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Cassazione Civile 7041/2023 – Appalto – Garanzia per le difformità e vizi dell’opera – Eccezione di inadempimento da parte del committente

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Ordinanza 7041/2023

Appalto – Garanzia per le difformità e vizi dell’opera – Eccezione di inadempimento da parte del committente

In tema di inadempimento del contratto d’appalto, laddove l’opera risulti ultimata, il committente, convenuto per il pagamento, può opporre all’appaltatore le difformità ed i vizi dell’opera, in virtù del principio “inadimpleti non est adimplendum” al quale si ricollega la più specifica disposizione dettata dal secondo periodo dell’ultimo comma dell’art. 1667 c.c., analoga a quella di portata generale di cui all’art. 1460 c.c. in materia di contratti a prestazioni corrispettive, anche quando la domanda di garanzia sarebbe prescritta ed, indipendentemente, dalla contestuale proposizione, in via riconvenzionale, di detta domanda, che può anche mancare, senza pregiudizio alcuno per la proponibilità dell’eccezione in esame.

Cassazione Civile, Sezione 2, Ordinanza 9-3-2023, n. 7041   (CED Cassazione 2023)

Art. 1460 cc (Eccezione d’inadempimento) – Giurisprudenza

 

 

Rilevato che

1. Con atto di citazione del 1 marzo 2013, l’impresa edile (OMISSIS) s.r.l. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Paola, (OMISSIS), onde ottenerne la condanna al pagamento del residuo corrispettivo relativo al contratto d’appalto con esso concluso, avente ad oggetto il completamento di un fabbricato sito in (OMISSIS), di sua proprietà.

All’esito del giudizio, nel quale si costituì il convenuto, ammettendo la sussistenza del contratto, ma precisando che i lavori effettivamente eseguiti dall’attrice erano quelli concordemente individuati dalle parti nel verbale di sopralluogo effettuato nel corso di un procedimento di a.t.p. ex art. 696 bis c.p.c., espletato davanti al Tribunale di Scalea e avente ad oggetto l’accertamento dei vizi delle opere eseguite, il Tribunale di Paola, con sentenza n. 297 del 31 marzo 2017, accolse parzialmente la domanda dell’attore e, per l’effetto, condannò il convenuto al pagamento in suo favore di una somma di denaro, compensando le spese di lite.

Impugnata la predetta sentenza da (OMISSIS), sul presupposto che il giudice di primo grado non avesse decurtato dal corrispettivo dovuto per l’appalto la somma di Euro 10.800,00 indicata dal c.t.u. quale importo occorrente per l’eliminazione dei vizi di esecuzione delle opere, la Corte d’Appello di Catanzaro rigettò il gravame con sentenza n. 565/2018, depositata il 27 marzo 2018, con la quale ritenne corretta la decisione del giudice di primo grado, sostenendo che, in assenza di domanda di eliminazione dei vizi dell’opera a spese dell’appaltatore o di riduzione del prezzo e di risarcimento del danno oppure di domanda riconvenzionale nel giudizio nel quale il committente sia convenuto per il pagamento del prezzo, il giudice non possa procedere d’ufficio alla riduzione del prezzo dell’appalto, non valendo quanto accertato dal c.t.u. in sede di a.t.p. in quanto rilevante ai soli fini della prova.

2. Contro la predetta sentenza (OMISSIS) propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi. Si difende con controricorso (OMISSIS) s.r.l..

Considerato che

1. Con il primo motivo di ricorso, si lamenta il vizio di extrapetizione e la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in quanto la Corte d’Appello, violando il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, aveva pronunciato su una domanda non ricompresa nella pretesa avanzata dall’attore, giacchè, omettendo di evidenziare le risultanze della consulenza svolta in sede di a.t.p., che aveva quantificato i lavori nella misura di Euro 43.500,00 e le somme necessarie per rimediare ai vizi riscontrati nella loro esecuzione e per completare le scale esterne e il parapetto rispettivamente nella misura di Euro 9.500,00 e di Euro 1.300,00, aveva riconosciuto al predetto una somma superiore alla pretesa, come accaduto anche nel primo grado del giudizio. La società aveva, infatti, chiesto la condanna del committente al pagamento della somma di Euro 34.481,80, al netto di quella già corrisposta di Euro 32.000,00, mentre, in assenza di richieste sul punto, gli era stato liquidato anche l’importo necessario per rimediare ai lavori non eseguiti a regola d’arte, che non erano stati reclamati dal committente in sede giudiziaria.

