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Cassazione Civile 6663/2023 – Impiego pubblico – Contratti a termine – Differenze stipendiali – Art. 2126 cc – Applicabilità – Esclusione

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Ordinanza 6663/2023

Impiego pubblico – Contratti a termine – Differenze stipendiali – Art. 2126 cc – Applicabilità – Esclusione

In tema di abusiva reiterazione di contratti a tempo determinato da parte del M.I.U.R., ai fini del diritto al pagamento delle differenze stipendiali in ragione dell’anzianità di servizio maturata, è da escludere l’applicabilità dell’art. 2126 c.c., norma che riguarda una dinamica, quella della prestazione di fatto del lavoro sulla base di presupposti giuridicamente invalidi, che è del tutto estranea alla questione della maturazione di differenze stipendiali, a titolo retributivo pieno, in ragione del maturare dell’anzianità per effetto del succedersi di contratti a termine, della cui piena validità, nel periodo in cui le prestazioni sono state rese, non vi è, invece, questione.

Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Ordinanza 6-3-2023, n. 6663   (CED Cassazione 2023)

 

 

RILEVATO CHE:

la Corte d’Appello di Roma, riformando parzialmente la sentenza del Tribunale di Frosinone, ha accolto la domanda con la quale (OMISSIS), addetta appartenente al personale ATA, aveva chiesto la condanna del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (di seguito, MIUR) al risarcimento del danno per abusiva reiterazione di contratti a tempo determinato, ritenendo invece inammissibile il motivo avverso la pronuncia della Corte territoriale nella parte riguardante il mancato riconoscimento del diritto al pagamento della progressione economica stipendiale in ragione dell’anzianità di servizio maturata nel corso dei medesimi contratti; la sentenza è stata impugnata dal MIUR con un motivo, cui ha opposto difese con controricorso la (OMISSIS), avanzando anche un motivo di ricorso incidentale;

il controricorrente-ricorrente incidentale ha depositato memoria;

CONSIDERATO CHE:

l’unico motivo formulato dal MIUR adduce l’omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, precisando di avere manifestato in appello, con la memoria in data 15.2.2017 depositata nel giudizio di secondo grado che la (OMISSIS) era stata stabilizzata dal 1.9.2011, come da nota parimenti in quella sede allegata;

il motivo è fondato e va accolto;

la denuncia di omesso esame di un fatto decisivo postula evidentemente l’individuazione del momento e modo processuale in cui la corrispondente circostanza sia stata acquisita al giudizio (Cass., S.U., 7 aprile 2014, n. 8053), onere cui il MIUR ha adempiuto, indicando esattamente la memoria con cui in appello era stato dedotto e documentato quel profilo ed agli atti in effetti è presente copia di quella memoria con il corrispondente allegato;

ciò senza contare che lo stesso controricorso non nega, ma conferma, che la Morselli era stata effettivamente immessa in ruolo nelle more del giudizio di primo grado;

ciò posto, vale poi il principio per cui nel settore scolastico, per le ipotesi di illegittima reiterazione di contratti a termine, la stabilizzazione o l’immissione in ruolo, conseguenti alla L. n. 107 del 2015, costituiscono misure sanzionatorie idonee ed adeguate a sanzionare l’illecito, secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, i cui interventi, incidenti sul fondamento stesso del sistema previgente, devono essere parificati allo “ius superveniens”; ne consegue la ritualità delle deduzioni riguardanti il nuovo assetto giuridico, introdotte nel corso del giudizio di secondo grado, purchè sia consentito alle altre parti l’adeguamento delle difese, anche in fatto, conseguenziali (Cass. 3 dicembre 2021, n. 38205);

d’altra parte, la Corte d’Appello nulla proprio dice su quella stabilizzazione e dunque non possono accogliersi le difese della lavoratrice secondo cui la decisione di secondo grado sarebbe stata assunta ritenendo fondata la pretesa indipendentemente dall’avvenuta o meno immissione in ruolo;

