Sentenza 7737/2016
Ricorso per cassazione – Deduzione di nullità della consulenza tecnica d’ufficio – Onere di specificazione a carico del ricorrente
La parte che, in sede di ricorso per cassazione, faccia valere la nullità della consulenza tecnica d’ufficio, causata dall’utilizzazione di materiale documentario fornito dal consulente tecnico di parte ed acquisito al di fuori del contraddittorio, ha l’onere di specificare, a pena di inammissibilità dell’impugnazione, quale sia il contenuto della documentazione di cui lamenta l’irregolare acquisizione (o la mancata acquisizione) e quali accertamenti e valutazioni del consulente tecnico di ufficio – poi utilizzati dal giudice – siano fondati su tale documentazione.
Cassazione Civile, Sezione 1, Sentenza 19-04-2016, n. 7737 (CED Cassazione 2016)
Ar. 360 cpc (Ricorso per cassazione) – Giurisprudenza
Art. 366 cpc (Contenuto del ricorso per cassazione) – Giurisprudenza
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- La società (OMISSIS), operante nel campo dell’informatica, convenne in giudizio (OMISSIS) e chiese di accertarne la responsabilità per lo svolgimento delle sue funzioni, di direttore generale della predetta società dal 30 settembre 2005 e componente del consiglio di amministrazione da aprile 2006, e di condannarlo al risarcimento dei danni all’immagine e patrimoniali, per complessivi Euro 6.300.000,00, imputandogli numerose irregolarità gestionali, tra le quali – per ciò che ancora interessa in questa sede – la negligente e imprudente gestione di vendite di prodotti alla società brasiliana (OMISSIS) ltd, risultata insolvente.
Il (OMISSIS) si costituì in giudizio, chiedendo il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la condanna della (OMISSIS) al pagamento del compenso dovutogli come amministratore e del trattamento di fine rapporto, nonchè al risarcimento dei danni.
2.- Il Tribunale di Rovereto, in parziale accoglimento della domanda della società attrice, condannò il (OMISSIS) al pagamento di Euro 275.343,81, oltre accessori, a titolo di risarcimento del danno per la vicenda riguardante gli insoluti della società brasiliana, e rigettò le altre domande.
3.- La Corte d’appello di Trento, con sentenza 19 dicembre 2013, ha rigettato i gravami della società (OMISSIS) e del (OMISSIS), avendo condiviso il giudizio del Tribunale secondo il quale egli era stato negligente nella vicenda della società brasiliana, per averle venduto prodotti pur conoscendone o dovendone conoscere l’insolvenza; in parziale accoglimento del gravame di (OMISSIS), ha condannato la (OMISSIS) a pagare Euro 2.500,00, oltre interessi legali, come compenso per l’attività di amministratore della società nel periodo aprile-settembre 2006; ha interamente compensato le spese di entrambi i gradi di giudizio.
4.- Avverso questa sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi, cui si è opposta la società (OMISSIS) con controricorso. Le parti hanno presentato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo di ricorso, il (OMISSIS) denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 101, 191, 194 e 196 c.p.c., della L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 3, omessa motivazione e nullità della sentenza, per avere la Corte trentina tratto la convinzione dell’esistenza e dell’imputabilità al (OMISSIS) del danno per il mancato pagamento del debito della società brasiliana (OMISSIS) da una consulenza tecnica d’ufficio, assunta in violazione del contraddittorio, avendo il consulente attinto alla sola documentazione fornita dalla (OMISSIS), ritenuta inattendibile, e omesso di acquisire presso la sede della società altra documentazione che avrebbe consentito di giungere a conclusioni diverse; inoltre, egli lamenta di avere ricevuto solo il 30 settembre 2010 la comunicazione del 12 agosto 2010 con cui il c.t.u. aveva chiesto documenti e chiarimenti e, infine, lamenta lo svolgimento delle operazioni peritali durante il periodo feriale.
1.1.- Il motivo è infondato in entrambi i profili in cui è dedotta la violazione di legge.
Con riguardo alla impossibilità di fornire documenti e chiarimenti al c.t.u., per mezzo del consulente tecnico di parte, non sussiste la violazione del contraddittorio, avendo il consulente del ricorrente ricevuto comunicazione dal c.t.u. in data 30 settembre 2010, ed essendo stata la consulenza depositata il 6 novembre 2010, il c.t.p. avrebbe potuto fornire chiarimenti e documenti prima del deposito. Nè sussiste violazione del contraddittorio per avere il c.t.u, secondo la doglianza del ricorrente, depositato la relazione integrativa senza prima trasmettere la bozza rispetto alla quale il proprio consulente di parte avrebbe potuto presentare osservazioni, poichè al ricorrente non è stata sottratta la possibilità di difendersi rispetto alle conclusioni espresse dal c.t.u. nella relazione finale. Neppure sussiste violazione della L. n. 742 del 1969, art. 3, per essersi le operazioni peritali svolte in parte durante il periodo feriale, trattandosi di disposizione applicabile ai soli termini processuali e non alle attività del c.t.u..
