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Cassazione Civile 7331/2016 – Azione generale di arricchimento – Ingiustizia della causa

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Sentenza 7331/2016

Azione generale di arricchimento – Ingiustizia della causa

In tema di azione generale di arricchimento, che presuppone la locupletazione, senza giusta causa, di un soggetto a danno di un altro, non è invocabile la mancanza ovvero l’ingiustizia della causa, allorché l’arricchimento (nella specie, l’assegnazione di un alloggio realizzato da una cooperativa edilizia) dipenda da un atto di disposizione volontaria (nella specie, la cessione, in favore dell’assegnatario, delle quote della società cooperativa), finché questo conservi la propria efficacia obbligatoria.

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, Sentenza 13 aprile 2016, n. 7331   (CED Cassazione 2016)

Articolo 2041 c.c. annotato con la giurisprudenza

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato in data 7 luglio 2006 (OMISSIS) evocava in giudizio (OMISSIS), coniuge da cui era divorziato, deducendo che nel corso del matrimonio i coniugi avevano formulato domanda di ammissione alla (OMISSIS) e, entrati a far parte della medesima, le avevano versato la complessiva somma di 178.602.000 ed era stata loro assegnata una unità immobiliare, con annesso box, del complesso residenziale sito in (OMISSIS). In data 20 novembre 1995 l’attore, per non perdere i benefici fiscali relativi all’acquisto della prima casa, essendo lo stesso già proprietario della quota di altro immobile in (OMISSIS), era receduto dalla Cooperativa in favore della moglie e l’operazione era stata annotata nel libro soci della Cooperativa l’11 dicembre 1995. Il 14 giugno 1996 (OMISSIS) si rendeva assegnataria dell’alloggio, di cui era divenuta, quindi, unica proprietaria. In seguito aveva avuto luogo la separazione consensuale dei coniugi, il cui verbale era stato omologato il 26 novembre 1997; il matrimonio era stato poi sciolto con sentenza del (OMISSIS). L’attore assumeva di essere creditore, nei confronti dell’ex-coniuge, per la metà della somma erogata alla cooperativa, pari ad Euro 46.120,12 e rilevava che tale importo gli era dovuto, in via subordinata, a titolo di indennizzo per l’ingiustificato arricchimento.

La convenuta si costituiva ed eccepiva la nullità della citazione per indeterminatezza della causa petendi dell’azione spiegata in via principale e, con specifico riguardo alla domanda di ingiustificato arricchimento, rilevava che il richiesto indennizzo non spettava, visto che i pagamenti erano stati posti in essere in favore della cooperativa; rispetto a questa seconda domanda eccepiva, inoltre, la prescrizione del diritto.

Il Tribunale di Torino accoglieva la domanda subordinata e condannava la convenuta al pagamento della somma di Euro 46.016,31, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali.

La sentenza era impugnata da (OMISSIS), la quale riproponeva l’eccezione di nullità dell’atto di citazione e quella, di merito, afferente l’alterità tra il soggetto che aveva conseguito l’arricchimento e il soggetto con il quale l’esecutore della prestazione aveva avuto un rapporto diretto; asseriva di aver interamente corrisposto il prezzo per l’acquisto dell’immobile e assumeva, inoltre, che, ove pure dal recesso dell’attore dalla cooperativa le fosse derivato un arricchimento, l’operazione era stata effettuata spontaneamente e consapevolmente dalla controparte e doveva presumersi attuata in adempimento dei doveri di contribuzione tra coniugi; rilevava, in proposito, che le attribuzioni patrimoniali effettuate nell’ambito del rapporto di coniugio dovevano presumersi caratterizzate da spirito di liberalità e in adempimento dei detti doveri di contribuzione, da valutarsi con riferimento al momento della dazione, sicchè la successiva separazione non valeva ad escludere che il marito avesse inteso compiere una liberalità in favore della moglie. Rilevava, infine, che l’appartamento era stato rivenduto al prezzo di Lire 105.000.000, sicchè la domanda non avrebbe potuto accogliersi che nella misura corrispondente alle metà di tale importo.

(OMISSIS) si costituiva, replicando ai motivi di impugnazione proposti e deducendo, in particolare: che il tribunale aveva correttamente escluso la propria volontà di arricchire il coniuge con la cessione della propria quota (operazione, questa, che non poteva qualificarsi come contribuzione ai bisogni della famiglia); che il prezzo della successiva rivendita dell’immobile non assumeva rilievo, giacchè l’arricchimento si era attuato con l’acquisto della proprietà di un immobile al prezzo di Lire 223.000.000;

che le deduzioni svolte con riguardo alla provenienza delle somme versate alla Cooperativa integravano eccezioni nuove.

