Roma, Via Valadier 44 (00193)
o6.6878241
avv.fabiocirulli@libero.it

Cassazione Civile 7717/2016 – Trasferimento d’azienda – Passaggio diretto di personale nel settore idrico – Mantenimento del previo inquadramento  

Richiedi un preventivo

Sentenza 7717/2016

Trasferimento d’azienda – Passaggio diretto di personale nel settore idrico – Mantenimento del previo inquadramento  

In tema di passaggio diretto di dipendenti di imprese o enti operanti nel settore idrico presso il nuovo gestore del servizio idrico integrato, nelle ipotesi di cui alla prima parte dell’art. 173 del d.lgs. n. 152 del 2006, ferma la risoluzione del rapporto, la salvaguardia delle condizioni contrattuali in atto non impone l’automatico riconoscimento del precedente livello di inquadramento a fini economici e normativi, laddove l’applicazione del regime più favorevole di cui all’art. 2112 c.c., che assicura il mantenimento di tutti i diritti dei lavoratori trasferiti, è prevista solo per le ipotesi indicate nella seconda parte del suddetto art..

Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza 19-04-2016, n. 7717  (CED Cassazione 2016)

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 506 del 22 – 30 maggio 2014 la Corte di Appello de L’AQUILA rigettava l’impugnazione degli attori (OMISSIS) e (OMISSIS), avverso la pronuncia del Tribunale di Avezzano, che aveva respinto le loro domande, volte da ottenere l’inquadramento da essi reclamato, corrispondente alle qualifiche loro applicate, allorchè dipendevano dalla soc. Cooperativa (OMISSIS) al momento del passaggio, con decorrenza economica primo gennaio 2008, Decreto Legislativo n. 152 del 2006, ex art. 173, al (OMISSIS) ( (OMISSIS)) S.p.a.. Più precisamente, il giudice di primo grado, adito in sede di merito, all’esito di procedimenti cautelari ante causam, con sentenza del 12 novembre 2013, poi confermata in appello mediante il rigetto del gravame interposto dagli attuali ricorrenti, aveva dichiarato che costoro avevano diritto al passaggio alle dipendenze della spa (OMISSIS) con decorrenza economica dal primo gennaio 2008; aveva dato atto dell’avvenuto riconoscimento ai due dipendenti dell’anzianità di servizio maturata alle dipendenze di (OMISSIS), dichiarando altresì corretti gli inquadramenti operati dalla (OMISSIS); aveva rigettato le altre domande, proposte da entrambi i dipendenti, e condannato, infine, la società al pagamento, in favore del (OMISSIS) e del (OMISSIS), dei due terzi delle spese di lite.

Secondo la Corte distrettuale, in particolare, se da un lato andava ribadito il principio di diritto, non contestato dagli appellanti, per cui l’equiparazione tra gli inquadramenti contrattuali preesistente e successivo al trasferimento non doveva basarsi su di un mero raffronto tra le qualifiche astratte previste dai contratti collettivi (tra loro non sovrapponibili per materia), dovendo altresì tenersi conto delle mansioni in concreto svolte precedentemente e della loro riconducibilità al nuovo inquadramento contrattuale. D’altro canto, le censure mosse dagli appellanti non incidevano sui motivi posti a sostegno della decisione (appellata), in base alle argomentazioni all’uopo svolte.

Pertanto, doveva considerarsi corretto il diverso inquadramento applicato dalla “cessionaria” società.

Inoltre, neppure era possibile ritenere sussistente il diritto, preteso dai ricorrenti, allo specifico trattamento economico individuale da essi vantato, in base a quanto percepito con riferimento alle retribuzioni maggiorate corrisposte dalla società cooperativa (cedente), visto che lo stesso aveva riguardo essenzialmente alla flessibilità oraria, sicchè ciò non corrispondeva a quanto poi di fatto avvenuto con la cessione, trattandosi di straordinario forfettizzato (non già di superminimo).

Parimenti, andava respinta la pretesa risarcitoria azionata in ordine all’asserito demansionamento, laddove le mansioni svolte corrispondevano in effetti a quanto previsto dagli inquadramenti correttamente applicati in occasione del passaggio alle dipendenze della società (OMISSIS).

Avverso la sentenza della Corte distrettuale hanno proposto ricorso per cassazione il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) con tre motivi, denunciando la violazione o l’errata applicazione delle norme di legge e della contrattazione collettiva ivi indicate, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.

Ha resistito con controricorso la S.p.a. (OMISSIS).

Sono state depositate memorie ex art. 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo mezzo d’impugnazione i due ricorrenti hanno denunciato violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, art. 173 degli artt. 2013, 2095, 2112, 1362, 1363 e 1364 c.c., nonchè degli artt. 2730 e ss. c.c., dell’art. 18 del c.c.n.l. GAS-ACQUA 9 marzo 2007, ed infine degli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 111 Cost., artt. 421 e 437 c.p.c. in relazione dall’art. 18 del suddetto c.c.n.l., dolendosi della riconosciuta congruità degli inquadramenti impiegatizi di 7 e 5 livello del c.c.n.l. (OMISSIS)/ (OMISSIS), rispettivamente attribuiti dalla (OMISSIS) ad essi (OMISSIS) e (OMISSIS), in luogo di quelli di quadro (o in subordine di 8 livello) e di 7 livello (o in subordine di 6 livello) rivendicati.

