Sentenza 7716/2016
Contratto di lavoro a progetto – Forma scritta – Necessità – Forma obbligata della dichiarazione
In tema di contratto di lavoro a progetto, l’art. 62 del d.lgs. n. 276 del 2003, che ne richiede la stipula in forma scritta e prescrive l’indicazione a fini probatori del progetto e del programma di lavoro, non impone anche una forma obbligata di dichiarazione sicché il contenuto della prestazione oggetto del contratto può anche desumersi dal testo complessivo del documento con cui le parti hanno regolato il loro rapporto.
Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza 19-04-2016, n. 7716 (CED Cassazione 2016)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
- (OMISSIS) chiedeva al giudice del lavoro di Benevento di dichiarare che tra esso esponente e la soc. (OMISSIS) p.a. era intercorso un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, atteso che il contratto a progetto formalmente stipulato tra le parti era da ritenere affetto da nullità.
- Rigettata la domanda e proposto appello dal (OMISSIS), la Corte d’appello di Napoli con sentenza del 14.07.12 rigettava l’impugnazione, ritenendo validamente concluso il rapporto di lavoro a progetto.
- Avverso questa sentenza ricorre per cassazione il (OMISSIS) con ricorso e memoria. Risponde con controricorso (OMISSIS) s.p.a..
MOTIVI DELLA DECISIONE
- La Corte d’appello ha considerato valido il contratto di lavoro a progetto stipulato tra le parti dato che: a) il Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 62, prevede che il contratto a progetto debba essere redatto per iscritto e che, a fini probatori, indichi il progetto o programma di lavoro, senza che però richieda che sia integralmente illustrato il progetto o programma; b) il contenuto contrattuale può essere individuato per relationem mediante l’esame di altri testi scritti accessibili alle parti.
- (OMISSIS) impugna le sentenza con cinque motivi.
5.1. Con il primo motivo è dedotta violazione del Decreto Legislativo n. 276 del 2003, artt. 61 e 62, sostenendosi che il giudice erroneamente ha ritenuto che per formare l’atto scritto bastasse il semplice richiamo al testo del progetto, atteso che nella specie questo era inesistente perchè non controfirmato per accettazione dal ricorrente. Mancherebbe, dunque, l’individuazione dello “specifico progetto” previsto da detto art. 61, e, pertanto, sarebbe scattata la sanzione prevista dal seguente art. 69, che sanziona la trasformazione in rapporto a tempo indeterminato di quei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l’individuazione di uno specifico progetto.
5.2. Con il secondo motivo è dedotta violazione dello stesso Decreto Legislativo n. 276 del 2003, art. 69, comma 1, e della L. 28 giugno 2012, n. 92, art. 1, comma 24, nonchè dell’art. 112 c.p.c., in quanto il giudice, per ritenere valido il contratto, ha individuato il “progetto” facendo ricorso a circostanze esterne al negozio, così violando il dettato della L. n. 92 del 2012, che impongono la specificità del progetto.
5.3. Con il terzo motivo è dedotta violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione al Decreto Legislativo n. 276, art. 69, commi 1 e 2, avendo il giudice omesso di prendere in considerazione una sentenza ed i verbali della relativa causa, afferenti analoga controversia relativa ad altro collaboratore della soc. (OMISSIS).
5.4. Con il quarto motivo è dedotta violazione degli artt. 2094 e 2222 c.c., oltre che del Decreto Legislativo n. 276, artt. 61 e 69, nonchè dell’art. 24 Cost., in quanto la Corte avrebbe proceduto ad un esame delle prove parziale, non prendendo in esame gli elementi di prova desumibili dagli atti di causa del giudizio instaurato nei confronti di (OMISSIS) spa. In particolare, avrebbero dovuto essere considerate le testimonianze dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS), da cui avrebbe potuto facilmente trarsi la conclusione che ai dipendenti a progetto era imposto l’orario di lavoro (con conseguente straordinario, peraltro non retribuito), la giustificazione delle assenze e dei ritardi, l’ottemperanza alle disposizioni ricevute. Ne sarebbe derivata la visione di una prestazione di carattere subordinato, non risultando che al collaboratore fosse lasciata una pur minima discrezionalità di carattere esecutivo.
