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Cassazione Civile 6988/2003 – Responsabilità civile – Responsabilità per l’esercizio di attività pericolose – Concorso di colpa del danneggiato ex art. 1227 cc

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Sentenza 6988/2003

Responsabilità civile – Responsabilità per l’esercizio di attività pericolose – Concorso di colpa del danneggiato ex art. 1227 cc

In materia di responsabilità civile, il limite della responsabilità per l’esercizio di attività pericolose ex art. 2050 cod. civ. risiede nell’intervento di un fattore esterno, il caso fortuito, il quale attiene non già ad un comportamento del responsabile ma alle modalità di causazione del danno, che può consistere anche nel fatto dello stesso danneggiato recante i caratteri dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità. Peraltro, quando il comportamento colposo del danneggiato non è idoneo da solo ad interrompere il nesso eziologico tra la condotta del danneggiante ed il danno, esso può, tuttavia, integrare un concorso colposo ai sensi dell’art. 1227 primo comma, cod. civ. – espressione del principio che esclude la possibilità di considerare danno risarcibile quello che ciascuno procura a se stesso – con conseguente diminuzione del risarcimento dovuto dal danneggiante in relazione all’incidenza della colpa del danneggiato.

Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 8-5-2003, n. 6988   (CED Cassazione 2003)

Art. 2050 cc (Responsabilità per l’esercizio di attività pericolose) – Giurisprudenza

Art. 1227 cc (Concorso di colpa) – Giurisprudenza

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 7.4.1986, (OMISSIS), proprietario di un fondo in Pieve Ligure, adibito a floricoltura in serre, premesso che il Comune aveva in terreni a monte dato inizio nel 1982 a lavori per un impianto sportivo, che a detti lavori aveva provveduto il Comune in parte in economia ed in parte con appalti alle ditte (OMISSIS) S.n.c. ed Impresa (OMISSIS), e con convenzione di lottizzazione all’Immobiliare (OMISSIS); che nel 1985, in occasione di precipitazioni abbondanti si era verificata una frana, che distruggeva numerose serre; che, per evitare danni alla strada statale Aurelia, il (OMISSIS) era stato costretto a cedere all’ANAS una porzione del suo fondo per realizzare un muro di contenimento; che, sulla base di un accertamento tecnico preventivo, emergeva che la responsabilità dell’evento era da ascriversi a comportamenti colposi del Comune e delle predette imprese nella realizzazione dell’impianto sportivo, oltre che a cause naturali; conveniva davanti al tribunale di Genova il Comune di Pieve Ligure e tutte le imprese suddette per sentirli condannare al risarcimento dei danni, non inferiori a £ 500 milioni.

Si costituivano il Comune e le predette imprese, che resistevano alla domanda. L’immobiliare (OMISSIS) S.r.l. chiamava in manleva l’impresa appaltatrice dei lavori, (OMISSIS), che si costituiva ed eccepiva di aver ricevuto la commessa dopo che la frana si era verificata.

Il Tribunale disponeva una prima ed una seconda C.T.U., acquisiva anche l’accertamento tecnico preventivo e, con sentenza del 17.11.1995, previa distribuzione sulle cause umane della quota di incidenza riferita alle cause naturali e deduzione di altra quota di danno eziologicamente imputabile al danneggiato, condannava in solido il Comune e l’Impresa (OMISSIS) al pagamento della somma di £ 60 milioni, il Comune, l’Immobiliare e l’impresa (OMISSIS) in solido al risarcimento di £ 121 milioni ed il Comune, in via esclusiva al risarcimento di £ 21 milioni, oltre interessi e rivalutazione.

Condannava il primo gruppo al pagamento di £ 32 milioni, il secondo al pagamento di £ 64 milioni ed il Comune in via esclusiva al pagamento di £ 11 milioni, per le opere di eliminazione di ulteriori rischi. Condannava il primo gruppo al pagamento in solido di £ 11.500.000, il secondo al pagamento di £ 23 milioni ed il Comune da solo al pagamento di £ 4 milioni, per aver dovuto l’attore cedere una zona di terreno all’ANAS.

Sull’appello del Comune, dell’Immobiliare (OMISSIS), di (OMISSIS) vedova (OMISSIS), dell’Impresa (OMISSIS), e dell’Impresa (OMISSIS), la Corte di Appello di Genova, con sentenza depositata il 21.5.1999, respingeva la domanda contro il (OMISSIS), condannava il Comune e la (OMISSIS), in solido al pagamento nei confronti di (OMISSIS) (OMISSIS) della somma di £ 72.001.300, il Comune, l’Immobiliare (OMISSIS) ed il (OMISSIS), al pagamento nei confronti della (OMISSIS) della somma di £ 148.802.460, il solo Comune al pagamento della somma di £ 24.000.426, somme tutte già rivalutate, oltre gli interessi legali.

