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Cassazione Civile 7592/2016 – Opposizione alla dichiarazione di fallimento e azione di responsabilità aggravata – Inscindibilità tra le due domande – Improponibilità dell’azione risarcitoria in separato giudizio

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Sentenza 7592/2016

Opposizione alla dichiarazione di fallimento e azione di responsabilità aggravata – Inscindibilità tra le due domande – Improponibilità dell’azione risarcitoria in separato giudizio

L’opposizione alla dichiarazione di fallimento e l’azione di responsabilità aggravata, introdotta ai sensi dell’art. 96 c.p.c., con riguardo all’iniziativa assunta con l’istanza di fallimento, sono legate da un nesso d’interdipendenza da cui consegue la competenza funzionale, esclusiva ed inderogabile del giudice della predetta opposizione su entrambe e l’improponibilità in separato giudizio dell’azione risarcitoria.

Cassazione Civile, Sezione 1, Sentenza 15 aprile 2016, n. 7592  (CED Cassazione 2016)

Art. 96 cpc (Responsabilità aggravata) – Giurisprudenza

 

 

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1.- (OMISSIS) ricorre per cassazione formulando due motivi – contro la sentenza della Corte di appello di Roma (depositata il 5.7.2010) che (per quanto ancora interessa) ha confermato la decisione di primo grado dichiarativa dell’inammissibilità della domanda dal predetto proposta nei confronti della s.p.a. (OMISSIS) creditore istante – per ottenere il risarcimento del danno conseguente alla sua dichiarazione di fallimento, poi revocata con sentenza passata in giudicato.

L’inammissibilità è stata pronunciata perchè la domanda di danni nei confronti del creditore istante avrebbe dovuto essere proposta nell’ambito dell’opposizione al fallimento. Resiste con controricorso la società intimata.

Nel termine di cui all’art. 378 c.p.c., parte controricorrente ha depositato memoria.

2.- Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione degli artt. 45 e 324 c.p.c., lamentando, sostanzialmente, che, avendo egli adito il tribunale ordinario ed essendosi questo dichiarato incompetente a favore del tribunale fallimentare, quest’ultimo abbia ritenuto inammissibile la domanda pur essendosi sul punto formato il giudicato per effetto della sentenza di incompetenza.

La censura è inammissibile perchè concerne una questione nuova non dedotta in sede di appello.

D’altra parte, l’ammissibilità della domanda può essere delibata soltanto dal giudice competente, sì che la declinatoria di incompetenza non determina alcuna preclusione alla rilevabilità dell’inammissibilità da parte del giudice dichiarato competente.

3.- Con il secondo motivo il ricorrente formula due distinte censure.

La prima – con la quale denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c. – è infondata alla luce del prevalente orientamento giurisprudenziale di questa Corte, secondo cui l’opposizione alla dichiarazione di fallimento e l’azione di responsabilità aggravata, introdotta ai sensi dell’art. 96 c.p.c., con riguardo all’iniziativa assunta con l’istanza di fallimento, sono legate da un nesso d’interdipendenza da cui consegue la competenza funzionale, esclusiva ed inderogabile del giudice della predetta opposizione su entrambe e l’improponibilità in separato giudizio dell’azione risarcitoria (Sez. 1, Sentenza n. 10230 del 28/04/2010; conff: Sez. 3, Sentenza n. 10451 del 06/12/1994; Sez. 1, Sentenza n. 4300 del 15/05/1997), anche se l’azione è proposta contro il curatore (Sez. 1, Sentenza n. 12541 del 26/08/2002).

Nè rileva l’asserita differenza con la fattispecie in esame nella quale la controparte avrebbe dolosamente e falsamente allegato una variazione di residenza – perchè l’art. 96 c.p.c., concerne anche i comportamenti tenuti in “mala fede”, oltre che con colpa grave.

La seconda censura – con la quale il ricorrente lamenta che non sia stata ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di l.c. dell’art. 96 c.p.c., in relazione ai danni sopravvenuti – è inammissibile perchè la corte di merito ha evidenziato che non si poteva escludere che il danno patrimoniale conseguente alla vendita della villa avrebbe potuto essere fatto valere, anche ai sensi dell’art. 345 c.p.c., trattandosi di danno sopravvenuto e che l’appellante non aveva “precisato la data della vendita e quindi” non aveva “provato l’impossibilità di far valere utilmente, come fatto nuovo, il danno derivante da tale sopravvenuto evento”.

Tale motivazione non è specificamente censurata e solo con il ricorso – inammissibilmente – il ricorrente ha precisato le date che gli avrebbero impedito di proporre la domanda in appello. Sì che la questione di legittimità costituzionale – per contrasto con l’art. 24 Cost. – priva di rilevanza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese forfettarie e accessori come per legge.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 24 marzo 2016.