Ordinanza 6397/2023
Appello proposto da società estinta – Inammissibilità – Rilevabilità d’ufficio in sede di legittimità – Produzione della documentazione relativa ex art. 372 cpc
L’appello proposto da una società estinta è inammissibile e tale vizio è rilevabile d’ufficio in sede di legittimità, qualora sul punto non si sia formato il giudicato; a tal fine, la parte originariamente appellata, che ricorra per cassazione, è ammessa a produrre, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., i documenti comprovanti la suddetta estinzione, essendo quello della proposizione dell’impugnazione il momento in cui è tenuta a verificare l’esistenza del soggetto cui deve notificarla.
Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 3-3-2023, n. 6397 (CED Cassazione 2023)
Art. 372 cpc (Produzione di altri documenti in cassazione)
Rilevato che:
Con citazione notificata il 19 aprile 2012 (OMISSIS)
& C. conveniva davanti al Tribunale di (OMISSIS) il Comune di (OMISSIS) per
ottenerne la condanna al risarcimento di danni subiti da un immobile che gli
aveva locato con contratto del 20 settembre 2005 e che il conduttore le aveva
riconsegnato per recesso anticipato il 30 giugno 2009; i danni sarebbero
derivati dall’inadempimento del Comune dell’obbligo di manutenzione, e in
relazione a essi l’attrice aveva promosso un accertamento tecnico preventivo
poco tempo dopo la riconsegna.
Il Comune di (OMISSIS) si costituiva resistendo e chiamando in causa la
Provincia di (OMISSIS), che dell’immobile era stata l’utilizzatrice: il Comune,
infatti, glielo aveva messo a disposizione per le sezioni circoscrizionali per
l’impiego, come imposto alle amministrazioni comunali dall’articolo 3 I. 28
febbraio 1987 n.56.
La Provincia si costituiva a sua volta resistendo e chiamando in causa (OMISSIS)
S.p.A., con cui aveva stipulato contratto assicurativo; quest’ultima pure si
costituiva, eccependo la scopertura del sinistro dall’ambito della polizza e
comunque resistendo alla domanda risarcitoria di (OMISSIS).
Il Tribunale, convertito il rito ordinario in locatizio, acquisita la relazione frutto
dell’accertamento tecnico preventivo e svolta una istruttoria testimoniale, con
sentenza del 25 novembre 2016 rigettava la domanda, ritenendo che i danni
sarebbero derivati “da un uso del locale conforme alla destinazione pattuita” e
dalla vetustà dell’immobile, conseguentemente escludendone ogni
responsabilità del conduttore.
(OMISSIS) proponeva appello, cui resistevano tutte le controparti.
La Corte d’appello di Ancona, con sentenza del 20 novembre 2019, accoglieva
il gravame reputando che non fosse stata espletata o che fosse stata espletata
non adeguatamente l’attività di ordinaria manutenzione, e condannando quindi
il Comune a risarcire l’appellante nella misura di euro 73.472,47 oltre Iva e
accessori; poiché l’immobile era stato utilizzato dalla Provincia, la corte
affermava essere “ragionevole ritenere che l’attività di ordinaria
amministrazione non sia stata eseguita proprio dalla stessa Provincia”, e
pertanto condannava quest’ultima a tenere indenne il Comune, rigettandone
invece la domanda nei confronti della compagnia assicuratrice.
La Provincia di (OMISSIS) ha presentato ricorso, articolato in cinque motivi. Si è
difesa con controricorso (OMISSIS), presentandosi come
già (OMISSIS) & C. s.a.s., che ha proposto pure ricorso
incidentale basato su un unico motivo. Si è difeso anche il Comune di
(OMISSIS), a sua volta proponendo ricorso incidentale composto in tre motivi.
Avverso il ricorso incidentale del Comune ) (OMISSIS) si è difeso con controricorso,
mentre il Comune si è difeso con controricorso avverso il ricorso incidentale di
(OMISSIS). La Provincia, infine, ha depositato memoria.
Considerato che:
1. Va anzitutto esposto il contenuto del ricorso della Provincia di (OMISSIS).
1.1 II primo motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360, primo comma, n.4
c.p.c., nullità della sentenza e del procedimento d’appello, essendo stato
questo proposto da una società estinta, nonché, in riferimento all’articolo 360,
primo comma, n.3 c.p.c., violazione degli articoli 75, 77, 83, 110, 163, terzo
comma, n.2, e 164, primo comma, c.p.c. nonchè 2495 c.c.