Riteneva la Corte di merito che, sulla base delle consulenze tecniche, dovesse ascriversi un 35% di apporto eziologico a cause naturali ed un 5% ad esclusiva responsabilità del Comune, per defluenze derivanti dalla rottura dell’acquedotto; che il residuo 60% era da ascriversi a colpa delle suddette imprese e del danneggiato; che, stante il contrasto tra le varie consulenze, l’apporto causale del (OMISSIS) doveva ritenersi eguale a quello del Comune, con la conseguenza che su questi due apporti causali andava anche “spalmato” quello ascrivibile a cause naturali; che sicuramente vi era una condotta colposa efficiente imputabile anche al (OMISSIS), consistente nella sicura consapevolezza della franosità del terreno su cui aveva posto le serre e nell’abbandono delle sorgenti, prima captate.

Riteneva, inoltre, la Corte di merito che nulla competesse all’attore per la cessione del terreno all’ANAS, perché l’opera dell’ANAS mirava solo a realizzare una protezione per possibili eventi futuri e non per una frana già verificatasi ed, in ogni caso, perché la cessione volontaria del terreno non era ricollegabile ai lavori del sovrastante lontano impianto sportivo.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’ (OMISSIS).

Resistono con rispettivi controricorsi il (OMISSIS) ed il Comune di Pieve Ligure. L’Esposito ed il Comune hanno presentato memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2051 e 2050 c.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto la concorrente responsabilità del Comune e del (OMISSIS).

Secondo la ricorrente, avendo il giudice di merito riconosciuto una situazione di incertezza circa le cause della frana, stante le presunzioni di cui agli artt. 2051 e 2050 c.c., doveva riconoscersi la responsabilità esclusiva dei convenuti.

2.1. Ritiene questa Corte che il motivo sia infondato e che lo stesso vada rigettato.

Secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente il fattore esterno che esclude la responsabilità del custode ai sensi dell’art. 2051 c.c. sussiste solo se questo fattore (che può essere anche il fatto di un terzo o del danneggiato) presenti i caratteri del fortuito, e cioè dell’imprevedibilità e dell’assoluta eccezionalità (Cass. 26.2.1994, n. 1947; Cass. 23.10.1990, n. 10277).

Tale orientamento va condiviso, con la precisazione che la rilevanza dell’imprevedibilità, ai fini dell’individuazione del fortuito, opera, però, sempre sotto il profilo oggettivo al fine di accertare l’eccezionalità del fattore esterno e non come elemento per escludere la colpa del custode, la quale, di per sé, è irrilevante in questa sede.

2.2. Allorché il fattore esterno, costituito dal comportamento colposo del danneggiato, è stato da solo idoneo a causare il danno, viene meno il nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno (caso fortuito del fatto del danneggiato).

Il nesso eziologico tra la cosa in custodia ed il danno viene meno anche in caso di eccezionalità del comportamento del danneggiato per i principi della c. d. “causalità adeguata” o della “regolarità causale”, che presiedono al collegamento causale tra condotta ed evento dannoso (Cass. 6.3.1997, n. 2009; Cass. 10.11.1993, n. 11087; Cass. 11.1.1989, n. 65).

Se invece il comportamento colposo del danneggiato nella fattispecie concreta non è idoneo da solo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno, esso può anche integrare il concorso colposo del danneggiante nella produzione del danno ai fini dell’art. 1227, c. 1, c.c..

Non si può, cioè, sostenere che detto comportamento colposo del danneggiante, integrante fortuito, è rilevante nella fattispecie solo se raggiunge un grado tale da costituire causa esclusiva del danno stesso.

Potrebbe, infatti, in concreto, limitarsi ad un livello, per così dire, più basso, integrando in questo caso il fatto colposo concorrente del danneggiante nella produzione dell’evento dannoso (art. 1227 e 2056 c.c.).

Non vi è ragione in questa ipotesi di escludere, con riferimento all’art. 2051 c.c., l’applicabilità dell’art. 1227, 1 c., c.c..

