Sentenza 7538/2002
Compensi professionali – Contratto d’opera professioni intellettuali – Inderogabilità dei minimi delle tariffe professionali – Clausola che subordini il pagamento del compenso a futuri ed incerti finanziamenti – Nullità
L’ art. 6 della legge 1 luglio 1977 n. 404, che, interpretando autenticamente l’articolo unico della legge 5 maggio 1976 n. 340 – la quale ha fissato il principio dell’inderogabilità dei minimi delle tariffe professionali degli ingegneri e degli architetti -, ne ha limitato l’applicazione ai rapporti intercorrenti tra privati, deve essere inteso nel senso che, nei rapporti tra ente pubblico e professionista privato cui il primo abbia affidato la progettazione di un’opera pubblica, sono validi gli accordi che prescindono dai limiti minimi stabiliti dalle tabelle, salvo comunque, ove sia certa la natura onerosa del rapporto, il diritto del professionista alla percezione di una somma a titolo di compenso (che, nel contrasto tra le parti, deve essere determinata dal giudice, prescindendo dalle tabelle degli onorari), in quanto solo siffatta interpretazione consente di non snaturare la causa della prestazione incidendo sul sinallagma contrattuale. Ne consegue che deve ritenersi nulla la clausola contenuta in un capitolato che subordini l’obbligo del pagamento del compenso per la prestazione resa a futuri ed incerti finanziamenti.
Cassazione Civile, Sezione 1, Sentenza 23-5-2002, n. 7538 (CED Cassazione 2002)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con delibera in data 8.2.1988 la G.M. del Comune di Erice conferiva all’arch. A. V. e all’ing. A. M. l’incarico per la progettazione e la direzione dei lavori relativi alla costruzione della strada pedemontana Erice-Casa Santa, per un importo di £ due miliardi.
Con nota del 14.11.1988 il Comune comunicava ai professionisti che la delibera contenente l’incarico professionale era stata approvata dall’organo tutorio e sollecitava quindi l’espletamento dell’incarico conferito.
Il 12.6.1991 l’arch. V. inviava al Comune di Erice la fattura provvisoria n. 4/91 per un importo di £ 318.111.709, oltre IVA e c.p..
Rimasta senza esito la richiesta di pagamento l’Arch. V., ai sensi dell’art. 11 del disciplinare di incarico, deferiva agli AA. la definizione della controversia.
Il Collegio arbitrale con lodo in data 8.1.1997 accoglieva la domanda subordinata proposta dall’arch. V., relativa alla richiesta di condanna del Comune al pagamento delle somme dovute, a titolo di arricchimento senza causa, somme che venivano liquidate dal Collegio in complessive £ 60.812.997.
Con atto di citazione notificato in data 2.4.1997 l’arch. V. impugnava per nullità il lodo arbitrale, proponendo sei censure.
La Corte di appello di Palermo con sentenza in data 26.5.1998 respingeva l’impugnazione.
Per la cassazione della sentenza della Corte di appello propone ricorso, fondato su quattro motivi, A. V..
Non svolge attività difensiva il Comune di Erice.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di cassazione il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1355, 1341, 1359 1375 e 1341 comma 2, 1418 e 1419 c.c., in relazione all’art. 360comma 1 n. 3 c.p.c. nonché omessa o insufficiente motivazione in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c..
Rileva che l’ art. 1375 c.c. pone a carico delle parti l’obbligo dell’esecuzione del contratto secondo buona fede e che l’ art. 1359 c.c. stabilisce che la condizione deve ritenersi come avverata, qualora il mancato avveramento sia imputabile alla parte che aveva l’interesse contrario all’avveramento stesso.
Pertanto la P.A. nel rispetto del principio di correttezza e buona fede avrebbe dovuto fornire la prova di avere svolto tutte le attività possibili e necessarie al fine di portare a termine il procedimento amministrativo.
Dalla istruttoria svolta è al contrario emerso che il Comune di Erice è rimasto volontariamente e coscientemente inerte, determinando, attraverso la sua posizione di inattività, la mancata realizzazione del progetto, già previsto dal piano regolatore regionale di cui all’art. 2 L.R.S. 17.7.1987 n. 7.
