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Cassazione Civile 7545/2016 – Mancata stipulazione del contratto definitivo – Cumulabilità della responsabilità contrattuale da inadempimento e della responsabilità precontrattuale ex art 1337 cc

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Sentenza 7545/2016

Mancata stipulazione del contratto definitivo – Cumulabilità della responsabilità contrattuale da inadempimento e della responsabilità precontrattuale – Esclusione  

Ove alla stipulazione del contratto preliminare non segua la conclusione del definitivo, la parte non inadempiente (nella specie, il promittente alienante) può agire nei confronti di quella inadempiente (nella specie, il promissario acquirente) facendone valere esclusivamente la responsabilità contrattuale da inadempimento di un’obbligazione specifica sorta nella fase precontrattuale e non anche, in via alternativa, la responsabilità precontrattuale da supposta malafede durante le trattative, giacché queste ultime, cristallizzate con la stipula del preliminare, perdono ogni autonoma rilevanza, convergendo nella nuova struttura contrattuale che rappresenta la sola fonte di responsabilità risarcitoria.

Presupposti della responsabilità precontrattuale ex art 1337 cc

Per ritenere integrata la responsabilità precontrattuale occorre che tra le parti siano in corso trattative; che queste siano giunte ad uno stadio idoneo ad ingenerare, nella parte che invoca l’altrui responsabilità, il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; che esse siano state interrotte, senza un giustificato motivo, dalla parte cui si addebita detta responsabilità; che, infine, pur nell’ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità, non sussistano fatti idonei ad escludere il suo ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto. La verifica della ricorrenza di tutti tali elementi si risolve in un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità ove adeguatamente motivato.

Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 15 aprile 2016, n. 7545  (CED Cassazione 2016)

Art. 1337 cc (Trattative e responsabilità precontrattuale) – Giurisprudenza

Art. 1218 cc (Responsabilità del debitore) – Giurisprudenza

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 12 aprile 2006, la S.r.l. (OMISSIS) conveniva la S.p.a. (OMISSIS) dinanzi al Tribunale di Verbania, esponendo di aver ottenuto da terzi, con separate scritture in data 5 luglio, 20 luglio e 23 settembre 2004 ed a fronte di un corrispettivo pari ad Euro 15.000,00, il diritto di opzione per l’acquisto (in favore proprio o di persone da nominare) di immobili di proprietà di quelli, siti in (OMISSIS), per il prezzo di Euro 1.000.000,00, oltre a spese notarili e di registro, il tutto tenendo conto della dichiarata volontà della (OMISSIS) di comprare tali immobili. Questa intenzione di acquisto era stata confermata dalla (OMISSIS) con lettera dell’8 luglio 2004 e nel corso della riunione del 20 luglio 2004, nella quale era stato altresì redatto il contratto preliminare, la cui efficacia veniva, peraltro, subordinata all’autorizzazione, da parte della Banca d’Italia, necessaria per l’apertura dell’agenzia di credito che si sarebbe dovuta insediare nell’unità immobiliare di (OMISSIS). In un successivo incontro del 23 luglio 2004 gli accordi già intercorsi tra le parti venivano confermati, limitandosi la Banca convenuta a prospettare l’eventualità che i tempi stimati per l’apertura dello sportello torinese (un anno dall’autorizzazione della Banca d’Italia) fossero ristretti. Era quindi conferito incarico ad un professionista per l’espletamento delle pratiche relative al cambio di destinazione e la Banca, ottenuti i relativi preventivi, aveva informato la promittente venditrice dell’imminente sottoposizione al proprio consiglio di amministrazione del testo definitivo del contratto preliminare per la relativa delibera approvativa. Sennonchè, sul finire dell’agosto 2004, la convenuta (OMISSIS) aveva poi ingiustificatamente interrotto le trattative, prospettando il mancato ottenimento dell’autorizzazione da parte della (OMISSIS). L’attrice S.r.l. (OMISSIS) deduceva, pertanto, la violazione dei canoni di cui all’art. 1337 c.c. e chiedeva la condanna della convenuta al risarcimento dei danni, pari a complessivi Euro 322.276,40 (ovvero nella misura determinata secondo equità), oltre interessi e rivalutazione, a titolo di mancato guadagno sulla vendita programmata, attività di mediazione, assistenza tecnica, costo del procurato diritto di opzione, spese di redazione dei contratti di opzione e preliminare.

