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Cassazione Civile 7543/2016 – Revoca della proposta e dell’accettazione

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Sentenza 7543/2016

Revoca della proposta e dell’accettazione

L’art. 1328, comma 1, c.c., il quale prevede che la proposta contrattuale può essere revocata finché il contratto non sia concluso, va inteso, in correlazione con la diversa disciplina dettata per la revoca dell’accettazione dal comma 2, nonché tenendo conto del carattere recettizio di entrambi gli atti, nel senso che la revoca si perfeziona quando sia spedita all’indirizzo dell’accettante, prima che l’accettazione sia giunta a conoscenza del proponente, mentre resta irrilevante che l’accettante ne abbia notizia in un momento successivo a quello in cui l’accettazione sia giunta a conoscenza del preponente, restando tutelato l’affidamento dell’accettante, in tale evenienza, dalla previsione di un indennizzo a carico del proponente per le spese e le eventuali perdite subite per l’iniziata esecuzione del contratto.

Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 15-4-2016, n. 7543   (CED Cassazione 2016)

Art. 1328 cc (Revoca della proposta e dell’accettazione) – Giurisdizione

 

 

RITENUTO IN FATTO

Con citazione del 20/10/1998 (OMISSIS) conveniva in giudizio (OMISSIS), assumendo che costui deteneva abusivamente un terreno di sua proprietà sito in agro di (OMISSIS). Esponeva che detto immobile era stato oggetto di un preliminare di compravendita tra le parti, ancorchè non fosse mai intervenuta sottoscrizione da parte del (OMISSIS) in qualità di promittente acquirente; che nel testo dell’atto era previsto che “il contratto si sarebbe concretizzato con l’incasso dell’assegno di Lire 15.000.000, che il promittente acquirente avrebbe dovuto corrispondere a titolo di acconto sul maggior prezzo”; che, poichè il (OMISSIS) non aveva provveduto a effettuare pagamento alcuno, l’attrice aveva richiesto ed ottenuto la restituzione degli originali del contratto, sottoscritto dalla sola promittente venditrice; che il (OMISSIS) aveva continuato a detenere abusivamente il fondo, nonostante le reiterate diffide al rilascio; che, avendo ella interesse a riottenere la disponibilità dell’immobile – atteso che, tra l’altro, il (OMISSIS) stava procurando danni, estirpando alberi ed effettuando coltivazioni abusive -, aveva ottenuto dal Pretore il sequestro giudiziario del fondo. Chiedeva, pertanto, previa declaratoria giudiziale della inesistenza, inefficacia e, comunque, della risoluzione per inadempimento del contratto, la condanna del (OMISSIS) alla immediata restituzione del fondo, con acquisizione della cauzione dallo stesso versata a titolo di acconto per i danni patiti a causa dell’indebita occupazione, riservando di agire in separata sede per gli ulteriori danni.

Si costituiva in giudizio (OMISSIS), sostenendo la piena validità del contratto preliminare 9/11/1996 e rimandando all’attrice ogni addebito d’inadempimento per aver tenuto un comportamento ostativo alla conclusione del contratto traslativo. Contestava, altresi’, la pretesa risarcitoria. In via riconvenzionale chiedeva, accertata la piena validità ed efficacia del contratto di compravendita, il trasferimento in suo favore del fondo ai sensi dell’art. 2932 c.c., oltre al risarcimento dei danni cagionati dalla condotta della promittente venditrice. Previa istruttoria – espletata a mezzo d’interrogatorio formale e di prova testimoniale, oltre che d’ispezione dei luoghi – con sentenza del 9-11/3/2004, il giudice unico, ritenuto concluso ex art. 1326 c.c., comma 1 il contratto, a mezzo della volontà di adesione espressa dal (OMISSIS) con la raccomandata dell’11/12/1996 e con il telegramma del 20/12/1996, accoglieva la domanda di trasferimento del bene ai sensi dell’art. 2932 c.c.; rigettava la domanda di danni; condannava la (OMISSIS) al pagamento delle spese di lite.

Avverso la sentenza proponeva appello la (OMISSIS).