La Corte di appello di Torino, con sentenza pubblicata il 24 gennaio 2011, in riforma della pronuncia impugnata, respingeva la domanda. Il giudice del gravame riteneva che l’arricchimento di cui si doleva l’appellato trovava il proprio fondamento dalla cessione della quota della cooperativa dal marito alla moglie: atto, questo, che integrava una donazione indiretta, non soggetta, come tale, ai rigori di forma propri della donazione: sicchè l’azione di ingiustificato arricchimento non era proponibile, posto che all’origine dell’attribuzione patrimoniale si poneva un atto di disposizione volontaria.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS), che ha articolato due motivi. Resiste, con controricorso, (OMISSIS). Il ricorrente ha depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 2041 e 2042 c.c., oltre che dell’articolo769 c.c.. La controparte non aveva mai sostenuto che fosse stata posta in essere in proprio favore una liberalità, sicchè la corte di merito aveva errato nel qualificare in tal modo la cessione della propria quota e aveva argomentato extra perita. Nel corso del giudizio di merito (OMISSIS) aveva infatti sostenuto, per il tramite del suo difensore, che il prezzo per l’acquisto della casa coniugale era stato corrisposto interamente da lei e aveva inoltre rilevato come l’operazione attuatasi con la nominata cessione della quota aveva la propria causa del rapporto di coniugio e nei conseguenti doveri previsti dall’articolo 143 c.c.. Tali eccezioni di merito non erano state prese in considerazione dal giudice d’appello il quale aveva ravvisato nell’atto di trasferimento la causa tipica del contratto di donazione. Inoltre la corte distrettuale non aveva valutato che lo stesso (OMISSIS) aveva provveduto al pagamento della quota dell’immobile poi assegnato per andarci a vivere con il proprio nucleo familiare e non, quindi, per arricchire la moglie. Secondo il ricorrente, poi, la corte di merito aveva errato nell’affermare che l’arricchimento era consistito nell’atto di cessione della quota, dal momento che esso si era prodotto per effetto del successivo acquisto dell’immobile da parte di (OMISSIS) nella misura del 100%. La sentenza impugnata, infine, non aveva provveduto ad accertare la sussistenza dell’elemento soggettivo relativo al preteso atto di liberalità e, segnatamente, aveva mancato di accertare se la disposizione patrimoniale fosse animata da spirito di liberalità, e quindi effettuata a titolo di mera e spontanea elargizione, fine a se stessa.

Col secondo motivo è lamentata l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Assume il ricorrente che la corte torinese aveva mancato di argomentare circa la sussistenza, nella concreta fattispecie oggetto di causa, di un atto di liberalità e, segnatamente circa la configurazione dell’elemento soggettivo che doveva connotare detto atto. In particolare, il ricorso denuncia l’illogicità e l’incompletezza del ragionamento che aveva portato la corte distrettuale a ritenere atto di liberalità l’arricchimento della moglie in danno del marito, reputando residuale la sussistenza della liberalità stessa in assenza di altre cause. Inoltre il giudice d’appello era incorso in un ulteriore vizio di motivazione nell’affermare che l’atto di disposizione fosse stato effettuato con una finalità di elusione rispetto al trattamento fiscale che sarebbe conseguito in caso di acquisto effettuato in comunione – come l’originaria partecipazione di entrambi i coniugi alla cooperativa prefigurava -, e nel sostenere, altresì, l’influenza del dato per cui l’operazione era stata posta in essere nella previsione di godere comunque della disponibilità di fatto dell’immobile in virtù del rapporto di coniugio: infatti, dette circostanze escludevano di per sè proprio la finalità propria dell’atto di liberalità. In realtà, il ricorrente aveva dimostrato proprio la mancanza di causa tipica di un contratto o di un rapporto giuridico negoziale sottostante la locupletazione della controparte, sicchè la domanda ex articolo2041 c.c. doveva essere accolta.

I due motivi possono essere esaminati congiuntamente, prospettando questioni che sono strettamente connesse.

Essi censurano, in buona sintesi, la qualificazione dell’atto di cessione della quota come donazione indiretta: operazione, questa, da cui è derivata la decisione circa l’insussistenza dell’ingiustificato arricchimento.

Ora, fatti costitutivi della domanda di arricchimento senza causa sono il pregiudizio e la dipendenza di questo da una non giustificata locupletazione del convenuto (principio pacifico che si trova espresso in giurisprudenza fin da Cass. 23 aprile 1963, n. 1061). Correlativamente, il giudice ha il potere-dovere di esaminare se l’arricchimento trovi ragione in un determinato atto, dedotto in giudizio, dal momento che tale verifica attiene al fatto costitutivo della pretesa azionata, che è definito, in senso negativo, dall’inesistenza di una giusta causa di locupletazione.

La corte di merito ha affermato che il risultato dell’arricchimento di cui si duole il ricorrente è derivato dall’atto di cessione di quota operato dallo stesso in favore della ex moglie.

