Sentenza 7702/2016
Procedimento amministrativo – Impugnabilità dell’atto endoprocedimentale
In tema di procedimento amministrativo, il provvedimento finale a rilevanza esterna è impugnabile quale atto direttamente e immediatamente lesivo, mentre non sussiste l’interesse ad impugnare un atto privo di effetti immediati e diretti in quanto meramente endoprocedimentale (nella specie, “presa d’atto” di parere tecnico su istanza di concessione idroelettrica).
Cassazione Civile, Sezioni Unite, Sentenza 19 aprile 2016, n. 7702 (CED Cassazione 2016)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, (OMISSIS) e (OMISSIS) chiedevano l’annullamento del decreto in data 31.05.2011, n. 159, del Dirigente Regionale della Segreteria Regionale per l’Ambiente – Direzione Difesa del Suolo della Regione Veneto, avente ad oggetto presa d’atto del parere n. 2 del 3 marzo 2011, espresso dalla Commissione tecnica per il parere su osservazioni, opposizioni e domande in concorrenza, in merito all’istanza della ditta (OMISSIS) s.n.c. (di seguito, brevemente, “ditta Belfiore”) per la concessione di derivare moduli medi 80,00 di acqua dal fiume Brenta in località (OMISSIS) per la produzione di energia elettrica; in particolare chiedevano di accertare che tale provvedimento violava il diritto soggettivo di essi ricorrenti all’osservanza delle distanze legali e all’attuazione della disciplina urbanistica.
Resistevano, deducendo l’inammissibilità, sotto molteplici profili, oltre che l’infondatezza del ricorso, la Regione Veneto e la ditta Belfiore, mentre non si costituivano nè (OMISSIS), cui il ricorso era notificato anche in proprio, nè la (OMISSIS), cui il ricorso era notificato sul presupposto, che peraltro non ha avuto conferme in giudizio, della cessione del ramo di azienda che qui rileva da parte della ditta (OMISSIS), nelle more della liquidazione della stessa società, poi revocata.
Con sentenza in data 23.01.2014, il T.S.A.P., sulla base delle emergenze documentali, dichiarava inammissibile il ricorso per carenza di interesse, con condanna al pagamento delle spese processuali a carico dei ricorrenti, in considerazione della natura endoprocessuale dell’atto impugnato (mera presa d’atto di un parere) e per l’ulteriore rilievo che il provvedimento conclusivo non aveva formato oggetto di impugnazione, divenendo così inoppugnabile.
Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) e (OMISSIS), svolgendo due motivi e riproponendo quelli già svolti innanzi al T.S.A.P., per l’ipotesi che questa Corte decidesse nel merito dell’impugnazione.
Hanno resistito, con distinti controricorsi, la Regione Veneto e la ditta (OMISSIS). Quest’ultima ha anche rilevato la carenza di interesse al ricorso per cassazione, in considerazione della circostanza che la concessione rilasciata all’esito del procedimento in oggetto non ha avuto esecuzione, essendo destinata ad essere sostituita da quella da emettersi a seguito della richiesta di autorizzazione unica, avanzata, peraltro, in base a progetto parzialmente diverso.
Nessuna attività difensiva è stata svolta da parte degli altri intimati (OMISSIS) in proprio e soc. (OMISSIS).
I ricorrenti hanno depositato memoria con allegata documentazione, deducendo che il procedimento c.d. semplificato conseguente alla richiesta di autorizzazione unica è attualmente sospeso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
- Il T.S.A.P. ha affidato la decisione al rilievo che il provvedimento impugnato costituiva un atto di natura endoprocedimentale (mera presa d’atto da parte della Regione Veneto del parere espresso dalla Commissione tecnica regionale), come tale inidoneo a ledere gli interessi dei ricorrenti, in quanto non esauriva il potere dell’Amministrazione in merito al rilascio della concessione di derivazione (anche perchè limitato alla “presa d’atto” del parere, senza assunzione del relativo contenuto); ha osservato, nel contempo, che non era stato impugnato l’atto conclusivo del procedimento, ovvero il decreto n. 34 del 2012, del Genio Civile di Vicenza, con il quale era stata accolta l’istanza di derivazione. A quest’ultimo riguardo il T.S.A.P. precisato che costituiva principio acquisito che l’annullamento dell’atto presupposto non determina la caducazione automatica dell’atto consequenziale, ma semplicemente la sua invalidità derivata, da far valere, tuttavia, nel termine di decadenza, attraverso la proposizione di una specifica impugnazione – ha rilevato che ciò vale “a maggior ragione nel caso di specie in cui l’atto finale non è una mera conseguenza della nota (impugnata) recante la “presa d’atto”, ma è comunque frutto di un’autonoma valutazione compiuta dall’Amministrazione regionale”.
