Roma, Via Valadier 44 (00193)
o6.6878241
avv.fabiocirulli@libero.it

Cassazione Civile 7267/2006 – Azione di reintegrazione nel possesso – Spoglio clandestino – Termine utile – Decorrenza

Richiedi un preventivo

Sentenza 7267/2006

Azione di reintegrazione nel possesso – Spoglio clandestino – Termine utile – Decorrenza

In tema di reintegrazione del possesso, il termine previsto dall’art. 1168 cod. civ. per proporre l’azione decorre – nel caso di spoglio clandestino – dal momento in cui la parte che ne è stata privata è in condizione di avvedersi dello spoglio, usando la diligenza ordinaria dell’uomo medio.

Azione di spoglio – Possesso – Elementi costitutivi

In tema di azione di spoglio, il possesso (o compossesso) di un bene, concretandosi in un potere di fatto sulla cosa, che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, non presuppone l’effettiva e continua utilizzazione della cosa in ogni sua parte, essendo sufficiente una relazione con il bene unitariamente considerato, anche se si concreti, per le particolari esigenze del possessore, in forme di godimento limitato.

Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 29-3-2006, n. 7267   (CED Cassazione 2006)

Art. 1168 cc (Azione di reintegrazione) – Giurisprudenza

Art. 1140 cc (Possesso) – Giurisprudenza

 

