Sentenza 6564/2006
Compensi avvocato – Impugnazione provvedimento di liquidazione delle competenze di avvocato – Ricorso per cassazione – Termine breve – Decorrenza
Il termine di sessanta giorni per la proposizione del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. avverso le ordinanze aventi contenuto decisorio e carattere di definitività (nella specie: provvedimento reso dal tribunale nella procedura camerale prevista dalla legge 13 giugno 1942, n. 794 per la liquidazione delle competenze di avvocato e procuratore), decorre solo a seguito della notificazione ad istanza di parte, mentre è irrilevante, al predetto fine, che le stesse siano state pronunciate in udienza o, se pronunziate fuori udienza, siano state comunicate alle parti dal cancelliere, con la conseguenza che, in tali ipotesi, è applicabile il termine annuale di cui all’art.327 cod. proc. civ..
Indicazione nell’intestazione della sentenza di magistrato diverso da quello risultante nel verbale dell’udienza di discussione – Presunzione di errore materiale
Qualora la sentenza (o il provvedimento di carattere decisorio) rechi nell’intestazione il nome di un giudice diverso da quelli risultanti dal verbale dell’udienza di discussione, si deve presumere, fino a dimostrazione del contrario, che la sentenza sia stata deliberata dagli stessi magistrati che hanno partecipato alla discussione e che pertanto la diversa indicazione nell’intestazione della sentenza sia frutto di un errore materiale, come tale non comportante nullità della sentenza, ma suscettibile di correzione ai sensi dell’art. 287 cod. proc. civ..
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 23-3-2006, n. 6564 (CED Cassazione 2006)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al presidente del tribunale di Siracusa l’avvocato Ca. Mi. esponeva di avere svolto attività professionale giudiziale in favore del Comune di (OMISSIS), per avere avuto l’incarico di assisterlo nella controversia insorta tra lo stesso e diverse società di raffinazione del petrolio e oli combustibili operanti nella zona di quell’ente territoriale, e che inquinavano l’aria, tanto da determinare gravi disagi agli abitanti, oltre che malattie, quali tumore, disturbi respiratori e quant’altro. Perciò aveva evocato in giudizio quelle società, come A.P., Es., Co., En. e diverse altre, per chiedere il risarcimento dei danni nella misura di L. quattro mila miliardi, o altra diversa che sarebbe risultata dovuta, somma che doveva essere destinata alla realizzazione di servizi sociali, strutture sanitarie e altro a vantaggio degli abitanti di quel centro. Ben presto però il processo veniva dichiarato estinto per rinuncia da parte del Comune di (OMISSIS), che gli aveva corrisposto un anticipo. Chiedeva perciò la liquidazione del compenso.
L’intimato si costituiva con memoria, contestando la fondatezza della pretesa del difensore. In particolare eccepiva che subito dopo l’inizio, la controversia con le società convenute cessava per rinuncia, regolarmente accettata, tanto che il processo veniva dichiarato estinto. In ogni caso la somma pretesa dal ricorrente era eccessiva, dovendosi fare riferimento come parametro non alla somma indicata genericamente nella citazione, ma al valore indeterminabile della controversia, tenendo altresì presente che la causa era cessata subito dopo la sua instaurazione. Quindi chiedeva il rigetto della domanda, e in via subordinata la liquidazione dell’onorario secondo tale parametro.
Il tribunale, con ordinanza n. 329/02 del 14 febbraio 2002, liquidava all’avvocato Mi. la complessiva somma di Euro 2.324,06, osservando che il valore della causa era da ritenere indeterminabile, e che era equo stabilire il compenso nella suindicata misura limitatamente alle prestazioni effettivamente compiute, tenuto anche conto che il giudizio era stato dichiarato estinto.
