, rigettando tutte le domande di (OMISSIS).
(OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.
L’INPS ha resistito con controricorso.
La ricorrente ha depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 13 CCNL dipendenti enti pubblici, 45-52 Decreto Legislativo n. 165 del 2001, artt. 36 e 97 Cost., art. 2099 c.c., art. 111 Cost., artt. 116, 132, 246, 352 e 359 c.p.c. perchè la corte territoriale avrebbe errato nell’affermare che, requisito per lo svolgimento di mansioni riconducibili all’area C, fosse non solo lo svolgimento di tutto o quasi il processo produttivo, ma anche un grado di responsabilità che non caratterizzava l’area B.
La doglianza è infondata.
La più recente giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. L, n. 8683 del 9 aprile 2018, non massimata; Cass., Sez. L, n. 14204 del 4 giugno 2018, non massimata), il cui orientamento si ritiene di confermare, ha chiarito che il CCNL 16 febbraio 1999 per i dipendenti del comparto enti pubblici non economici inserisce nell’area B il personale “strutturalmente inserito nel processo produttivo” che svolge “fasi o fasce di attività nell’ambito di direttive di massima e di procedure predeterminate attraverso la gestione delle strumentazioni tecnologiche”, valuta i casi concreti, interpreta le istruzioni operative e “risponde dei risultati secondo la posizione rivestita”. La declaratoria allegata al contratto precisa, poi, che la posizione B2 presuppone una “effettiva capacità di controllo delle fasi e/o attività del processo in sintonia con il complesso dell’ambiente operativo; attitudini di problem solving con riferimento alla linea operativa; capacità di reperire le informazioni necessarie per le attività da svolgere e di operare con l’impiego delle strumentazioni informatiche e telematiche”. All’area C appartiene, invece, il personale “competente a svolgere tutte le fasi del processo” che opera “a livelli di responsabilità di diversa ampiezza secondo lo sviluppo del curriculum”, e, quindi, differenziata in ragione della pluralità di ruoli organizzativi, di tipo sia gestionale (operatore di processo, facilitatore di processo, responsabile di processo, responsabile di struttura) che professionale (esperti di progettazione, specialisti di organizzazione). Nella declaratoria generale dell’area si precisa che il personale nella stessa inserito “costituisce garanzia di qualità dei risultati, della qualità, di circolarità delle comunicazioni interne, di integrazione delle procedure, di consulenza specialistica”. La posizione C1 presuppone “conoscenze ed esperienze idonee ad assicurare la capacità di gestire regolare i processi di produzione; attitudini al problem solving rapportate al particolare livello di responsabilità; capacità di operare orientando il proprio contributo all’ottimizzazione del sistema, contribuendo al monitoraggio della qualità; capacità di gestire le varianza del processo in funzione del cliente”. L’area C, quindi, si caratterizza rispetto a quella inferiore, oltre che per il diverso livello di conoscenze richiesto al dipendente, per la capacità di quest’ultimo di svolgere tutte le fasi del processo, garantendo la qualità del risultato e con assunzione di responsabilità che, seppure graduata con riferimento allo sviluppo professionale all’interno dell’area stessa, è elemento richiamato in tutti i profili. Al contrario, il personale dell’area B, il quale esegue fasi di attività nell’ambito di direttive di massima e di procedure predeterminate, si limita a “rispondere dei risultati secondo la posizione rivestita”, circoscritta alla singola fase, nell’ambito della quale è tenuto solo ad “orientare il contributo professionale ai risultati complessivi del gruppo”.
Anche la declaratoria allegata al CCNL 1 ottobre 2007 individua gli elementi caratterizzanti la professionalità propria del personale di area C da un lato nella capacità di assicurare il “presidio di importanti e diversi processi”, gestendoli “sulla base di una visione globale degli stessi e della struttura organizzativa di appartenenza”, dall’altro nella “capacità di assumere responsabilità di produzione di risultato, relativamente agli obiettivi assegnati”. L’area B, invece, è riservata ai dipendenti assegnati a svolgere “fasi di attività del processo, nell’ambito di direttive di massima e di procedure predeterminate” e chiamati a rispondere “dei risultati nel proprio contesto di lavoro”.
La corte territoriale ha, quindi, correttamente interpretato le disposizioni del CCNL, evidenziando che i tratti differenziali essenziali fra il personale delle due aree vanno individuati nello svolgimento o meno di tutte le fasi del processo e nel livello di responsabilità attribuita ed aggiungendo che per l’area C l’ampiezza diversa e la gradualità della responsabilità, che deve comunque sussistere, discendono dalla presenza di diversi livelli di sviluppo all’interno dell’area stessa.
In particolare, la S.C. non ha ravvisato alcun contrasto con i precedenti rappresentati da Cass., Sez. L, n. 12407 del 21 maggio 2013, n. 15934 del 25 giugno 2013, e n. 9344 del 28 aprile 2014 perchè le decisioni richiamate (pronunciate in fattispecie nelle quali i giudici di merito avevano accertato che il dipendente era preposto all’espletamento di attività complesse e non meramente esecutive, era in grado di gestire tutte le fasi del ciclo produttivo con ampi margini di iniziativa e di autonomia e, attingendo al proprio patrimonio di competenze e professionalità, adottava di volta in volta le soluzioni del caso richieste dalle singole problematiche), oltre a valorizzare lo svolgimento di tutte le fasi del processo, in relazione alla responsabilità non ne hanno ritenuto la irrilevanza, ma hanno solo affermato, che la stessa non va confusa con l’assunzione formale della responsabilità del processo e, quindi, è compatibile con la cosiddetta “validazione” e con il controllo della globalità del lavoro da parte di un superiore inquadrato in C3 (Cass., Sez. L, n. 8683 del 9 aprile 2018, non massimata).