Osserva la ricorrente che (OMISSIS) & C. “risulta
cancellata dal registro delle imprese con decorrenza 30/03/2015”, e dunque
anteriormente alla notifica dell’atto d’appello avvenuta il 9 maggio 2017, e
altresì anteriormente alla pubblicazione della sentenza del Tribunale di
(OMISSIS), avvenuta il 25 novembre 2016. Quindi l’appello sarebbe stato
proposto quando la società era da tempo estinta, ovvero carente di
legittimazione attiva e capacità processuale.
La giurisprudenza di questa Suprema Corte (si invocano Cass. nn. 15677 e
27480 del 2019) avrebbe anche di recente ribadito che, in forza dell’articolo
2945 c.c., la cancellazione dal registro delle imprese sulla società ha effetto
estintivo, attuantesi in coincidenza con la cancellazione stessa; di qui
l’inammissibilità dell’impugnazione, pure confermata dal giudice di legittimità
(si vedano S.U. nn. 6070 e 6071 del 2013 nonché le successive Cass. nn.
13183 e 19580 del 2017 e Cass. n. 2840 del 2018).
La ricorrente adduce di avere “scoperto” questo difetto della società “solo
recentemente dopo il deposito della pronuncia ora oggetto di impugnazione”,
ma rimarca che il vizio è insanabile, ancora invocando, come caso analogo,
Cass. n. 27480 del 2019; e la produzione della visura storica della società
rilasciata il 7 gennaio 2020 dalla C.C.I.A.A. delle (OMISSIS), attestante l’avvenuta
cancellazione dal registro delle imprese il 30 marzo 2015, sarebbe ammissibile
ex articolo 372 c.p.c. “senza vincoli di giudicato neppure implicito”, come pure
emergerebbe dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte (si citano, tra le
altre, Cass. nn. 4248 e 9334 del 2016 e ancora Cass. n. 27480 del 2019).
La sentenza qui impugnata sarebbe dunque “nulla, o per meglio dire,
radicalmente inesistente” (cfr. Cass. n. 12292 del 2001).
La società inoltre si sarebbe già estinta quando, il 9 maggio 2017, venne
rilasciata la procura alle liti all’avvocato Manfredi per proporre
l’appello, onde il procuratore alle liti sarebbe stato privo di jus postulandi (si
veda Cass. n. 32933 del 2018), non potendosi neppure ritenere che il mandato
sia stato conferito dal socio, in quanto dal mandato risulterebbe
inequivocabilmente che il mandatario “agisce esclusivamente in
rappresentanza della società”.
Si conclude prospettando la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata
per nullità/inesistenza della sentenza stessa e dell’intero giudizio d’appello.
1.2 D secondo motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360, primo comma,
n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 346, 112 c.p.c. e 3 I. 28
febbraio 1987 n. 56.
Costituendosi in primo grado, il Comune di (OMISSIS) aveva proposto domanda
di garanzia e manleva nei confronti dell’attuale ricorrente (si trascrivono le
conclusioni della prima memoria ex articolo 183, sesto comma, c.p.c.).
Rigettando la domanda attorea, il Tribunale non era entrato nell’esame di tale
domanda; nella comparsa di costituzione in appello, peraltro, il Comune
avrebbe poi chiesto soltanto il rigetto del gravame e la conferma della
sentenza impugnata, non riproponendo la domanda suddetta.
La domanda di garanzia e manleva dovrebbe pertanto intendersi rinunciata, in
considerazione dell’articolo 346 c.p.c. Inammissibilmente invece la corte
territoriale si sarebbe pronunciata al riguardo, condannando l’attuale ricorrente
“a tenere indenne il Comune”, e così violando gli articoli 346 e 112 c.p.c. –
incorrendo infatti anche in ultrapetizione -.
La decisione del giudice d’appello su garanzia e manleva sarebbe comunque
erronea perché avrebbe violato l’articolo 3 I. 28 febbraio 1987 n. 56, di cui la
Provincia avrebbe “invocato la corretta applicazione … sin dalla sua costituzione
in giudizio davanti al Tribunale”, reiterando poi l’eccezione nell’atto di
costituzione in appello.
Da ciò deriverebbe ancora la cassazione senza rinvio della sentenza
impugnata.
1.3 Il terzo motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360, primo comma, n.3
c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1575, primo comma,
1576, 1587, 1590 e 1609 c.c.
