Sentenza 6480/2010
Azione nunciatoria avente ad oggetto il ripristino dello stato dei luoghi – Art. 1172 cc – Interpretazione della domanda come richiesta di risarcimento del danno in forma specifica
Qualora l’azione nunciatoria non abbia ad oggetto la richiesta di demolizione di un’opera, bensì il ripristino dello stato dei luoghi, la domanda può essere interpretata come richiesta di risarcimento del danno in forma specifica e, pertanto, quando essa sia avanzata contro l’autore del fatto dannoso, non si verifica un’ipotesi di litisconsorzio necessario tra lo stesso ed il proprietario o comproprietario del fondo sul quale l’opera illegittima è stata eseguita.
Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, Sentenza 17 marzo 2010, n. 6480 (CED Cassazione 2010)
Articolo 1172 c.c. annotato con la giurisprudenza
IN FATTO
Con decreto emesso inaudita altera parte ex articolo 700 c.p.c. il pretore di Taranto autorizzò l’ En. Fe. ad accedere ai fondi di proprietà di Me.Sa. e Le.Gi. – ove erano state colmate gravine destinate alla raccolta delle acque piovane ed eseguiti lavori di trasformazione agraria che avevano alterato il flusso di quelle stesse acque – onde eseguire i lavori di ripristino necessari per la sicurezza della linea ferroviaria.
Il decreto venne successivamente confermato con ordinanza e, all’esito della celebrazione del giudizio di merito, i convenuti vennero condannati allo svuotamento delle gravine e al rimborso delle spese sopportate dall’Ente per i lavori di ripristino.
L’impugnazione separatamente proposta da entrambi i convenuti fu rigettata, previa riunione, dalla corte di appello di Lecce.
La sentenza è stata impugnata dal Me. con ricorso per Cassazione articolato in 6 motivi.
Resiste con controricorso l’En. Fe. .
La Le. non ha svolto attività difensiva in questa sede.
IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (articoli 102, 354 c.p.c.). Il motivo è privo di pregio.
Esso si infrange, difatti, sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello nella parte in cui ha ritenuto che il petitum attoreo integrasse gli estremi della domanda (di ripristino dello stato dei luoghi e conseguentemente) di risarcimento del danno in forma specifica, come tale volta a censurare un comportamento contra ius dell’autore materiale dell’illecito (il solo Me. ), senza che si rendesse necessaria, per l’effetto, alcuna integrazione del contraddittorio nei confronti della comproprietaria del fondo.
Così opinando, la corte territoriale (che ha del tutto legittimamente interpretato la domanda attorea come istanza risarcitoria senza per questo incorrere in errori logico – giuridici, in esplicazione di un’attività ermeneutica riservata in via esclusiva al giudice del merito e conseguentemente sottratta al vaglio di questa corte regolatrice) ha fatto buongoverno dei principi che regolano la fattispecie, in armonia con una (sia pur risalente) giurisprudenza di questa corte, che merita ancor oggi integrale conferma, secondo la quale, qualora l’azione nunciatoria non abbia ad oggetto la richiesta di demolizione di un’opera, bensì il ripristino dello stato dei luoghi, la domanda può essere interpretata come richiesta di risarcimento del danno in forma specifica e, pertanto, qualora essa sia proposta contro l’autore del fatto dannoso, non si verifica un’ipotesi di litisconsorzio necessario tra lo stesso ed il proprietario o comproprietario del fondo sul quale l’opera è stata eseguita (così Cass. 4343/1984; 2306/76).
Con il secondo motivo, si denuncia un preteso vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza in relazione alla mancata ammissione di prova testimoniale.
Il motivo è inammissibile, attesane la patente mancanza di specificità.
In spregio al principio di autosufficienza del ricorso, difatti, risulta del tutto omesso ogni riferimento al contenuto dei capitoli di prova sui quali i testi avrebbero, in ipotesi, avuto a rendere decisive deposizioni utili a contrastare efficacemente il decisum del giudice territoriale.
Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (articoli 2700 c.c).
Il motivo non ha giuridico fondamento.
Contrariamente all’assunto difensivo, difatti, la corte salentina ha puntualmente considerato ed esaminato il rogito per notar Pignatelli (f. 11 dell’impugnata sentenza), correttamente deducendone il posizionamento dei terreni interessati alla vicenda processuale con particolare riguardo ai tipi di coltivazione esistenti.
Con il quarto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (articoli 2691, 2043, 2056 c.c.); motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria su di un punto decisivo della controversia in ordine al nesso di causalità tra l’indimostrata opera di riempimento della gravina del Me. e l’opera di trasformazione agraria e l’evento dannoso.
Con il quinto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (articoli 1223, 2056 c.c.); motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria su di un punto decisivo della controversia in ordine al rapporto di causalità tra il fatto e le opere realizzate dall’ente ferrovie.
Le doglianze, che possono essere congiuntamente esaminate attesane la intrinseca connessione logica, sono palesemente infondate. Sotto le spoglie della violazione di legge e del vizio di motivazione, difatti, esse si volgono, nel loro complesso e nella loro intima sostanza, ad invocare una (ormai del tutto inammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito. Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’articolo 360 c.p.c., si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla corte territoriale, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto inaccoglibili perchè la valutazione delle risultanze probatorie -e in particolare quella afferente al nesso etiologico tra condotta illecita ed evento di danno – al pari della scelta di quelle, fra esse, ritenute più idonee a sorreggere la motivazione (nella specie, le puntuali ed analitiche conclusioni delle CTU), postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. È principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’articolo 360 c.p.c., n. 5 non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico – formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove ed. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile). Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate quoad effectum) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata -, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità.
Con il sesto motivo, infine, si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (articolo 2058 c.c.).
La censura è anch’essa destituita di giuridico fondamento, impinguendo valutazioni di fatto (la scelta del rimedio ripristinatorio) del tutto sottratte al sindacato di legittimità di questa corte regolatrice.
Il ricorso è pertanto rigettato.
La disciplina delle spese segue, giusta il principio della soccombenza, come da dispositivo.
P.Q.M.
LA CORTE
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi euro 4200,00, di cui euro 200,00 per spese generali.