1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia nullità della sentenza per contraddittorietà ed illogicità manifesta (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, Regio Decreto n. 1775 del 1933, art. 201, art. 132 cod. proc. civ.) e per violazione e falsa applicazione dell’art. 100 cod. proc. civ. (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e dell’art. 111 Cost. e Regio Decreto n. 1775 del 1933, art. 9). Al riguardo i ricorrenti deducono che la motivazione è contraddittoria, per avere, da un lato, qualificato l’atto impugnato come atto procedimentale privo di attitudine lesiva e, dall’altro individuato nello stesso provvedimento un atto presupposto, come tale suscettibile di impugnazione; sostengono, inoltre, che l’annullamento dell’atto presupposto avrebbe comportato l’automatica caducazione del decreto concessorio, del Genio Civile in data 17.02.2012, trattandosi di “atto che si limita a richiamare il contenuto degli atti tutti già emessi dai diversi organi competenti, in particolare proprio il contenuto dell’atto impugnato, ovvero il Decreto della Direzione Regionale Difesa del Suolo n. 159 del 31 maggio 2011”; precisano che l’impugnazione aveva ad oggetto anche gli atti consequenziali.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia nullità della sentenza per omissione e/o contraddittorietà della motivazione (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, Regio Decreto n. 1775 del 1933, art. 201, art. 132 cod. proc. civ.) e violazione o falsa applicazione della L. 241 del 1990, art. 41, comma 2, degli artt. 7 e 8 (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3). Al riguardo i ricorrenti deducono che erroneamente il T.S.A.P. ha fatto decorrere il termine di impugnazione del provvedimento conclusivo dalla sua pubblicazione sul B.U.R., piuttosto che dalla notificazione o dalla comunicazione dello stesso ad essi ricorrenti, espressamente menzionati nel provvedimento e pertanto aventi diritto alla comunicazione o notificazione diretta del provvedimento.
- Va premesso che non è cessata la materia del contendere, nonostante sia pacifica l’avvenuta presentazione da parte della ditta (OMISSIS) di una (nuova) domanda di autorizzazione unica Decreto Legislativo n. 387 del 2003, ex art. 12 non essendovi motivo di ritenere che questa abbia comportato – così come assertivamente dedotto dalla resistente – la rinuncia “di fatto” alla concessione di derivazione n. 134 del 2012, e cioè al provvedimento conclusivo del procedimento concessorio, svoltosi secondo l’iter istruttorio di cui alRegio Decreto n. 1775 del 1933, artt. 7 e 8, nel corso del quale è stato emesso il provvedimento “di presa d’atto” di cui si discute.
Invero le asserzioni della società resistente sono state oggetto di specifica contestazione nella memoria di parte ricorrente ed appaiono, in ogni caso, contrastate dalla considerazione riferita dalla medesima ditta (OMISSIS) che la “nuova” domanda è corredata da un “nuovo” progetto di centralina (cfr. pag. 16 del controricorso della ditta (OMISSIS)); il che non lascia supporre alcuna automatica efficacia caducante del precedente procedimento e del suo esito per effetto della mera instaurazione della procedura “semplificata”.
2.1. Si impone un ulteriore preliminare rilievo in ordine all’ambito del sindacato di legittimità, considerato che entrambi i motivi sopra illustrati sono enunciati sotto il duplice profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale.
Va, in particolare, ribadito che il ricorso per cassazione avverso le sentenze del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche è ammesso anche per denunciare il vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Tale norma, tuttavia, nella nuova formulazione deve essere interpretata come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce, pertanto, nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, con esclusione di ogni rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (Cass. civ., Sez. Unite, 19 gennaio 2015, n. 741).
Merita, per altro verso, puntualizzare che l’inadeguatezza delle ragioni giustificatrici della decisione può assumere rilievo solo con riguardo alla quaestio fatti e non riveste, invece, alcuna autonomia se riferita a questioni di diritto, a fronte del potere del giudice di legittimità di procedere direttamente alla loro sostituzione, integrazione o correzione ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2 (ex plurimis: Cass., Sez. un., 10 gennaio 2003, n. 261).