Avverso questa decisione Mi. ha proposto impugnazione dinanzi a questa Corte, chiedendone la cassazione sulla base di quattro motivi. Il Comune di (OMISSIS) ha resistito con controricorso. Il ricorrente ha illustrato le proprie osservazioni e deduzioni con memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
In via pregiudiziale vanno esaminate le questioni sollevate dal controricorrente in ordine alla dedotta inammissibilità del ricorso. A) Con la prima eccezione Es. deduce la tardi vita del ricorso, in quanto il provvedimento impugnato, anche se a contenuto decisorio, tuttavia era pur sempre un’ordinanza, e quindi il termine per impugnarla era quello proprio relativo a tale tipo di provvedimento, e cioè dieci giorni dalla comunicazione se emessa fuori udienza, come nella specie. In ogni caso, anche ammesso che il termine fosse quello relativo alle sentenze, comunque Es. sarebbe ampiamente spirato allorquando Mi. aveva proposto l’impugnazione, atteso che la comunicazione dell’ordinanza era stata compiuta il 18 febbraio 2002, e comunque egli ne era venuto indubbiamente a conoscenza già il 5 marzo 2002, data in cui essa era stata registrata addirittura dal medesimo interessato. Invece il ricorso era stato notificato il 22 luglio dello stesso anno.
L’eccezione è infondata.
Infatti, come risulta dallo stesso provvedimento impugnato, la comunicazione era stata compiuta dal cancelliere il 18 febbraio 2002;
la stessa registrazione portava la data del 5 marzo 2002, e la notifica del ricorso per Cassazione era stata compiuta il successivo 22 luglio 2002.
Ciò posto, la corte osserva che, ancorché il provvedimento impugnato avesse la forma di ordinanza, in realtà Es. equivaleva a sentenza, atteso che col medesimo il giudice ha statuito nel merito;
ed ancor più ha definito il giudizio avente carattere camerale. Quindi perché potesse decorrere il termine breve ex art. 325 c.p.c., comma 2, era necessario che la parte interessata avesse provveduto prima alla notifica dell’ordinanza, al pari di quanto previsto per la sentenza. Siccome però nel caso in specie quanto sopra non si era verificato, necessariamente doveva applicarsi la norma relativa alla impugnabilità del provvedimento nel termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c., senza che il fatto che Mi. avesse avuto “aliunde” la conoscenza dell’ordinanza in questione potesse dispiegare alcun rilievo.
Quanto sopra peraltro è stato più volte affermato dalla giurisprudenza, secondo la quale “Il termine di sessanta giorni per la proposizione del ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. avverso le ordinanze aventi contenuto decisorio e carattere di definitività decorre solo a seguito della notificazione ad istanza di parte, mentre è irrilevante, al predetto fine, che le stesse siano state pronunciate in udienza o, se pronunziate fuori udienza, siano state comunicate alle parti dal cancelliere, con la conseguenza che, in tali ipotesi, è applicabile il termine annuale di cui all’art. 327 cod. proc. civ. (Cfr. anche Sez. U, Sentenza n. 5615 del 08/06/1998; Sentenza n. 3935 del 19/03/2001; Massime precedenti Conformi: N. 1952 del 1996 Rv. 496246, N. 5615 del 1998 Rv. 516173, N. 746 del 1999 Rv. 522687).
1) Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione degli artt. 158 e 176 c.p.c., e della L. n. 794 del 1942, art. 29, in quanto il tribunale non ha considerato che non poteva decidere sulla domanda con una composizione collegiale di cui il presidente non faceva materialmente parte. Infatti il Dr. Fabiano aveva fissato l’udienza di comparizione delle parti e nominato il relatore nella persona della Dott.ssa Marchionni. Per lui si trattava di competenza funzionale, e quindi doveva necessariamente fare parte del collegio decidente. Invece il ricorso è stato deciso con il Dott. Barbara, che ha presieduto il collegio.
Il motivo è nuovo, in quanto non è stato dedotto alla prima udienza di trattazione, ma solamente in questa sede. Pertanto Es. è inammissibile.
2) Col secondo motivo il ricorrente denunzia ancora violazione di norme di diritto, giacché il tribunale ha deciso con una composizione diversa rispetto a quella relativa alla discussione del ricorso. Invero in quest’ultima era presente il Dr. Cicciò, mentre invece nell’intestazione del collegio al suo posto figura il Dr. Crimi.