La Corte d’Appello di Lecce, con sentenza n. 172/2010 del 2.3.2011, ha, in accoglimento dell’appello principale, condannato il (OMISSIS) al rilascio del fondo e rigettato l’appello incidentale, sulla base delle seguenti considerazioni:

a) la scrittura del 9.11.1996 (sottoscritta solo dalla (OMISSIS)) doveva essere qualificata come mera proposta contrattuale, anzichè come preliminare;

b) la detta proposta era stata dalla (OMISSIS) immediatamente revocata (mediante ritiro del duplice originale della scheda contrattuale) prima che il (OMISSIS) avesse manifestato di aderirvi;

c) la detenzione successiva da parte del (OMISSIS) doveva, pertanto, reputarsi indebita, con la conseguenza che doveva essergli ordinato l’immediato rilascio dell’immobile oggetto delle trattative.

Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS) (gli ultimi due nella qualità di donatari dal primo del terreno oggetto di causa), sulla base di cinque motivi. (OMISSIS) ha depositato controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c. a ridosso dell’udienza pubblica.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Preliminarmente, va dichiarato inammissibile, siccome tardivo, il controricorso depositato nell’interesse di (OMISSIS).

Invero, premesso che il ricorso le risulta notificato il 7.10.2011 e che, pertanto, i ricorrenti principali avrebbero potuto depositare il ricorso fino al 27.10.2011, il termine ultimo per la notifica del controricorso sarebbe scaduto, ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1 il 16.11.2011, laddove la notifica risulta essere stata effettuata solo il 21.11.2011. Da ciò consegue, oltre che l’inammissibilità del controricorso, l’impossibilità di prendere in considerazione le memorie ex art. 378 c.p.c. pur depositate nell’interesse della (OMISSIS).

2. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione, errata e falsa applicazione degli artt. 1350 e 1351 c.c., nonchè la illogicità e inadeguatezza della motivazione, per non aver la corte di merito considerato che il contratto preliminare si era perfezionato a seguito dell’invio, da parte sua, di una raccomandata avente la valenza di seconda sottoscrizione espressa in un documento separato.

3.Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione dell’artt. 1362 c.c. e ss., nonchè la mancata ed insufficiente motivazione, per aver la corte qualificato il contratto come una mera proposta contrattuale, laddove rappresentava un contratto preliminare unilaterale.

3.1. Invertendo l’ordine dei motivi di gravame, occorre analizzare con priorità il secondo, atteso che il suo eventuale accoglimento (nel senso di configurare un vero e proprio contratto preliminare, sia pure unilaterale, in luogo di una mera proposta) determinerebbe l’assorbimento del primo.

Orbene, il secondo motivo si rivela infondato.

Va premesso che il rimedio previsto dall’art. 2932 cod. civ., al fine di ottenere l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto, è applicabile non solo nelle ipotesi di contratto preliminare non seguito da quello definitivo, ma anche in qualsiasi altra fattispecie dalla quale sorga l’obbligazione di prestare il consenso per il trasferimento o la costituzione di un diritto, sia in relazione ad un negozio unilaterale, sia in relazione ad un atto o fatto dai quali detto obbligo possa discendere “ex lege” (Sez. 2, Sentenza n. 5160 del 30/03/2012).

Pur tuttavia, gli odierni ricorrenti hanno espressamente invocato la figura negoziale del contratto preliminare unilaterale.

Quest’ultimo è un contratto in sè perfetto e autonomo, ancorchè con obbligazioni a carico di una sola parte, rispetto al contratto definitivo (Sez. L, Sentenza n. 2692 del 26/03/1997). Viceversa, la proposta non è che uno degli elementi di una fattispecie a formazione successiva, che presuppone, per il suo perfezionamento, successivamente l’accettazione definitiva del promissario che, saldandosi con la proposta, perfeziona il contratto. Ne consegue che il nesso strumentale esistente tra contratto preliminare e contratto definitivo non ha nulla in comune con il legame strutturale che intercorre tra il momento iniziale (proposta di una delle parti) ed il momento finale (accettazione) nel fenomeno della formazione progressiva del contratto, in quanto, mentre nell’ipotesi del contratto preliminare unilaterale gli effetti definitivi si producono solo a seguito di un successivo incontro di dichiarazioni tra le parti contraenti, nel caso della proposta gli effetti finali si producono in virtù della semplice dichiarazione unilaterale di accettazione dell’altra parte (Sez. 2, Sentenza n. 5236 del 14/11/1978).