La convenuta (OMISSIS) si costituiva in giudizio contestando il fondamento della domanda attorea, di cui chiedeva il rigetto.

Con sentenza n. 501/2008, del 31 luglio 2008, il Tribunale di Verbania rigettava la domanda.

La S.r.l. (OMISSIS) proponeva appello avverso la pronuncia di primo grado al fine di ottenere l’accoglimento della sua pretesa risarcitoria e la (OMISSIS) si costituiva chiedendo il rigetto dell’appello.

Con sentenza n. 1328/2010 del 30 agosto 2010, la CORTE D’APPELLO di TORINO rigettava il gravame. La Corte di merito, in particolare, disattendeva la censura in ordine alla mancata ammissione ad opera del Tribunale delle dedotte prove testimoniali, confermando l’irrilevanza (ed in parte l’inammissibilità) delle stesse, in quanto il primo giudice non aveva negato la serietà e l’affidabilità delle trattative intercorse tra le parti, ma aveva, piuttosto, evidenziato come la (OMISSIS) sin dall’inizio del negoziato (in particolare, nella lettera dell’8 luglio 2004), avesse chiarito come il proprio interesse all’acquisto dell’immobile in (OMISSIS) fosse condizionato al rilascio della necessaria autorizzazione della (OMISSIS) all’apertura della nuova filiale. La sentenza d’appello negava altresì la doglianza di inadeguata motivazione relativa alla decisione del Tribunale. La Corte di Torino smentiva quindi la ricostruzione degli eventi delineata dall’appellante, ad avviso del quale la (OMISSIS) avrebbe iniziato le trattative per l’acquisizione degli immobili in (OMISSIS) pur essendo ben consapevole di non trovarsi nelle condizioni occorrenti per avere l’autorizzazione attesa dalla (OMISSIS), stante l’esposizione assunta dall’Istituto di credito con il gruppo (OMISSIS) a seguito dei rapporti instaurati tra il 2000 ed il 2003, nonchè del fallimento di quest’ultima, che aveva comportato per la (OMISSIS) il pagamento alla procedura concorsuale della somma di Euro 50.000.000,00. Al riguardo, la Corte di Torino replicava che il diniego dell’autorizzazione di (OMISSIS) non risultasse motivato da questa esposizione debitoria della (OMISSIS) verso (OMISSIS), quanto dalla complessiva “posizione di rischio” di essa; sicchè alcuna mendace rappresentazione della realtà era attribuibile alla promissaria acquirente, la quale, anzi, aveva certamente iniziato la trattativa confidando nella possibilità di aprire la nuova filiale, e non certo nella consapevolezza che essa sarebbe stata vanificata dalla mancata autorizzazione dell’Autorità di Vigilanza. Infine, la sentenza d’appello confutava le singole voci risarcitorie pretese, sia perchè non rientranti nei limiti dello stretto interesse negativo (unico risarcibile in ipotesi di responsabilità precontrattuale), sia per difetto delle relative prove.

Contro la sentenza della Corte d’Appello di Torino la S.r.l. (OMISSIS) ha proposto ricorso in tre motivi. Resiste con controricorso la (OMISSIS) S.c.p.a., dichiaratasi incorporante a seguito di fusione di (OMISSIS) SPA, e quindi successore nel diritto controverso. La ricorrente ha presentato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso della S.r.l. (OMISSIS) censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 1337 e 1358 c.c., ovvero del principio di buona fede e correttezza nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, per non aver la Corte di Torino valutato come la resistente avesse intavolato le trattative per l’acquisto degli immobili pur consapevole della necessità dell’autorizzazione da parte della (OMISSIS), così eludendo il ragionevole affidamento riposto dalla promittente venditrice nella conclusione del contratto definitivo. La serietà delle trattative sarebbe evidente stante il susseguirsi delle riunioni tra i contraenti, la predisposizione del preliminare e l’affidamento dell’incarico ad un architetto per il cambiamento di destinazione degli immobili. Nè la previsione della condizione sospensiva (costituita, appunto, dall’autorizzazione all’apertura della nuova filiale da parte della (OMISSIS)) poteva di per sè esonerare la (OMISSIS) dall’adottare la cautela necessaria ad evitare l’insorgere dell’affidamento della controparte, in modo da non intavolare trattative di siffatta serietà. Si ribadisce dalla ricorrente a tal fine la rilevanza dei capitoli di prova non ammessi dai giudici del merito, in quanto proprio tale prova avrebbe dimostrato la sussistenza della responsabilità precontrattuale della resistente.

