Sentenza 726/2006
Domanda avente ad oggetto il risarcimento del danno da illecito extracontrattuale ex art. 2043 cod. civ. – Interruzione della prescrizione dell’azione, successivamente esperita, di risarcimento del danno per responsabilità ex artt. 2049, 2050, 2051 cc
La pretesa avanzata per chiedere l’adempimento di un’obbligazione risarcitoria ex art. 2043 cod. civ. non vale ad interrompere la prescrizione dell’azione, successivamente esperita di risarcimento ex artt. 2049, 2050, o 2051 cod. civ., difettando il requisito della pertinenza dell’atto interruttivo all’azione proposta (da identificarsi non solo in base al “petitum” ma anche alla “causa petendi”), in quanto le domande suddette si pongono in una relazione di reciproca non fungibilità e derivano da diritti c.d. “eterodeterminati”, per la cui identificazione occorre fare riferimento ai relativi fatti costitutivi, tra loro divergenti sul piano genetico e funzionale.
Giudicato intermo
Costituisce capo autonomo della sentenza, come tale suscettibile di formare oggetto di giudicato anche interno, quello che risolve una questione controversa, avente una propria individualità ed autonomia, sì da integrare astrattamente una decisione del tutto indipendente; la suddetta autonomia non solo manca nelle mere argomentazioni, ma anche quando si verte in tema di valutazione di un presupposto necessario di fatto che, unitamente ad altri, concorre a formare un capo unico della decisione (In applicazione del suindicato principio, la S.C. ha escluso l’idoneità della domanda giudiziale di risarcimento del danno ex art. 2043 cod. civ. ad interrompere il corso della prescrizione delle azioni di responsabilità ex artt. 2049, 2050 e 2051 cod. civ., fondate su fatti costitutivi diversi da quelli del generale illecito aquiliano).
Atti interruttivi della prescrizione
I mezzi di interruzione della prescrizione sono solo quelli tipici previsti dalla legge, i quali esauriscono la possibilità di evitare la estinzione del diritto di credito: la domanda giudiziale, l’atto di costituzione in mora e il riconoscimento del diritto da parte del debitore. Ne consegue che non può ritenersi idoneo “qualsiasi atto del processo”, genericamente inteso, e così la comparsa conclusionale (in cui sia tardivamente manifestata la pretesa del creditore) o, in particolare, l’atto di riassunzione del processo.
Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 16-1-2006, n. 726 (CED Cassazione 2006)
Art. 2051 cc (Danno cagionato da cosa in custodia)
Art. 2049 cc /Responsabilità dei padroni e dei committenti)
Art. 2050 cc (Responsabilità per l’esercizio di attività apericolose)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata l’01/12/1997 Zo. Al. citava davanti al Tribunale di Bolzano, la società IC. s.a.s. e la società F.G. s.a.s. di S.M. per sentirle condannare in solido al risarcimento dei danni dallo stesso subiti a seguito del sinistro verificatosi il 21/06/1989 nel cantiere di Bolzano, ove stava lavorando.
L’azione era proposta a norma degli artt. 2049, 2050 e 2051 c.c., in guanto entrambe le convenute esercitavano un’attività pericolosa ed avevano in custodia le pareti di legno, necessaria per la costruzione, allorché una di queste era caduta addosso allo Zo., ferendolo.
Si costituiva la Ic., eccependo preliminarmente il giudicato, avendo la Corte di Appello di Bolzano, con sentenza n. 87/1997, rigettato la domanda risarcitoria, proposta con atto notificato il 28/06/1990 ex art. 2043 c.c., per lo stesso fatto.
La convenuta eccepiva, altresì, l’intervenuta prescrizione. Non si costituiva la F.G. s.a.s..
Il Tribunale, con sentenza n. 735 del 1999, rigettava la domanda accogliendo l’eccezione di prescrizione. Proponeva appello l’attore. La Corte di Appello di Trento, sez. distaccata di Bolzano, con sentenza depositata il 03/12/2001, rigettava l’appello nei confronti della convenuta Ic., mentre dichiarava che il diritto azionato non era prescritto nei confronti della F.G..
Riteneva la Corte di merito che vi era piena corrispondenza tra l’azione ed il diritto sostanziale fatto valere in giudizio e che, quando l’interruzione della prescrizione viene effettuata con domanda giudiziale, il fatto costitutivo (causa petendi) è rilevante, con la conseguenza che la prescrizione non viene interrotta con riferimento ad altri possibili fatti costitutivi; che, conseguentemente, la domanda proposta nel 1990 per risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. (essendo diversa rispetto a quella di risarcimento ex artt. 2049, 2050 e 2051 c.c., proposta con la citazione dell’01/02/1997, introduttiva del presente giudizio) non era idonea ad interrompere e sospendere il corso della prescrizione del diritto risarcitorio fatto valere in questo giudizio; che tale interruzione non poteva neppure essere effetto della richiesta, in sede di comparsa conclusionale, del risarcimento ex artt. 2049, 2050 e 2051, o dell’atto riassuntivo, effettuati entrambi nel precedente giudizio, attesa la natura di detti atti.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per Cassazione Zo. Al.. Resiste con controricorso la Ic. s.a.s..