Pertanto, va ribadito il principio per cui, in tema di inquadramento del personale, i lavoratori appartenenti all’area C del CCNL enti pubblici non economici del 1999 hanno competenza a svolgere tutte le fasi del processo, con conseguente assunzione di responsabilità, pur con ampiezza diversa in funzione del diverso livello di sviluppo ricoperto all’interno dell’area; il personale dell’area B, invece, esegue fasi di attività nell’ambito di direttive di massima e di procedure predeterminate, rispondendo solo dei risultati relativi alla singola fase. Pertanto, per il riconoscimento delle mansioni superiori riconducibili all’area C occorre verificare la competenza in capo al lavoratore a svolgere tutte le fasi del processo, senza che sia necessario anche l’effettivo svolgimento di tutte le fasi (Cass., Sez. L, n. 27395 del 25 ottobre 2019).
2) Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 13 CCNL dipendenti enti pubblici, Decreto Legislativo n. 165 del 2001, artt. 45 e 52, artt. 36 e 97 Cost., art. 2099 c.c., art. 111 Cost., artt. 116, 132, 352 e 359 c.p.c., nonchè l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio perchè la corte territoriale avrebbe valutato in maniera illogica le testimonianze assunte e i documenti prodotti e non avrebbe tenuto conto dell’inattendibilità delle deposizioni dei testi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
La doglianza è inammissibile, in quanto il potere di apprezzamento delle prove del giudice (compresa la scelta delle testimonianze da porre a fondamento della decisione e la relativa valutazione di attendibilità delle stesse) non è sindacabile in sede di legittimità.
Peraltro, il giudice di appello ha compiutamente motivato il suo giudizio da pag. 9 a pag. 12, chiarendo che la ricorrente non era responsabile del processo, era priva di poteri decisionali e gestionali delle relazioni esterne anche con altri enti e non era in grado di risolvere problemi ad elevata complessità, per i quali era competente il suo superiore gerarchico. Essa, infatti, svolgeva una grande fase dell’attività di vendita all’asta, operando sempre nell’ambito di direttive non solo di massima, ma, talora, pure specifiche e cogenti, all’interno di procedure predeterminate e con autonomia limitata.
3) Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 13 CCNL dipendenti enti pubblici, Decreto Legislativo n. 165 del 2001, art. 52, artt. 36 e 97 Cost., art. 2099 c.c., artt. 116, 132, 352 e 359 c.p.c., nonchè l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio perchè la corte territoriale non si sarebbe pronunciata sulla sua domanda di riconoscimento delle differenze retributive a lei spettanti in quanto, pur avendo svolto mansioni B3, era stata inquadrata formalmente come livello A2.
La doglianza è infondata, in quanto la Corte d’appello di Torino ha accertato che la ricorrente era stata inquadrata come B1 e che le mansioni eseguite erano conformi a tale qualificazione.
4) Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, art. 1, L. n. 247 del 2012, artt. 21 e 23, e l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio poichè la corte territoriale avrebbe errato nel riconoscere agli avvocati dell’INPS, dipendenti di quest’ultimo ente, oltre ai compensi professionali, l’IVA e la CPA.
La doglianza merita accoglimento, in quanto gli avvocati dell’INPS sono dipendenti di quest’ultimo ente, con la conseguenza che la prestazione da loro resa in favore di detta P.A. non è assoggettata ad IVA ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, non venendo in rilievo una cessione di beni od una prestazione di servizi nell’esercizio di una professione.
Inoltre, essi non sono iscritti all’albo ordinario degli avvocati, ma ad un albo speciale e, quindi, non alla Cassa previdenziale degli Avvocati, ma ad una apposita gestione separata, al che consegue la non debenza della CPA.
5) Il ricorso è accolto limitatamente al quarto motivo, respinti il primo ed il terzo ed inammissibile il secondo.
La sentenza impugnata è cassata in relazione al motivo accolto e, non essendo necessari accertamenti di fatto, la causa è decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto delle domande originarie della ricorrente e condanna della stessa a rifondere all’INPS le spese del doppio grado di merito, che liquida nella stessa misura indicata nella sentenza impugnata, con esclusione di IVA e CPA.
Le spese di lite del giudizio di legittimità sono compensate per 1/4, in ragione del parziale accoglimento del ricorso, e sono poste per la restante parte a carico della ricorrente, come liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, – accoglie il quarto motivo, rigetta il primo ed il terzo e dichiara inammissibile il secondo;
– cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta le domande originarie della ricorrente e condanna la stessa a rifondere all’INPS le spese del doppio grado di merito, che liquida nella stessa misura indicata nella sentenza impugnata, con esclusione di IVA e CPA;
– compensa le spese di legittimità per 1/4 e condanna la ricorrente a pagare i residui 3/4 all’INPS, che liquida in Euro 3000,00, oltre spese generali nella misura del 15%.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 25 gennaio 2023.