L’ art. 1227, comma 1 c.c., a norma del quale, quando vi è concorso di colpa del danneggiato, la responsabilità del danneggiante è diminuita secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate, si applica anche nei casi di responsabilità oggettiva del custode perché è espressione del principio che esclude la possibilità di considerare danno risarcibile quello che ciascuno procura a se stesso. (Cass. 26 aprile 1994, n. 3957; Cass. 7 giugno 2000, n. 7727).

3. Quanto sopra detto opera anche nell’ipotesi di cui all’art. 2050 c.c. (indipendentemente dal punto, oggetto di contrasto in dottrina, se detta norma sia costruita come ipotesi di presunzione di colpa o – invece – di presunzione di responsabilità, come per l’ipotesi di cui all’art. 2051 c.c.), in riferimento all’efficienza causale nella produzione dell’evento del comportamento colposo del danneggiato (Cfr. Cass. 29.4.1991, n. 4710; Cass. 4.6.1998, n. 5484; Cass. n. 365/82).

A tali principi la Corte di merito si è sostanzialmente attenuta laddove, con valutazione di merito evidentemente non reiterabile in questa sede ed infondatamente censurata sotto il profilo del vizio di motivazione, ha ritenuto che nella produzione dell’evento il comportamento colpevole della danneggiata avesse inciso in misura paritaria nella produzione dell’evento dannoso.

4. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 911 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.), su un punto decisivo della controversia.

Assume la ricorrente che la sentenza impugnata ha erroneamente rigettato il suo motivo di appello incidentale, con cui essa sosteneva che la responsabilità esclusiva del dissesto idrogeologico era da ascriversi al Comune ed alle imprese che avevano operato nella zona, con esclusione di ogni apporto causale della parte attrice.

Ritiene la ricorrente che i giudici di appello, in violazione degli artt. 2043 e 911 c.c., con motivazione contraddittoria rispetto alle risultanze probatorie, hanno ritenuto il suo concorso di colpa.

5. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. su un punto decisivo della controversia, nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 1227 e 2056 c.c., ai sensi degli artt. 360 n. 3 c.p.c..

Ritiene la ricorrente che la sentenza impugnata, sia pure si dilunghi nel richiamare il contenuto delle tre consulenze tecniche in atti, è del tutto priva di motivazione sul punto attinente alle cause della frana ed alla percentuale da attribuire alle stesse.

Quindi, la ricorrente ritiene che, proprio sulla base della consulenza del geol. Marini del 1985 e la perizia del geol. Bellini, andava escluso ogni concorso di colpa di essa ricorrente, mentre non poteva condividersi la consulenza del geol. Marini del 1989, essendo la stessa contraddittoria con quella del 1985.

Secondo la ricorrente la sentenza impugnata non ha assolutamente motivato quali fossero i fattori che causarono il dissesto ma ha richiamato superficialmente le conclusioni dei due C.T.U. e poi ha trovato una soluzione semplicistica, richiamando gli artt. 1227 e 2056 c.c., sul pari apporto causale.

6.1. Ritiene questa Corte che i due motivi, essendo strettamente connessi, vadano esaminati congiuntamente.

Essi sono infondati e vanno rigettati.

Va, preliminarmente, rilevato che le suddette censure, per quanto in parte prospettate anche come violazione di legge, in effetti mirano ad introdurre un diverso apprezzamento del fatto, rispetto a quello effettuato dal giudice di merito.

Anzitutto non risulta specificato in cosa consista la violazione o errata applicazione delle norme, di cui agli artt. 2043, 911, 1227 e 2056 c.c..

La sentenza impugnata, infatti non da un’interpretazione delle suddette norme diversa da quella prospettata dalla ricorrente: la divergenza esiste solo sul merito della ricostruzione fattuale e segnatamente sul ritenuto apporto causale del danneggiato nella produzione dell’evento dannoso.

Ma ciò è, appunto, una questione che attiene alla ricostruzione del fatto che, come tale, rientra nei poteri del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c..

6.2. Nella fattispecie non sussiste il lamentato vizio motivazionale, in quanto la sentenza impugnata non presenta né un’omissione, né un’insufficienza né una contraddittorietà di motivazione.

Essa, infatti, riportandosi alle consulenze tecniche d’ufficio ha ritenuto che dalle stesse emergesse con chiarezza che il fenomeno franoso fosse da scrivere a cause naturali ed a comportamenti imputabili all’attore ed ai convenuti Comune, Immobiliare (OMISSIS) ed Impresa (OMISSIS) ed Impresa (OMISSIS).