Il secondo motivo di ricorso allega l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo, per non aver la Corte di Torino dato adeguato rilievo al documento prodotto dalla stessa (OMISSIS) (delibera (OMISSIS) del 26 agosto 2004), avente ad oggetto il diniego opposto dall’Autorità di Vigilanza all’apertura di n. 7 dipendenze, ove esso faceva riferimento alla “posizione di rischio” dell’istante. Tale “posizione di rischio” si riferiva ai rapporti tra la (OMISSIS) e la fallita (OMISSIS), sicchè indispensabile sarebbe stato acquisire al processo il testo integrale della deliberazione negativa della (OMISSIS) e la lettera del 25 giugno 2004 inviata a quest’ultima dalla (OMISSIS). Ciò avrebbe rivelato come la stessa (OMISSIS) avesse iniziato le sue trattative nella perfetta consapevolezza di non trovarsi in condizione di ottenere l’autorizzazione all’apertura di sette nuove dipendenze.

Il terzo motivo di ricorso censura l’omessa motivazione in ordine alla quantificazione della richiesta risarcitoria, in quanto la Corte d’appello ha rigettato l’ammissione della decisiva prova testimoniale, già dedotta in primo grado. Si insiste che il danno risarcibile debba comunque comprendere sia le spese sostenute dalla promittente venditrice quanto il mancato guadagno correlato alla non avvenuta conclusione dell’affare.

I primi due motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente, per la loro stretta connessione, e risultano entrambi infondati.

Va premesso che, perchè possa ritenersi integrata la responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c., è necessario che tra le parti siano in corso trattative; che le trattative siano giunte ad uno stadio idoneo a far sorgere nella parte che invoca l’altrui responsabilità il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; che la controparte, cui si addebita la responsabilità, le interrompa senza un giustificato motivo; che, infine, pur nell’ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità, non sussistano fatti idonei ad escludere il suo ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto. La verifica della ricorrenza di tutti i suddetti elementi, risolvendosi in un accertamento di fatto, è, tuttavia, demandata al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata (Cass. 29 marzo 2007, n. 7768).

È evidente, allora, che il procedimento logico seguito dalla Corte d’Appello di Torino, il quale merita di essere condiviso, abbia spiegato come non possa ravvisarsi comportamento di malafede, idoneo ad integrare la fattispecie di cui all’art. 1337 c.c., nel fatto che la (OMISSIS) abbia deluso l’affidamento della S.r.l. (OMISSIS), interrompendo alla fine di agosto del 2004 le trattative iniziate nel luglio dello stesso anno per l’acquisto degli immobili siti in (OMISSIS), avendo la promissaria compratrice previamente informato la venditrice, sin dalla prima comunicazione dell’8 luglio 2004, della necessità di premunirsi dell’autorizzazione da parte della (OMISSIS) all’apertura della nuova filiale. I giudici di merito non hanno, quindi, mai negato che le trattative sviluppate tra le parti fossero da ritenere serie e concludenti, quanto escluso che la (OMISSIS) potesse fondatamente sostenere di aver confidato senza sua colpa nella sicura conclusione del contratto, essendo rimasta immediatamente edotta della condizione cui era rimessa la positiva definizione dell’affare.