MOTIVI DELLA DECISIONE
- Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione degliartt. 2943, 2945 e 2909 c.c., art. 324 c.p.c., e art. 329 c.p.c., comma 2. Assume il ricorrente che si era formato il giudicato implicito sull’assunto della sentenza di primo grado, secondo cui l’atto di citazione notificato il 28/06/1990 (precedente giudizio), aveva effetto interruttivo istantaneo e non permanente, con la conseguenza che, poiché un effetto solo istantaneo e non anche sospensivo non poteva riconoscersi ad una domanda giudiziale se non in caso di estinzione del giudizio, doveva ritenersi tale effetto interruttivo e sospensivo della citazione fino al passaggio in giudicato della sentenza della Corte di Appello n. 87/1997. Assume poi il ricorrente che, se sussiste una differenza tra azione ex art. 2043 c.c. e quella ex artt. 2051 e 2050 c.c., ciò opera solo in sede processuale, mentre tale differenza non si riverbera sul diritto sostanziale fatto valere con tali azioni, che rimane unico in tutti i suddetti casi (diritto risarcitorio del bene salute), con la conseguenza che opera l’interruzione della prescrizione di tale diritto, qualunque sia la domanda proposta.
2.1. Ritiene questa Corte che il motivo sia infondato e che lo stesso vada rigettato.
Quanto alla prima censura va osservato che nessun giudicato interno si era formato sul punto dell’intervenuta interruzione della prescrizione, sia pure con carattere istantaneo, per effetto della citazione notificala il 28/06/1990, in relazione ad ogni diritto risarcitorio dell’attore.
Ciò per due ordini di ragioni.
Anzitutto il giudicato interno può formarsi solo su un capo non impugnato della decisione, capace di comportare una parziale soccombenza della parte con conseguente necessità – appunto – della relativa impugnazione, non già su un argomento, sia pure di rilievo, posto nella sentenza impugnata a sostegno della decisione. Costituisce capo autonomo della sentenza, come tale suscettibile di formare oggetto di giudicato anche interno, quello che risolva una questione controversa, avente una propria individualità ed autonomia, sì da integrare astrattamente una decisione del tutto indipendente; la suddetta autonomia non solo manca nelle mere argomentazioni, ma anche quando si verta in tema di un presupposto necessario di fatto che, unitamente ad altri, concorra a formare un capo unico della decisione (Cass. 07/03/1995, n. 2621).
2.2. Nella fattispecie il capo autonomo della sentenza di primo grado era relativo al punto se il diritto azionato nel 1997 fosse prescritto o meno.
A tale questione, controversa tra le parti, il primo Giudice ha dato risposta negativa, per quanto attraverso un percorso giuridico- argomentativo in alcune parti errato e poi corretto dal Giudice di appello.
L’impugnazione proposta avverso la decisione di primo grado dallo Zo. investiva il Giudice di appello della decisione sull’intera questione, non potendo formarsi giudicato interno, in merito solo ad alcune argomentazioni giuridiche adottate dal primo Giudice, poiché esse non avevano una loro autonomia in relazione al punto controverso tra le parti: cioè l’esistenza o meno della prescrizione del diritto azionato.
2.3. Inoltre ed in ogni caso, la Ic. appellata era la parte totalmente vittoriosa in primo grado e quindi non era legittimata ad impugnare tale decisione del Tribunale. Essa a norma dell’art. 346 c.p.c., ha riproposto in sede di appello tutte le eccezioni già
avanzate in primo grado, tra le quali anche quella secondo cui l’atto di citazione del 1990 non era idoneo a realizzare alcuna forma di interruzione della prescrizione del diritto azionato con la domanda del 1997.
3.1. Quanto alla seconda censura, va osservato che essa si fonda sull’errata esclusione della necessaria correlazione tra azioni e diritti sostanziali fatti valere in giudizio, ai fini dell’interruzione delle prescrizione nell’ipotesi di cui all’art. 2943 c.p.c., comma 1.