L’inerzia del Comune ha determinato altresì il mancato avveramento della condizione che, ai sensi dell’art. 1359 c.c., deve ritenersi comunque avverata, essendo il mancato avveramento della condizione imputabile a condotta colposa del soggetto che aveva interesse contrario all’avveramento medesimo.
Nella specie inoltre è rimasto accertato che il disciplinare, allegato alla delibera della G.M. di Erice n. 144/88, è stato predisposto unilateralmente dall’Amministrazione comunale per cui indubitabilmente l’art. 12 del disciplinare stesso rientrava nella previsione di cui all’art. 1341 comma 2 c.c. e per essere operativo avrebbe dovuto essere approvato, autonomamente per iscritto, avulso dal contesto delle altre clausole contrattuali.
Il contenuto dell’art. 12 era quindi inficiato da nullità che però, per il principio di conservazione dei contratti, non si estendeva all’intero contratto.
La clausola in questione era inoltre nulla di pieno diritto in quanto al professionista è consentito rinunziare al compenso solo per motivi di affectio, benevolentia o per motivi sociali, ipotesi non ricorrenti nella specie.
In sintesi il primo motivo si articola nelle seguenti censure:
- a) non avere il Comune svolto tutte le attività necessarie per il completamento dell’iter amministrativo del progetto;
- b) non essersi l’Amministrazione attivata per rendere possibile l’avveramento della condizione, relativa al finanziamento del progetto;
- c) essere la clausola contenuta nell’art. 12 del disciplinare riconducibile alla previsione di cui all’art. 1341 comma 2 c.c., in quanto qualificabile come condizione meramente potestativa.
- d) essere la clausola in questione comunque nulla perché il professionista può rinunziare al compenso solo per motivi particolari, non ricorrenti nella specie.
Il motivo è fondato per quanto di ragione e va pertanto accolto limitatamente alla censura sub d) che per ragioni di ordine sistematico va esaminata per prima.
Al riguardo si osserva, in linea generale, che il contratto di opera professionale, di cui all’art. 2230 c.c., si presume oneroso in quanto il compenso costituisce elemento essenziale del contratto stesso, quale espressione del sinallagma che lo connota (Cass. civ. sez. II 27.10.1994 n. 8878).
Da ciò deriva che il professionista può rinunziare anche preventivamente al proprio compenso, solo in relazione a determinate fattispecie ed ipotesi che, caratterizzate dalla specifica causa gratuita, non siano finalizzate a violare il sinallagma contrattuale e la norma imperativa che regola i minimi tariffari.
Pertanto il patto con cui il professionista si impegna a prestare gratuitamente la propria opera è valido solo se integra gli estremi di una convenzione a titolo gratuito che sia espressione immediata e diretta del diritto del professionista di disporre dei propri compensi.
Tale principio, nella sua assolutezza trova peraltro applicazione esclusivamente ai rapporti intercorrenti fra privati, a seguito dell’interpretazione autentica dell’articolo unico della L. 5.5.1976 n. 340 contenuta nell’art. 6 L. 1.7.1977 n. 404.
Il richiamato articolo 6 L. n. 404/1977 stabilisce infatti che l’inderogabilità dei minimi tariffari di cui all’art. unico L. 5.5.1976 n. 340 e quindi la esclusione della possibilità di sottoporre a condizione sospensiva il pagamento delle prestazioni professionali, deve intendersi limitata esclusivamente ai rapporti intercorrenti fra privati talché sembrerebbe, ad una prima lettura della indicata normativa, doversi concludere, per la validità dell’accordo che subordini la remunerazione delle prestazioni professionali, effettuate in favore di un ente pubblico, all’avveramento della condizione sospensiva dello avvenuto finanziamento dell’ente pubblico stesso, non valendo per gli enti pubblici il principio dell’inderogabilità dei minimi previsti dalle tariffe professionali. (Cass. civ. sez. I 30.8.1995 n. 9155)
Tuttavia l’indicata interpretazione non può incondizionatamente condividersi posto che la causa di norma onerosa del contratto professionale non può, nei confronti degli enti pubblici, essere compressa fino al punto di azzerare totalmente il compenso del professionista, posto che tale interpretazione oltre a snaturare completamente la causa del negozio, viene ad incidere sul normale sinallagma contrattuale, escludendo la parità delle parti del rapporto.