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 1 febbraio 1995 Ri. Gr. esponeva che:
possedeva una zona di terreno sita in S. Ma. di Nardo via (OMISSIS), di cui era anche proprietaria, confinante con un immobile il cui piano terra apparteneva a Giovanna St. ed il primo piano era di proprietà di Ma. Lu. Tr.;
di recente le predette avevano scavato a ridosso del fabbricato, costruito sul confine tra i due fondi, e sul terreo di proprietà della ricorrente, una intercapedine di circa 60 cm nonché un muro di contenimento;
inoltre le medesime avevano aperto nel muro in questione una finestra e uno sfiatatoio.
Pertanto la Gr. chiedeva al Pretore di Nardo il ripristino della situazione quo ante, configurando tali opere turbativa del possesso da lei goduto.
Le resistenti, costituendosi in giudizio, chiedevano il rigetto della domanda, deducendo che l’intercapedine denunciata non era altro che una condotta di areazione realizzata 40 anni prima contestualmente alla costruzione dell’immobile, condotta che correva, seppure interrata, nel terreno circostante l’immobile medesimo. Con ordinanza del 4 novembre 1999 il pretore diCh.va improponibile il ricorso proposto ex art. 1168 cod. civ., in relazione all’intercapedine, sul rilievo che la stessa era stata realizzata quarantanni prima;
condannava la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Avverso tale provvedimento di contenuto decisorio proponevano appello principale la Gr. ed incidentale la St. e la Tr. in relazione alla statuizione relativa alle spese relative alla consulenza tecnica d’ufficio.
Con sentenza dep. il 1 luglio 2002 la Corte di appello di Lecce, in parziale accoglimento dell’impugnazione principale, accoglieva la domanda possessoria proposta dalla ricorrente in riferimento alla turbativa del possesso determinato dalla intercapedine de qua. I giudici di appello, nell’escludere innanzitutto la decadenza prevista dall’art. 1168 cod. civ., rilevavano che detta intercapedine era stata messa in Lu. soltanto nel 1995 a seguito di lavori svolti dalle appellate, che avevano tolto lo strato di copertura, rendendola così visibile alla proprietaria, il cui possesso era stato così turbato;
nel merito osservavano che l’intercapedine medesima e il muro di contenimento costruito in parallelo alla distanza di 60 cm sorgevano su terreno di proprietà dell’attrice e di cui la medesima aveva comunque il possesso, avendo eseguito da oltre venti anni una recinzione che lo inglobava;
secondo quanto era risultato dalla lettera inviata nel 1995 dalle stesse convenute le medesime avevano modificato la situazione dei luoghi, sottraendo la striscia di terreno di cui l’attrice aveva il possesso ed impedendole di usarla e dimostrando di essere consapevoli di avere sovvertito la situazione possessoria.
Avverso tale decisione propongono ricorso per Cassazione la St. e la Tr. sulla base di un unico motivo.
Resistono con controricorso D.C. Ma. Ch. e D.C. Ma., quali eredi della Gr., nelle more deceduta.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo le ricorrenti, lamentando il difetto di motivazione nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 1168 cod. civ.. In riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, censurano la
decisione gravata che, disattendendo i principi formulati dalla giurisprudenza di legittimità – secondo cui gli atti di utilizzazione saltuaria non possono integrare gli estremi del possesso – non aveva motivato ne’ in ordine alla titolarità a favore della Gr. di una situazione di possesso tutelatile ne’ in relazione all’esistenza di uno spoglio e alla decorrenza del termine stabilito per proporre la relativa azione; la decisione impugnata si era limitata ad individuare il possesso della Gr. in base alla dichiarazione, peraltro priva di riscontri probatori, contenuta nell’atto introduttivo del giudizio secondo cui la zona in oggetto era recintata, mentre in relazione sia alla guaina bituminosa dalle medesime apposta senza contestazioni sia alla manutenzione con cadenza annuale effettuata e alla mancanza di terreno vegetale sulla guaina medesima, doveva escludersi il possesso da parte della Gr. della copertura dell’intercapedine, che risaliva a 40 anni prima, tenuto conto dello stato di totale abbandono in cui versava il fondo della Gr.; senza alcuna motivazione in ordine agli elementi probatori era stato ritenuta l’esistenza nelle convenute dell’animus spoliandi.
Il motivo va disatteso.
La sentenza impugnata, dopo avere accertato che a seguito dei lavori effettuati dalle convenute la intercapedine era stata messa in Lu. soltanto dal 1995 rendendola così visibile, ha verificato che, secondo quanto ammesso dalle attuali ricorrenti, le opere realizzate avevano modificato la situazione di fatto sottraendo alla Gr. la striscia di terreno ed impedendole di usarla: in particolare veniva riconosciuta la situazione di possesso a favore dell’attrice in considerazione della recinzione dalla medesima effettuata circa venti anni prima.
Orbene, la decisione impugnata ha accertato la tempestività dell’azione proposta nel termine di un anno che, nel caso di spoglio clandestino – come nella specie – decorre dal momento in cui lo spogliato è in condizione di scoprirlo, usando la diligenza ordinaria dell’uomo medio (Cass. 1044/1989). I giudici hanno quindi verificato l’esistenza di una situazione di possesso tutelabile ex art. 1168 cod. civ.: la relazione della Gr. con la cosa, concretandosi in un utilizzazione che non era ne’ precaria ne’ saltuaria(recinzione dell’area compiuta dalla Gr. oltre vent’anni prima), si traduceva nell’esercizio da parte del possessore di poteri corrispondenti al contenuto del diritto di proprietà senza alcuna possibilità di interferenza da parte di altri soggetti. In tema di azione di spoglio, il possesso (o compossesso) di un bene, concretandosi in un potere di fatto sulla cosa, che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, non presuppone l’effettiva e continua utilizzazione della cosa in ogni sua parte, essendo sufficiente una relazione con il bene unitariamente considerato, anche se si concreti, per le particolari esigenze del possessore, in forme di godimento limitato (Cass. 7538/2004). Il precedente richiamato dalle ricorrenti, che è in sintonia con i principi enunciati, non conforta la tesi difensiva dalle medesime sostenuta, posto che in quel caso era stato escluso che la recinzione di un area(effettuata, bensì, dallo spogliatole) potesse integrare gli estremi dello spoglio sul rilievo che il ricorrente (lo spogliato) non aveva provato una situazione di possesso tutelatale ai sensi dell’art. 1168 cod. civ., essendo stata accertata un’utilizzazione soltanto precaria dell’area medesima. D’altra parte i giudici di appello, nel verificare l’esistenza dell’animus spoliandi, hanno ritenuto che con la missiva del 23/10/1995 le convenute avevano dimostrato la consapevolezza di avere sovvertito la situazione possessoria di cui veniva così riconosciuta titolare la Gr.. In realtà le doglianze sollevate dalle ricorrenti, pur facendo riferimento a violazioni di legge e a vizi di motivazione, di cui la sentenza come si è detto è immune, sono sostanzialmente dirette a censurare l’apprezzamento del materiale probatorio compiuto dal giudice di merito nell’ambito dell’indagine di fatto al medesimo riservata.
Orbene la valutazione delle prove e la scelta, tra le varie risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia sono rimesse alla valutazione del giudice di merito e sono sindacabili in sede di legittimità sotto il profilo della adeguata e congrua motivazione che sostiene la scelta di attribuire valore probatorio ad un elemento emergente dall’istruttoria piuttosto che a un altro (Cass. 160340/2002). Il vizio di motivazione di cui .all’art. 360 c.p.c., n. 5 si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrato il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia o un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico- giuridico posto a base della decisione e non può consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice di merito rispetto a quello preteso dalla parte (Cass. 2222/2003). L’art. 360 c.p.c., n. 5, non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa ma soltanto quello di controllare, sotto il profilo logico e formale, la correttezza dell’esame e della valutazioni compiuti nella sentenza impugnata. Il ricorso va pertanto rigettatele spese della presente fase vanno poste in solido a carico delle ricorrenti risultate soccombenti.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti in solido al pagamento in favore dei resistenti delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 1900,00 di cui Euro 100,00 per esborsi ed Euro 1.800,00 per onorar di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 novembre 2005. Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2006