5.5. Con il quinto motivo è dedotta violazione degli artt. 115 e 116, 184 e 420 c.p.c., nonchè nuovamente del Decreto Legislativo n. 276, art. 69, commi 1 e 2, lamentandosi la mancata ammissione della prova per testi richiesta fin dal primo grado e l’esame solo parziale della documentazione prodotta dalle parti.
- A tale impugnazione (OMISSIS) s.p.a. risponde con un atto formalmente intestato “ricorso”. Il contenuto dell’atto e lo stesso mandato ricevuto dal difensore (nel senso di “resistere” al ricorso per cassazione contro la sentenza della Corte d’appello e non di “impugnare” la stessa) porta, tuttavia, alla conclusione che detta intestazione sia frutto di un mero refuso grafico e che l’atto in questione debba essere tecnicamente inteso quale vero e proprio controricorso.
Tanto premesso, e passando all’esame dell’impugnazione, deve rilevarsi che il ricorso del (OMISSIS) non è fondato.
- Prendendo in esame per primi e congiuntamente i motivi terzo, quarto e quinto, in ragione della loro priorità logica, deve premettersi una rapida sintesi della giurisprudenza di legittimità circa i poteri del giudice a proposito dell’acquisizione e della valutazione delle prove.
È principio consolidato che spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova. Il giudice, quindi, non è tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (v., tra le tante pronunzie conformi, Cass. 13.06.14 n. 13485). Tale regola non subisce eccezioni nel rito del lavoro, nel quale il giudice, all’udienza fissata ex art. 420 c.p.c., può esercitare il suo potere valutativo circa la rilevanza o meno delle prove invitando le parti alla discussione, così ritenendo la causa “matura per la decisione”, e, quindi, implicitamente rigettando le istanze istruttorie formulate dalle parti (Cass. 15.07.09 n. 16499). Il giudice al riguardo esercita i suoi poteri discrezionali ed esprime un giudizio che, se congruamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità (Cass. 10.06.09 n. 13375). Più in particolare, deve rilevarsi che il giudice civile, in assenza di divieti di legge, può formare il proprio convincimento anche in base a prove atipiche come quelle raccolte in un altro giudizio tra le stesse o tra altre parti, delle quali la sentenza ivi pronunciata costituisce documentazione, fornendo adeguata motivazione della relativa utilizzazione, senza che rilevi la divergenza delle regole, proprie di quel procedimento, relative all’ammissione e all’assunzione della prova (v. tra le tante Cass. 20.01.15 n. 840).
La circostanza che la scelta dei mezzi istruttori utilizzabili per l’accertamento dei fatti rilevanti per la decisione sia rimessa all’apprezzamento discrezionale, ancorchè motivato, del giudice di merito, comporta che la censura all’esercizio di questi poteri in sede di legittimità attiene al profilo del vizio di motivazione e non della violazione di legge (Cass. 20.09.13 n. 21603). Inoltre, il vizio di omessa pronuncia che determina la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., ed è rilevante ai fini di cui all’art. 360, n. 4, si configura esclusivamente con riferimento a domande, eccezioni o assunti che richiedano una statuizione di accoglimento o di rigetto, e non anche in relazione ad istanze istruttorie per le quali l’omissione è denunciabile soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. S.u., 18.12.01 n. 15982).
Nel caso di specie il giudice ha dato completa e congrua motivazione circa l’ammissione e la valutazione delle prove acquisite agli atti, prendendo compiutamente in esame le obiezioni avanzate dalla parte appellante. Deve, pertanto, concludersi che, ferma restando la validità e la precisione di tale percorso argomentativo, le deduzioni poste a fondamento dei motivi in esame costituiscono solo una inammissibile rivisitazione del merito, non possibile nel giudizio di legittimità.