Il Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152 Norme in materia ambientale – in G.U. n. 88 del 144-2006 – Suppl. Ordinario n. 96 – entrato in vigore del provvedimento 29/4/2006, ad eccezione delle disposizioni della parte seconda procedure per la valutazione ambientale strategica (VAS), per la valutazione dell’impatto ambientale (VIA) e per l’autorizzazione integrata ambientale (IPPC), artt. da 4 a 52, operanti invece dal 12/8/2006, all’art. 173 (in tema di personale), così in particolare recitava: Fatta salva la legislazione regionale adottata ai sensi della L. 5 gennaio 1994, n. 36, art. 12, comma 3, il personale che, alla data del 31 dicembre 2005 o comunque otto mesi prima dell’affidamento del servizio, appartenga alle amministrazioni comunali, alle aziende ex municipalizzate o consortili e alle imprese private, anche cooperative che operano nel settore dei servizi idrici sarà soggetto, ferma restando la risoluzione del rapporto di lavoro, al gassacelo diretto ed immediato al nuovo gestore del servizio idrico integrato, con la salvaguardia delle condizioni contrattuali, collettive e individuali, in atto. Nel caso di passaggio di dipendenti di enti pubblici e di ex aziende municipalizzate o consortili e di imprese private, anche cooperative, al gestore del servizio idrico integrato, si applica, ai sensi del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, art. 31, la disciplina del trasferimento del ramo di azienda di cui all’art. 2112 c.c..

Il Decreto Legislativo n. 165 del 2001, art. 31, in vigore dal 24-5-2001, relativo al passaggio di dipendenti per effetto di trasferimento di attività, stabilisce, a sua volta, che, fatte salve le disposizioni speciali, nel caso di trasferimento o conferimento di attività, svolte da pubbliche amministrazioni, enti pubblici o loro aziende o strutture, ad altri soggetti, pubblici o privati, al personale che passa alle dipendenze di tali soggetti si applicano l’art. 2112 c.c. e si osservano le procedure di informazione e di consultazione di cui alla L. 29 dicembre 1990, n. 428, art. 47, commi da 1 a 4.

Secondo i ricorrenti la prima parte dell’art. 173 era d’immediata applicazione e riguardava imprese e o enti operanti nei settori idrici, tra i quali pacificamente doveva annoverarsi la cooperativa loro precedente datrice di lavori, sicchè in virtù dell’affidamento di detti servizi il nuovo gestore diveniva cessionario del personale destinato al passaggio immediato e diretto. Nel caso di specie era pacificamente applicabile la previsione di cui al primo periodo dell’art. 173. Ma anche se fosse stato applicabile l’art. 2112 c.c. si sarebbe pervenuto di fatto al medesimo risultato, poichè, fatta salva la sostituzione dei trattamenti collettivi del cedente con quelli del cessionario, i trattamenti collettivi (compresi i trattamenti retributivi complessivi e la professionalità acquisita) non potevano essere pregiudicati.

Pertanto, l’anzidetto meccanismo di salvaguardia imponeva, in base al principio d’irriducibilità della retribuzione e del divieto di dequalificazione professionale, ex art. 2013 c.c., di garantire non solo il mantenimento della stessa retribuzione, ma anche una posizione gerarchica coerente con il precedente status.

Nel caso del (OMISSIS) il passaggio di cui all’art. 173, in quanto dotato di forza e ambito maggiori anche rispetto alle previsioni dell’art. 2112 cit., non consentiva di modificare lo status del predetto, retrocedendolo da quadro a impiegato, trattandosi di categorie distinte, ex art. 2095 c.c..

Inoltre, sempre in relazione la posizione del (OMISSIS), le conclusioni cui era giunta la Corte aquilana, erano viziate da erronea applicazione e dei criteri d’interpretazione della normativa collettiva, segnatamente, ex art. 18 c.c.n.l. (OMISSIS)/ (OMISSIS) (all. 16 del fascicolo di primo grado e all. 4 al presente fascicolo), spettando la classificazione come quadro, o almeno come 8 livello.

Sotto altro profilo, i ricorrenti contestavano le affermazioni dei giudici di appello, che avevano valorizzato, di fatto, la comparazione sul piano quantitativo, dell’attività della (OMISSIS) con quella della (OMISSIS), sicchè stante la limitata portata della prima, i relativi livelli non avrebbero potuto essere traferiti nella seconda e che le attività del (OMISSIS) e del (OMISSIS) in (OMISSIS) erano state, quindi, priva della più ampia professionalità richiesta dalla C.C.N.L. Ferdergas/ (OMISSIS), nonchè non dimostrare quali ad essa corrispondenti. Tali conclusioni però risentivano, ancora una volta di violazione di legge, sia per l’erroneo utilizzo dei criteri ex artt. 1362 – 1364 c.c., sia per la pretermissione del principio di ricerca della verità materiale, di cui agli artt. 421 e 437 c.p.c..

Infatti, richiamate le previsioni della contrattazione collettiva di riferimento (c.c.n.l. (OMISSIS)/ (OMISSIS) e c.c.n.l. terziario), sostenevano che il rilievo quantitativo dell’impresa non assumeva alcuna rilevanza ai fini delle qualifiche de quibus, non essendovi alcuna distinzione tra grande impresa, pmi e imprese artigiane, rilevando soltanto la professionalità del lavoratori e non già le dimensioni dell’azienda.

Quanto, poi, alla prova della professionalità richiesta, la Corte di merito si era limitata a rilevare che non risultavano depositati ritualmente in giudizio i relativi documenti, peraltro asseritamente nella specie facenti parte della c.t.u. espletata in primo grado, donde la violazione degli artt. 115, 116, 421 e 437 c.p.c., posto che la Corte territoriale avrebbe dovuto tener conto della mancanza di specifiche contestazioni da parte resistente riguardo alle allegazioni contenute nel ricorso introduttivo del giudizio, circa il requisito professionale, nonchè della progressiva formazione delle produzioni, infine cristallizzatesi nella c.t.u. e nei relativi allegati, tutto formatosi nel contraddittorio tra le parti, traendo perciò dagli anzidetti elementi un convincimento affatto opposto a quello qui censurato.