2. Col secondo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1460, 1667 e 1668 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere la Corte d’Appello affermato che, in mancanza di domanda riconvenzionale, non potessero essere contestati i vizi dell’opera al fine di paralizzare la domanda dell’appaltatore. Il ricorrente ha, sul punto, rilevato come i giudici, al fine di pervenire al rigetto della domanda, avrebbero dovuto esaminare i fatti da lui dedotti (ossia i vizi dell’opera appaltata e le opere incompiute), non essendo necessaria la proposizione da parte sua di una domanda riconvenzionale volta ad

Data pubblicazione 09/03/2023

ottenere l’attribuzione di una utilità ulteriore, e che la richiesta, da lui avanzata, di limitare la condanna alla sola somma di Euro 700,00 (ossia la differenza tra l’importo dei lavori eseguiti, già corrisposto, e quello necessario per l’eliminazione dei vizi riscontrati) costituiva eccezione di inadempimento, la quale era stata disattesa da entrambi i giudici di merito.

3. I due motivi, da trattare congiuntamente, sono fondati.

Va premessa innanzitutto la loro ammissibilità, giacchè, contrariamente a quanto evidenziato dal controricorrente, è la stessa sentenza impugnata a dar conto del fatto che l’appellante si fosse doluto della mancata decurtazione, dal corrispettivo liquidato all’appaltatore, delle somme necessarie per porre rimedio ai vizi e alle difformità dell’opera.

Ciò detto, si osserva come, nella sentenza impugnata, si dia atto del fatto che il committente, nel censurare la decisione di primo grado, avesse affermato di non essere affatto tenuto a proporre alcuna domanda di accertamento dei vizi dell’opera, in quanto rimasti accertati e quantificati dal consulente in sede di accertamento tecnico preventivo, evidenziando che, “in materia di appalto, il committente può chiedere alternativamente l’eliminazione delle difformità o dei vizi dell’opera (anche a terzi) o la riduzione del prezzo, la quale postula la verifica che l’opera eseguita abbia un valore inferiore a quello che avrebbe avuto se realizzata a regola d’arte e che, una volta accertata, come nel caso di specie, la responsabilità della società appaltatrice per difetti dell’opera, deve essere riconosciuto il diritto del committente, a norma degli artt. 1667 1668 c.c., ad una riduzione del corrispettivo pattuito, oltre al risarcimento del danno”.

Come si è visto, i giudici d’appello hanno, in merito, ritenuto di non dover decurtare, dalla somma dovuta all’appaltatore, quella stimata dal medesimo c.t.u. come necessaria per l’eliminazione dei vizi riscontrati, in quanto il committente non aveva proposto alcuna domanda, secondo quanto postulato dai rimedi di cui agli artt. 1667 e 1668 c.c..

Questa argomentazione, però, contrasta con quanto più volte affermato da questa Corte in tema di appalto, allorchè ha detto che il committente, convenuto in giudizio, può paralizzare la pretesa avversaria, opponendo le difformità e i vizi dell’opera, in virtù del principio inadempimenti non est adimplendum, richiamato dal secondo periodo dell’ultimo comma dell’art. 1667 c.c., applicabile in caso di opera portata a termine (Cass., Sez. 1, 14/2/2019, n. 4511), anche quando non abbia proposto in via riconvenzionale la domanda di garanzia o la stessa sia prescritta, atteso che le disposizioni speciali di cui agli artt. 1667, 1668, 1669 e ss. c.c., attinenti alla particolare disciplina della garanzia per le difformità ed i vizi dell’opera, assoggettata ai ristretti termini decadenziali di cui all’art. 1667 c.c., integrano – senza escluderne l’applicazione – i principi generali in materia di inadempimento delle obbligazioni e di responsabilità comune dell’appaltatore, che si applicano in assenza dei presupposti per la garanzia per vizi e difformità prevista per i casi di opere completate in violazione delle prescrizioni pattuite o delle regole tecniche (Cass., Sez. 2, 17/5/2004, n. 9333; Cass., Sez. 2, 20/3/2012, n. 4445) e che impongono all’appaltatore, che agisca in giudizio per il pagamento del corrispettivo, l’onere di dimostrare, quando il committente sollevi l’eccezione di inadempimento di cui al comma 3 di detta disposizione, di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione e, quindi, di aver eseguito l’opera conformemente al contratto e alle regole dell’arte (Cass., Sez. 2, 20/1/2010, n. 936; Cass., Sez. 2, 13/2/2008, n. 3472).