- Ciò precisato, ritiene la Corte che il ricorso debba essere rigettato, risultando le plurime censure articolate con i suddetti motivi, per una parte, infondate e, per altra, inammissibili.
Queste le ragioni.
3.1. Il provvedimento, impugnato davanti al T.S.A.P., è stato emesso nel corso dell’iter istruttorio Regio Decreto n. 1775 del 1933, ex artt. 7 e 8 sull’istanza di derivazione presentata in data 17.02.2000 dalla ditta (OMISSIS) e, segnatamente, in esito alla trasmissione della “relazione di istruttoria” da parte dell’ufficio del Genio civile di Vicenza su alcune osservazioni e opposizioni alla domanda – tra cui quella degli odierni ricorrenti all’apposita “Commissione tecnica regionale per il parere su opposizioni, osservazioni e domande di concorrenza”. Più esattamente il provvedimento impugnato è il decreto del 31 maggio 2011, n. 159 della Direzione Difesa del Suolo della Regione Veneto, avente ad oggetto “presa d’atto” del parere favorevole emesso dalla ridetta Commissione in ordine all’avanzamento dell’istruttoria, sul presupposto che tutte le opposizioni e le osservazioni avverso la domanda di concessione dovessero essere rigettate.
Questo l’oggetto dell’impugnazione, ritiene la Corte che, correttamente, ne sia stata ritenuta l’inammissibilità in considerazione del carattere endoprocedimentale dell’atto impugnato, privo di un’immediata efficacia lesiva.
La decisione è, invero, conforme a principio acquisito nella giurisprudenza amministrativa, in ragione del quale la regola secondo cui l’atto endoprocedimentale non è autonomamente impugnabile – la lesione della sfera giuridica dell’interessato provenendo in tal caso solo dall’atto conclusivo del procedimento amministrativo – trova eccezione solo nei casi in cui dall’atto procedimentale consegua un effetto preclusivo del successivo sviluppo del procedimento e, quindi, solo in caso di: a) atti di natura vincolanti (pareri o proposte) idonei come tali ad esprimere un indirizzo ineluttabile alla determinazione conclusiva; b) atti interlocutori, idonei ad arrecare un arresto procedimentale capace di frustrare l’aspirazione dell’istante ad un celere soddisfacimento dell’interesse pretensivo prospettato; c) atti soprassessori, i quali rinviano ad un evento futuro ed incerto nell’an e nel quando il predetto soddisfacimento e, quindi, determinano un arresto procedimentale a tempo indeterminato (cfr. ex multis, Cons. Stato, 28 marzo 2012, n. 1829).
Ciò posto e considerato altresì che l’interesse ad impugnare va accertato con riferimento al concreto ed attuale pregiudizio che l’atto arreca all’interesse sostanziale dedotto in giudizio e non già con riguardo alla possibile futura incidenza dell’atto sulla sfera giuridica del ricorrente, si osserva che, nello specifico, è la stessa natura del provvedimento impugnato, consistente in una mera “presa d’atto” del parere della Commissione tecnica regionale, ad escludere che l’atto in questione possa considerarsi espressivo di una volontà dell’amministrazione con efficacia immediatamente lesiva e depone, invece, nel senso di un atto meramente interinale, privo di effetti “diretti”, che si inserisce nell’istruttoria senza peraltro condizionarne l’esito, anche a ragione del carattere non vincolante del parere della ridetta Commissione, quale si evince dalla normativa di riferimento.
3.2. Valga considerare che i ricorrenti non evidenziano concreti elementi per mettere in discussione l’autonomia, sotto il profilo formale e sostanziale, dell’atto conclusivo del procedimento e, cioè, del decreto n. 34 del 2012 del Genio civile di Vicenza, con cui è stata accolta l’istanza di derivazione della ditta (OMISSIS); essi si limitano, piuttosto, a dedurre che il provvedimento finale ha come “presupposto” proprio il provvedimento qui impugnato, come, del resto, sarebbe stato (contraddittoriamente) ammesso anche il T.S.A.P.; donde l’ammissibilità dell’impugnazione, anche perchè estesa anche agli atti “consequenziali”.
Senonchè dette argomentazioni – inammissibili sotto il profilo motivazionale per le considerazioni che precedono sub 2.1. – si rivelano infondate e non conducenti sotto il profilo della violazione di legge.