Si osserva che la corte territoriale ha richiamato l’articolo 1590 c.p.c. e il
conforme articolo 8 del contratto locatizio, deducendone che “tutti gli
inconvenienti riscontrati dal CTU al termine della locazione fossero addebitabili
a mancata/carente manutenzione ordinaria da parte del conduttore”, come
avrebbe concluso il consulente a seguito di quesiti integrativi a lui sottoposti
dallo stesso giudice d’appello. In tal modo sarebbe stata violata la normativa
invocata in rubrica.
Inoltre nella relazione di consulenza tecnica depositata in appello
(precisamente nelle sue pagine 14-16), per rispondere al quesito con cui la
corte territoriale aveva chiesto quali degli inconvenienti già rinvenuti
“avrebbero potuto essere eliminati mediante manutenzione ordinaria”, il
consulente tecnico d’ufficio avrebbe richiamato soltanto l’articolo 3 d.p.r.
380/2001, “Definizione degli interventi edilizi”, e il Glossario delle opere
effettuabili in edilizia libera e non necessitanti di autorizzazione pubblicato in
G.U. 7 aprile 2018. Da ciò il consulente avrebbe dedotto – aderendogli poi la
corte – che “tutte le tipologie di interventi previsti per l’eliminazione completa
dei difetti riscontrati, cioè il rifacimento della pavimentazione, il ripristino
dell’impianto elettrico, dati e telefonico, il rifacimento della tinteggiatura con
tutte le opere necessarie a corredo delle lavorazioni stesse”, dovessero
qualificarsi manutenzione ordinaria, non tenendo in conto che i quesiti non
concernevano un contenzioso in materia edilizia, bensì in materia locatizia; e in
quest’ultimo contenzioso non si sarebbe potuto distinguere la manutenzione
ordinaria da quella straordinaria in base alla normativa edilizia, che avrebbe “la
peculiare finalità della individuazione dei limiti della libertà dell’intervento
edilizio”.
Il riferimento corretto sarebbe dunque quello al codice civile, che nella
ripartizione delle spese di manutenzione tra locatore e conduttore si
rapporterebbe “al concetto quantitativo della tenuta della spesa e a quello della
riferibilità causale della stessa spesa all’uso normale del bene”, affidando
dunque al conduttore soltanto le spese di “piccola manutenzione” alla luce di
una complessiva valutazione “della modesta entità del loro valore economico,
della destinazione dell’immobile e dei corrispondenti obblighi di custodia del
locatario, degli usi locali” (Cass.n. 2181/1978), il resto competendo al locatore.
Proprio per questa “erronea individuazione” sarebbe stato gravato il conduttore
di opere e spese estranee al dettato codicistico, quali, per esempio, il
rifacimento completo della pavimentazione e il rifacimento mediante
smontaggio e rimontaggio di tutti gli impianti tecnologici.
Il giudice d’appello avrebbe altresì ritenuto, in sostanza, che la vetustà e/o
l’inevitabile deterioramento sarebbero stati “comunque evitabili dal conduttore
con opere di manutenzione ordinaria”, giungendo così a violare l’articolo 1590,
primo comma, c.c. nel senso che “ciascun conduttore dovrebbe rispondere
anche del deterioramento o del consumo risultante dall’uso della cosa locata”.
La sentenza dovrebbe pertanto essere cassata nella parte in cui condanna il
Comune “al pagamento di un importo pari alla somma ritenuta necessaria per
l’effettuazione di tutte le opere di manutenzione ordinaria senza invece
correttamente escludere le spese di manutenzione, sia ordinaria che
straordinaria, che facevano capo al locatore quale modalità di adempimento
della fondamentale obbligazione di mantenere la cosa in buono stato e in modo
da servire all’uso cui era destinata”.
1.4 D quarto motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360, primo comma,
n.3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli articoli 115 c.p.c., 1223,
1224, 1226, 2043 e 2056 c.c.