La censura non ha pregio.
Infatti, ancorché nell’intestazione del provvedimento non sia indicato il nominativo del Dr. Cicciò, tuttavia ciò non esclude che la decisione sia stata adottata con il suo intervento, e che il nominativo del Dr. Crimi sia stato inserito per mero errore materiale. Era perciò onere del ricorrente fornire la prova che in realtà il primo non abbia partecipato alla decisione del ricorso. Invero non v’ha dubbio che la sentenza, nella cui intestazione risulti il nominativo di un magistrato, non tenuto alla sottoscrizione, diverso da quello indicato nel verbale dell’udienza collegiale di discussione, non è nulla ma deve presumersi affetta da errore materiale, come tale emendabile con la procedura di correzione di cui agli artt. 287 e 288 cod. proc. civ., considerato che detta intestazione è priva di autonoma efficacia probatoria, esaurendosi nella riproduzione dei dati del verbale d’udienza, e che, in difetto di elementi contrari, si devono ritenere coincidenti i magistrati indicati in tale verbale come componenti del collegio giudicante con quelli che in concreto hanno partecipato alla deliberazione della sentenza medesima (V. anche Sentenza n. 3258 del 5.3.2003; Sez U. n. 118 del 1999, sent. N. 6961 del 22.5.2001). 3) Col terzo motivo il ricorrente lamenta violazione della tariffa forense e omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, posto che il giudice non ha considerato che con l’atto di citazione Mi. aveva chiesto nell’interesse del cliente, e cioè il Comune di (OMISSIS), non solo il ripristino dello stato dei luoghi e la cessazione delle immissioni nocive da parte delle società operanti in quell’area del siracusano, ma soprattutto il risarcimento dei danni nella precisa misura di L. 300.000.000 per ciascuno dei 12.295 abitanti del Comune interessato, e perciò un importo pari almeno a L. 4.000 miliari. Pertanto si trattava di valore della causa ben determinato, al quale perciò il collegio doveva riferirsi come parametro nella liquidazione delle spettanze, senza ritenere la controversia di valore indeterminabile. La doglianza non ha pregio.
Il tribunale ha osservato che i criteri, cui l’attore si era riferito nella determinazione dei danni richiesti, erano del tutto arbitrari;
il valore della controversia doveva ritenersi indeterminabile, avuto riguardo agli interessi perseguiti dalle parti; la causa era stata oggetto di rinunzia già alla prima udienza di trattazione, e perciò l’attività difensiva espletata era stata minima, sicché le spettanze andavano liquidate con criterio equitativo, giusta il disposto dell’art. 6, comma 2 della tariffa allora vigente. Orbene, questa Corte rileva che gli assunti del tribunale sono esatti.
Infatti la somma pro-capite indicata dall’attore era piuttosto arbitraria, nel senso che non erano stati specificati i criteri, in virtù dei quali essa era stata proposta. Nè l’ammontare richiesto poteva determinare il valore della controversia, in mancanza di prova precisa di Es., posto che aveva un rilievo prettamente indicativo. Infatti l’ente territoriale poteva agire in giudizio solamente per i danni di carattere ambientale, e non piuttosto per quelli inerenti al preteso risarcimento per conto e nell’interesse di ogni abitante, per i quali ognuno era l’esclusivo titolare del relativo diritto, e perciò dell’interesse ad agire, sicché giustamente il valore della causa doveva essere ritenuto di carattere indeterminabile. Su tale punto perciò l’ordinanza impugnata risulta motivata in modo giuridicamente corretto e adeguato.
Ne deriva che il ricorso va rigettato.
Quanto alle spese di questa fase, che si liquidano come in dispositivo, esse seguono per intero la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore del controricorrente, e che liquida in complessivi Euro cento/00 per esborsi, ed Euro duemila/00 per onorari, oltre a quelle generali e agli accessori di legge. Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2006.
Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2006