Che detta cessione sia avvenuta è circostanza oggetto di un accertamento non sindacabile in questa sede. Del resto, lo stesso ricorrente riconosce, in ricorso, di aver formulato “domanda di recesso della propria quota sociale a favore della moglie” e specificato che nel libro soci della cooperativa figura annotazione in cui si legge che “l’intera quota capitale versata dall’attore veniva intestata alla sig.ra (OMISSIS)”. Non è quindi nemmeno contestato che un atto dispositivo negoziale avente ad oggetto la cessione della quota abbia avuto luogo.

Il ricorrente assume che l’arricchimento si sarebbe attuato, più che con la cessione della quota, col successivo acquisto della proprietà dell’intero immobile oggetto dell’assegnazione da parte di (OMISSIS) (posto che in tal modo la stessa controricorrente avrebbe beneficiato dei pagamenti operati dallo stesso (OMISSIS) alla cooperativa: pagamenti il cui ammontare sarebbe pari alla metà di quanto complessivamente versato). Tale ricostruzione è però da disattendere, in quanto l’assegnazione dell’immobile da parte della cooperativa alla controricorrente costituisce un effetto indiretto della cessione della quota: è infatti attraverso la partecipazione incorporata nella quota ricevuta dall’ex marito che (OMISSIS) conseguì il diritto all’assegnazione del bene.

È pacifico, poi, che la cessione della quota abbia avuto luogo senza corrispettivo e che, quindi, si sia in presenza di un atto a titolo gratuito. Dalla gratuità dell’atto la corte di merito ha fatto discendere la natura liberale dell’attribuzione patrimoniale regolata dall’atto di cessione della quota e da ciò è dipeso, per quanto qui interessa, la qualificazione del negozio come donazione indiretta. Una volta operata detta qualificazione, il giudice del gravame ha concluso nel senso che l’azione di ingiustificato arricchimento non era proponibile: ciò in quanto, in primo luogo, esisteva un’azione tipica che poteva essere promossa dalla parte che aveva posto in essere l’atto di disposizione patrimoniale (azione consistente nell’impugnativa negoziale dell’atto stesso) e, in secondo luogo, poichè l’actio de in rem verso non può essere esperita allorchè l’arricchimento trovi fondamento in un rapporto, contrattuale o di altra natura.

La qualificazione è stata contestata dal ricorrente sotto diversi profili.

Deve però rilevarsi che tale qualificazione non è decisiva al fine di escludere la proponibilità dell’azione di ingiustificato arricchimento, e ciò proprio avendo riguardo a quanto osservato nella sentenza impugnata quanto alle condizioni che consentono, in concreto, la proposizione dell’azione di ingiustificato arricchimento.

Infatti, come ricordato dalla stessa corte distrettuale, l’azione generale di arricchimento ha come presupposto che la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro sia avvenuta senza giusta causa, sicchè, qualora essa sia invece conseguenza di un contratto o di altro rapporto, non è legittimo invocare la mancanza o l’ingiustizia della causa, almeno fino a quando il contratto o il rapporto conservino la propria efficacia obbligatoria (Cass. S.U. 3 ottobre 2002, n. 14215; cfr. pure Cass. 16 marzo 2005, n. 5689; Cass. 31 gennaio 2008, n. 2312; analogamente, nel senso che l’arricchimento senza causa non sussiste quando lo squilibrio economico a favore di una parte e in pregiudizio dell’altra sia giustificato dal consenso della parte che assume di essere stata danneggiata, in quanto la prestazione volontaria esclude l’arricchimento, quali che siano le conseguenze, vantaggiose o svantaggiose, della libera e concorde determinazione della volontà negoziale, cfr. Cass. 21 novembre 1996, n. 10251; Cass. 23 gennaio 2002, n. 735).

L’attribuzione patrimoniale di cui si duole il ricorrente trae origine dall’atto di cessione di quote, per cui, indipendentemente dal fatto che quest’ultimo possa o meno qualificarsi come donazione indiretta, il denunciato arricchimento trova il proprio fondamento in un atto di disposizione volontaria.

Nè è corretto sostenere che la cessione della quota sia “avvenuta senza titolo alcuno” (ricorso, pag. 12): in tal modo si confonde l’effetto traslativo con il negozio che lo programma. Il trasferimento della quota è stato operato, come ricordato, in forza dell’atto di cessione formalizzato 1111 dicembre 1995 e tale atto costituisce, quindi, il titolo del nominato effetto traslativo, che si è tradotto nell’arricchimento di (OMISSIS).

D’altra parte, la deduzione dell’invalidità o dell’inefficacia dell’atto dispositivo avrebbe dovuto essere fatta valere dall’odierno ricorrente con una domanda diversa da quella di cui all’articolo2041 c.c.. E correttamente la corte di appello ha evidenziato, al riguardo, che era onere dell’odierno ricorrente chiarire, nel giudizio di merito, il fondamento della pretesa azionata in via principale: fondamento che, in termini ipotetici e astratti, avrebbe potuto essere anche quello della richiamata invalidità o inefficacia dell’atto dispositivo della quota.

In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE

rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

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