Deve quindi ritenersi che la derogabilità delle tariffe professionali, nei rapporti fra il privato professionista e l’ente pubblico, debba essere intesa nel senso che sono validi gli accordi che prescindano dai limiti minimi stabiliti dalle tabelle ma che, quando sia certa la natura onerosa del rapporto, come nella specie, facciano salvo comunque il diritto del professionista alla percezione di un quid a titolo di compenso che, nel contrasto delle parti, deve essere determinato dal giudice, prescindendo dalle tabelle degli onorari, stabilite dall’ordine di appartenenza del professionista, considerato che solo tale interpretazione dell’art. 6 L. n. 404/1977 consente di non snaturare completamente il contratto di prestazione professionale, squilibrando la posizione delle parti del rapporto, anche a prescindere dalla volontà del prestatore di lavoro professionale, normalmente parte più debole del rapporto.
Da quanto precede deriva che deve ritenersi nulla la clausola contenuta in un capitolato che subordini l’obbligo del pagamento del compenso per la prestazione resa a futuri ed incerti finanziamenti, pur avendo l’ente pubblico ricevuto l’intera prestazione professionale, posto che ciò si pone in contrasto, come detto, con la causa normalmente onerosa della prestazione professionale, prevista dall’art. 2330 c.c., che deve quindi ritenersi derogato dall’art. 6 L. 1.7.1977 n. 404, solo nei limiti precisati.
Il primo motivo va pertanto accolto limitatamente alla censura sub d).
Le ulteriori censure contenute nel motivo in esame devono conseguentemente ritenersi assorbite.
Parimenti assorbiti devono poi ritenersi gli ulteriori motivi del ricorso con i quali il ricorrente rileva:
- a) con il secondo motivo che nella delibera della G.M. n. 144/88 è ravvisabile una fonte di obbligazione a carico del Comune di Erice sia perché contenente un esplicito riconoscimento del debito nei confronti dell’arch. V. sia perché contenente l’indicazione dei mezzi necessari per farvi fronte, per cui le ulteriori vicende amministrative, che possono avere comportato un’impotenza finanziaria dell’Ente territoriale, costituiscono vicenda interna allo stesso, non rilevante in riferimento alla sussistenza dell’obbligazione ed all’obbligo di farvi fronte.
In ogni caso nel corso del giudizio di merito era stata subordinatamente avanzata anche domanda di pagamento, ai sensi dell’art. 2041 c.c., non esclusa dalla precedente domanda di adempimento contrattuale e che trovava fondamento nell’esecuzione della prestazione e nel riconoscimento, proveniente dal Comune committente, dell’utilitas della prestazione resa.
Quanto all’indennizzo, questo non poteva essere liquidato che nella misura stabilita dall’Ordine professionale che aveva liquidato la relativa parcella, in vista appunto del probabile giudizio;
- b) con il terzo motivo che, in base all’art. 9 L. 143/49, sulle somme richieste dal professionista e ritenute dovute, decorsi sessanta giorni, devono essere liquidati gli interessi ragguagliati al tasso di sconto praticato dalla Banca d’Italia;
- c) con il quarto motivo che, in base all’art. 345 c.p.c., è sempre possibile la produzione in giudizio di documenti, senza bisogno di provvedimento del giudice che ammetta la produzione medesima.
Nella specie il nuovo documento, prodotto nel giudizio di appello e del quale si è avuta scienza dopo la fine del giudizio arbitrale, ha dimostrato l’esistenza di fatti diversi e distinti da quelli che hanno formato oggetto delle prove espletate nel giudizio arbitrale e doveva essere esaminato e valutato dal giudice.
Pertanto in accoglimento, per quanto di ragione del primo motivo del ricorso, l’impugnata sentenza va cassata con rinvio alla Corte di appello di Palermo, diversa sezione, assorbite le restanti censure.
Nulla per le spese del giudizio di cassazione, non avendo il Comune di Erice svolto attività difensiva.
P.Q.M.
accoglie per quanto di ragione il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte di appello di Palermo, diversa sezione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile, il 19 giugno 2001.