Osserva questa Corte che, ai sensi della suddetta norma, non ogni domanda ha effetto interruttivo della prescrizione, ma soltanto quella con cui l’attore chieda il riconoscimento e la tutela del diritto di cui si eccepiva la prescrizione (Cass. 14/06/1988, n. 4031; Cass. 05/06/1979, n. 3174). In altre parole, la domanda giudiziale idonea ad interrompere la prescrizione, agli effetti dell’art. 2943 c.c., è soltanto quella avente ad oggetto il diritto della cui prescrizione si tratta (Cass. S.U. 04/02/1997, n. 1049; Cass. 28/07/2004, n. 14240; Cass. 03/03/1997, n. 1863; Cass. 21/10/1994, n. 8616).
3.2. Fermo questo principio, va osservato che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte la responsabilità per esercizio di attività di attività pericolosa (art. 2050 c.c.) implica l’accertamento di presupposti di fatto diversi, quanto meno in parte, da quelli propri per responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c. (Cass. N. 14905 del 2002; Cass. N. 2483 del 1998; Cass. N. 7214 del 1997). Egualmente è a dirsi per l’azione di cui all’art. 2051 c.c., (responsabilità da cose in custodia), che è stata ritenuta domanda nuova rispetto a quella proposta ex art. 2043 c.c., per essere diversa la causa petendi (Cass. S.U. 07/08/2001, n. 10893), nonché per l’azione proposta ex art. 2049 c.c., che costituisce un’ipotesi di responsabilità oggettiva per fatto altrui e non proprio.
3.3. Quindi la pretesa avanzata per chiedere l’adempimento di un’obbligazione risarcitoria ex art. 2043 c.c., non vale ad interrompere la prescrizione dell’azione, successivamente esperita di risarcimento ex artt. 2049, 2050 o 2051 c.c., difettando il requisito della pertinenza dell’atto interruttivo all’azione proposta (da identificarsi non solo in base al “petitum” ma anche alla “causa petendi”), in quanto le domande suddette si pongono in una relazione di reciproca non fungibilità e derivano da diritti cd. “eterodeterminati”, per la cui identificazione, cioè, occorre far riferimento ai relativi fatti costitutivi, tra loro sensibilmente divergenti sul piano genetico e funzionale.
- Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2943 c.c., comma 2, 3 e 4, e dell’art. 329 c.p.c., comma 2. Assume il ricorrente che erratamente la sentenza impugnata non abbia riconosciuto effetto interruttivo della prescrizione del diritto risarcitorio, attualmente azionato, alla domanda di risarcimento ex artt. 2049, 2050 e 2051 c.c., proposta nel precedente giudizio
(quello ex art. 2043 c.c.), con la comparsa conclusionale del 10/01/1994.
Infatti, secondo il ricorrente si trattava pur sempre di domanda, per quanto nuova ed inammissibile.
Lamenta poi il ricorrente che non sia stato riconosciuto effetto interruttivo all’atto riassuntivo, notificato nel 1994, nel processo instaurato nel 1990, a seguito del fallimento della ditta F.G..
5.1. Ritiene questa Corte che il motivo è infondato.
Infatti la comparsa conclusionale, in cui sia tardivamente manifestata la pretesa del creditore, non equivale alla domanda proposta all’inizio o nel corso del giudizio e perciò non rientra nelle previsioni dei primi due commi dell’art. 2943 c.c.; essa, in quanto non notificata personalmente alla controparte, non equivale neppure all’atto di costituzione in mora, di cui al comma 4, dell’art. citato (Cass. 06/11/1986, n. 6517; Cass. n.992/1972).
5.2. Pertanto, per quanto riguarda gli atti giudiziali, l’efficacia interruttiva è riconosciuta dalla legge solo ad atti tipici e specificamente enumerati, quali l’atto introduttivo di un giudizio, ovvero la domanda riconvenzionale, non già a qualsiasi atto del processo genericamente considerato (Cass. 05/03/1973, n. 603; Cass. 12/02/1971, n. 435). Laddove il legislatore ha ricollegato un determinato effetto ad atti indicati con una precisa terminologia tecnico-giuridica, non può essere questa intesa in senso generico ed empirico, sì da ricomprendere delle mere deduzioni difensive nel concetto di domanda. Peraltro, ove anche si superasse tale obiezione, non si sfuggirebbe alla necessità che tale atto debba essere notificato personalmente al debitore, essendo la rappresentanza del procuratore ad litem limitata all’esplicazione delle attività rientranti nella tutela processuale del diritto controverso.
- Egualmente va esclusa efficacia interruttiva all’atto di riassunzione.
Infatti, anche in questo caso, va osservato che l’atto riassuntivo alla Ic. fu correttamente notificato exart. 170 c.p.c., presso il procuratore costituito e non alla parte personalmente, per cui anche sotto questo profilo vale quanto sopra detto in merito all’inidoneità ad integrare atto di costituzione in mora. - Il ricorso va rigettato.
Esistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di questo giudizio di Cassazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Compensa tra le parti le spese del giudizio di Cassazione. Così deciso in Roma, il 30 novembre 2005.
Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2006