Con il secondo motivo, riguardo al trattamento economico di spettanza, i ricorrenti hanno poi denunziato, violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., anche in relazione agli artt. 433 e ss. nonchè 342 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c., Decreto Legislativo n. 66 del 2003, artt. 1 e 3, dell’art. 35 del c.c.n.l. commercio, per effetto della violazione della falsa applicazione dei suddetti artt. 173, 2112, 2103 e 2077, nonchè dell’art. 36 Cost., contestuale violazione dell’art. 360, comma 1, n. 4 in relazione all’art. 112 c.p.c., assumendo altresì come errata qualificazione come straordinario forfettizzato di emolumenti corrisposti come superminimo, violazione delle clausole legali di salvaguardia, del principio di irriducibilità della retribuzione e del divieto di reformatio in pejus della stessa. In sintesi, anche in caso di applicazione dell’art. 2112 la pacifica possibilità di sostituzione del trattamento collettivo applicato dal cedente con la equivalente contrattazione del cessionario, non consentiva alcuna soppressione e alcun assorbimento di eventuali trattamenti individuali migliorativi, atteso che, per legge, l’effetto di sostituzione si produceva esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello.

Pertanto, laddove fossero risultati in essere dei trattamenti individuali aggiuntivi, gli stessi non sarebbero stati comunque sopprimibili, nè sostituibili, imponendo, quindi, la corresponsione, da parte del cessionario, di un trattamento ad personam, fatto salvo il livello retributivo precedente acquisito ed irriducibile.

La Corte di Appello aveva errato nel ritenere non specificamente censurate dai deducenti le statuizioni in ordine alla quantificazione data dal Tribunale di Avezzano del trattamento retributivo in tema di straordinario forfettizzato. A tal uopo, circa il trattamento economico di spettanza, richiamavano il contenuto dell’atto di appello – pagine 27/30 – sostenendo che non si era trattato di una mera riproposizione di argomenti di primo grado, bensì di specifiche censure e di considerazioni critiche rispetto alla decisione del Tribunale di Avezzano, con prospettazione di soluzioni alternative fondate su applicazione di diverse prevalenti criteri di ermeneutica, valorizzazione delle risultanze documentali (busta paga, tabelle Inps, c.t.u.) acquisite in causa e pretermesse dal giudice di primo grado.

In proposito la decisione di appello era chiaramente viziata da violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., anche in relazione agli artt. 433 e ss., nonchè all’art. 342 c.p.c., sussistendo invece effettive censure alla decisione di primo grado e prospettazione dì soluzioni alternative motivate in fatto e in diritto.

La violazione di legge era ancora più eclatante nella pianificazione attribuita dalla Corte agli istituti retributivi in esame, anche in patente violazione di ogni principio di ermeneutica contrattuale, ed in carenza di specifiche contestazioni al riguardo da parte di (OMISSIS). Tale ultimo aspetto implicava assorbente violazione dell’art. 112 c.p.c. e con esso vizio della sentenza, rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Quanto agli ulteriori profili, i ricorrenti richiamavano il contenuto dei contratti individuali di essi (OMISSIS) e (OMISSIS) con la (OMISSIS) del 31-12-2001, prodotti nell’allegato numero 22 di primo grado di merito, nonchè nuovamente con il ricorso (all. nn. 6 e 7).

In base alla citata giurisprudenza, nel caso di specie andava applicato solo ed esclusivamente ermeneutico testuale, atteso che il tenore letterale della clausola contrattuale sub due in entrambi i contratti era del tutto chiaro ed inequivocabile, nel senso di prevedere non già un compenso legato alla maggior estensione oraria della prestazione, bensì la maggiorazione della paga oraria base (“aumento retributivo orario”), ossia necessariamente un trattamento individuale di miglior favore ex art. 2077 c.c., legato alla specifica persona/professionalità di essi ricorrenti, non già alle modalità estrinseche di svolgimento delle prestazioni di lavoro. Per fatto incontestato, di cui aveva dato atto anche la Corte di appello, tale trattamento migliorativo era rimasto inalterato e non era stato mai riassorbito dal 2001 in poi, emergendo, peraltro cartolarmente anche dalle buste paga di novembre 2007, laddove l’importo unitario di lavoro veniva indicato per il (OMISSIS) in Euro 18,76975 e per il (OMISSIS) in Euro 12,27809, documenti prodotti all’udienza dell’8 ottobre 2008 (docc. 10 e 11 allegati al ricorso). Pertanto, la Corte territoriale non poteva profondersi in ulteriori disamine, circa la qualificazione del titolo in parola, essendone chiara ed incontestabile la natura già sul piano elettorale, tale da assorbire ogni ulteriore indagine.

Nè poteva sostenersi che tale incremento fosse destinato a compensare la flessibilità dell’orario di lavoro per le mansioni svolte, avuto riguardo alle clausole indicate sub 9 nei due contratti, al riferimento dell’incremento alla retribuzione oraria normale, non già alle stringhe orarie di prestazione, al comportamento esecutivo pluriennale delle parti, dal 2001 al 2007, nel senso che la erogazione della maggiorazione in esame ne confermava la natura di trattamenti individuali, legati quindi soltanto a persona e professionalità dei lavoratori. Inoltre, anche laddove l’erogazione fosse avvenuta inizialmente a titolo di straordinario forfettizzato, comunque la sua erogazione per tanti anni ne avrebbe mutato la natura in elemento retributivo intangibile. Infine, il concetto di flessibilità oraria, di natura eminentemente contrattuale, era ben diverso e distinto dal lavoro straordinario, quest’ultimo definito dal Decreto Legislativo n. 66 del 2003, art. 1, comma 2, lettera c), come quello prestato oltre l’orario normale di lavoro, così come indicato all’art. tre della medesima normativa.

I ricorrenti, poi, richiamato l’art. 35 del c.c.n.l. Terziario (1999/2002), ritualmente allegato, sotto la cui vigenza erano intervenuti gli accordi individuali, circa la flessibilità dell’orario, e sostenevano che quest’ultima, anche sull’assorbente piano della contrattazione collettiva che l’aveva istituita e disciplinata, aveva natura diversa e distinta rispetto al lavoro straordinario, non comportando, a differenza di quest’ultimo, un incremento della prestazione complessiva rispetto all’orario normale, bensì una mera e diversa valutazione oraria delle prestazioni, con meccanismi di recupero in caso di superamento dell’orario normale stesso.