Il principio di correttezza e buona fede, invocato dalla ricorrente, comporta, invero, il dovere della parte di fornire alla controparte nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto (art. 1337 c.c.) ogni dato, conosciuto o conoscibile con l’ordinaria diligenza, che sia rilevante ai fini della stipulazione del contratto, nonchè di interpretare (art. 1366 c.c.) ed eseguire lo stesso (1375 c.c.) in modo da preservarne gli interessi, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da norme di legge. La sentenza della Corte di Torino, escludendo la prova di un’ingannevole reticenza della (OMISSIS) quanto alla sua esigenza normativa di premunirsi dell’autorizzazione della (OMISSIS), ha dunque adeguatamente e logicamente motivato sulla non ravvisabilità di una responsabilità dell’acquirente per la violazione del principio di correttezza e buona fede nella fase precontrattuale, non essendo di per sè alla stessa conferente l’aver affrontato trattative, pur serie ed avanzate, nella pendenza della condizione della mancata approvazione dell’apertura della nuova filiale bancaria in (OMISSIS). La parte di un negozio sottoposto a condizione, ai sensi dell’art. 1358 c.c., deve comportarsi in pendenza di essa secondo buona fede, e cioè in modo da non influire sul libero corso della condizione pendente e da non accrescere il margine d’incertezza insito nell’evento condizionante, e la ricorrente non ha certo indicato quali atti doverosi e necessari ad ottenere l’autorizzazione della (OMISSIS) non fossero stati adottati dalla (OMISSIS), in maniera da influire negativamente sull’esito dell’acquisto immobiliare. Del resto, la stessa ricorrente, ancora a pagina 15 del suo ricorso, afferma contraddittoriamente, a conferma dell’affidabilità degli intenti con cui l’acquirente aveva intrapreso i negoziati, che “quando la (OMISSIS) ha instaurato con Logistic quelle che riconosce essere state serie trattative (…), riteneva effettivamente di ottenere l’autorizzazione all’apertura di tale sportello. Diversamente, non avrebbe formulato la relativa istanza alla (OMISSIS) in data 25.06.04”. Nè si è riscontrato che, nell’attesa vana dell’approvazione dell’autorità di vigilanza, la quale operava come “condicio iuris” sospensiva del prosieguo delle trattative, l’acquirente avesse preteso dalla promittente alienante l’adempimento di prestazioni esorbitanti rispetto a quelle soltanto utili a facilitare la rapida fattibilità dell’operazione, ove l’esito della fase autorizzatoria fosse stato quello auspicato.

I primi due motivi di ricorso si rivelano, perciò, infondati, in quanto la Corte d’Appello di Torino non ha negato nè la serietà delle trattative intercorse tra le parti, nè che le stesse dovessero comportarsi secondo correttezza e buona fede in attesa della risposta della (OMISSIS), ma ha escluso, sulla base di accertamento di fatto devoluto al giudice di merito, il ragionevole affidamento della venditrice sul sicuro perfezionamento dell’operazione. In tal senso, neppure rilevano quali fossero state le reali motivazioni del diniego opposto dalla (OMISSIS) all’apertura delle nuove sette dipendenze, una volta che si è verificato che la (OMISSIS) avesse riposto lei stessa un’iniziale fiducia nel positivo compimento dell’operazione e si fosse impegnata a tal fine. Sul secondo motivo, in particolare, rimangono insuperabili le considerazioni svolte dalla Corte di merito, secondo le quali la (OMISSIS) ebbe a negare l’autorizzazione con una formula generica ed interlocutoria (prefigurando la necessità di “approfondimenti in ordine alla richiamata posizione di rischio”), così come sarebbe non plausibile che la (OMISSIS) avesse iniziato le trattative per l’acquisto immobiliare pur sapendo che le stesse non potevano sortire risultato utile, stante la propria situazione finanziaria. Sicchè non si configura alcuna malafede della resistente per il sol fatto che abbia eventualmente taciuto durante le trattative circa la sua esposizione nei confronti del gruppo insolvente (OMISSIS), rimanendo piuttosto decisivo che essa non avesse mai taciuto sulla circostanza che le occorresse conseguire l’autorizzazione all’operazione di (OMISSIS).