A prescindere dalle espressioni letterali utilizzate dalla promittente venditrice nella scrittura privata del 9.11.1996, deve escludersi che si sia in presenza di un vero e proprio contratto preliminare unilaterale, atteso che manca il presupposto indefettibile dell’accordo tra le parti palesato attraverso la sottoscrizione, ad opera di entrambe, della scrittura privata de qua.

4. Con la prima doglianza contenuta nel terzo motivo, i ricorrenti si lamentano della violazione dell’art. 1326 c.c., art. 1328 c.c. e ss., artt. 1334, 1335, 1350 e 1351 c.c., per non aver la corte considerato che il contratto preliminare unilaterale, in quanto già concluso e perfetto in sè, non poteva più essere revocato.

Per le considerazioni espresse nel paragrafo precedente, la deduzione è infondata.

5. Con la seconda doglianza contenuta nel terzo motivo, i ricorrenti denunciano la violazione delle disposizioni codicistiche su riportate, per non aver la corte considerato che la revoca doveva essere a lui comunicata formalmente per iscritto prima della sua accettazione della proposta.

In definitiva, i ricorrenti, anche a voler prestare adesione alla tesi della corte territoriale secondo cui si era al cospetto di una semplice proposta negoziale, pongono il problema della tempestività della revoca della proposta stessa.

6. La censura è strettamente collegata al quarto motivo, con il quale i ricorrenti denunziano la erronea valutazione delle risultanze di causa, nonchè la omessa, insufficiente ed inadeguata motivazione: reitera sostanzialmente le considerazioni sub 3), aggiungendo il rilievo secondo cui il ritiro del contratto sottoscritto da parte della promittente venditrice non poteva essere inteso come revoca dell’atto; per non aver considerato che la sottoscrizione e la messa a disposizione degli assegni equivaleva ad accettazione della proposta.

6.1. Data la stretta connessione, i due motivi meritano di essere trattati congiuntamente. Le censure sono infondate.

In primo luogo, immeritevole di accoglimento è la doglianza concernente la mancanza nella revoca della forma scritta richiesta ai sensi dell’art. 1351 c.c.. Invero, in tema di contratti soggetti alla forma scritta ad substantiam (nella specie, preliminare di vendita immobiliare), l’operatività del principio secondo il quale il perfezionarsi del negozio può avvenire anche in base ad un documento firmato da una sola parte, ove risulti una successiva adesione (esplicita od implicita) del contraente non firmatario, contenuta in atto scritto diretto alla controparte, presuppone che detto documento abbia tutti i requisiti necessari ad integrare una volontà contrattuale, ivi compresa l’individuazione o quantomeno l’individuabilità del destinatario della dichiarazione, e che, inoltre, tale volontà non sia stata revocata dal proponente, prima che lo stesso abbia avuto notizia dell’accettazione della controparte. A quest’ultimo fine, non è necessario che la revoca abbia la medesima forma scritta, potendo essa esprimersi anche verbalmente o per fatta concludentia, purchè in modo idoneo a giungere a conoscenza dell’altra parte (Sez. 3, Sentenza n. 1198 del 05/04/1976; v. 282/72, 177/66, 2914/64).

Non è revocabile in dubbio che il ritiro, da parte della promittente venditrice, del duplice originale della scheda contrattuale integrasse gli estremi della revoca della proposta.

6.2. In secondo luogo, pur rilevandosi un apparente contrasto in seno a questa Corte in ordine al momento (mera spedizione o ricezione da parte del destinatario) a partire dal quale produce effetti la revoca di una proposta contrattuale, pur riconoscendosi la natura recettizia anche di quest’ultima (al pari della revoca dell’accettazione), deve escludersi che, ai fini dell’efficacia, sia necessario che il destinatario della proposta venga a conoscenza della sua revoca prima di aver inoltrato la propria accettazione (con la conseguenza che non produrrebbe effetto qualora fosse pervenuta all’accettante dopo la conclusione del contratto, ossia dopo l’arrivo all’indirizzo del proponente dell’accettazione della controparte). Per quanto, nel panorama di questa sezione della Corte si rinvenga un precedente isolato di segno contrario (Cassazione civile, sez. 2, 16/05/2000, n. 6323), per una serie di ragioni, anche di ordine sistematico, va condiviso l’opposto orientamento senz’altro prevalente (richiamato dal difensore della controricorrente in sede di discussione orale).

