Ordinanza 7424/2021
Restituzione immobile – Rifiuto dell’offerta non formale
Nell’ipotesi in cui l’immobile offerto in restituzione dal conduttore si trovi in stato non corrispondente a quello descritto dalle parti all’inizio della locazione, ovvero, in mancanza di descrizione, si trovi, comunque, in cattivo stato locativo, per accertare se il rifiuto del locatore di riceverlo sia o meno giustificato, occorre distinguere a seconda che la cosa locata risulti deteriorata per non avere il conduttore adempiuto all’obbligo di eseguire le opere di piccola manutenzione durante il corso della locazione, ovvero per avere il conduttore stesso effettuato trasformazioni e/o innovazioni, così che, nel primo caso (trattandosi di rimuovere deficienze che non alterano la consistenza e la struttura della cosa, e non implicano l’esplicazione di un’attività straordinaria e gravosa) l’esecuzione delle opere occorrenti per il ripristino dello «status quo ante» rientra nel dovere di ordinaria diligenza cui il locatore è tenuto per non aggravare il danno, ed il suo rifiuto di ricevere la cosa è conseguentemente illegittimo, salvo diritto al risarcimento dei danni, mentre, nel secondo caso (poiché l’esecuzione delle opere di ripristino implica il compimento di un’attività straordinaria e gravosa), il locatore può legittimamente rifiutare la restituzione della cosa locata nello stato in cui essa viene offerta”.
Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 17 marzo 2021, n. 7424
Art. 1220 cc annotato con la giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
- La società E.S. S.r.l. ricorre, sulla base di cinque motivi, per la cassazione della sentenza n. 2219/18, del 5 novembre 2018, della Corte di Appello di Catania, che – rigettando il gravame dalla stessa esperito avverso la sentenza n. 142/18, del 18 gennaio 2018, del Tribunale di Siracusa – ha confermato, in accoglimento solo parziale della domanda proposta dalla predetta società, la condanna del (OMISSIS) (già Provincia Regionale di Siracusa) a pagarle l’importo di € 228,774,76, oltre interessi legali alle singole scadenze, per canoni di locazione immobiliare non corrisposti, nonché quello di € 191.443,98 (IVA compresa), oltre interessi dal 16 Maggio 2015, a titolo di risarcimento danni, ex art.1590 cod. civ.
- Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente di aver dato in locazione alla Provincia di Siracusa – con contratto stipulato il 7 novembre 2002, della durata dì sei anni, decorrente dal successivo 20 agosto – un immobile adibito dalla locataria a sede di due istituti scolastici, rapporto contrattuale rinnovatosi, a dire della locatrice, in assenza di tempestiva disdetta, per due volte consecutive, e dunque fino al 20 agosto 2020. Lamentando morosità della conduttrice nel pagamento dei canoni, nonché l’esistenza di danni dalla stessa cagionati al bene condotto in locazione, la società locatrice adiva l’autorità giudiziaria, ex art. 447 -bis cod. proc. civ., per chiedere la condanna della Provincia al pagamento di complessivi € 1.930.056,16, di cui € 774.216,10 a titolo di danni all’immobile, ed € 1.155.840,06 per canoni non corrisposti dall’8 febbraio 2014 al 20 febbraio 2017, oltre ai canoni destinati a scadere.
Il primo giudice, tuttavia, pur accogliendo la domanda, circoscriveva l’oggetto della condanna nei limiti dianzi indicati, e ciò – per quanto qui ancora di interesse – sul presupposto che il contratto fosse venuto meno in ragione del recesso operato, ai sensi dell’art. 27, ultimo comma, della legge 27 luglio 1978, n. 392, in data 6 agosto 2014, al quale aveva fatto poi seguito, il 15 maggio 2015, offerta non formale di rilascio del bene.
Esperito gravame dall’attrice, lo stesso veniva rigettato.
- Avverso la pronuncia della Corte etnea ricorre per cassazione la società E.S., sulla base – come detto – di cinque motivi.