Ne derivavano: la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., anche in relazione agli artt. 433 ss. nonchè art. 342 c.p.c., rilevando la carenza di censura in appello che invece erano state proposte; violazione dell’art. 112 c.p.c. rilevante ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto la questione della qualificazione trattamento in esame non aveva costituito oggetto di specifica censura da parte della (OMISSIS), sicchè la stessa non poteva ritenersi contestata da parte resistente; violazione dei criteri di ermeneutica ex art. 1362 e ss. c.c., perchè la Corte avrebbe dovuto limitarsi al chiaro ed esaustivo criterio letterale della clausola due dei rispettivi contratti (fissazione di un aumento retributivo orario nella misura percentuale indicata con conseguente ragionevole determinazione del costo orario secondo gli importi ivi precisati), onde accertare la sussistenza del superminimo, e non dello straordinario forfettizzato; violazione degli artt. 1362 seguenti c.c., non avendo la Corte tenuto in adeguato conto che il comportamento esecutivo pluriennale della (OMISSIS), ed in particolare il non riassorbimento delle maggiorazioni, comunque significativo della sussunzione degli emolumenti nella retribuzione irriducibile, anche laddove inizialmente erogato a titolo diverso; violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 66 del 2003, artt. 1 e 3 e dell’art. 35 del contratto collettivo commercio, per avere la Corte distrettuale erroneamente equiparato i diversi distinti concetti di lavoro straordinario e della flessibilità oraria, mentre il giudice di appello avrebbe dovuto mantenere ferma la differenza tra la distribuzione dell’orario normale e il superamento dello stesso.

Pertanto, erano stati violati e falsamente applicati: l’art. 173 citato, istitutivo di salvaguardia dei trattamenti economici anche individuali e non solo collettivi, nella specie omessi dalla (OMISSIS) mediante la errata qualificazione superminimo come straordinario forfettizzato; l’art. 2112 c.c.; l’art. 36 Cost., artt. 2103 e 2077 c.c., posto che trattandosi di emolumenti relativi alla persona/professionalità dei lavoratori, gli stessi erano ulteriormente tutelati dal principio di irriducibilità della retribuzione, per contro violato in modo eclatante.

Dunque, la sentenza impugnata andava cassata, con accoglimento delle domande e la condanna del Consorzio, a decorrere dal gennaio 2008, a corrispondere in favore degli attori tutte le differenze retributive, globalmente intese, non godute, unitamente relativi accessori, tenuto conto del diverso trattamento economico, cui gli stessi avrebbero avuto diritto se fossero state riconosciute sin dal 1 gennaio 2008 le condizioni collettive e individuali in atto al momento del passaggio allo stesso Consorzio, la cui irriducibilità si riteneva dimostrata.

Come terzo motivo di ricorrenti hanno dedotto, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione degli artt. 2103, 2087, 1218 ss. c.c., anche in relazione agli artt. 115 e 116 codice di rito. l’accoglimento del primo motivo di ricorso (e quindi il riconoscimento dei livelli di inquadramento rivendicati ab initio), portava con sè il superamento del capo della sentenza di secondo grado, relativo alla rigetto delle domande in punto di demansionamento, che la Corte di Appello, al pari del primo giudicante, aveva sostanzialmente motivato sul presupposto della congruità dell’inquadramento attribuito dal Consorzio degli attori, il luogo di quello degli stessi rivendicato. Infatti, nel caso di specie la rilevata incongruità dell’inquadramento attribuito rispetto a quello spettante, unitamente alla dedotta attribuzione di mansioni di livello inferiore implicava di per sè, senza voler involgere accertamenti di fatto preclusi in sede di legittimità, violazione delle anzidette disposizioni di legge, segnatamente dell’art. 2103 citato, sulla scorta di una premessa errata, essendo stato ritenuto legittimo il comportamento della società convenuta. Per contro, la Corte aquilana avrebbe dovuto dichiarare la sussistenza di illecito datoriale quale automatica conseguenza dell’inquadramento deteriore-mansionario attribuito agli istanti rispetto a quello dovuto. Inoltre, sulla base dell’accertato illecito e delle conseguenze di tutte dagli interessati sarebbero stati soddisfatti criteri di allegazione dimostrazione dei danni patiti dai medesimi, in particolare avuto riguardo alla durata dei fatti, ossia da 2008 negli stessi in (OMISSIS), con conseguente violazione dei succitati artt. 2013, 2087 e 1218, anche perchè risultava evidente la sottoutilizzazione di essi ricorrenti, derivante dal sostanziale stato di abbandono del loro settore di formale adibizione, ciò che implicava motivo di pregiudizio professionale e non solo.

Andava, quindi, riconosciuto il risarcimento dei danni patrimoniali e non, compresi quelli professionale, esistenziale, di immagine, della vita di relazione e biologico, da determinarsi per ciascun attore in ragione di una somma pari ai 2/3 della retribuzione mensile a ciascuno di essi spettante al momento del passaggio in (OMISSIS), come determinata dal c.t.u. di primo grado nella relazione del 16 dicembre 2011, moltiplicata per tutti i mesi dell’demansionamento, a decorrere dal gennaio 2008, sino al saldo.

Attesa la stretta connessione degli anzidetti motivi di ricorso, gli stessi vanno congiuntamente esaminati.

In primo luogo, va osservato che il sopra riportato art. 173 ben distingueva l’ipotesi del personale, soggetto, ferma restando la risoluzione del rapporto di lavoro, al passaggio diretto ed immediato al nuovo gestore del servizio idrico integrato, ancorchè con la salvaguardia delle condizioni contrattuali, collettive e individuali in atto, dal passaggio dei dipendenti di enti pubblici e di ex aziende municipalizzate o consortili e di imprese private, anche cooperative, al gestore del servizio idrico integrato, assoggettati alla disciplina del trasferimento del ramo di azienda di cui all’art. 2112 c.c..