Ciò su cui la sentenza impugnata ha ritenuto che vi fosse incertezza era non sul punto del concorso di colpa del danneggiato nella produzione dell’evento, poiché su ciò concordavano tutte le consulenze, ma sull’entità di detto apporto causale.

La Corte di merito ha ritenuto che, stante questa incertezza sull’entità del concorso di colpa del danneggiato, fosse da applicare il principio della presunzione di eguale concorso di colpa tra danneggiato e danneggiante, desumendolo evidentemente dall’art. 2055, c. 3, c.c. (erroneamente indicato in sentenza come art. 2056).

Sennonché la censura non investe l’applicabilità di detto principio di diritto (presunzione di pari colpa nel dubbio) anche all’ipotesi in cui l’evento dannoso sia eziologicamente riconducibile non solo al comportamento di più danneggianti, ma anche al comportamento colposo del danneggiato, bensì al ritenuto concorso di colpa del danneggiato (OMISSIS) nella produzione dell’evento dannoso da lui subito.

Trattasi, quindi, di una censura che attiene alla ricostruzione fattuale, che è stata operata dal giudice di merito, il quale, sul punto si riporta alle consulenze tecniche, ritenendo che dalle stesse emergesse con sicurezza la conclusione di detto apporto causale del danneggiato nella produzione dell’evento (salvo poi non concordare sull’entità di detto apporto).

Le censure, quindi, si risolvono in una diversa lettura delle risultanze processuali, effettuata dalla ricorrente, che non può trovare ingresso in questa sede di legittimità.

7. Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto della causa in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che non potesse essere riconosciuto il corrispettivo di £ 50 milioni per il terreno ceduto all’ANAS.

Ritiene la ricorrente che, contrariamente all’assunto della sentenza impugnata, la cessione del terreno all’ANAS per effettuare un muro di contenimento, fu determinata proprio dalla frana, al fine di evitare successivi eventi franosi e cadute di materiali sulla strada.

8. Ritiene questa Corte che il motivo sia infondato.

Anche su questo punto, infatti, la censura mira ad investire l’accertamento dei fatti operata dal giudice di merito sulla base delle risultanze delle consulenze tecniche. Ritiene infatti il giudice di appello che la cessione del terreno all’ANAS fu strumentale alla realizzazione di un’opera di protezione della strada statale da possibili futuri eventi franosi e non anche di un’opera di contenimento di una frana già caduta e che detta cessione non trovava nessun nesso eziologico nel comportamento dei convenuti.

Poiché anche in questo caso si richiede in sostanza una rivalutazione dei fatti da parte di questa Corte, rispetto a quanto accertato dal giudice di merito, la censura non può essere accolta.

9. Con il quinto motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 346 (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), nonché l’insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Secondo la ricorrente erratamente la sentenza di appello ha ritenuto che essa non avesse censurato la sentenza di merito nella parte in cui trasformava l’originaria domanda di condanna solidale a carico del Comune e delle imprese in tre obbligazioni parziali: una a carico del Comune e le altre due a carico del Comune solidalmente con due gruppi di imprese.

Assume la ricorrente, che a norma dell’art. 346 c.p.c., essa in appello aveva richiesto la condanna solidale di tutti i convenuti al risarcimento del danno.

10.1. Ritiene questa Corte che il motivo sia infondato e che lo stesso vada rigettato.

La parte totalmente vittoriosa in primo grado, la cui posizione processuale abbia avuto integrale accoglimento per alcune soltanto delle ragioni prospettate, ha l’onere di manifestare in maniera esplicita e precisa la propria volontà di riproporre la domanda od eccezioni respinte, onde superare la presunzione di rinuncia, e quindi la decadenza, di cui all’art. 346 c.p.c. (Cass. 17 dicembre 1999, n. 14267; Cass. 25 gennaio 2000, n. 824).

10.2. Nella fattispecie la parte attrice non era totalmente vittoriosa, sia perché aveva visto accolto solo in parte la domanda, sia soprattutto perché, in relazione alla richiesta condanna solidale dei convenuti, aveva visto non accolta detta sua richiesta. Ne consegue che, poiché sulla richiesta condanna solidale ed unitaria dei convenuti per l’intera somma la parte attrice non era vittoriosa, questo punto non poteva essere fatto valere davanti al giudice di appello a norma dell’art. 346 c.p.c., ma con sua specifica impugnazione (Cfr. Cass. 24 gennaio 2000, n. 745).

Il ricorso va, pertanto, rigettato. Esistono giusti motivi per compensare per intero tra le parti costituite le spese del giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Compensa tra le parti costituite le spese del giudizio di cassazione.