3.1. Con il primo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3) e 5), cod. proc. civ. – si denuncia violazione dell’art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile e dell’art. 28 della legge n. 392 del 1978, oltre ad omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha qualificato come recesso per giusto motivo, e non come disdetta (che la ricorrente assume intempestiva, perché non intervenuta almeno sei mesi prima della scadenza del contratto, donde la rinnovazione di quest’ultimo fino al 20 agosto 2020, ai sensi dell’art. 28 della legge n. 392 del 1978), la missiva del 6 agosto 2014 con cui la conduttrice comunicava di non poter “rinnovare il contratto di locazione”, non solo in quanto “estremamente oneroso”, ma anche perché non più “funzionale” alle proprie esigenze “dal momento che l’immobile risulta di molto sovradimensionato rispetto alle necessità attuali”. Orbene, secondo la ricorrente, alla stregua tanto dell’interpretazione letterale delle parole usate nella missiva, quanto del loro significato, l’atto in questione avrebbe dovuto essere inteso come disdetta, donde il vizio di “error in iudicando” in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale, la quale avrebbe anche omesso l’esame di un fatto decisivo, ovvero che a seguito di tale tardiva disdetta il contratto si era rinnovato fino al 20 agosto 2020.
3.2. Con il secondo motivo – proposto nuovamente ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3) e 5), cod. proc. civ. – si denuncia violazione dell’art. 27, ultimo comma, della legge n. 392 del 1978, nonché dell’art. 2697 cod. civ., oltre ad omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
Secondo la ricorrente, anche ad ammettere che la missiva del 6 agosto 2014 fosse un atto di recesso, esso sarebbe comunque “invalido ed inefficace”, dovendo escludersi che quello indicato nella predetta comunicazione rientrasse nel novero dei “gravi motivi”, di cui all’art. 27, ultimo comma, della legge n. 392 del 1978, da identificarsi solo in fatti obiettivi, estranei alla volontà del conduttore, sopravvenuti ed imprevedibili, dei quali, oltretutto, la conduttrice non avrebbe offerto prova.
Inoltre, avendo la Corte territoriale omesso di esaminare quanto appena osservato, la sentenza dalla stessa pronunciata risulterebbe viziata anche a norma dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc.
3.3. Il terzo motivo – proposto anch’esso ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3) e 5), cod. proc. civ. – denuncia violazione degli artt.1220, 1590 e 1591 cod. civ.
Si censura, in questo caso, la decisione del giudice di appello di ritenere l’invito – inoltrato dalla locataria alla locatrice, via fax, il 14/15 maggio 2015 – a ricevere in consegna l’immobile, nonché il successivo rifiuto della stessa, come “sufficienti e idonei ad evitare la mora del conduttore”, esonerandolo dal pagamento del canone. Invero, l’esistenza di gravi danni all’immobile – come attestato da una serie di documenti in atti, ovvero, il verbale di sopralluogo sottoscritto dalle parti il 27 marzo 2014, una perizia redatta per conto della locatrice il 10 aprile 2014, l’ammissione dei danni stessi da parte della conduttrice, dapprima nella nota del 6 agosto 2014 (con cui essa riconosceva che l’esecuzione dei lavori necessari alla loro eliminazione richiedeva una spesa dì € 154.447,16), e poi in quella del 13 agosto 2015 (che individuava, invece, un maggior onere complessivo in € 191.443,98), ed infine la nota dell’8 settembre 2015 della stessa locatrice, disponibile ad accettare una somma a titolo di indennizzo, purché l’importo fosse stato, però, determinato in contraddittorio – avrebbero legittimato il rifiuto della locatrice ad accettare la riconsegna del bene. Ciò che, del resto, sarebbe stato attestato dal provvedimento emesso dal Presidente del Tribunale di Siracusa, al quale la società conduttrice si era rivolta per ottenere la nomina di un sequestratario dell’immobile, ex art. 1216 cod. civ., proprio a seguito del rifiuto della locatrice di ricevere il bene, trattandosi, per l’appunto, di un provvedimento di rigetto, motivato in ragione dei danni presenti nell’immobile.
3.4. Con il quarto motivo è denunciata – ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 5), cod. proc. civ. – violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., oltre ad omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
Si censura la sentenza impugnata per aver omesso ogni motivazione sulla richiesta di ammissione di CTU al fine di far accertare lo stato e le condizioni dell’immobile e l’entità dei danni dallo stesso subiti, consulenza che avrebbe certamente “invalidato”, secondo la ricorrente, l’insufficiente quantificazione dei danni operata da entrambi i giudici di merito.
3.5. Infine, con il quinto motivo – proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – è denunciata “violazione dell’art. 91 cod. proc. civ.”, chiedendo che le spese dei gradi dì merito siano poste “a carico della parte resistente”.
- Il Consorzio Comunale di Siracusa ha resistito, con controricorso, all’avversaria impugnazione, chiedendone la declaratoria di inammissibilità, ovvero, in subordine, il rigetto.