Nel caso del (OMISSIS) e del (OMISSIS), gli stessi hanno dedotto come nei loro confronti fosse applicabile pacificamente la prima ipotesi, di modo che non può, evidentemente, operare il più favorevole regime assicurato dalla disciplina dettata dall’art. 2112 (mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda:… il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. 2. Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido… 3. Il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa del cessionario. L’effetto di sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello….).

Di conseguenza, ferma restando la risoluzione del rapporto di lavoro in atto, il passaggio diretto, sebbene immediato e quindi senza soluzione di continuità, comportava chiaramente una loro assunzione ex novo da parte del gestore del servizio idrico integrato, con conseguente inquadramento secondo la contrattazione collettiva di riferimento per quest’ultimo, ancorchè con l’anzidetta salvaguardia, che però non può intendersi anche come automatico mantenimento dei livelli del precedente inquadramento, a fini economici e normativi (il significato di salvaguardare è quello di tutelare, difendere, soprattutto interessi materiali e morali, propri o di altri – tutela, difesa, custodia; ma ciò non corrisponde esattamente a mantenere o al mantenimento, ovvero al conservare, termini questi che implicano il significato si preservare allo stesso modo una cosa o una certa situazione – far rimanere qualche cosa in una determinata condizione).

Diversamente opinando, non avrebbe senso il rinvio operato soltanto dal secondo periodo dell’art. 173 all’art. 2112 c.c., laddove infatti non a caso nemmeno si accenna alla risoluzione del rapporto anteriore.

D’altro canto, anche nel caso in cui opera la disciplina ex art. 2112 cod. civ., ai lavoratori che passano alle dipendenze dell’impresa cessionaria si applica il contratto collettivo, che regolava il rapporto di lavoro presso l’azienda cedente, soltanto qualora la prima non applichi alcun contratto collettivo, mentre, in caso contrario, la contrattazione collettiva dell’impresa cedente è sostituita immediatamente ed in tutto da quella applicata nell’impresa cessionaria, anche se più sfavorevole (Cass. n. 5882 del 2010; Cass. n. 2609 del 2008). L’art. 2112 c.c. comporta, infatti, l’inserimento del dipendente in una diversa realtà organizzativa e in un mutato contesto di regole normative e retributive, con l’applicazione del trattamento in atto presso il nuovo datore di lavoro (Cass. lav. n. 19564 del 13/09/2006: la regola per cui il passaggio da un datore di lavoro all’altro comporta l’inserimento del dipendente in una diversa realtà organizzativa e in un mutato contesto di regole normative e retributive, con l’applicazione del trattamento in atto presso il nuovo datore di lavoro ex art. 2112 cit. è confermata, per i dipendenti pubblici, dal Decreto Legislativo n. 165 del 2001, art. 30 il quale riconduce il passaggio diretto di personale da amministrazioni diverse alla fattispecie della “cessione del contratto” e stabilisce, altresì, la regola generale dell’applicazione del trattamento giuridico ed economico, compreso quello accessorio, previsto nei contratti collettivi nel comparto dell’amministrazione cessionaria. Quindi, Cass. n. 19564/2006, con riferimento nella specie alla retribuzione individuale di anzianità – RIA – riteneva che da nessun principio o regola si desume che debba essere conservata, quale voce retributiva a sè stante, in caso di mutamento del regime normativo e retributivo conseguito al passaggio alle dipendenze di altro datore di lavoro pubblico, non giustificandosi diversità di trattamento – salvo l’assegno “ad personam” – tra dipendenti dello stesso ente a seconda della provenienza e implicando, la continuità giuridica del rapporto, il mantenimento dell’anzianità, ma con il rilievo che assume nella nuova organizzazione.

Tali argomentazioni, poi, più recentemente sono state riprese da Cass. lav. n. 19303 del 16/6 – 29/09/2015, secondo cui l’inquadramento conseguito da un dirigente all’interno di una struttura produttiva non può essere trasposto meccanicamente all’interno di una struttura, anche del medesimo settore, di dimensioni diverse, e presso cui sia applicato un differente contratto collettivo, atteso che, ai fini del corretto inquadramento, rilevano elementi di carattere quantitativo, come il numero dei dipendenti diretti o il volume degli affari trattati. Nella parte motiva di tale pronuncia, infatti, si confermava, tra l’altro, il principio, secondo cui l’art. 2112 c.c. comporta l’inserimento del dipendente in una diversa realtà organizzativa e in un mutato contesto di regole normative e retributive, con l’applicazione del trattamento in atto presso il nuovo datore di lavoro; di conseguenza, “l’inquadramento conseguito da un dirigente all’interno di una certa struttura produttiva, e con l’applicazione di una certa disciplina collettiva, non può essere trasposto meccanicamente all’interno di una struttura, anche del medesimo settore, ma di dimensioni completamente diverse e, per di più, con l’applicazione di una differente disciplina collettiva…., ai rapporti di lavoro regolati dall’art. 2112 c.c., il contratto collettivo dell’azienda subentrante si applica immediatamente, anche se più sfavorevole (Cass. n. 6747 del 2010; Cass. n. 6453 del 2010; Cassa n. 5882 del 2010; Cass. n. 9545 del 1999).

Inoltre, i motivi di ricorso venivano considerati inammissibili per la consolidata giurisprudenza, che, facendo fronte al fenomeno della mescolanza di mezzi di impugnazione eterogenei, con contestuale riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, in più occasioni ha evidenziato “la impossibilità di convivenza, in seno ai medesimo motivo di ricorso, di censure caratterizzate da tale, irredimibile eterogeneità” (Cass. SS.UU. n. 26242 del 2014).

Peraltro, Cass. n. 19303/15 cit. precisava anche che la corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ovvero il divieto di mutatici libelli riguarda le domande o le eccezioni, e non le allegazioni di fatti ovvero le mere difese.

Del resto, una volta, poi, acclarato che il dipendente passato ad altro datore di lavoro non aveva diritto a conservare l’inquadramento in precedenza conseguito, essendo legittima l’applicazione dei diverso C.C.N.L. presso l’impresa cessionaria, per conseguire l’inquadramento invocato, secondo tale ultima contrattazione collettiva, avrebbe dovuto egli, in qualità di attore, allegare e provare di svolgere mansioni che legittimavano il richiesto inquadramento superiore.