Resta sullo sfondo un altro profilo, che potrebbe essere di per sè decisivo ai fini dell’irrilevanza dell’azionata pretesa risarcitoria da responsabilità precontrattuale. Tanto l’impugnata sentenza che il ricorrente confermano che le parti, nella riunione del 20 luglio 2004, avevano proceduto alla stipula di un contratto preliminare, la cui efficacia era subordinata all’autorizzazione della (OMISSIS) all’apertura della nuova agenzia di (OMISSIS). Ora, una volta che le parti abbiano inteso stipulare un contratto preliminare, l’unica azione a disposizione del prominente venditore, in caso di mancata conclusione definitiva dell’alienazione, dovrebbe essere quella per responsabilità contrattuale da inadempimento di un’obbligazione specifica sorta nella fase precontrattuale, senza che possa più farsi luogo, in via alternativa, all’esperimento di altra azione per responsabilità precontrattuale, riconducibile alla supposta malafede della parte promissaria acquirente durante le trattative, visto che la cristallizzazione delle reciproche prestazioni, operata mediante la stipula del preliminare, comporta la perdita di ogni autonomia e di ogni giuridica rilevanza di dette trattative, convergendo queste nella nuova struttura contrattuale che, pertanto, viene a costituire la sola fonte di responsabilità risarcitoria (cfr. Cass. 25 luglio 2006, n. 16937).

Non essendo da accogliere i motivi in ordine alla sussistenza della responsabilità precontrattuale della (OMISSIS), rimane automaticamente da rigettare anche il terzo motivo di ricorso, in quanto inerente all’ammontare del danno. Su questo, per la maggior voce pretesa (Euro 250.000,00) a titolo di “mancato guadagno sulla vendita”, si dovrebbe comunque preliminarmente confermare quanto pure affermato dalla Corte di Torino, secondo cui, ove sia dedotta una ipotesi di responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. per ingiustificato recesso dalla trattativa, non essendo stato stipulato il contratto e non essendovi stata lesione di diritti che dallo stesso sarebbero nati, non può mai essere dovuto un risarcimento equivalente a quello conseguente all’inadempimento contrattuale (Cass. 10 giugno 2005, n. 12313).

Quanto alle doglianze ulteriori del ricorrente, circa la mancata ammissione delle sue richieste istruttorie, basterà ancora considerare come il provvedimento di cui all’art. 210 c.p.c. è espressione di una facoltà discrezionale rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito (il quale, nella specie, ha pure indicato le ragioni per le quali aveva ritenuto di non avvalersi del relativo potere, stante la finalità esplorativa e la generica ricostruzione alternativa delle vicende prospettata), il cui mancato esercizio non può, quindi, formare oggetto di ricorso per cassazione, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione (Cass. 29 ottobre 2010, n. 22196). D’altra parte, la denunzia del vizio di motivazione per la mancata assunzione delle prove testimoniali da parte dei giudici del merito sconta un difetto di autosufficienza, omettendo di indicare nel ricorso i capitoli di prova non ammessi ed asseritamente concludenti e decisivi al fine di pervenire a soluzioni diverse da quelle raggiunte nell’impugnata sentenza. In generale, il ricorrente che, nel giudizio di cassazione, denunci il difetto di motivazione sulle proprie istanze di ammissione di un mezzo istruttorio o di acquisizione di un documento, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento, al fine di consentire, appunto, al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che questa Corte deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative. In tal senso, il secondo ed il terzo motivo del ricorso della S.r.l. (OMISSIS) si connotano unicamente con prospettazioni di vizi di motivazione della sentenza della Corte d’appello radicate nell’assunto dell’insufficiente spiegazione logica relativa all’apprezzamento, operato dal giudice di merito, dell’insussistenza della malafede o della grave negligenza della contraente (OMISSIS), proponendo, al riguardo, soltanto una possibile spiegazione logica alternativa.

Conseguono il rigetto del ricorso e la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute in questo giudizio, che liquida in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, l’8 marzo 2016.