Si rileva che la Corte d’appello ha riconosciuto all’appellante un risarcimento di
euro 73.472,47, ritenuto congruo alla luce della risposta al secondo e specifico
quesito posto al consulente tecnico d’ufficio dalla stessa corte, cioè di
determinare “i costi necessari sia per l’eliminazione degli inconvenienti
riscontrati sia per quelli eliminabili con la manutenzione ordinaria”; e
determinandoli nella suddetta somma, il consulente tecnico d’ufficio aveva
condiviso quanto indicato nella perizia di parte fornita dall’appellante. Peraltro
la corte “nell’indicare tale somma l’ha ritenuta congrua con riferimento alla
data di rilascio dell’immobile ovvero alla data della domanda risarcitoria”, bensì
“nell’attualità e quindi con riferimento al maggio 2019”. Ma “la somma indicata
dal perito quale importo per l’eliminazione degli inconvenienti lamentati,
somma utilizzata dalla Corte per la determinazione del quantum della
condanna, risultava già da quest’ultimo attualizzata alla data di redazione della
perizia (2019)”, per cui non si sarebbe dovuto riconoscere alcuna ulteriore
voce di danno, neppure da svalutazione monetaria, “pena una inammissibile
duplicazione del risarcimento”.
1.5 II quinto motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360, primo comma, n.3
c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 4 delle condizioni generali
del contratto di assicurazione “responsabilità civile rischi diversi” stipulato dalla
ricorrente con la (OMISSIS), nonché violazione degli articoli 1362, 1363,
1364, 1366 e 1367 c.c. quanto all’interpretazione del contratto.
Si sostiene che la corte territoriale avrebbe disatteso la domanda dell’attuale
ricorrente in base alla previsione con cui termina il primo comma dell’articolo 4
delle condizioni generali del contratto assicurativo, ovvero l’esclusione dalla
copertura “dei danni direttamente derivanti da atti connessi allo svolgimento
delle funzioni normative, giurisdizionali ed amministrative”, compiendo peraltro
la corte “una lettura parziale e disattenta della norma”. Quest’ultima viene
trascritta, ricostruendone diversamente l’interpretazione nel senso che
“l’assicurazione vale espressamente per la responsabilità della provincia
derivante dalla proprietà e dalla conduzione dei fabbricati nei quali la stessa
esercita le proprie funzioni”, giacché i danni non coperti sarebbero
testualmente riferiti “a quelli derivanti direttamente da atti connessi allo
svolgimento delle funzioni normative, giurisdizionali ed amministrative”, come,
per esempio, “per restare nell’ambito amministrativo”, i danni causati a terzi
con un atto illegittimo.
Una diversa interpretazione come quella sposata dalla corte territoriale
significherebbe “privare l’intero contratto di ogni significato”. Ne dovrebbe
conseguire pertanto cassazione con rinvio.
2. Deve ora riassumersi il ricorso incidentale del Comune di (OMISSIS).
2.1 Il primo motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360, primo comma, n.3
c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli articoli 75, 83, 110 c.p.c. e 2945
c.c. per essere l’appello inammissibile in quanto proposto da società estinta per
intervenuta cancellazione e comunque mancanza di valida procura alle liti;
denuncia altresì, “in ogni caso” in riferimento all’articolo 360, primo comma,
n.4 c.p.c., nullità della sentenza e del giudizio di appello per essere stato
l’appello proposto da società estinta per antecedente cancellazione dal registro
delle imprese.
Il contenuto di questo motivo sostanzialmente coincide con quello della prima
censura presente nel ricorso principale della Provincia di (OMISSIS).
2.2 Il secondo motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360, primo comma,
n.3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1575, primo comma,
1587, 1590 e 1609 c.c.
Anche questo motivo propone un contenuto sostanzialmente coincidente con
quello del terzo motivo presente nel ricorso principale della Provincia di
(OMISSIS).
2.3 Il terzo motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360, primo comma, n.3
c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1123 e 1224 c.c.
Il motivo coincide, in sostanza, pur presentando anche argomentazioni non del
tutto identiche, con quanto denuncia il quarto motivo proposto nel ricorso,
principale della Provincia di (OMISSIS), in quanto lamenta un doppio addebito
della rivalutazione nella determinazione della somma risarcitoria.
3. Il ricorso incidentale di (OMISSIS) di (OMISSIS) propone un unico
motivo, denunciante, in relazione all’articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c.,
violazione degli articoli 1175, 1177 e 1590 c.c. “per aver erroneamente la
Corte d’Appello addossato al proprietario dell’immobile la prova che, durante il
tempo necessario per il restauro dell’immobile, egli ha perduto i frutti ricavabili
dalla locazione di esso”.