L’inammissibilità è motivata, in particolare, sul rilievo che nel ricorso sarebbe carente l’esposizione, ancorché solo “sommaria”, dei fatti dì causa, come la specifica indicazione degli atti, documenti o contratti su cui il ricorso si fonda.
Quanto, invece, al merito del ricorso, la controricorrente – non senza previamente evidenziare come la rinnovazione tacita del contratto vada esclusa per le locazioni concluse, come nella specie, da pubbliche amministrazioni (peraltro, comunque abilitate a recedere dalle locazioni anche senza preavviso, giusta la previsione di cui all’art. 2-bis della legge 13 dicembre 2017, n. 137) – sottolinea come la sentenza risulti del tutto correttamente motivata anche in relazione al mancato riconoscimento della legittimità del diniego della locatrice a ricevere la consegna del bene, visto che i danni all’immobile erano quelli derivanti dalla violazione dell’obbligo del conduttore di procedere alla cd. “piccola manutenzione del bene”. Quanto, poi, alla mancata ammissione della CTU, essa si giustificherebbe in ragione del fatto che la conduttrice non può essere chiamata a rispondere dell’ulteriore deterioramento del bene proprio in ragione del rifiuto della locatrice di accettarne la riconsegna.
- Ha presentato memoria la ricorrente, insistendo nelle proprie argomentazioni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
- In via preliminare, va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dal controricorrente ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 3), cod. proc. civ.
6.1. Va, difatti, rammentato che tale norma, “nel prescrivere che il ricorso per cassazione deve essere corredato dall’esposizione «sommaria» dei fatti di causa, implica che la stessa deve contenere il necessario e non il superfluo” (Cass. Sez. 1, sent. 27 ottobre 2016, n. 21750, Rv. 642634-01), condizione certamente soddisfatta nel caso dì specie. La presente impugnazione reca, invero, una ricostruzione sintetica della vicenda per cui è causa, ma comunque idonea allo scopo di renderla conoscibile in tutti i suoi sviluppi, occorrendo qui ribadire che “il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità al dovere processuale della chiarezza e della sinteticità espositiva, dovendo il ricorrente selezionare i profili di fatto e di diritto della vicenda «sub iudice» posti a fondamento delle doglianze proposte in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 cod. proc. civ.” (da ultimo, Cass. sez. 5, sent. 30 aprile 2020, n. 8425, Rv. 658196-01).
- Ciò premesso, il ricorso va rigettato.
7.1. I motivi primo e secondo – suscettibili di esame congiunto, data la loro connessione, involgendo il tema della qualificazione, come disdetta o recesso, dell’atto posto in essere nel 2016 dalla conduttrice – non sono fondati.
7.1.1. Essi, per vero, presentano profili di criticità già sul piano dell’ammissibilità, applicandosi ai negozi unilaterali – tali essendo sia la disdetta che il recesso dalla locazione – le regole proprie dell’interpretazione del contratto, e ciò “in ragione del rinvio ad esse operato dall’art. 1324 cod. civ.”, sebbene “nei limiti della compatibilità con la particolare natura e struttura di tali negozi, sicché, mentre non può aversi riguardo alla comune intenzione delle parti ma solo all’intento proprio del soggetto che ha posto in essere il negozio, resta fermo il criterio dell’interpretazione complessiva dell’atto” (cfr. Cass. Sez. 1, sent. 6 maggio 2015, n. 9127, Rv. 635358-01). Di conseguenza, la ricorrente avrebbe dovuto chiarire quale criterio ermeneutico sarebbe stato disatteso, nella specie, dalla Corte territoriale, nel qualificare la missiva del 6 agosto 2014 come recesso, piuttosto che come disdetta.
A prescindere, tuttavia, da tali rilievi, i motivi di ricorso qui in esame risultano, come detto, non fondati.
Premessa, invero, l’applicabilità del recesso ex art. 27, ultimo comma, della legge 27 luglio 1978, n. 392, anche agli enti locali territoriali (Cass. Sez. 3, sent. 22 novembre 2000, n. 15082, Rv. 542024-01; in senso conforme, in motivazione, anche Cass. Sez. 3, sent. 19 dicembre 2014, n. 26892, Rv. 633959-01), nonché l’inapplicabilità alla presente fattispecie, “ratione temporis”, all’art. 2- bis della legge 13 dicembre 2017, n. 137, va qui ribadito che i “gravi motivi”, di cui alla norma suddetta, “devono essere determinati da avvenimenti estranei alla volontà del conduttore, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto, che ne rendano oltremodo gravosa la prosecuzione”, dovendo tale gravosità “avere una connotazione oggettiva, non potendo risolversi nella unilaterale valutazione effettuata dal medesimo conduttore in ordine alla convenienza o meno di continuare il rapporto locativo”, sicché essa deve “eccedere l’ambito della normale alea contrattuale” (cfr. da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 24 settembre 2019, n. 23639, Rv. 655170- 01).