il fatto di cui è stato omesso l’esame è poi decisivo, essendo del tutto probabile la sua capacità di sovvertire il giudizio svolto, tenuto conto dell’orientamento consolidato presso questa S.C. secondo cui nel settore scolastico, nelle ipotesi di reiterazione illegittima dei contratti a termine stipulati ai sensi della L. n. 124 del 1999, art. 4, commi 1 e 11, devono essere qualificate misure proporzionate, effettive, sufficientemente energiche ed idonee a sanzionare debitamente l’abuso ed a cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’UE, la stabilizzazione prevista nella L. n. 107 del 2015 per il personale docente, attraverso il piano straordinario destinato alla copertura di tutti i posti comuni e di sostegno dell’organico di diritto, nonchè l’immissione in ruolo acquisita da docenti e personale ATA attraverso l’operare dei pregressi strumenti selettivi-concorsuali, che non preclude la domanda per il risarcimento dei danni ulteriori e diversi rispetto a quelli esclusi dalla stessa, con oneri di allegazione e prova a carico del lavoratore che, in tal caso, non beneficia di alcuna agevolazione probatoria da danno presunto (Cass. 7 novembre 2016, n. 22552);

il motivo di ricorso incidentale è formulato come violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. in relazione al punto 12 della sentenza di appello;

il punto riguarda la domanda di pagamento delle differenze retributive in ragione della maturazione dell’anzianità di servizio nel periodo di lavoro a tempo determinato, secondo i principi consolidati presso questa S.C. (Cass. 7 novembre 2016 n. 22558); la domanda non è stata accolta in primo grado e la Corte d’Appello, nell’esaminare il gravame, ha ritenuto che “nessuno specifico motivo di impugnazione risulta formulato sulla statuizione” soggiungendo che il Tribunale aveva respinto tale domanda “sulla base della mancanza di continuità giuridica dei singoli contratti di lavoro a termine” e che “su questa statuizione nulla è dato di leggere nel ricorso in appello”;

il motivo incidentale sostiene che invece vi era impugnazione sul punto e dunque l’appello avrebbe dovuto essere deciso ed accolto; si deve premettere che la formulazione del motivo in ambito processuale soggiace ai medesimi requisiti di forma e specificità comuni all’intero regime del ricorso per cassazione (Cass., S.U., 22 maggio 2012 n. 8077), sicchè, per quanto una volta ritualmente introdotto il motivo processuale giustifichi l’apprezzamento diretto degli atti da parte del giudice è rispetto a quanto con esso sostenuto che deve farsi riferimento nel decidere in sede di legittimità;

in proposito lo stralcio dell’atto di appello nel cui contesto si sarebbe affrontato il tema su cui verte il ricorso incidentale è quello, appositamente trascritto, in cui si affermava che il gravame riguardava anche il profilo “del diritto della ricorrente a percepire per l’intero periodo in cui il rapporto ha avuto attuazione il trattamento economico differenziale tra quanto percepito e quanto spettante alla lavoratrice ex art. 2126 c.c.”;

tale passaggio, se almeno in parte smentisce l’affermazione della Corte territoriale secondo cui non vi sarebbero stati profili di specifica censura rispetto alla statuizione relativa alle differenze economiche, non coglie tuttavia nel segno, poichè quanto con esso addotto riguarda una ipotetica situazione di fatto e di diritto che nulla ha a che vedere con il tema della progressione stipendiale;

il riferimento ad un trattamento differenziale tra quanto percepito e quanto spettante alla lavoratrice ex art. 2126 c.c. riguarda una dinamica, quella della prestazione di fatto del lavoro sulla base di presupposti giuridicamente invalidi, che è del tutto estranea alla questione sulla maturazione di differenze stipendiali, a titolo retributivo pieno, in ragione del maturare dell’anzianità per effetto del succedersi di contratti a termine, della cui piena validità, nel periodo in cui le prestazioni sono state rese, non vi è questione;

non è chiaro neppure a cosa esattamente si riferisca quel richiamo all’art. 2126 c.c. ed a quali periodi in ipotesi lavorati senza legittima copertura contrattuale, ma comunque il motivo di appello, così addotto, è palesemente inidoneo a mettere in discussione una qualsiasi decisione sfavorevole resa in primo grado rispetto al diritto alla progressione stipendiale di anzianità;

il motivo, pertanto, così parzialmente rettificata la motivazione della sentenza impugnata, risulta quindi infondato;

in definitiva va accolto il solo motivo addotto dal MIUR e la causa va rimessa, sul punto, alla medesima Corte d’Appello affinchè essa, in diversa composizione, definisca il giudizio, tenuto conto del fatto la cui omessa considerazione ha realizzato il vizio denunciato in questa sede ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.;

P.Q.M.

accoglie il ricorso principale, rigetta l’incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma nell’adunanza camerale dell’1.12.2022.