Si rileva che il giudice d’appello ha rigettato la domanda di risarcimento dei
danni qualificabili come lucro cessante che l’appellante avrebbe proposto per
l’impossibilità di locare a terzi l’immobile prima della sua rimessione in pristino,
affermando: ” … non potrà trovare ristoro il lucro cessante in quanto non è
stata fornita piena prova sulla reale e concreta impossibilità di locare gli edifici
in questione ad altri soggetti, atteso che il contatto avuto tra (OMISSIS) e la
società TAL è stato meramente conoscitivo e non di certo idoneo a costituire
una trattativa contrattuale, così come precisato dalla teste di parte attrice
(Enrica Ferrara)”.
Ad avviso del ricorrente detta teste avrebbe comunque confermato che
“l’impossibilità economica del sig. (OMISSIS) a provvedere alla sistemazione dei
locali rendeva impossibile la chiusura dell’accordo e la stipula del contratto di
locazione con lo TAL (OMISSIS)”. Comunque la decisione del giudice d’appello
sarebbe errata essendo in re ipsa un siffatto danno, e non essendo onerato il
locatore della prova “di aver perduto la possibilità di stipulare un vantaggioso
contratto di locazione nel tempo necessario per il restauro”: in tal caso, in
effetti, oltre ai danni eccedenti il degrado dovuto al normale uso dell’immobile
che il conduttore deve risarcire alla riconsegna, spetterebbe al locatore anche il
canone dovuto per tutto il periodo necessario per la rimessione in pristino,
senza che il locatore debba provare di avere ricevuto richieste di locazione il
cui non accoglimento sarebbe derivato dalla necessità dei lavori (si invocano
Cass. n. 19202 del 2011, Cass. n. 13222 del 2010 e Cass. n. 6417 del 1998).
Invero “il locatore, in caso di anormale usura dell’immobile, ha diritto al
risarcimento del danno consistente sia nella somma di denaro occorrente per
l’esecuzione delle riparazioni imposte dai danni all’immobile provocati dal
conduttore, sia nel mancato reddito ritraibile dalla cosa nel periodo di tempo
necessario per l’esecuzione dei lavori di riparazione” (Cass. n. 6798 del 1993).
4.1 Prendendo le mosse, dunque, dal ricorso principale, se ne deve rilevare
l’inammissibilità nei confronti di (OMISSIS) s.a.s., in quanto proposto contro
un soggetto del quale nel ricorso stesso si è allegata l’inesistenza.
Tale evidente inammissibilità non è superabile mediante il principio di
ultrattività del mandato alla lite evidenziato dalla nota S.U. 4 luglio 2014 n.
15295 – “La morte o la perdita di capacità della parte costituita a mezzo di
procuratore, dallo stesso non dichiarate in udienza o notificate alle altre parti,
comportano, giusta la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, che: a) la
notificazione della sentenza fatta a detto procuratore, ex art. 285 c.p.c., è
idonea a far decorrere il termine per l’impugnazione nei confronti della parte
deceduta o del rappresentante legale di quella divenuta incapace; b) il
medesimo procuratore, qualora originariamente munito di procura alla lite
valida per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre
impugnazione – ad eccezione del ricorso per cassazione, per cui è richiesta la
procura speciale – in rappresentanza della parte che, deceduta o divenuta
incapace, va considerata, nell’ambito del processo, tuttora in vita e capace; c)
è ammissibile la notificazione dell’impugnazione presso di lui, ai sensi dell’art.
330, primo comma, c.p.c., senza che rilevi la conoscenza “aliunde” di uno degli
eventi previsti dall’art. 299 c.p.c. da parte del notificante.” -, considerato che
nel caso in esame l’estinzione della società si allega come avvenuta non
durante il giudizio di appello, ma anteriormente a esso.
4.2 II ricorso principale è invece ammissibile nei confronti di (OMISSIS),
che si è indicato come unico socio della società asseritamente estinta.
(OMISSIS) non si è costituito in proprio in tale qualità, ma ha notificato
controricorso e ricorso incidentale nella asserita qualità di titolare di ditta
individuale che sarebbe stata frutto di una modificazione di (OMISSIS) s.a.s.
Al di là della configurabilità di una simile ipotesi, il principio di conservazione
conduce a ritenere che la costituzione di (OMISSIS), essendo riferibile
comunque alla persona fisica di quest’ultimo – considerato che la ditta
individuale non è un soggetto distinto dalla persona fisica che ne è titolare –
sia avvenuta comunque nella qualità di socio.