Infatti, come ripetutamente affermato da questa Corte, le disposizioni generali di cui agli artt. 1453 e 1455 c.c., che contemplano la comune responsabilità dell’appaltatore, operano quando egli non esegua interamente l’opera o, se l’ha eseguita, si rifiuti di consegnarla o vi proceda con ritardo rispetto al termine di esecuzione pattuito, mentre la differente responsabilità dell’appaltatore, inerente alla garanzia per i vizi o difformità dell’opera, prevista dagli artt. 1667 e 1668 c.c., ricorre quando il suddetto ha violato le prescrizioni pattuite per l’esecuzione dell’opera o le regole imposte dalla tecnica, sicchè, nel caso di omesso completamento dell’opera, anche se questa per la parte eseguita risulti difettosa o difforme, non è consentito, al fine di accertare la responsabilità dell’appaltatore per inesatto adempimento, far ricorso alla disciplina della suindicata garanzia che richiede necessariamente il totale compimento dell’opera (per tutte, Cass., Sez. 2, 09/08/1996, n. 7364).

Dunque, mentre in caso di mancata ultimazione dell’opera, il committente può legittimamente rifiutare o subordinare il pagamento del corrispettivo all’eliminazione dei vizi dell’opera, invocando l’eccezione di inadempimento prevista dall’art. 1460 c.c., in quanto istituto di applicazione generale in materia di contratti a prestazioni corrispettive, purchè il rifiuto di adempiere non sia contrario alla buona fede, spettando al giudice del merito accertare se la spesa occorrente per l’eliminazione delle difformità sia proporzionata a quella che il committente rifiuta di corrispondere all’appaltatore o che subordina a tale eliminazione (Cass., Sez. 6-2, 26/11/2013, n. 26365), in caso di opera ultimata, il committente, convenuto per il pagamento, può opporre all’appaltatore le difformità ed i vizi dell’opera, avvalendosi del principio inadimpleti non est adimplendum, al quale si ricollega la più specifica disposizione dettata dal secondo periodo dell’ultimo comma dell’art. 1667 c.c., analoga a quella di portata generale di cui all’art. 1460 c.c. in materia di contratti a prestazioni corrispettive (Cass., Sez. 2, 20/1/2010, n. 936), anche quando la domanda di garanzia sarebbe prescritta ed indipendentemente, quindi, dalla contestuale proposizione, in via riconvenzionale, di questa domanda, che può anche mancare senza pregiudizio alcuno per la proponibilità della eccezione (Cass. Sez. 2, 17/05/2004, n. 9333).

In altre parole, operando, in materia di appalto, il principio generale che governa la condanna all’adempimento in materia di contratto con prestazioni corrispettive, l’appaltatore, che agisca in giudizio per il pagamento del corrispettivo convenuto, ha l’onere di provare di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione e, quindi, di aver eseguito l’opera conformemente al contratto e alle regole dell’arte, sicchè la domanda di condanna del committente al pagamento non può essere accolta nel caso in cui quest’ultimo contesti l’adempimento dell’appaltatore e tale contestazione risulti fondata, integrando tale adempimento il fatto costitutivo del diritto di credito oggetto della sua pretesa (Cass., Sez. 2, 13/2/2008, n. 3472; Cass., Sez. 2, 4/1/2019, n. 98).

Orbene, è pacifico tra le parti che, nella specie, l’opera fosse stata ormai completata e che la committente avesse provveduto a sue spese all’eliminazione dei vizi, riscontrati anche in sede di a.t.p., come risulta dallo stesso controricorso.

Pertanto, applicandosi le garanzie di cui agli artt. 1667, 1668, 1669 e ss. c.c. e operando rispetto ad esse i principi sopra espressi, la decisione assunta non può che considerarsi erroneamente resa, in quanto, sulla base della mancata proposizione di domanda riconvenzionale da parte del committente, ha omesso di verificare se l’appaltatore avesse dimostrato di avere correttamente adempiuto alla sua prestazione, onde accertare la fondatezza della sua pretesa e trarre le conseguenze sulla relativa entità.

Ne consegue, dunque, la fondatezza delle censure.

4. In conclusione, dichiarata la fondatezza delle due censure, la sentenza deve essere cassata con rinvio alla Corte di Appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Roma, 15/2/2023