Invero – ribadito che il vizio logico-motivazionale attiene alla quaestio facti, laddove entrambi i suesposti motivi profilano questioni di diritto – si osserva, innanzitutto, che la circostanza che l’atto finale del procedimento richiami (tra gli altri atti) anche il provvedimento di cui trattasi non contrasta con la ritenuta natura endo-procedimentale del medesimo provvedimento e neppure lascia supporre il carattere vincolante della “presa d’atto” e/o del parere della Commissione tecnica. Invero con riferimento agli atti endo-procedimentali a contenuto consultivo, l’atto conclusivo del procedimento è il provvedimento finale a rilevanza esterna con cui l’Amministrazione decide a seguito di una valutazione complessiva, ed è contro di esso, in quanto atto direttamente ed immediatamente lesivo, che deve dirigersi l’impugnazione, e ciò perchè gli altri atti o hanno carattere meramente endoprocedimentale ovvero non risultano impugnabili, se non unitamente al provvedimento conclusivo, in quanto non immediatamente lesivi.
Orbene, nello specifico, la decisione impugnata ha chiaramente risolto siffatta alternativa nel primo senso e, cioè, iscrivendo il provvedimento in questione nell’alveo degli atti meramente endoprocedimentali, in quanto non contiene alcuna statuizione terminativa del procedimento (o di una fase di esso) destinato a concludersi con il provvedimento favorevole alla società istante per la concessione; e ciò non solo e non tanto perchè “non esaurisce” il potere dell’amministrazione, ma anche e soprattutto perchè avente valore di mera constatazione (“presa d’atto”) del parere della Commissione tecnica regionale, senza neppure recepirne il contenuto.
Merita puntualizzare che nel percorso argomentativo della decisione impugnata non vi è alcuna assimilazione o confusione tra il provvedimento impugnato e l’atto presupposto, il cui annullamento “non determina la caducazione automatica dell’atto consequenziale, ma semplicemente la sua invalidità derivata”; al contrario, viene rimarcata la differenza tra l’atto presupposto e il provvedimento qui impugnato e correlativamente esclusa l’esistenza di un rapporto di consequenzialità tra quest’ultimo provvedimento e quello finale, ritenendosi che “a maggior ragione” non vi fosse interesse all’impugnazione del provvedimento di “presa d’atto”, posto che l’atto finale del procedimento costituiva frutto di una valutazione autonomamente compiuta dall’Amministrazione regionale.
3.3. È il caso, altresì, di precisare che, in tale contesto, il riferimento alla mancata impugnazione del provvedimento finale, non costituisce un'(autonoma e alternativa) ratio decidendi, ma rappresenta solo un argomento suppletivo, volto ad evidenziare che l’eventuale annullamento del provvedimento endo-procedimentale impugnato sarebbe risultato privo di effetti satisfattivi nei confronti dei ricorrenti, anche in ragione del sopravvenire nelle more del giudizio del provvedimento finale e in considerazione dell’esclusione di un rapporto di consequenzialità con quello impugnato; derivando da ciò l’inconferenza della generica estensione dell’impugnativa a tutti gli atti conseguenti, quale espressa in sede di precisazione delle conclusioni.
Ne consegue l’inammissibilità, per carenza di interesse, del secondo motivo di ricorso, segnatamente quanto all’inesatta individuazione del dies a quo dell’impugnazione del provvedimento finale, trattandosi di censura proposta avverso una parte di sentenza, nella sostanza, sfornita di reali effetti giuridici, risultando il decisum fondato sul rilievo del carattere meramente endoprocedimentale, privo di effetti immediati e diretti, del provvedimento impugnato.
- Discende, altresì, da quanto sopra, l’assorbimento degli ulteriori motivi, con cui non si critica direttamente, per il contenuto delle relative statuizioni o per l’assenza di statuizioni dovute, la sentenza impugnata, ma si denunciano piuttosto, pretesi vizi dell’atto amministrativo investito dal ricorso al T.S.A.P. sul presupposto (non verificatosi) dell’accoglimento dei precedenti motivi.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo alla stregua dei parametri di cui al Decreto Ministeriale n. 55 del 2014 in favore di ognuna delle resistenti, seguono la soccombenza.
Infine, dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 4.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre accessori come per legge e contributo spese generali in favore di ognuna delle parti resistenti. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.