La questione relativa alla tempestività della revoca della proposta contrattuale al fine di impedire la conclusione del contratto – questione che consiste essenzialmente nell’accertare se il detto effetto impeditivo si produca allorchè la revoca della proposta sia stata emessa e trasmessa prima che il proponente abbia avuto conoscenza dell’accettazione, ovvero se sia necessario all’indicato scopo che essa giunga a conoscenza della controparte prima di tale momento – è stata numerose volte affrontata in giurisprudenza (anche se non di recente) e risolta, come anticipato, prevalentemente nel senso che la proposta può essere revocata finchè il proponente non abbia conoscenza dell’accettazione dell’altra parte e, quindi, prima che l’accettazione pervenga al suo recapito o al suo indirizzo: di conseguenza, il proponente può impedire la conclusione del contratto con la sola spedizione della revoca a prescindere dal momento in cui questa sia ricevuta dall’oblato (tra le tante, sentenze 9/7/1981; 9/4/1981; 5/4/1976 n. 1198; 3/2/1972 n. 282).

La detta soluzione si basa essenzialmente su quanto disposto dall’art. 1328 c.c. che mentre consente la revoca della proposta “finchè il contratto non sia concluso” – e, a norma dell’art. 1326 c.c., il contratto è concluso al momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte – prevede espressamente che la revoca dell’accettazione deve giungere “a conoscenza del proponente prima dell’accettazione”. Pertanto, secondo quanto affermato nelle citate sentenze pronunciate in sede di legittimità, per la revoca della proposta vale la regola della “spedizione” e non quella della “ricezione”, anche se la dichiarazione di revoca giunga all’oblato dopo il ricevimento, da parte del proponente, dell’accettazione.

Autorevole parte della dottrina ha criticato il riferito orientamento giurisprudenziale, rilevando che l’argomento letterale di cui al citato art. 1328 c.c. – con riferimento alla specifica menzione sia della possibilità che la proposta venga revocata fino al momento della conclusione del contratto, sia della necessità che la revoca dell’accettazione pervenga al proponente prima dell’accettazione – non potrebbe essere ritenuto decisivo, in quanto la detta previsione normativa dovrebbe essere valutata non isolatamente, ma nel contesto complessivo della disciplina dettata dagli artt. 1334 e 1335 c.c. in tema di atti recettizi e, in particolare, di proposta, accettazione e loro revoca. In proposito, il primo dei citati artt. dispone che gli atti unilaterali recettizi producono effetto dal momento in cui pervengono a conoscenza del destinatario, mentre il secondo precisa che la proposta, l’accettazione e la loro revoca si reputano conosciute al momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario.

Tuttavia, anche a voler prescindere dal fatto che l’art. 1334 c.c. si riferisce agli atti unilaterali (come la costituzione in mora), e non già agli atti prenegoziali (quale la proposta), al riportato rilievo va replicato che:

a) la revoca della proposta – pur essendo un atto recettizio – opera con effetto retroattivo fin dal momento della sua emissione e, correlativamente, da tale momento sospende l’efficacia dell’accettazione che nel frattempo dovesse pervenire al proponente;

b) la recettizietà della revoca della proposta è “attenuata” producendo i suoi effetti tipici sin dall’emissione: infatti “mentre per l’efficacia della revoca dell’accettazione, la legge pone l’accento sul momento finale, per la revoca della proposta l’accento è posto sul momento iniziale (in tal senso la citata sentenza 9/7/1981 n. 4489);

c) l’adozione di due diverse formule per la revoca della proposta e per quella dell’accettazione sta a significare che il legislatore ha voluto disciplinare in modo diverso le due revoche;

d) la revoca della proposta opera come causa di estinzione, con effetto ex tunc, di quel potere di accettazione sorto in capo all’oblato con la conoscenza della proposta.