Orbene, nel caso che occupa, l’ente locatario ha motivato la volontà di sciogliersi dal rapporto non solo (o meglio, non tanto) perché divenuto “estremamente oneroso”, ma soprattutto in quanto non più “funzionale” alle proprie esigenze, “dal momento che l’immobile” – adibito a sede di istituti scolatici – “risulta di molto sovradimensionato rispetto alle necessità attuali”. Orbene, il “sovradimensionamento” dell’immobile (rispetto al numero degli studenti) rappresenta certamente quell’avvenimento estraneo alla volontà del conduttore, oltre che sopravvenuto ed imprevedibile, destinato ad eccedere la normale alea contrattuale, donde la non fondatezza del primo motivo di ricorso.
Quanto, invece, all’onere per il conduttore di provare l’effettiva ricorrenza di tale “grave motivo” (profilo su cui insiste il secondo motivo di ricorso), la sua infondatezza deriva da quanto si legge nella stessa sentenza impugnata.
Essa, infatti, attesta che tale giustificazione addotta dalla conduttrice risultò “non contestata dalla locatrice” (richiamatasi, in corso di causa, solo alla giurisprudenza che nega rilievo alla sopravvenuta onerosità del canone), sicché deve darsi continuità al principio secondo cui, “ai fini del valido ed efficace esercizio del diritto potestativo di recesso del conduttore, a norma dell’art. 27, ottavo comma, della legge 27 luglio 1978, n. 392, è sufficiente che egli manifesti al locatore, con lettera raccomandata o altra modalità equipollente, il grave motivo per cui intende recedere dal contratto di locazione, senza avere anche l’onere di spiegare le ragioni di fatto, di diritto o economiche su cui tale motivo è fondato, né di darne la prova, perché queste attività devono esser svolte in caso di contestazione da parte del locatore” (Cass. Sez. 3, sent. 17 gennaio 2012, n. 549, Rv. 620955-01; in senso conforme anche Cass. Sez. 3, sent. 20 marzo 2006, n. 2095, Rv. 588368-01 e Cass. Sez. 3, sent. 12 novembre 2003, n. 17042, Rv. 568116-01).
7.2. Anche il terzo motivo – che ipotizza l’inidoneità dell’offerta non formale di consegna del bene ad escludere la “mora debendi” del conduttore, e ciò in ragione del fatto che l’esistenza di danni risarcibili avrebbe legittimato il locatore a rifiutare detta consegna – non è fondato.
7.2.1. In linea generale va osservato che, “in tema di riconsegna dell’immobile locato, mentre l’adozione della procedura di cui agli artt. 1216 e 1209, comma 2, cod. civ., rappresenta l’unico mezzo per la costituzione in mora del creditore e per provocarne i relativi effetti, l’utilizzo, da parte del conduttore, di altre modalità aventi valore di offerta reale non formale (art. 1220 cod. civ.), purché serie, concrete e tempestive e sempreché non sussista un legittimo motivo di rifiuto da parte del locatore, benché insufficiente a costituire in mora il locatore è tuttavia idonea ad evitare la mora del conduttore nell’obbligo di adempiere la prestazione, anche ai fini dell’art. 1591 cod. civ.” (così Cass. Sez. 3, sent. 4 aprile 2017, n. 8672, Rv. 643704- 01; in senso conforme, più di recente, Cass. Sez. 3, sent. 24 settembre 2019, n. 23639, Rv. 655170-02, nello stesso senso, tra le tante, già Cass. Sez. 3, sent. 20 giugno 2013, n. 15433, Rv. 626870- 01; Cass. Sez. 3, sent. 27 novembre 2012, n. 21004, Rv. 624245- 01).