- Passando all’esame dei motivi primo e secondo, deve premettersi che il contratto di lavoro a progetto, disciplinato dal Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 61, prevede una forma particolare di lavoro autonomo, caratterizzato da un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale, riconducibile ad uno o più progetti specifici, funzionalmente collegati al raggiungimento di un risultato finale e determinati dal committente, ma gestiti dal collaboratore senza soggezione al potere direttivo altrui e quindi senza vincolo di subordinazione (Cass. 25.06.13 n. 15922 e 29.05.13 n. 13394).
Il successivo art. 62 prevede che il contratto stesso è stipulato in forma scritta e deve contenere “ai fini della prova” tutta una serie di elementi, quali l’indicazione della durata (lettera a), la “indicazione del progetto o programma di lavoro, o fasi di esso, individuata nel suo contenuto caratterizzante, che viene dedotto in contratto” (lettera b), il corrispettivo (lettera c), le forme di coordinamento del lavoratore al committente (lettera d), le eventuali misure per la tutela della salute (lettera e).
- Nella fattispecie in esame, secondo la ricostruzione effettuata nella sentenza impugnata, tra il datore e il lavoratore è intercorso un atto scritto redatto e sottoscritto in data 15.02.05, qualificato dal giudice di merito “contratto”, in cui è contenuta una premessa che descrive gli obiettivi economico-sociali che il datore si ripropone (c.d. progetto SIOG). Il giudice ritiene che l’incarico lavorativo assegnato al lavoratore (“svolgimento delle attività relative all’accoglienza, all’informazione ed all’assistenza utenti, oltre che alla raccolta dei dati cartacei prodotti all’interno dei Centri orientamento locali”), descritto al punto 5, sia ricompreso in un segmento dell’attività datoriale rientrante nel c.d. progetto SIOG e costituisca “una attività produttiva ben identificabile e funzionalmente collegata ad un risultato finale”. Essa è sufficientemente determinata, “tanto nell’ambito del progetto SIOG nel suo complesso, tanto nell’ambito dell’organizzazione del singolo COL”, e può svolgersi secondo le modalità previste dall’art. 61. In altre parole, la Corte d’appello deduce dal complesso dell’atto scritto intercorso tra le parti il contenuto del progetto che il (OMISSIS) è chiamato ad attuare, individuando nell’atto stesso una dichiarazione negoziale di entrambe le parti, espressa in termini non espliciti, ma sufficientemente chiari.
Tale operazione interpretativa non si pone in contrasto nè con l’art. 61, nè con il Decreto Legislativo n. 276, art. 62, che regola la forma del contratto di lavoro a progetto. Quest’ultima disposizione, che richiede la stipula per iscritto del contratto solo ad probationem e prescrive che nell’atto scritto sia indicato il “progetto e programma di lavoro”, non impone una forma obbligata di dichiarazione. Può, quindi, ritenersi che il contenuto della prestazione oggetto del contratto può desumersi anche dal testo complessivo del documento cui le parti abbiamo fatto riferimento per la regolazione del loro rapporto.
È quanto può ritenersi accaduto nella fattispecie in esame. Il contratto sottoscritto dalle parti nel febbraio 2015, secondo l’accertamento di merito compiuto dalla Corte d’appello con motivazione ampia e logicamente articolata, reca una chiara premessa che non lascia dubbi circa la volontà delle parti di delimitare la prestazione alla realizzazione degli obiettivi ivi delineati. Tale accertamento è in linea con le disposizioni dell’art. 62, in quanto il progetto in questione è contenuto nell’atto redatto in forma scritta che ha dato origine al rapporto di lavoro.
- In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del
giudizio di legittimità, che liquida in 100 (cento) per esborsi ed in Euro 2.500 (duemilacinquecento) per compensi, oltre Iva, Cpa e spese forfettarie nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, c. 1 quater, del d.P.R. 30.05.02 n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del c. 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma il 1° dicembre 2015