D’altra parte, diversamente opinando, non sarebbe possibile fornire una congrua spiegazione della previsione di indennizzo (di cui all’art. 1328 c.c., comma 1, seconda parte) solo per l’accettante (in caso di revoca della proposta) e non per il proponente (nell’ipotesi di revoca dell’accettazione). Apodittico e, comunque, contrastante con la lettera della disposizione è l’argomento secondo cui siffatta spiegazione potrebbe ravvisarsi nell’intento del legislatore di attribuire diversa “meritevolezza dell’affidamento” in quanto “mentre l’accettante può contare sulla conclusione del contratto come un risultato normale, il proponente non può fare ragionevole affidamento su tale risultato sol perchè ha indirizzato all’oblato un’offerta”. Da ultimo, se è vero che merita di essere tutelata la posizione del destinatario dell’atto recettizio (ossia, nella specie, dell’accettante), sussistendo in capo a quest’ultimo un affidamento qualificato sulla conclusione del contratto qualora l’accettazione sia pervenuta al proponente prima dell’arrivo all’accettante della revoca della proposta, è altrettanto vero che tale tutela è assicurata proprio dalla previsione di un indennizzo, a carico del proponente, per le spese e le eventuali perdite subite dall’oblato per l’iniziata esecuzione del contratto.

In definitiva, il carattere recettizio della revoca della proposta non è incompatibile con la produzione del relativo effetto dal momento della sua emissione (indipendentemente dalla conoscenza del destinatario dell’atto), anzichè solo dal momento in cui pervenga all’indirizzo dell’accettante.

In quest’ottica, si condivide l’indirizzo a mente del quale l’art. 1328 c.c., comma 1, il quale prevede che la proposta contrattuale può essere revocata finchè il contratto non sia concluso, va inteso, in correlazione con la diversa disciplina dettata per la revoca dell’accettazione del comma 2, nonchè tenendo conto del carattere recettizio di entrambi gli atti, nel senso che tale revoca della proposta perfeziona e spiega effetto quando, uscita dalla sfera del revocante, sia spedita, all’indirizzo dell’accettante, prima che l’accettazione sia giunta a conoscenza del proponente, mentre resta irrilevante l’eventuale posteriorità della notizia della revoca stessa (Cassazione civile, sez. 2, 09/07/1981, n. 4489; Cassazione civile, sez. 2, 09/04/1981, n. 2083; Sez. 2, Sentenza n. 296 del 31/01/1969).

Da ciò consegue che l’impostazione data dai (OMISSIS) al motivo di gravame è errata, in quanto presuppone che la revoca della proposta doveva essere da loro ricevuta prima che l’accettazione sia giunta a conoscenza del proponente.

In definitiva, gli odierni ricorrenti non contestano la circostanza che la proposta sia stata, invece, loro spedita prima che la (OMISSIS) ricevesse l’accettazione.

Senza tralasciare che la circostanza del possesso, da parte della proponente, del duplice originale della scheda contrattuale (a tal punto che il (OMISSIS) ha prodotto in giudizio una mera fotocopia) depone nel senso di ritenere che la revoca della proposta sia intervenuta ancor prima dell’inoltro dell’accettazione della stessa. Invero, diversamente argomentando, non si comprenderebbe la ragione per la quale l’oblato, pur avendo medio tempore accettato la proposta, avesse accondisceso alla restituzione degli originali della scheda contrattuale.

Sul punto, la motivazione resa dalla corte leccese (pagg. 5-6 della sentenza) appare sufficiente, oltre che corretta sul piano giuridico.

4. Con il quinto motivo i ricorrenti deducono la omessa pronuncia (motivo proposto in via subordinata), per non aver la corte analizzato la sua domanda di risarcimento del danno per colpa precontrattuale e di condanna al pagamento delle migliorie ed addizioni apportate al fondo durante il periodo di legittimo possesso.

Il motivo si palesa inammissibile, in quanto, in osservanza del principio di autosufficienza, i ricorrenti avrebbero dovuto dedurre e dimostrare di aver fatto valere in primo grado la responsabilità precontrattuale della controparte, di aver fornito elementi probatori a sostegno della loro pretesa e, soprattutto, di aver riproposto la domanda in sede di appello ai sensi e per gli effetti dell’art. 346 c.p.c..

5. In definitiva, il ricorso non merita accoglimento. Le spese del presente giudizio di legittimità (da limitarsi, in considerazione della inammissibilità del controricorso, alla discussione orale) seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore della resistente, delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi euro 3.200,00, di cui euro 200 per spese, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 18 febbraio 2016.