Con riguardo al profilo della mancata acquisizione di documenti presso la sede aziendale e dell’utilizzazione dei soli documenti forniti dalla società, va richiamato il principio secondo cui la parte che, in sede di ricorso per cassazione, faccia valere la nullità della c.t.u., a causa dell’utilizzazione di materiale documentario fornito dal consulente tecnico di parte ed acquisito al di fuori del contraddittorio tra le parti, ha l’onere di specificare quale sia il contenuto della documentazione di cui lamenta l’irregolare acquisizione (o la mancata acquisizione) e quali accertamenti e valutazioni del c.t.u. – poi utilizzati dal giudice – siano fondati su tale documentazione. In difetto di tale specificazione – senza la quale non è possibile verificare se la dedotta irritualità abbia avuto una decisiva influenza sulla decisione impugnata – si configura l’inammissibilità del mezzo di impugnazione, stante la sua genericità (v. Cass. n. 5093/2001). Nella specie, tali necessarie specificazioni non sono state fornite dal ricorrente.
Quanto al vizio di motivazione, non viene neppure dedotto il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, secondo il nuovo testo applicabile dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. Cass., s.u., n. 8053 e 8054/2014).
2.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c. e omessa motivazione, per essere stato ritenuto responsabile delle forniture rese dalla società brasiliana, non essendovi prova negli atti processuali che questa fosse insolvente.
2.1.- Il motivo è inammissibile.
Per quanto attiene alla violazione di legge (artt. 2392, 2697 e 2729 c.c.), va ribadito il principio secondo cui, quando nel ricorso per cassazione è denunziata violazione o falsa applicazione di norme di diritto, a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il vizio della sentenza deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni, intese motivatamente a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbono ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla prevalente giurisprudenza di legittimità e dalla dottrina (v. Cass. n. 828/2007; n. 635/2015). Nella specie, il motivo censura il giudizio di fatto operato dalla Corte d’appello circa gli elementi dai quali desumere la responsabilità del (OMISSIS) per le vendite alla società brasiliana. E, sotto il profilo del vizio di motivazione, la censura non è conforme al modello del vizio di omesso esame circa un fatto decisivo di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
3.- Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., artt. 2392 e 1227 c.c., per essere stato ritenuto responsabile di un danno che non sarebbe provato, nè conseguenza immediata e diretta del suo comportamento, atteso che la (OMISSIS) aveva ceduto a titolo oneroso ad altra società del gruppo i suoi crediti verso la società brasiliana, incassando il corrispettivo e, in tal modo, aveva rinunciato ad incassare il prezzo e a chiedere il risarcimento.
Con il quarto motivo il (OMISSIS) denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2392 e 2697 c.c., per essere stato giudicato responsabile senza che vi fosse prova della violazione di obblighi di gestione nè del nesso causale rispetto ad un danno verificatosi per la cattiva gestione del credito, alla quale egli sarebbe estraneo, da parte di altra società addetta (la (OMISSIS)).
3.1.- Entrambi i motivi, da esaminare congiuntamente, sono inammissibili.
L’omessa pronuncia non è ravvisabile in relazione all’omesso esame delle risultanze della c.t.u. o di un qualsiasi mezzo di prova (v. Cass. n. 13963/2001), riferendosi l’art. 112 c.p.c., alle domande ed eccezioni di merito. Sotto il profilo della violazione di legge, è censurato anche in questo caso il giudizio di fatto operato dalla Corte territoriale (il non avere tenuto conto del fatto che i crediti non riscossi nei confronti della società brasiliana erano stati ceduti a terzi) e non il modo in cui le norme citate (artt. 2392 e 1227 c.c.) sarebbero state applicate dal giudice di merito. La violazione dell’art. 2697 c.c., è censurabile con ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, soltanto nell’ipotesi – che non ricorre nella fattispecie in esame – in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma, altrimenti la censura investe la valutazione della prova (attività regolata dagli artt. 115 e 116 c.p.c.) che può essere fatta valere – e nella fattispecie non lo è stata – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. Cass. n. 15107/2013). Analogamente, la valutazione circa il nesso causale tra la condotta lesiva e il danno è riservata al giudice di merito ed è incensurabile in Cassazione, tranne che per vizio di motivazione (non prospettato nei motivi in esame).
4.- Con il quinto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dei medesimi parametri normativi indicati nel motivo precedente, per essere stato giudicato responsabile, pur avendo fornito la prova della sua diligenza e della non imputabilità a sè del fatto dannoso e pur dovendo ritenersi responsabile la società che doveva controllare la gestione dei crediti delle società del gruppo e recuperarli dai debitori.
4.1.- Il motivo deduce violazioni di legge, ma consiste prevalentemente nella riproposizione di questioni di merito, invocandosi, in sostanza, una rivisitazione del giudizio di fatto compiuto dai giudici di merito. Esso è, quindi, inammissibile.
6.- Il sesto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., per avere compensato interamente le spese, nonostante la soccombenza prevalente della (OMISSIS).
6.1.- Il motivo è inammissibile. Premesso che la Corte d’appello ha compensato le spese sulla base della reciproca soccombenza parziale, la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (v. Cass. n. 2149/2014).
7.- In conclusione, il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 4700,00, di cui Euro 4500,00 per compensi, oltre spese forfettarie e accessori di legge.
Roma, 26 febbraio 2016.