4.3 Tanto premesso, il primo motivo del ricorso principale risulta fondato.
4.3.1 Pur non essendo completamente uniforme la giurisprudenza al riguardo,
si reputa di dover aderire a quella linea per cui, qualora la parte che ha omesso
di proporre in appello l’eccezione relativa alla legittimazione ad appellare di
una società già estinta per pregressa sua cancellazione dal registro delle
imprese proponga poi tale eccezione per la prima volta in sede di legittimità,
essa può produrre in forza dell’articolo 372 c.p.c. la documentazione diretta a
provare detta estinzione, “potendo essa astrattamente costituire una causa
determinativa diretta della potenziale nullità della sentenza impugnata” (così
ben si è espressa Cass. sez. 1, 9 maggio 2016 n. 9334).
Questa interpretazione è stata recentemente corroborata proprio da S.U. 4
agosto 2021 n. 22302, che così insegna: “In tema di impugnazione delle
sentenze emesse dalla Sezione disciplinare del CSM dinanzi alle Sezioni Unite
della Corte di cassazione, la produzione di documenti nel corso del giudizio di
legittimità è disciplinata, in ragione delle modalità operative dell’art. 24 del
d.lgs. n. 109 del 2006, dall’art. 372 c.p.c., il quale consente di produrre la
documentazione riguardante la nullità della sentenza impugnata e
l’ammissibilità del ricorso e del controricorso, nonché quella rappresentativa di
vizi propri dell’atto per mancanza dei suoi requisiti essenziali o a supporto di
censure relative a “errores in procedendo” idonei a ripercuotersi sulla validità
della decisione impugnata, posto che, altrimenti, il divieto di produzione di
nuovi documenti concernenti queste ultime (come nei casi di giudizio con
doppio grado di merito) si tradurrebbe in un’ingiustificata limitazione del diritto
di difesa della parte, costituzionalmente garantito.”
4.3.2 D’altronde, la questione dell’essere stato proposto l’appello da un
soggetto inesistente quale la società cancellata e senza che valesse l’ultrattività
del mandato del primo difensore, attenendo all’ammissibilità dell’appello, è
rilevabile d’ufficio in sede di legittimità qualora non si sia formato giudicato al
riguardo in sede appunto d’appello. È inoltre riconoscibile la legittimità della
produzione della documentazione articolo 372 c.p.c. dal momento che, quando
l’appello è proposto da una società cancellata con un nuovo difensore, la parte
appellata, e quindi l’attuale ricorrente principale, non è tenuta a verificare se
tale società esista o meno, per cui non si può imputare alla parte appellata –
ora la ricorrente principale, si ripete – di non avere effettuato tale verifica e di
addurre poi un novum basato su emergenze fattuali introdotte nel giudizio di
cassazione con la relativa documentazione. Invero, di fronte alla sentenza
avverso la quale deve ricorrere per cassazione la parte è tenuta a verificare se
il soggetto cui deve notificare l’impugnazione esiste, e dunque è in quel
momento che deve avere conoscenza, per l’obbligo di tale verifica, della sua
estinzione. Tutto ciò giustifica la produzione dei documenti dimostranti la
cancellazione della società (OMISSIS) già avvenuta all’atto della proposizione
dell’appello, trattandosi di far rilevare il giudicato sulla sentenza di primo grado
per l’inammissibilità dell’appello stesso.
Ciò comporta l’accoglimento del primo motivo e quindi la cassazione della
sentenza d’appello, con conseguente decisione di merito nel senso di
declaratoria di inammissibilità dell’appello; restano evidentemente assorbiti gli
altri motivi e i ricorsi incidentali.
5. In conclusione, dichiarato inammissibile nei confronti di (OMISSIS) s.a.s.,
il ricorso principale risulta ammissibile nei confronti di (OMISSIS) e
fondato quanto al primo motivo, con conseguente cassazione della sentenza
d’appello e decisione in merito nel senso di declaratoria della inammissibilità
dell’appello, assorbiti gli altri motivi e i ricorsi incidentali.
Quanto alle spese processuali, la intensa peculiarità della vicenda processuale
giustifica ampiamente la loro totale compensazione sia per il giudizio di appello sia
per quello di legittimità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso principale nei confronti di (OMISSIS) s.a.s.,
Io dichiara ammissibile e ne accoglie il primo motivo nei confronti di
(OMISSIS), assorbiti gli altri motivi e i ricorsi incidentali, e decidendo nel merito
dichiara l’inammissibilità dell’appello. Compensa le spese processuali sia di
appello che di legittimità.
Così deciso in Roma in data 11 gennaio 2023