Qualora una determinata questione giuridica non risultasse trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza dei ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. SS. UU. n. 2399 del 2014; Cass. n. 2730 del 2012; Cass. n. 20518 del 2008; Cass. n. 25546 del 2006; Cass. n. 3664 del 2006; Cass. n. 6542 del 2004).

Orbene, nel caso di specie le doglianze svolte dai ricorrenti non superano le piane argomentazioni del giudice di merito, circa il motivato convincimento della corretta attribuzione al (OMISSIS) ed al (OMISSIS) presso la (OMISSIS) dell’inquadramento in parola, diverso però da quello invocato con relative differenze retributive. Per contro, tali censure appaiono, piuttosto mirate a rivedere, però inammissibilmente in sede di legittimità, i presupposti di fatto ritenuti dalla Corte distrettuale, sulla cui scorta è stata emessa la decisione qui impugnata.

Invero, vanno tenuti soprattutto presenti i tre motivi di appello, siccome indicati alle pagine 4 e 5 della pronuncia emessa dalla Corte distrettuale: 1) erronea valutazione dal parte del giudice di primo grado del compendio probatorio acquisito ai fini dell’esatto inquadramento nell’organico della (OMISSIS), ed in particolare la mancata considerazione delle risultanze della c.tu. e delle dichiarazioni della teste (OMISSIS); 2) erronea qualificazione degli aumenti concessi nel corso del rapporto alle dipendenze della (OMISSIS) come compenso forfettario per prestazioni di lavoro straordinario, invece che come superminimo; 3) la non adeguata considerazione da parte del primo giudicante del depauperamento professionale subito dagli appellanti, in quanto costretti ad accettare con disagio l’espletamento di prestazioni meramente esecutive, estranee alle professionalità acquisite, con conseguente ingiustificato rigetto della pretesa risarcitoria pure azionata.

Sul primo punto, quindi, la Corte distrettuale osservava, in via preliminare, come non fosse stato contestato dagli appellanti il principio, da ribadirsi, secondo cui l’equiparazione tra gli inquadramenti contrattuali, preesistente e successivo al trasferimento, non dovesse fondarsi su di un mero raffronto tra le qualifiche astratte previste dai diversi contratti collettivi (tra loro non sovrapponibili nella materia), ma delle mansioni in concreto svolte precedentemente e della loro riconducibilità al nuovo inquadramento. Inoltre, le censure mosse dagli appellanti non incidevano sui motivi posti a base della decisione.

Orbene, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio. La rilevabilità d’ufficio di una nullità, poi, deve coordinarsi con i principi generali del processo, per cui il rilievo ex officio resta precluso per effetto del giudicato interno formatosi in conseguenza della pronunzia esplicita sulla questione ovvero della definizione implicita della stessa (Cass. 3 civ. n. 194 del 09/01/2002. Conformi Cass. Sez. 2, n. 6480 del 06/05/2002, n. 9741 del 05/07/2002, n. 9378 del 27/06/2002.

  1. ancora Cass. n. 2088 del 24/02/2000: nel giudizio di cassazione, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio o, nell’ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti. Conformi n. 3737 e n. 6242 del 1999, n. 397 del 16/01/2002, n. 4623 del 29/03/2001, n. 12518 del 15/10/2001.

Cass. n. 9097 del 21/06/2002: i motivi del ricorso devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello. Conformi Cass. n. 1063 del 19/01/2005, n. 11651 del 29/07/2003, n. 3004 del 17/02/2004, n. 16132 del 02/08/2005.

Cass. 2 civ. n. 5150 del 03/04/2003: i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio. Pertanto, ove il ricorrente proponga detta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito. Conformi 3 civ. n. 2140 del 31/01/2006, Sez. lav. n. 10531 – 01/06/2004, 3 civ. n. 11275 del 27/05/2005, id. n. 21497 del 07/11/2005, id. n. 1101 del 20/01/2006, n. 1012 del 19/01/2006, n. 1940 del 03/02/2004, Sez. lav. n. 7293 del 16/04/2004, 3 civ. n. 7923 del 26/04/2004, id. n. 8520 del 05/05/2004, Sez. lav. n. 9299 del 15/05/2004, id. n. 10201 del 27/05/2004, 3 n. 11606 del 22/06/2004, id. n. 19254 del 24/09/2004, id. n. 8103 del 06/04/2006, id. n. 14747 del 26/06/2007.

  1. ancora Cass. civ. sez. 6 – 1, n. 17041 del 09/07/2013; secondo cui non sono prospettabili, per la prima volta, in sede di legittimità le questioni non appartenenti al tema del decidere dei precedenti gradi del giudizio di merito, nè rilevabili di ufficio).