Quanto, invece, al fatto se l’esistenza di danni risarcibili all’immobili costituisca motivo di legittimo rifiuto del conduttore ad accettarne la (ri)consegna, deve rilevarsi quanto segue. Ovvero che, “nell’ipotesi in cui l’immobile offerto in restituzione dal conduttore si trovi in stato non corrispondente a quello descritto dalle parti all’inizio della locazione, ovvero, in mancanza di descrizione, si trovi, comunque, in cattivo stato locativo, per accertare se il rifiuto del locatore di riceverlo sia o meno giustificato, occorre distinguere a seconda che la cosa locata risulti deteriorata per non avere il conduttore adempiuto all’obbligo di eseguire le opere di piccola manutenzione durante il corso della locazione, ovvero per avere il conduttore stesso effettuato trasformazioni e/o innovazioni, così che, nel primo caso (trattandosi di rimuovere deficienze che non alterano la consistenza e la struttura della cosa, e non implicano l’esplicazione di un’attività straordinaria e gravosa) l’esecuzione delle opere occorrenti per il ripristino dello «status quo ante» rientra nel dovere di ordinaria diligenza cui il locatore è tenuto per non aggravare il danno, ed il suo rifiuto di ricevere la cosa è conseguentemente illegittimo, salvo diritto al risarcimento dei danni, mentre, nel secondo caso (poiché l’esecuzione delle opere di ripristino implica il compimento di un’attività straordinaria e gravosa), il locatore può legittimamente rifiutare la restituzione della cosa locata nello stato in cui essa viene offerta” (Cass. Sez. 2, sent. 26 novembre 2002, n. 16685, Rv. 558735-01; in senso conforme anche Cass. Sez. 2, sent. 14 marzo 2006, n. 5459, Rv. 588409-01, nonché, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 24 maggio 2013, n. 12977, Rv. 626376-01; nello stesso senso già Cass. Sez. 3, sent. 13 luglio 1998, n. 6856, Rv. 517158-01; Cass. Sez. 3, sent. 18 giugno 1993, n. 6798, Rv. 482808- 01; Cass. Sez. 3, sent. 7 aprile 1970, n. 958, Rv. 346413-01).
A tali principi si è attenuta la sentenza impugnata, che ha escluso la legittimità del rifiuto, condividendo il rilievo del primo giudice, secondo cui i danni riscontrati a carico dell’immobile non erano “dovuti a trasformazioni e/o innovazioni della cosa locata tali da alterare la consistenza e struttura del bene”, bensì alla mancanza di quella “piccola manutenzione” alla quale il conduttore è obbligato.
7.3. Il quarto motivo non è fondato.
7.3.1. Anche in questo caso, potrebbe dubitarsi dell’ammissibilità stessa del motivo, e ciò ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ., visto che la ricorrente non ha riprodotto il punto specifico dell’atto di appello nel quale ribadiva la richiesta di ammissione della CTU, sulla quale la sentenza impugnata avrebbe omesso di pronunciarsi.
Il motivo, comunque, non è fondato, dal momento che la Corte territoriale ha ritenuto che il solo danno accertato, da risarcire da parte dalla conduttrice, fosse quello dovuto al mancato adempimento dell’obbligo di eseguire la piccola manutenzione, danno già liquidato dal primo giudice. Il ricorso alla CTU, pertanto, si presentava non necessario, donde il rigetto del presente motivo di ricorso in applicazione del principio secondo cui, essendo la consulenza tecnica d’ufficio “mezzo istruttorio diverso dalla prova vera e propria, sottratto alla disponibilità delle parti e affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario”, la motivazione “dell’eventuale diniego di ammissione” del mezzo può “essere anche implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato” (così, da ultimo, Cass. Sez. 6-1, ord. 13 gennaio 2020, n. 326, Rv. 656801-01; nello stesso senso anche Cass. Sez. Lav., sent. 21 aprile 2010, n. 9461, Rv. 613513-01; Cass. Sez. 1, sent. 5 luglio 2007, n. 15219, Rv. 598312-01).
7.4. Infine, il quinto motivo è inammissibile.
7.4.1. Esso, infatti, non reca alcuna specifica censura che investa la regolamentazione delle spese di lite, presentandosi, così, alla stregua di un “non motivo” (Cass. Sez. 3, sent. 31 agosto 2015, 17330, Rv. 636872-01; Cass. Sez. 1, ord. 24 settembre 2018, n. 22478, Rv. 650919-01).
La ricorrente, per vero, lungi dal dedurre vizi nell’applicazione della normativa relativa liquidazione delle spese di lite, postula come “res sperata” la caducazione della statuizione sulle spese come conseguenza dell’accoglimento dei primi due motivi di impugnazione.
- Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico della ricorrente e liquidate come da dispositivo.
- A carico della ricorrente sussiste, infine, l’obbligo di versare, se dovuto, l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società E.S. S.r.l. a rifondere, al (OMISSIS), le spese del presente giudizio, che liquida in € 900,00, più € 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura dei 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, dei d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 25 novembre 2020.