Infatti, quanto al (OMISSIS), era pacifico che lo stesso momento del passaggio non aveva il diploma di laurea nè lo stesso aveva provato di essere in possesso di conoscenze “teoriche professionali di alto livello dei processi delle metodologie acquisite con significative esperienze in una o più attività che caratterizzano una parte importante dell’intera funzione aziendale”. Sul punto non si poteva sottacere che l’esperienza maturata dal (OMISSIS), quale desumibile dal curriculum da lui trasmesso alla (OMISSIS), si era estrinsecata in un’azienda (cooperativa (OMISSIS), la cui attività principale era quella di deforestazione come si evinceva dalla relazione dell’amministratore delegato allegata al bilancio del 31 dicembre 2006), che con sei lavoratori aveva gestito nel tempo la sola manutenzione dei depuratori dei sette comuni (cfr. attestazione attività svolta ai fini della richiesta di partecipazione al PTTA 94/96 e delibera consiglio di amministrazione Ente Marsicano n. 24 del 28 agosto 2007), non paragonabile alla organizzazione aziendale della CAM, che aveva un organico di 150 dipendenti e gestiva l’intero ciclo idrico acquedottistico, comprese fognature e depurazione, di 38 comuni della Marsica, con la connessa attività amministrativa e contabile della fatturazione della riscossione dei canoni. Peraltro, tutti gli atti della Regione Abruzzo – Ante Ambito 2 Marsicano qualificavano gli impianti gestiti dalla (OMISSIS) come piccoli impianti di depurazione, circostanza evincibile anche dall’attestazione dell’attività svolta ai fini della richiesta di partecipazione al PTTA, laddove l’impianto più grande era quello di Tagliacozzo, destinato a servire 6000, persone mentre gli altri variavano da un minimo di 300 abitanti ad un massimo di 3000 abitanti per equivalente. In senso contrario non potevano essere valorizzate le considerazioni svolte dal consulente tecnico d’ufficio, sia perchè nella specie l’interpretazione del contratto collettivo e la valutazione delle risultanze istruttorie erano rimesse alla competenza esclusiva del giudice, sia perchè la relazione si limitava ad un’apodittica affermazione di inquadramento, senza indicare gli specifici elementi in forza dei quali il riconoscimento era stato effettuato, senza tener conto della diversa realtà operativa in cui il lavoratore si trovava ad operare, sia infine perchè, come sottolineato dal giudice di primo grado, il c.t.u. aveva acquisito ed utilizzato documenti non depositati ritualmente in giudizio.

Nè rilevanti, ai fini della decisione, erano le dichiarazioni rese dal teste (OMISSIS), coniuge del (OMISSIS), la quale in definitiva si era limitata a confermare il curriculum già posto dal giudice di primo grado a base della decisione, senza aggiungere ulteriori elementi in grado di connotare concretamente l’attività svolta nei termini richiesti dalla declaratoria contrattuale (OMISSIS).

Dovevano, pertanto, ribadirsi le conclusioni raggiunte dal giudice di primo grado circa l’insussistenza dei requisiti previsti dalla contrattazione collettiva per l’inquadramento del (OMISSIS) nel superiore a livello 8 o quadro.

Quanto al (OMISSIS), parimenti, la Corte di merito rilevava che lo stesso non solo non aveva fornito la prova, ma nel curriculum dal medesimo redatto per la (OMISSIS) non aveva neanche dedotto di avere svolto “funzioni direttive di coordinamento e controllo di unità organizzative importanti in relazione alla struttura dell’azienda e/o funzioni professionali di contenuto specialistico”, richieste dalla declaratoria del settimo livello, nè aveva provato che le mansioni svolte avessero il maggiore livello di qualificazione, la maggiore autonomia e la maggiore responsabilità di cui al sesto livello. Correttamente, quindi, il primo giudicante aveva confermato l’inquadramento del quinto livello, tenuto conto della riconducibilità allo stesso della gran parte delle mansioni dichiarate dal (OMISSIS), il quale aveva continuato a svolgere dopo il trasferimento. Le conclusioni raggiunte, pertanto, non potevano essere superate ancora una volta in base alle diverse opinioni espresse dal c.t.u. in prime cure per le anzidette medesime ragioni sopra indicate. Ugualmente, non meritevole di accoglimento era il secondo motivo di appello.

In punto di fatto era pacifico, oltre che provato documentalmente (cfr. doc. 22 nel fascicolo degli appellanti), che in forza di due distinti accordi in data 31 dicembre 2001 di lavoratori avevano percepito una paga oraria superiore, rispetto ai minimi previsti dal contratto collettivo applicato dalla (OMISSIS), in particolare del 35% per il (OMISSIS) e del 50% per il (OMISSIS). Pacifica era anche la circostanza che gli aumenti stipendiali de quibus non erano stati riassorbiti nei successivi aumenti stipendiali previsti dal contratto collettivo. Pertanto, a prescindere dalle considerazioni in ordine alla eccepito conflitto di interessi in relazione ai soggetti che avevano concluso gli accordi in esame (laddove (OMISSIS) aveva sottoscritto la modifica contrattuale sia come lavoratore sia come amministratore della (OMISSIS)), il collegio riteneva corretta la qualificazione data dal giudice di primo grado dei suddetti aumenti, come forfettizzazione del lavoro straordinario, in quanto fondata sulla piana interpretazione dell’accordo contrattuale di aumento, che evidenziava come lo stesso fosse pattuito in ragione della flessibilità oraria di lavoro per le mansioni svolte (cfr. infatti il punto 9 dei contratti in data 31-12-2001, laddove espressamente si conveniva la “flessibilità oraria per le mansioni svolte”, chiaramente correlata al notevole contestuale pattuito aumento retributivo orario della retribuzione base, mentre nonostante la pur prevista soggezione – sub clausola due del costo orario agli scatti di anzianità, agli aumenti salariali e a quantaltro previsto dal c.c.n.l. applicato, la stessa risulta invece rimasta inattuata durante il periodo considerato, ossia dal gennaio 2002 al dicembre 2007). La ricostruzione de qua non era stata oggetto di specifica confutazione da parte degli appellanti, che si erano limitati a ribadire la prospettazione difensiva di primo grado. Le conclusioni raggiunte portavano ad escludere la sussistenza di un diritto degli appellanti alla conservazione della maggiorazione in esame alla luce del citato orientamento giurisprudenziale di legittimità (Cass. n. 4055 del 2008, n. 10449 del 2006), secondo cui “il livello retributivo acquisita dal lavoratore subordinato, per il quale opera la garanzia dell’irriducibilità della retribuzione, ex art. 2103 c.c., dell’essere determinato con il conto della totalità dei compensi corrispettivi delle qualità professionali intrinseche alle mansioni del lavoratore, attinenti cioè la professionalità tipica della qualifica rivestita, mentre non sono compresi compensi erogati in ragione di particolari modalità, i quali non spettano allorchè vengano meno le situazioni cui erano collegati”.

Nè era applicabile il principio di diritto (Cass. numero 22050 del 13 ottobre 2000 6:05 142 del 21 gennaio 2011), in tema di trasformazione del compenso per lavoro straordinario in superminimo facente parte della retribuzione ordinaria, non riducibile unilateralmente da parte datoriale, perchè la lettura integrale delle anzidette pronunce evidenziava che la trasformazione del titolo dell’attribuzione non derivava dalla sola protrazione nel tempo della stessa, bensì dalla complessiva valutazione delle pattuizioni originarie, ma anche di quelle successive ampiamente da tutte le modificazioni avvenute anche per fatti concludenti durante il corso del rapporto stesso. In questa prospettiva poteva avvenire che un’attribuzione patrimoniale, che nell’equilibrio originano delle pani assolveva ad una determinata funzione, assumesse col tempo una funzione diversa. Ebbene nella fattispecie, ad avviso della corte aquilana, nessun elemento neppure indiziario era stato addotto dagli appellanti a sostegno della mutata natura del compenso in questione tale da poterlo far considerare super minimo.

Infine, non meritevole di accoglimento era anche l’ultimo motivo di appello. Emergeva, infatti, per tabulas che al (OMISSIS) erano state assegnate le mansioni di addetto al controllo delle attività lavorative nel settore della depurazione relativamente agli impianti precedentemente gestiti dalla (OMISSIS), ai (OMISSIS) quelle di conduzione e coordinamento di risorse per persone nel settore della depurazione, relativamente agli impianti precedentemente gestiti dalla cooperativa precedentemente svolta nell’ambito di una struttura di più ampie dimensioni e conseguente articolazione interna, la doglianza degli appellanti di aver subito un demansionamento a causa dell’assegnazione di compiti marginali, con un impoverimento della loro capacità professionale, di mansioni non omogenee, era rimasta del tutto apodittica, non avendo provveduto gli stessi ad una specifica e dettagliata esposizione delle mansioni effettivamente svolte, così da poterle comparare con quelle dell’intervenuto nuovo inquadramento (7 liv. per (OMISSIS) e 5 liv. per (OMISSIS)). A tal fine gli ordini di servizio invocati dagli appellanti nulla in concreto erano in grado di precisare. Quanto al protocollo numero 43/3 del 3 novembre 2008, si franava di un ordine di servizio in cui si chiedeva al (OMISSIS) di redigere il riepilogo dei lavori di manutenzione anno 2008 e di effettuare la programmazione con stima tecnico-economica dei lavori da eseguire nel 2009, con il coordinamento del settore. Per contro, mentre nessuna deduzione era stata svolta in ordine al contenuto concreto delle prestazioni richieste e alla loro riconducibilità alle mansioni del proprio livello, in relazione all’imposto coordinamento, questo costituiva una ineliminabile conseguenza dell’inserimento organico del dipendente in una dimensione più ampia della precedente in una posizione non apicale e del tutto in linea con l’inquadramento eseguito.

Quanto alla disposizioni servizio del 4 novembre 2008, la stessa si limitava ad indicare la formazione delle squadre tecnico-operative, inserendo nel settore depurazione il (OMISSIS), sicchè non si vedeva sotto quale profilo potesse essersi concretizzato il demansionamento.

In ordine alla nota numero 358 del 9 febbraio 2009, relativa ad un cambiamento nelle prestazioni lavorative riguardanti i dipendenti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), la Corte distrettuale rilevava come dalle stesse produzioni documentali degli appellanti (lettera di risposta del dirigente in data 13 febbraio 2009) emergesse che la sistemazione era del tutto provvisoria in attesa di una nuova sede operativa e che nella medesima situazione operavano anche dirigenti dei vari settori.

Veniva, altresì, parimenti dettagliatamente esaminata la nota allegata dalla società (OMISSIS) all’udienza del 24 marzo 2009, osservando tra l’altro che la circostanza che il settore di assegnazione non fosse più l’attività depurazione, ma quella fognaria, non implicava di per sè ed in mancanza di qualsivoglia ulteriore allegazione, un demansionamento, rientrando nei poteri del datore di lavoro lo jus variandi.

Dunque più che frammentarlo del quadro probatorio a sostegno dell’affermato demansionamento era del tutto inesistente.

Ad ogni modo, non sono ravvisabili nella pronuncia qui impugnata incongruenze logiche o errori di diritto tali da poter inficiare la decisione, avendo la Corte territoriale pronunciato nei limiti di tutto quanto devolutole dal gravame, interposto avverso il rigetto in prime cure delle domande avanzate, ed alla stregua degli anzidetti motivi d’appello, risultando per contro infondata la pretesa degli attori di ottenere, in virtù del più volte richiamato art. 173, la pedissequa riproduzione, nel passaggio diretto presso il nuovo gestore, delle preesistenti condizioni contrattuali, laddove la salvaguardia, pur assicurata, ma in via di massima, dalla suddetta disposizione di legge, andava comunque letta alla luce dell’espressa risoluzione del precedente rapporto, perciò non equiparabile, in modo assoluto, alla diversa ipotesi, prevista invece dalla seconda parte dello stesso art. 173, con rinvio al regime previsto dall’art. 2112 c.c. relativamente al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda (o di un ramo di questa, ai sensi del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, art. 31 in tema di passaggio di dipendenti per effetto di trasferimento di attività – Decreto Legislativo n. 29 del 1993, art. 34 come sostituito dal Decreto Legislativo n. 80 del 1998, art. 19 – nel caso di trasferimento o conferimento di attività, svolte da pubbliche amministrazioni, enti pubblici o loro aziende o strutture, ad altri soggetti, pubblici o privati).

Dunque, il ricorso va respinto, con la condanna dei soccombenti alle relative spese, per cui di conseguenza gli stessi sono anche tenuti al pagamento dell’ulteriore contributo unificato.

P.Q.M.

la Corte RIGETTA il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle relative spese, che liquida, a favore di parte controricorrente, in Euro 100,00 per esborsi ed in Euro 3500,00 (tremilacinquecento/00) per competenze professionali, oltre accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.

Così deciso in Roma il dieci dicembre 2015